Seleucia in Pieria o Seleucia sul Mare, era un porto della Siria ed una delle quattro città della Tetrapoli siriana. Seleucia, le cui origini risalgono al 300 a.c., era soprattutto il porto per Antiochia (ora Antakya).
Il nome moderno è Çevlik, un piccolo villaggio vicino a Samandağ. L'apostolo Pietro scelse questo luogo per la sua prima missione di conversione rivolta ai gentili, e i suoi convertiti ad Antiochia furono il primo gruppo ad andare sotto il nome di cristiani.
I macedoni chiamarono questa regione Pieria, e questa regione aveva almeno due porti (il "porto interno" e il "porto esterno"), che a volte venivano usati dalla marina imperiale romana.
Tuttavia, i porti hanno continuato ad insabbiarsi per un fenomeno di bradisismo.
Questo fenomeno è legato al vulcanismo (risalita in superficie di materiale allo stato fuso, spesso accompagnato da gas e solidi) consistente in un periodico abbassamento (bradisismo positivo) o innalzamento (bradisismo negativo) del livello del suolo, relativamente lento sulla scala dei tempi umani (normalmente è nell'ordine di 1 cm per anno).
Secondo altri si tratterebbe invece delle piene dei torrenti che invaderebbero la zona del porto inondandolo di sabbia e detriti.
Probabilmente i due fenomeni si associano tra loro, tanto è vero che
diversi imperatori romani ordinarono di scavare alcuni canali per impedire questo processo, ma alla fine tutto divenne inutile.
La città fu costruita, un po' a nord dell'estuario degli Oronti, tra i piccoli fiumi sulle pendici occidentali del Coryphaeus, una delle vette meridionali dei Monti Amanus.
Il tunnel di Tito e Vespasiano si trova vicino al villaggio di Çevlik ("Porta d'acqua" ), nel distretto di Samandağ nella provincia di Hatay, ai piedi delle montagne Nur e a circa 35 km a sud-ovest di Antiochia. Da un punto di vista strategico l’importanza di questa città fu notevole in quanto costituiva una base della flotta imperiale romana.
Poco lontano dal porto si può vedere un grandioso tunnel, magnifico progetto dei bravissimi genieri romani, edificato per deviare il corso di un torrente che minacciava di ostruire il porto. Presumibilmente si trattava di una fenditura naturale poi allargata e dotata di chiuse.
Così i romani, per evitare che le acque, spesso piene di sabbia e detriti, insabbiassero il porto, decisero di deviare il torrente, facendo tagliare agli schiavi un canale lungo e attraverso la roccia per quasi un miglio.
ISCRIZIONE A VESPASIANO E TITO
Qui sopra vi è l'iscrizione di entrata nel tunnel: la dedica a Vespasiano e a Tito 81 d.c. – 96 d.c. Negli studi effettuati (Università dell'Arizona e Università di Ankara) si ritiene si tratti di una antichissima grotta preesistente, la cosiddetta Grotta Kanal, una grotta preistorica che venne trasformata in tunnel dai romani (Andrea De Pascale - Anatolia).
Il progetto ingegneristico iniziò infatti intorno al 69-79 d.c. sotto il regno di Vespasiano e continuò durante il regno dell'imperatore Tito nel 79-81 d.c., utilizzando soprattutto gli schiavi ebrei ottenuti dalla sconfitta di Gerusalemme (nel 70, altri prigionieri di guerra furono inviati a Roma, dove dovevano costruire il Colosseo).
Seleucia aveva almeno due porti, ma ambedue i porti continuavano ad insabbiarsi. Diversi imperatori romani ordinarono di scavare canali per impedire questo processo, ma alla fine tutti gli interventi risultarono inutili. Uno di questi canali, perchè ne furono scavati diversi, è il cosiddetto Tunnel di Tito.
Il canale di Tito, era stato scavato, secondo la narrazione di Flavio Giuseppe, da schiavi ebrei che lavoravano per ordine del comandante romano Tito, che aveva catturato Gerusalemme nel 70 (altri prigionieri di guerra furono inviati a Roma, dove dovevano costruire il Colosseo).
ISCRIZIONE AD ANTONINO PIO
Qui sopra vi è l'iscrizione ed uscita dal tunnel: la dedica ad Antonino Pio 138 d.c.–161 d.c. Lo scavo proseguì per molti anni, non per la sezione della roccia ma soprattutto per i detriti che qui continuamente si accumulavano.
Il sistema di deviazione si basava sul principio di chiudere il fronte del letto del torrente con una copertura di deviazione e di trasferire le acque del torrente al mare attraverso un canale artificiale e una galleria.
Il canale è lungo quasi 1400 metri e parte di esso attraversa un tunnel progettato dagli ingegneri della decima legione Fretensis. Anche confrontato con i mezzi attuali a disposizione, rimane una grande opera di ingegneria. Ma oltre alla stupefacente opera edilizia esso è meta dei turisti per la sua incredibile bellezza e suggestione di luci ed ombre, di ardite pareti scoscese e lucernari improvvisi sul soffitto altissimo.
Secondo l'iscrizione infatti, il tunnel non fu terminato se non durante il regno di Antonino Pio (138-161). Gli ultimi operai furono i legionari di IIII Scythica e XVI Flavia Firma. Il loro non fu l'ultimo tentativo di migliorare i porti: secondo la Descriptio Totius Orbis del IV secolo, i porti furono nuovamente rinnovati dall'imperatore Costanzo II (r. 337 - 361).
IL PONTICELLO D'USCITA
Considerato "il tunnel più grande del mondo realizzato dall'uomo", l'antica struttura è visitata da centinaia di viaggiatori amanti della storia, dell'arte e dell'architettura.
Il tunnel, la cui costruzione iniziò nel I secolo d.c. durante il regno dell'imperatore romano Vespasiano e continuò sotto il figlio Tito e il suo successore Antonio Pio, venne costruito anche per combattere la costante minaccia delle acque di piena che provenivano dalle vicine montagne dell'antica città di Seleuceia Pieria, nella odierna Turchia, piene esistenti a tutt'oggi.
Per risolvere questo problema, l'imperatore Vespasiano ordinò ai suoi legionari, marinai e prigionieri, di scavare un canale d'acqua attraverso la montagna per deviare le acque di piena attraverso un tunnel, impedendo così l'interramento del porto onde impedirne la fine.
I canali erano stati costruiti dagli ex imperatori romani per risolvere questo problema, ma non sono riusciti a fermare le inondazioni. Il fatto che l'intera galleria sia stata scavata nella roccia solida con martelli e scalpelli e sia sopravvissuta fino ad oggi senza molti danni, continua comunque a stupire gli ingegneri e gli architetti moderni.
L'USCITA DAL TUNNEL
Husnu Isıkgor, direttore provinciale per la cultura e il turismo, ha dichiarato all'Agenzia Anadolu di aver eseguito tutti i lavori possibili per la protezione del sito onde offrire ai visitatori un'esperienza migliore e più confortevole.
Isıkgor ha dichiarato di aver costruito per la prima volta sentieri per passeggiate, terrazze panoramiche e stand dove vengono venduti prodotti locali, ed ora stanno preparando un progetto per la creazione di un centro visitatori che includa strutture sociali all'interno del tunnel.
"Il tunnel Vespasianus-Titus è il tunnel più lungo del mondo mai scavato a mano. Accanto ad essa, c'è anche la grotta di Besikli, dove ci sono molte tombe di importanti sacerdoti e chierici", ha detto. La grotta è stata chiamata anche le "Tombe dei Re", poiché si ritiene che le tombe appartengano agli imperatori fin dall'epoca romana. "Vogliamo che il tunnel sia aggiunto alla lista permanente dell'UNESCO", ha aggiunto Isıkgor.
L'area del canale è stata proposta per il Patrimonio Mondiale dell'Umanità ed è stato aggiunto all'elenco provvisorio nella categoria culturale del patrimonio mondiale dell'UNESCO il 15 aprile 2014. .
L’Arco di Tito sta sulla cima settentrionale del Palatino, nella parte ovest del Foro Romano, con incisa l'iscrizione:
"Senatus populusque romanus - divo Tito divi Vespasiani f(ilio) - Vespasiano Augusto", ossia
"Il Senato e il popolo romano al divino Tito, figlio del divino Vespasiano, Vespasiano Augusto"
Il monumento, dedicato da Domiziano al padre Vespasiano ed al fratello Tito, celebrava il fratello dopo la morte avvenuta nell'81 d.c., per ricordarne le vittoria in Giudea nel 71 d.c. e la distruzione di Gerusalemme.
Gli ebrei sempre ribelli alla dominazione romana, nonostante gli fosse stata riedificata magnificamente la loro capitale, non sopportavano soprattutto la presenza di altri templi con altri Dei che colpivano la loro religione monoteista.
Dell'arco stranamente non c'è menzione negli scrittori antichi, e neppure nei regionari costantiniani. Soltanto sopra un rilievo del sepolcro degli Aterii sulla Via Labicana, ora proprietà del Vaticano e custodito nell'invisitabile, Museo Lateranense, che rappresenta la Sacra Via dal Palatino fino al Colosseo, l'arco è effigiato con il nome di Arcus in Sacra Via summa.
" A Tito figliuolo di Vespasiano Imperadore degnissimo chiamato perciò meritamente Delicia generis humani fù eretto quest'Arco dal Senato per memoria delle sue imprese militari nobilissime e particolarmente per l'espugnazione di Gerusalemme.
La conquistò dopo averle posto uno stretto assedio poichè ridusse a tal angustia gli assediati che una madre come racconta Giosef Ebreo uccise e mangiò per la fame il proprio figliuolo (le calunnie sugli ebrei da parte della Chiesa erano d'obbligo in quanto gli ebrei non si convertivano mai) il che avvenne come scrive Eusebio nel libro III dell'Istoria Ecclesiastica secondo quello che Cristo Signor Nostro haveva di loro predetto per l'ingiusta Crocifissione del quale furono ridotti a quell'ultimo esterminio di modo che Tito per altro benignissimo vedendo tanta mortalità alzate le mani al Cielo esclamò che per opera sua queste cose non erano succedute e senza contar quelli che furono condotti in trionfo e condannati a cavar metalli arrivò il numero ad un milione e cento mila 400. Per la celebrità dunque di questa così insigne Vittoria oltrechè nella Volta di dentro si vede egregiamente scolpita l'immagine di Tito si osserva ne fianchi dell'Arco da una parte in figura di Trionfante sopra d'un Carro tirato da quattro Cavalli al pari accompagnato da suoi Littori e dall'altra il Candelabro Ebreo con sette rami, le Tavole dell antica legge con le due Trombe da publicar il Giubileo trionfalmente portate e parimente la Mensa Aurea con il suddetto Candelabro chiamato Septilustre. Vedesi ancora alle spalle del medesimo Tito una Vittoria la quale porta nella sinistra una palma ldumea e con la destra sostiene sopra il di lui capo la Laura del Trionfo e la figura di Roma adornata con elmo e con asta che regge le redini de Cavalli, seguendo li Magistrati e Littori con rami d'alloro nelle mani. Quest'Arco che da Scrittori Ecclesiastici viene anche chiamato septem lucernarum per il menzionato Candelabro resta ancor in piedi assai però deformato con l'iscrizione intera nella facciata verso il Colosseo dove il titolo che vi si legge di DIVO par segno esser stato il medesimo eretto o almeno finito dopo la morte di Tito poichè non era solito darsi in vita. Ecco l'Iscrizione:
SENATUS POPVLVSQUE ROMANVS DIVO TITO, DIVI VESPASIANI F. VESPASIANO AVGVSTO
(Roma Antica e Moderna - 1700)
LA GUERRA CONTRO GLI EBREI
La storia della Palestina è documentata dallo storico ebreo Giuseppe Flavio, del I secolo d.c..
Giuseppe Flavio fu un comandante militare giudeo durante la guerra contro i romani del 66-74 d.c., oltre che legato del Sinedrio di Gerusalemme e governatore della Galilea durante la guerra giudaica del 66-74 d.c.
Costretto ad arrendersi con tutta la sua guarnigione, venne deportato a Roma dove collaborò con i romani diventando un protetto dell’imperatore Vespasiano assumendone da lui persino il nome Flavio.
Le sue opere più importanti, pervenute in greco ma probabilmente scritte in aramaico, sono le Antichità Giudaiche, storia dei giudei in venti libri dalle origini fino all'inizio della guerra giudaica, e la Guerra Giudaica, che narra i drammatici eventi della prima grande rivolta giudaica contro i Romani terminata con la sconfitta e la distruzione del tempio di Gerusalemme.
LA DESCRIZIONE
L'arco, formato da un'arcata unica, è rivestito con marmo greco pentelico ed è sorretto da quattro semi-colonne nei 4 lati. Si erge per un’altezza di 15,40 m, una larghezza di 13,50 m e una profondità di 4,75 m.
Nelle chiavi di volta sono raffigurate le personificazioni della Dea Roma e del Genio del popolo romano, mentre sull’archivolto le Vittorie alate, munite di stendardi, si librano su alcuni globi.
Due episodi del trionfo romano sono raffigurati su due grandi pannelli a rilievo, all'interno dell'arco.
Quello a sud rappresenta il corteo che sfila sotto la porta Trionfale, coi portantini che sostengono le spoglie del Tempio di Gerusalemme, tra cui le trombe d'argento e il candelabro a sette braccia.
Sulla prima piantina (ferculum) la mensa per i pani sacri e le trombe di argento e sulla seconda la Menorah; nel fondo si vedono tre soldati con tavolette (tituli), probabilmente con le iscrizioni sulla vittoria e il bottino di guerra.
Il corteo nel rilievo del fregio sul lato orientale, sotto l'epigrafe dedicatoria, continua con una processione e tori coronati per il sacrifizio, e in mezzo ad essi sopra un ferculum una statua coricata, la divinità forse del fiume Giordano.
Il pannello sull'altro lato raffigura Tito che avanza sulla quadriga, preceduto dai littori, coi fasci inclinati e seguito dagli equites, i cavalieri.
La Dea Roma dirige i cavalli tenendoli per il morso, mentre la Vittoria, sul carro del vincitore, incorona l'imperatore d'alloro.
La presenza di questo candelabro fece chiamare l'arco, durante il Medio Evo, “Portico delle Sette Lucerne”.
Si narrava che il candelabro ebraico, la grande Menorah, fosse tutta d'oro per cui, quando gli uomini che lo trasportavano si trovarono sul ponte Quattro Capi, iniziarono a litigare perché ognuno lo voleva per sé, provocandone la caduta nelle acque del fiume e quindi la perdita.
Leggenda infondata, perchè i soldati non avrebbero mai osato contendersi il bottino, perchè si sa poi che il tesoro di Gerusalemme fu custodito nel Tempio di Vespasiano e, da Procopio, che il candelabro fu risparmiato dall'incendio del suddetto tempio ma depredato da Genserico nel 455 d.c. e portato a Cartagine; di là, ripreso da Belisario, che ne scacciò i Vandali, fu portato a Costantinopoli poi rimandato a Gerusalemme.
Seguono dietro i rilievi della quadriga guidata da Tito, le rappresentazioni del Senato, con l'uomo in toga, e del popolo romano, un uomo a torso nudo. Nella parte centrale della volta, rivestita di splendidi cassettoni, compare nuovamente Tito raffigurato, stavolta su un’aquila, che s’innalza verso il cielo, a simboleggiare l'accoglienza nel mondo degli Dei e quindi la divinazione alla sua morte.
Esisteva un altro arco di Tito, nell'antica Roma, situato presso il Circo Massimo, purtroppo depredato e distrutto.
NEL MEDIOEVO
Il monumento deve l’ottimo mantenimento, come l'arco di Giano, grazie alla sua inclusione, nel Medio Evo, all’interno della roccaforte dei Frangipane.
La strada all'epoca stava al disotto del livello antico, infatti i travertini delle fondamenta sono danneggiati dall'attrito dei carri che passavano. Nella metà superiore dell'arco fu nel medioevo costruita una stanza e per il suo pavimento furono sacrificati nella parte inferiore i bei rilievi figurati.
Sotto Sisto IV (1471-1484) furono tolte la maggior parte di queste aggiunte. Come evidenzia l'incisione sull’attico dalla parte del Foro, esso fu ristrutturato nel 1716 dal pontefice Clemente XII, un pezzo però della torre medievale che sovrastava all'attico durò fino al principio del sec. XIX.
Quando nel 1821 furono distrutte anche le ultime parti medievali dell'arco, si vide che i piloni laterali erano assai danneggiati, per cui dovettero essere restaurati quasi interamente.
Il restauro da Pio VII fu affidato al Valadier nel 1823 che lo eseguì con cura.
Le parti restaurate sono di travertino, e mancano di quelle ricche decorazioni che ornano le originali, e perciò facilmente si distinguono da esse.
Probabilmente la Chiesa salvò l'arco proprio per ciò che rappresentava, lo sterminio degli ebrei e la distruzione di Gerusalemme, visto che gli ebrei furono da subito condannati dai cristiani come gli assassini di Cristo, dimenticando che furono proprio i Romani a crocifiggerlo.
Da qui la persecuzione cristiana degli ebrei che finirono spesso sui roghi o linciati dalla folla, spesso accusati di profanazioni e crudeltà sui bambini, la stessa accusa subita dai cristiani nelle epoche di persecuzioni.
BIBLIO
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- L. Quilici, S. Quilici Gigli - Architettura e pianificazione urbana nell'Italia antica - L'Erma di Bretschneider - 1997 -
- Filippo Coarelli - (curatore) Dictionnaire méthodique de l'architecture grecque et romaine -1985-
VASCA E ALCUNE STATUE PRELEVATE DALLE TERME DI TITO ORA IN VATICANO.
Le Terme di Tito sono un sito archeologico di Roma, situato sulle pendici dell'Esquilino, e precisamente sul colle Oppio, in un'area compresa tra le attuali via Nicola Salvi, via delle Terme di Tito e viale del Monte Oppio. Si tratta di uno dei più antichi esempi di terme romane di tipologia "imperiale".
Si ritiene che furono i geniali architetti di Nerone a inventare il cosiddetto tipo di terme "imperiale", ma delle terme di Nerone nel Campo Marzio restano troppo pochi elementi per esserne certissimi.
ECCO COME DOVEVANO APPARIRE
R. LANCIANI
"Dai resti di queste Terme vedesi chiaramente essersi Tito servito di una fabbrica anteriore per sostenere una parte del suo edifizio, si viene a confermare il detto di Svetonio, cioè che furono tali Terme edificate con sollecitudine. Le camere denominate comunemente Esquiline, che si trovano esistere sotto il piano delle Terme di Tito, a me sembra che si debbano attribuire aver appartenuto alla immensa fabbrica che Nerone fece edificare sull'Esquilino, e che per la sua grandezza e magnificenza fu denominata la Casa Aurea; imperocchè dai ben cogniti versi di Marziale del secondo Epigramma ricavasi avere queste Terme occupato il superbo campo che faceva parte della casa Neroniana.
È da osservarsi nella disposizione di questi due fabbricati, che l'anteriore, ossia il Neroniano, era situato perpendicolarmente alla linea Meridionale, e che il posteriore, appartenente alle Terme di Tito, aveva una direzione alquanto inclinata verso Occidente.
Intorno alla combinazione ed all'architettura di tali fabbricati molte cose si osservano nel parlare delle terme in particolare nella seconda Parte dell'architettura Romana da me pubblicata; e quì avvertirò solo che da un frammento della più volte nominata Pianta Capitolina, nel quale conobbi esservi stata scolpita una parte delle terme di Tito, 58 distinto quivi col N. XXV si viene a riconoscere con più sicurezza la intiera disposizione di questo edifizio." M. POGGIO
THERMAE TITI (?) AD VINCVLA. « San Pietro ad vincula: vi sta un grandissimo labbro fuso di pietra, ed accanto un simulacro » p. 260.
PLANIMETRIA DELLE TERME DI TITO
I RESTI
Dal Colosseo per mezzo di un portico, come se ne vede traccia al centro del suo lato nord, e come si trova disegnato nelle medaglie che lo riportano, si comunicava colle Terme di Tito. Come narra Svetonio, dopo la dedicazione dell'Anfiteatro da lui terminato, fece edificare accanto e molto velocemente le grandiose Terme.
Sull'Esquilino, accanto al Colosseo, rimangono diversi resti di queste Terme, un fronte a semicolonne in laterizio e vari tratti di murature. Una vasca di granito orientale riutilizzata a fontana e proveniente da queste terme, giace nei giardini vaticani, nel cortile del Belvedere.
Ma la maggior parte dei resti delle Terme di Tito si trovano all'interno del Parco del Colle Oppio, purtroppo ancora perloppiù interrati. Si sa che accoglieva statue, alcune delle quali, come la vasca in porfido rosso, già provenienti dalla Domus Aurea.
Roma antica è più interrata che in luce, perchè se ci vuole tempo e soldi per scavare, ce ne vogliono molti di più per restaurare e mantenere.
Si può osservare che Tito si servì di un edificio anteriore per sostenere una parte della costruzione, forse perchè, come disse Svetonio, l'imperatore aveva molta fretta. Comunque le terme furono ultimate sotto Domiziano.
Le camere denominate Esquiline, che si trovano sotto il piano delle Terme di Tito, sono attribuite alla Domus Aurea neroniana, come confermano i versi di Marziale, per cui le Terme avrebbero occupato parte della casa Neroniana.
Si tratta di un edificio non molto grande, preceduto sul lato dell'anfiteatro da una grande scalea.
Le Terme di Tito, costruite da Tito Vespasiano nell'80, "dopo la dedicazione dell'Anfiteatro Flavio da lui portato a compimento, fece edificare con celerità ivi vicino, come narra Svetonio nella di lui vita, le suddette terme" poi terminate sotto Domiziano, causa la morte dell'imperatore.
Probabilmente furono progettate come riadattamento ad uso pubblico dei grandiosi bagni privati della Domus Aurea neroniana, secondo i principi di Vespasiano e Tito di restituire al popolo romano gli spazi pubblici di cui Nerone si era indebitamente appropriato. Sicuramente molti marmi, labrum e statue furono recuparate dalla Domus Aurea, un recupero attento come attenti furono sempre Vespasiano e Tito, alle spese a all'arte.
Le Terme erano orientate esattamente come i resti della Domus Aurea, con la quale confinava a est. Ciò, unito alla rapidità con cui vennero conclusi i lavori, può far supporre che si trattasse degli stessi bagni della Domus Aurea, rifatti o riadattati, in perfetta linea con la Damnatio Memoriae degli edifici neroniani, e con la loro restituzione al pubblico.
Nella Pianta Capitolina, Forma Urbis, fu scolpita una parte delle terme di Tito, distinte col n° XXV. Le rovine delle terme erano ancora visibili nel Cinquecento, ma negli anni Trenta sparirono completamente quando venne sistemato il Parco del Colle Oppio.
Grazie agli scavi, iniziati nel 1986 dal Comune di Roma e basandosi sulla pianta realizzata un paio di secoli prima dal celebre architetto Palladio, sono stati acquisiti nuovi dati: si è ipotizzato che le terme sfruttassero il declivio della collina articolandosi su vari livelli.
PROSPETTO DELLE TERME
DESCRIZIONE
Inaugurate nell' 80 d.c. occupavano parte delle pendici del colle Oppio tra il Colosseo e San Pietro in Vincoli. Conosciamo la pianta, simmetrica come le terme Neroniane, dal disegno del Palladio, come dal disegno in alto, e probabilmente furono costruite dagli stessi architetti inventori della tipologia che si ripeterà ingigantita negli anni seguenti nelle successive terme di Traiano e di Antonino.
Situato in via delle Terme di Tito, è uno dei più antichi esempi di terme romane di tipologia "imperiale". Rispetto alle terme di tipo "repubblicano" presentavano una fusione del ginnasio con le terme vere e proprie e nella sistemazione degli ambienti lungo un unico asse, piuttosto che con ordine casuale. Inoltre divenne un'usanza comune la presenza del frigidarium.
Le terme erano precedute da una grande terrazza-palestra sulla sommità dell'Oppio, accessibile da una scala a doppia rampa coperta da due prospetti, davanti e dietro, con piccole volte a crociera.
Secondo il Palladio, che ne disegnò una pianta, la struttura sarebbe stata realizzata da Vespasiano, con un dislivello di 17,5 m. rispetto al Colosseo che fu colmato da una grande scalea.
Sappiamo così che l'edificio termale, a pianta quadrangolare simile a quella delle terme di Nerone, era scenograficamente preceduto da una grande terrazza-palestra, elemento scenografico che in epoca più antica aveva abbellito gli Horti di Cesare sul Tevere, poi seguito nuovamente dalle architetture dell'epoca flavia, vedi il foro della Pace, la Domus Augustana e il Foro Transitorio.
Il terrazzamento, con pergolati, tende, tettoie, sedili, tavolini, siepi e fontane, si estendeva sulla sommità dell'Oppio occupando oltre la metà delle terme, delimitata da un alto muro perimetrale, accessibile da una scala a doppia rampa, frontale e tergale, con numerose e piccole volte a crociera, una innovazione architettonica dell'epoca.
Stando poi anche alle planimetrie cinquecentesche, le Terme si estendevano su un'area rettangolare di circa 125 x 120 m, con ambienti specularmente disposti ai lati di un asse centrale, di cui oltre la metà, sul versante meridionale, erano costituite da un grande terrazzamento.
Il versante settentrionale invece era occupato dal complesso balneare, con due calidarium come avancorpo, dotati di abside sul lato nord e di vasche sui lati. Da qui si accedeva, tramite un corridoio centrale che li separava, a un piccolo tepidarium rettangolare, oltre il quale si trovava il frigidarium, un grande salone con abside sul lato lungo e vasche laterali. Ai lati delle strutture termali si apriva una doppia serie di ambienti simmetrici: due cortili-palestre, due spogliatoi, due sale di lettura, recitazione, musica, ecc.
Simmetricamente disposti ai due lati di questi ambienti vi erano due grandi cortili porticati seguiti da due serie di tre ambienti minori affiancati. L'ingresso principale doveva essere sul lato settentrionale ma una scalinata monumentale, come sopra menzionato, saliva dalla valle del Colosseo ed immetteva al centro dell'area aperta. Restauri si ebbero con Adriano (117-138) e nel 238, dopodichè l'abbandono.
ALCUNI ESEMPI DI DECORAZIONI E AFFRESCHI DELLE TERME
IL SEGUITO
"Si vuole che Agrippa sia stato il primo ad innalzare siffatte fabbriche al pubblico; il suo esempio venne seguito da Nerone; e finalmente Tito eresse in breve tempo le terme di cui parliamo. Il luogo scelto da lui, era comodissimo per la sua centralità, mentre quelle di Nerone e di Agrippa si trovavano nel campo di Marte.
Egli si valse all'uopo della casa e degli orti di Nerone; in seguito Domiziano vi fece delle aggiunte, e così pure Traiano ed Adriano, dimodoché ogni singola parte di esse prese il nome dell'imperatore da cui venne costruita; perciò tanto le terme di Tito, che di Domiziano, di Traiano ed Adriano non sono che altrettante parti divise di uno stesso edifizio.
Per cagione di simili aggiunte, le terme si allargarono dal Colosseo fino alla descritta chiesa di s. Martino; e ad onta di così vasta estensione, esse erano più piccole di quelle di Caracalla e di Diocleziano, ma che le superarono però in eleganza e buon gusto.
Vicino alle dette terme trovavasi il palazzo di Tito, in cui ammiravasi il celebre gruppo di Laocoonte, ritrovato nella vigna de Fredis, fra le Sette Sale e s. Maria Maggiore, al tempo di Giulio II; gruppo che in oggi esiste nel museo Vaticano, e che forma l'ammirazione di ognuno.
Le terme di cui si ragiona sono quasi interamente distrutte, e pochi avanzi ne danno a conoscere la magnificenza trascorsa.
Pur tuttavia i sotterranei sono ben conservati, ed appartengono la maggior parte agli appartamenti di Nerone, che Tito fece servir di sostegno alle sue terme, coll'aggiungervi altri muri, cosicché restarono privi di aria e di luce.
Circa trenta camere e diversi corridoi porgono anche al presente pitture ad arabeschi, che per la loro varietà, per la purgatezza del disegno, per la vivezza del colorito formano l'ammirazione degli artisti.
Vuolsi perfino che Raffaello, avendo avuta conoscenza di tali affreschi, ne prendesse l'idea per gli ornati delle logge del Vaticano, e che di poi facesse interrar nuovamente le camere; ma quantunque la prima supposizione possa esser vera, la seconda certamente non è che una calunnia, giacché l'amore di quel sommo per le cose antiche, lo spinse ad offerire a Leone X un progetto pel disotterramento dell'antica Roma.
Che più si hanno prove sicure, che i suddetti sotterranei furono quasi sempre accessibili, e che soltanto nel principio dello scorso secolo furono scordati, perché resi impraticabili, venendo nuovamente aperti nel 1776, ed esaminati dal Mirri che ne pubblicò le pitture.
Fino dall'anno 1812, essendo quasi affatto ingombri, non vi si poteva entrare che con fatica; ma dopo una tale epoca furono sgombrati di guisa che gli amatori delle arti belle possono ora percorrerli liberamente, e prendere così una idea della disposizione e degli ornati de' sontuosi appartamenti degli antichi.
Fra gli scavi praticati vi si rinvenne una cappella dedicata a s. Felicita, costrutta in una delle camere di questi sotterranei verso il secolo XVI, come pure si scoperse una curiosa iscrizione dipinta nella parete".
Anche a noi l'interramento delle terme ad opera di Raffaello sembra una calunnia, tenendo conto di varie cose e cioè: l'amore fortissimo che Raffaello aveva per le opere romane, la totale assenza di invidia per le opere altrui che sovente ammirava e copiava per apprendere sempre di più, e la totale assenza di timore sull'opera sua, tanto era ammirata e pagata che dovette istituire una nutrita schiera di artisti che dipingevano ciò che a volte egli semplicemente disegnava.
Del complesso restano una fronte a semicolonne in laterizio e vari tratti di murature, ma è possibile farsene un'idea precisa anche grazie alla pianta disegnata da Andrea Palladio nel XVI secolo, quando i resti erano ancora notevoli.
Si sa che queste subirono un restauro nel 238, e i resti murari testimoniano anche di un rifacimento di epoca adrianea.
Con l'avvento del cristianesimo tutte le terme subirono un certo abbandono perchè spogliarsi e lavarsi era alquanto scandaloso, anche se le terme separavano ormai i maschi dalle femmine.
In compenso vi fu un ampio riutilizzo riutilizzo dei marmi e dei materiali edilizi per l'edificazione di palazzi e chiese, come le cappelle laterali della chiesa del Gesù edificate con parti delle terme nel 1590, la vasca riutilizzata per la fontana del Cortile del Belvedere, in Vaticano, e la vasca di porfido rosso riutilizzata nel museo Clementino sempre in Vaticano.
Disponeva inoltre di splendidi pavimenti musivi policromi, anche se purtroppo la maggior parte di questi capolavori di pavimentazione, che erano diffusi ovunque, nelle basiliche, nei templi, nei palazzi imperiali, nelle terme, nelle curie, nei portici, nei giardini, nei fori, nelle domus, fu demolita barbaramente.
Basta osservare qualsiasi piccolo lavoro di scavo a Roma, anche un semplice albero piantato a nuovo su una strada, immediatamente vi si individuano pezzi di coccio romano e tessere musive, in genere bianche, talvolta nere e perfino in pasta vitrea.
Oggi la maggior parte dei reperti si trovano sul Colle Oppio, che copre, oltre a parte della Domus Aurea, parte di queste terme. Il Colle oppio ha molti segreti ancora da svelare.
BIBLIO
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Anno di costruzione: 72 d.c. - Vespasiano Anno di inaugurazione: 80 d.c. - Tito
MARZIALE
“Ecco un monumento che sarà più famoso di ogni altra opera umana”.
Con queste parole Marziale descrive il Colosseo, che divenne sin dal momento della sua realizzazione, una vera e propria rappresentazione simbolica della città di Roma.
"L’anfiteatro di Vespasiano detto coliseo o colosseo è considerato come uno de’ più magnifici edifizi del mondo; onde Marziale disse dovergli cedere anche le piramidi ed i mausolei, e dover la fama parlar di esso solo per tutti gli altri.
Cassiodoro è d’avviso che col denaro speso nella fabbrica del colosseo si sarebbe potuto fabbricare una città capitale. (Variar. Lib. IV Epis. 42).
Questa grandiosa mole che ebbe principio sotto Vespasiano, e fu condotta a termine e consacrata da Tito ottenne il nome di coliseo o colosseo non perché giacesse vicino al colosso di Nerone alto centoventi piedi, opera di Zenodoro, che fu collocata nel vestibolo della sua casa aurea: ma perché quest’edifizio compariva tra tutti gli altri quel che era tra le statue un colosso, e perché anticamente così si appellava tutto ciò che eccedeva in grandezza.
La quale opinione contraria a quella del Cardini, e di molti altri critici si può vedere confermata da validi argomenti nell’opera del Maffei sugli anfiteatri degli antichi, ed in quella del Canonico Alessio Mazochio sopra l’anfiteatro di Capua. Il Fontana dà al coliseo la lunghezza di piedi 564, e la larghezza di 467, il campo è lungo piedi 273, largo 173: il circuito fu di piedi 1566”.
(Giulio Ferrario, Il Costume antico e moderno)
Posto nel cuore del centro storico di Roma, già dichiarato, come tutto il centro storico di Roma, nella lista dei Patrimoni dell'umanità dall'Unesco nel 1980, è stato dichiarato una delle 7 Nuove Meraviglie del mondo tramite un sondaggio internet promosso dal cineasta svizzero Bernard Weber, al quale hanno partecipato 100 milioni di persone di tutti i continenti.
Il suo nome originario era "anfiteatro flavio" per essere stato terminato sotto l'imperatore Tito Flavio Vespasiano, purtroppo per lui più ricordato per i bagni pubblici, i vespasiani, che per l'anfiteatro che prese il nome dalla colossale statua bronzea di Nerone che lo affiancava.
Dell'immagine dell'imperatore raffigurato in veste di Dio Sole resta solo la delimitazione in tufo del basamento accanto al Colosseo. Secondo altri autori in prossimità del Colosseo si trovava forse anche la grande statua bronzea di Costantino la quale, secondo le fonti, era l’idolo più importante di Roma, e come tale venerato da tutti i visitatori. Per tale motivo papa Silvestro avrebbe fatto distruggere la statua e portato i frammenti nei pressi del Laterano.
Non si sa il nome dell'architetto geniale che lo edificò. Per quanto si possa essere ricorsi agli schiavi per lavori minori di trasporto o altro, si pensa che la manovalanza, data la precisione dei lavori, fosse libera, stipendiata e altamente specializzata, non solo nelle sculture e nei decori, ma per la precisione dell'opera muratoria, di mattoni, cementizi, travertino, marmo ecc.
L'anfiteatro poteva contenere 50000 spettatori seduti, o se in piedi nei posti in alto come in genere accadeva, fino a 80000 posti.
Veniva adibito a spettacoli di vario tipo, da quelli gladiatori, a rievocazioni di battaglie famose, a cacce di animali o lotte tra animali, a tragedie greche o spettacoli teatrali di genere leggero.
Secondo il concetto architettonico romano, l'anfiteatro, invece di essere scavato all'interno come nell'uso greco, si svolgeva tutto in altezza, contenuto da altissime mura alleggerite tramite archi.
Sorse su un lago artificiale voluto da Nerone per i suoi giochi navali da contemplare dalla sua Domus Area.
Un lago che si estendeva su uno stagno preesistente, eliminato costruendo canali di scolo azionati da pompe idrauliche, un lavoro di alta ingegneria, portando allo scoperto il fondo del lago, coprendolo di detriti legati col cemento, su cui vennero impiantate solide fondamenta.
Va ricordato che l'aggiunta posteriore di una parte del terzo anello che si riconosce ad occhio nudo fu opera del grande architetto Valadier, con arcate identiche alle originali, ma con mattone non identico a quello romano ad eccezione della basi e dei capitelli in travertino identici e con lo stesso livello di definizione degli originali.
LE FONDAMENTA
Per poter edificare si dovette prima vuotare il lago, con canali e pompe di drenaggio, convogliando aldifuori le acque fino al Tevere.
Il fondo era fortunatamente coperto da argilla azzurra, quindi impermeabile, su cui si scavò per per 6,5 m. per una fossa larga 62 metri, su cui si gettarono calcestruzzo mescolato a leucitite, il durevolissimo cemento romano, ricoprendola poi con tufo squadrato per un'altezza di altri 3 metri su cui venne sovrapposta una pedana di blocchi di travertino di 90 cm.
LA STRUTTURA
Consta di tre anelli concentrici in orizzontale e di quattro ordini di arcate e mura in verticale, decrescenti verso l'arena. Volte e arcate furono la soluzione per alleggerire l'immensa mole e renderla più stabile.
Per alleggerire ancora e dare maggiore stabilità ogni piano superiore era meno spesso di quello inferiore, come si nota osservando il monumento di profilo, dove ogni piano all'esterno rientra leggermente dal sottostante. Ma di solito non si nota per i notevoli marcapiano elaborati e sporgenti.
La struttura portante è costituita da pilastri in blocchi di travertino, larghi ben 2,70 m., con un volume di circa 100.000 m. cubi, senza malta e collegati da perni, ben 300 tonnellate di ferro, poi scavati dai saccheggiatori a suon di scalpello deteriorandone il travertino.
I blocchi provenivano dalla cava di Tivoli e per portarli si creò una strada di circa 30 km. e larga 6 m. nonchè un cantiere adiacente dove i blocchi venivano rifiniti.
La facciata esterna, alta 48,50 m., si articola in quattro ordini: tre inferiori con 80 arcate, rette da pilastri ai quali si addossano semicolonne, mentre il quarto livello (attico) è una parete piena, con mezze colonne squadrate in corrispondenza dei pilastri sottostanti.
I primi tre ordini hanno sulle semicolonne capitelli dorici nel primo livello, ionici nel secondo e corinzi nel terzo.
In queste arcate erano collocate 80 statue di bronzo dorato che spiccavano sul candore del travertino con un effetto a distanza di grande splendore.
Il quarto ordine è suddiviso in 80 riquadri divisi da lesene corinzie e intervallati da 40 finestrelle, tra ognuna delle quali era appeso uno scudo di bronzo dorato. Sopra le finestre c'erano tre mensole di travertino su cui erano infissi dei pali di legno per sorreggere la tenda del circo: il velarium.
IL VELARIUM
IL VELARIUM
Era una gigantesca tenda formata da molti teli a spicchio che coprivano la cavea, cioè gli spalti degli spettatori, ma non l'arena centrale, in modo da riparare le persone dal sole o dalla pioggia leggera, creando contemporaneamente col foro centrale una corrente d'aria tra sopra e sotto che rinfrescasse gli spettatori.
I teli erano fissati ai pali con un complesso sistema di funi e contemporaneamente erano fissati a terra all'esterno dell'anfiteatro affinchè il peso non li facesse precipitare all'interno.
Il fissaggio a terra era con funi legate a ceppi di pietra posti all'esterno della pedana in travertino su cui poggia il Colosseo, e in parte sono ancora visibili.
Anche qui si usavano carrucole ed argani, un complesso sistema di ingegneria che per essere manovrato richiedeva esperti di vela, infatti venivano impiegati i marinai delle base romana navale di Miseno, stanziata nei Ludi Magni accanto al Colosseo.
Sembra che il velarium fosse una forte attrattiva per gli spettatori, perchè veniva ampiamente pubblicizzato nella presentazione degli spettacoli, peraltro gratuiti, sempre e a tutti.
I MARINAI ROMANI MENTRE ISSANO IL VELARIUM SUL COLOSSEO
L'ESTERNO
L'esterno dei tre anelli concentrici è in travertino, con archi incorniciati dai rilievi squadrati delle lesene (colonne in rilievo).
Le volte a crociera sono tra le più antiche dell'architettura romana, con corduli incrociati in laterizio da cui si ispireranno in futuro le cattedrali gotiche.
Al secondo e terzo livello gli archi sono bordati da una parapetto continuo, in corrispondenza del quale le lesene presentano un dado come base.
Le semicolonne e le lesene dei quattro ordini hanno a partire dal basso capitelli dorici, ionici, corinzi e corinzi a foglie lisce. I primi tre ordini ripetono la medesima successione visibile sulla facciata esterna del teatro di Marcello.
L'ESECUZIONE
Gli archeologi attraverso attenta osservazione hanno rilevato che la costruzione venne divisa in quattro cantieri corrispondenti ai quadranti del Colosseo ed affidata a quattro diversi appaltatori che portarono avanti i lavori simultaneamente.
Lo scheletro di pilastri veniva alzato all'ordine successivo collegandoli con grossi archi di mattoni, in modo da rendere possibile la costruzione di tante volte rampanti, costituenti la cavea a imbuto che doveva sostenere le gradinate.
In questo modo i lavori continuavano contemporaneamente sopra e sotto la cavea, coprendo le volte tra gli archi e lasciandone aperte solo quelle per sollevare i carichi.
Il riempimento tra i pilastri è stato ottenuto, per il piano terreno, con opus quadrato di tufo, e per il secondo ordine con cemento romano e mattoni.
Tutto ciò permise di portare a termine, salvo abbellimenti ulteriori, la costruzione in 8 anni, di cui solo 5 usati per i lavori in muratura e 3, come è stato stimato, per i lavori di decorazione, come bassorilievi, sculture, applicazioni, tinteggiatura, incisioni e stucchi.
GLI AFFRESCHI CHE DECORAVANO IL COLOSSEO
L'INTERNO
L'ingegnosa architettura permise un'organizzazione perfetta del flusso all'interno e all'esterno del Colosseo. Infatti gli spettatori raggiungevano il posto pertinente entrando dalle 74 arcate.
Da qui si accedeva a scale incrociate verso corridoi curvi, coperti a volta, che immettevano in settori di tre cunei ciascuno. Il percorso aveva pareti in marmo e stucchi sulla volta.
Di queste 12 arcate erano riservate ai Senatori con corridoi verso l'anello più interno, e con una scala che scendeva al settore inferiore della cavea. Il tutto rivestito in marmo.
Il palco dell'imperatore aveva anche un accesso più diretto, attraverso un criptoportico che dava all'esterno, anch'esso rivestito in marmo.
Le altre arcate avevano scale per i settori superiori, con pareti e volte rivestite di intonaco.
Gli ingressi del primo ordine erano distinti da numerazione progressiva incisa sopra le arcate (in parte ancora visibile) che corrispondeva al numero sui biglietti.
Invece gli ingressi principali in corrispondenza dei due assi, con decorazioni a stucco sulle arcate, erano privi di numerazione perchè riservati a persone di rango. Lungo gli assi principali erano gli ingressi destinati ai gladiatori.
LA CAVEA
La cavea, con i gradini per i posti degli spettatori, era tutta in marmo e suddivisa con muretti in cinque settori orizzontali (maeniana), riservati a categorie diverse di pubblico, il cui grado decresceva con l'aumentare dell'altezza. Lo stesso che nei teatri odierni dove l'attico, la cosiddetta "piccionaia" costa meno perchè con molte scale e meno lusso.
Con la differenza che il pubblico romano non pagava, l'unico privilegio delle personalità importanti è che ottenevano le tessere con posti prenotati. Il settore inferiore, riservato a senatori e famiglie, aveva gradini più ampi e bassi, con cuscini e velluti cremisi e rifiniture dorate; sulla balaustra erano iscritti i nomi dei senatori a cui i posti erano riservati.
Seguivano il maenianum primum, con 20 gradini di marmo, il maenianum secundum con 16 gradini in marmo, e infine il maenanium tertium, con 11 gradini di legno, il tutto all'interno del portico con colonnato marmoreo che coronava la cavea.
Sui gradini sotto il colonnato prendevano posto le donne, e sul terrazzo sopra il colonnato, solo posti in piedi, la plebe. Verticalmente i settori avevano scalette e accessi alla cavea con transenne in marmo.
Alle due estremità dell'asse minore, due palchi: uno per imperatore, consoli e vestali; l'altro per il prefetto dell'Urbe e altri dignitari.
L'ARENA DEL COLOSSEO
ARENA E SOTTERRANEI
L'arena ellittica di 86 m. x54 aveva una pavimentazione in muratura intorno e di legno al centro, ricoperta da sabbia costantemente rinnovata.
Appositi ascensori facevano dopo ogni spettacolo su e giù per portar via la sabbia sporca e rimettere quella pulita. L'arena era più bassa della cavea che stava su un podio di 4 m., decorato da statuette, bassorilievi e marmi con una balaustra di bronzo a protezione.
Sotto l'arena stavano gli ambienti di servizio con un passaggio centrale lungo l'asse maggiore con 12 corridoi distribuiti sui due lati.
MACCHINARI E CARRUCOLE SOTTO L'ARENA
Lungo il muro perimetrale vi era una serie di ambienti di servizio voltati che probabilmente ospitavano gli animali utilizzati durante i giochi. Sempre qui dovevano trovare posto le scenografie per i giochi e vi erano degli ambienti in cui i gladiatori attendevano prima di fare il loro ingresso nell’arena.
Pertanto qui si muovevano gli schiavi che attraverso questi passaggi si spostavano per adempiere ai propri servizi, senza che gli spettatori si accorgessero di nulla e senza intralciare gli spettacoli.
Qui venivano portate le belve catturate negli angoli più remoti dell'Impero. Qui sostavano i gladiatori e si preparavano alla lotta prima di salire sull'arena.
Questi sotterranei furono realizzati in un secondo momento, sotto l’Imperatore Domiziano. Precedentemente, sotto Vespasiano e Tito, l’arena poteva essere allagata, come riporta Marziale nel suo De spectaculis, per ospitare delle naumachie, vale a dire battaglie navali, o addirittura spettacoli con nuotatrici.
Qui si trovavano gli 80 montacarichi per far salire nell'arena macchinari, sabbia o animali.
Grazie a ingegnose realizzazioni come piani inclinati, piattaforme mobili e ruotanti, elevatori mossi da contrappesi, era possibile introdurre nell’arena decine di animali alla volta e cambiare rapidamente le scenografie delle cacce.
L'INTRICATA STRUTTURA SOTTERRANEA DEL COLOSSEO
Il corridoio lungo l’asse principale dell’ellisse terminava con due gallerie che si aprivano, con forma trapezoidale, all’interno della ciambella di calcestruzzo che costituisce le fondamenta dell’anfiteatro: quella verso est metteva in collegamento con il vicino Ludus Magnus, la palestra nonchè caserma dei gladiatori, mentre quella opposta, in direzione del tempio di Venere e Roma, veniva utilizzata per l’allestimento delle scenografie degli spettacoli.
Per quella straordinaria capacità organizzativa che i romani mettevano in pace e in guerra, queste strutture di servizio avevano traffici perfettamente architettati in modo da rendere tutto veloce e scorrevole attraverso ingressi rigorosamente separati:
IL MONTACARICHI
uno per per l'ingresso di animali e macchinari;
due per l'ingresso dei protagonisti dei giochi, o gladiatori ed animali troppo pesanti per essere sollevati dai montacarichi;
uno per gli inservienti attraverso l'anello più interno, lo stesso che utilizzavano i Senatori per raggiungere i posti.
Insomma un sistema complesso, simile a quello dei moderni stadi, permetteva la rapida uscita degli spettatori in soli 3 minuti attraverso gli 80 ingressi.
Ma c'era un ingresso sotterraneo intitolato alla Dea Libitina, in realtà una porta a sola uscita, la Porta Libitinaria, attraverso cui passavano i cadaveri dei gladiatori uccisi nel combattimento. Attraverso questa porta i cadaveri venivano poi issati sui carri e portati all'Ustrinum per la cremazione.
ANCORA DA SCAVARE
Altre due gallerie lungo l’asse minore dell’ellisse, quella a nord in direzione Colle Oppio e quella a sud in direzione Celio, non sono state scavate.
Una quinta galleria, nota come “passaggio di Commodo” è posizionata lungo il cuneo V, sotto il palco imperiale. Si pensa sia stata realizzata in epoca domizianea, poiché era rifinita con pavimento a tessere bianche e nere, marmi, intonaco dipinto e stucchi, un così ricco percorso di accesso doveva essere riservato esclusivamente all’Imperatore e probabilmente metteva direttamente in comunicazione con qualche edificio imperiale nella zona del Tempio di Claudio sul Celio. Questa galleria fu inoltre il luogo in cui si attentò alla vita dell’omonimo Imperatore.
Al di sotto delle 4 gallerie lungo i due assi si trovano 4 condotti idraulici, utili non solo allo smaltimento delle acque acque piovane ma pure degli scarichi delle latrine che venivano raccolti tramite un canale perimetrale anulare.
Alcune esplorazioni speleo-subacquee hanno portato alla scoperta di altri condotti di dimensioni molto maggiori da non essere giustificati con la gestione dello smaltimento dell'acqua piovana e degli scarichi dell'Anfiteatro.
Si suppone pertanto che fossero le condutture provenienti dal Celio con cui si alimentò il lago realizzato per la residenza di Nerone.
La struttura idraulica del Colosseo è comunque molto complessa e ancora molto c'è da capire e da scavare.
Esternamente ad esso è stato rinvenuto un condotto fognario a 8 m di profondità dal piano di calpestio del piazzale che circonda tutto l'Anfiteatro a circa 2 - 3 m. dal suo perimetro esterno.
Un'altra galleria con volta a cappuccina e di dimensioni più ridotte, parallela alla precedente e con essa comunicante tramite corti piani inclinati, è posizionata all'interno della ciambella di fondazione ad una profondità di 2,8 m. Quest'ultima ospitava probabilmente tubazioni di piombo che trasportavano acqua tenuta in pressione da serbatoi.
NAUMACHIA
LA NAUMACHIA NEL COLOSSEO
Questi spettacoli si tennero solo a Roma, perchè costosissimi, poiché le navi erano complete in tutti dettagli, e manovravano come vere navi in battaglia. I Romani li chiamavano navalia proelia (battaglie navali) ma sono conosciuti col termine greco naumachia.
Le naumachie spesso intendevano riprodurre famose battaglie storiche, come quella dei Greci che batterono i persiani a Salamina, o quella degli abitanti di Corfù contro la flotta di Corinto. Gli spettacoli dovevano essere impressionanti: in una naumachia si costruì una fortezza al centro del bacino, così che gli "Ateniesi" potessero sbarcare ed impadronirsi della piazzaforte "Siracusana". Si dovevano seguire le fasi della vera battaglia, ed il pubblico si esaltava alle manovre dei soldati e alla vista delle macchine da guerra.
In genere erano i criminali a dover combattere, ma talvolta vi erano delle troupe, come in una riproduzione storica, e altre volte veri marinai e soldati. Marziale racconta che si tennero delle naumachie al Colosseo nei primi anni dopo l'inaugurazione, ma non si sa come si potesse riuscire ad allagare il Colosseo.
Di rappresentazioni di battaglie navali, al Colosseo, se ne videro poche, infatti solo nei primi anni, quando ancora i sotterranei non erano costruiti con gabbie e celle, era possibile allagare l’arena.
Lo spettacolo però fu tanto suggestivo e impressionante che le poche naumachie presentate, lasciarono talmente esterrefatti gli spettatori che molti storici ce ne hanno lasciato documenti.
Risolto il mistero del Colosseo – Come a Roma venivano riprodotte le battaglie marine
Il mistero dell’anfiteatro che diventa scenario di battaglie navali ha intrigato gli storici e gli scienziati per circa 2000 anni. Ma ora un ingegnere di Edinburgo ha formulato una teoria circa il modo in cui l’Imperatore Tito inondò il Colosseo a Roma.
Una folla acclamante di 87000 cittadini e schiavi aveva assisteva ai duelli mortali dei gladiatori nell’arena. Più di 5000 animali furono uccisi in seno a questi giochi, per puro divertimento.
Ma l’attrazione principale delle cerimonie di inaugurazione fu una serie di battaglie navali riprodotte nel Colosseo, secondo Cassius Dio, cronista dell’antica Roma che dice:
“Tito improvvisamente riempì questo stesso teatro con acqua e vi portò cavalli e tori ed altri animali addomesticati, cui era stato insegnato a muoversi nell’elemento liquido come sulla terra. Portò anche le persone sulle navi, e fu ingaggiata una battaglia navale, come quella di Corcireani e Corinzi.”
Gli accademici hanno a lungo sostenuto che riprodurre battaglie marine nel Colosseo fosse impossibile per via dei tunnel sotterranei usati per fare comparire animali selvaggi schiavi e gladiatori in differenti punti dell’arena.
Racconti di migliaia di schiavi e condannati che ingaggiavano battaglie marine con navi costruite in scala sono state riferite da poeti latini come Marziale, ma furono liquidate come opere di fantasia scritte per esaltare la reputazione dell’imperatore.
Il Dr Crapper invece ritiene di avere risolto il mistero del Colosseo allagato.
Le sue teorie sono state verificate da un gruppo di esperti riuniti dal Canale Discovery della ABC americana. Gli autori del programma e archeologi dell’Università di California hanno trascorso un anno a creare una realtà virtuale che simulasse le condizioni del Colosseo per risolvere il problema logistico.
Il Dr Crapper ha dichiarato che la prima sfida era determinare se fosse possibile trasportare i milioni di galloni d’acqua necessari per le battaglie navali nel Colosseo.
“E’ una pura speculazione, ma ritengo che una struttura di canali di legno sarebbe potuta essere usata per trasportare l’acqua dall’acquedotto principale. In ogni modo, il reale problema non era tanto muovere l’acqua ma assicurarsi che essa scorresse attraverso la serie di pozzi interni e tubazioni concentriche al di sotto delle tribune dello stadio.”
Crapper è stato in grado di provare che è possibile, chiudendo il cancello principale, che la pressione dell’acqua raggiungesse il giusto livello e che l’arena si riempisse di quattro milioni di galloni d’acqua per una profondità di 5 piedi, entro 7 ore. Altri membri del gruppo di ricerca hanno usato scansioni ai raggi-X per provare l’impermeabilità dei materiali che erano stati usati in alcune parti della struttura sotterranea.
Ulteriori ricerche hanno scoperto 18 blocchi sepolti, usati per reggere supporti di legno che sostenessero il pavimento dell’arena e che potessero essere rimossi per consentire all’area di essere usata per battaglie gladiatorie e naumachie.
LE CONNESSIONI
Si sa che il Colosseo comunicava, e comunica tutt'ora anche se gli scavi non sono terminati, tramite sotterranei ai Ludi Magni, le palestre dove si allenavano i gladiatori; in seguito agli ultimi scavi ne sono visibili i resti oltre la strada a sud del Colosseo.
Ma pochi sanno che all'epoca un sotterraneo molto più lungo, ora interrotto, portava dal Colosseo sotto all'attuale Basilica di S. Clemente.
Sotto alla chiesa c'è un piano con resti paleocristiani, ma al piano ancora sotto c'è uno splendido Mitreo, con i banchi degli iniziati, Mitra bambino nel fondo che nasce da una roccia, un'ara con i dadofori Cautes e Cautopatos, e Mitra Buon Pastore con l'agnello sulle spalle, ora sottratto dalla Chiesa perchè un po' troppo in confusione col Cristo Buon Pastore.
Così i gladiatori avevano la possibilità di fare i loro riti propiziatori a Mitra prima di iniziare gli allenamenti o di combattere nell'arena. Il percorso è lungo circa 500 m. e costeggia un fiumicello di scarico, la Marana, con un passaggio sporgente dalla parete e sospeso sulle acque.
TRASFORMAZIONE DELL'ANFITEATRO IN FORTEZZA
LA FORTEZZA
Essendo stato praticamente impossibile distruggere il Colosseo data la sua mole, dopo averlo in parte usato come cava per i gradini di San Pietro nonchè per la costruzione del Palazzo Barberini, nel XIII secolo in epoche più remote, venne addirittura murato per farne una fortezza ad opera della famiglia dei Frangipane. Vennero pertanto occlusi tutti gli archi dei due primi ordini del colosseo, venne eretta al suo esterno una torre fortificata e venne costruito un camminamento in legno al suo apice dove le guardie potessero vigilare e operare con gli strumenti da guerra.
LA DEVASTAZIONE DEL COLOSSEO
La devastazione del Colosseo non avvenne naturalmente come spesso è stato insinuato, a causa di terremoti, nè è vero che i Papi facessero prelevare solo i massi già caduti, ed è ugualmente falso che furono i romani ad offrire al Papa i massi del Colosseo per edificare la basilica di San Pietro.
La devastazione fu opera dei Papi che si alternarono dall'inizio della costruzione della Basilica di San Pietro, e cioè dal 18 aprile 1506 sotto papa Giulio II e si concluse nel 1626, durante il pontificato di papa Urbano VIII, mentre la sistemazione della piazza antistante si concluse solo nel 1667.
Il marmo della facciata e di molte altre parti interne del Colosseo sono serviti a mille usi, per costruire essenzialmente i palazzi dei papi e le chiese in tutta la città. Per lungo tempo fu usato come fonte di materiali da costruzione e si calcola che sia rimasto solo un terzo della costruzione originale. pensate come poteva essere in origine con gli altri due terzi!
I Romani stessi iniziarono a riciclarne i materiali, anche per ricavarne la calce, ma presto la Chiesa lo proibì come unica beneficiaria possibile di cotanto scempio. Lo stesso Papa Gregorio Magno fece trasformare le basiliche romane e gli antichi templi in chiese cristiane, attraverso lo spoglio sistematico dell’anfiteatro. Ne è la prova il nome scolpito su un pilastro del lato sud est del Colosseo, GERONTI V S. Tal Gerontius (V S significa VIRI SPECTABILIS) avrebbe ottenuto la concessione per smantellarne la struttura ed utilizzarlo come cava.
Si calcola che sia rimasto solo un terzo della costruzione originale. Vennero cavate le spesse lastre di travertino che rivestivano i corridoi, i blocchi di tufo, il piombo delle tubature, le grappe metalliche che tenevano assieme i blocchi, e pure i i mattoni. Papa Gregorio Magno introdusse la pratica di trasformare le basiliche romane e gli antichi templi in chiese cristiane, attraverso lo spoglio sistematico dell’anfiteatro.
Si preferì comunque non intaccare la facciata nord, per le processioni religiose nel percorso verso il Laterano. si disse che il colosseo era luogo di martirio e pertanto sacro, ma gli spettacoli delle condanne a morte, sia pure "ad bestias" non avvennero mai al Colosseo in quanto considerati spettacoli di poco conto che avvenivano solo in anfiteatri minori.
Nel XIV secolo gli Orsini ed i Colonna ottennero il permesso di cavare pietre e marmi. Nel 1362 Álvarez de Albornoz, vescovo di Orvieto, lamentava in una lettera al Papa Urbano V che non vi erano acquirenti per le pietre del Colosseo, tranne i Frangipane che avevano ordinato dei marmi per costruire un loro palazzo.
L'INTERNO DEL COLOSSEO NEL XVIII SECOLO
Ormai la licenza di asportare materiali, pagando i proprietari, cioè il Papato, era facilmente concessa dai Papi, i quali approfittavano della disponibilità dell’ampia ed economica fonte di materiali per realizzare i loro progetti, e pure per farne commercio. Pio II fece addirittura costruire un carro apposito per trasportare i blocchi sino a Palazzo Venezia (cioè Palazzo S. Marco, ampiamente costruito con lo spoglio del Colosseo).
Intanto si continuava a cavar pietre, per riparare la tribuna della Basilica di S. Giovanni in Laterano, per la Scala Santa, le mura della città, la Basilica di San Marco e Palazzo Venezia, ma soprattutto per la piazza ed il loggiato delle benedizioni a San Pietro. Un secolo dopo il Colosseo fornì materiali per il Palazzo della Cancelleria, Palazzo Farnese, Palazzi Senatorio e dei Conservatori sul Campidoglio e nel 1634 Palazzo Barberini.
Un detto famoso sul saccheggio del Colosseo diceva: "Quod non fecerunt Barbari, fecerunt Barberini" (Ciò che non fecero i barbari, fecero i Barberini). Infine, nel 1703, il travertino finì al porto di Ripetta, per ironia della sorte poi demolito per la realizzazione dei muraglioni del Tevere.
In seguito al pericolo di veder crollare parti del Colosseo si ebbero finalmente i primi restauri: speroni a sostegno delle estremità rimaste in piedi della facciata furono costruiti nel 1807 ad opera di Raffaele Stern e nel 1827 da Luigi Maria Valadier, che ricompose nella nuova opera parte delle strutture già crollate.
Ma non andò a buon fine anche perchè vennero usati mattoni e materiali diversi che iniziarono a distaccarsi. Occorsero diversi altri restauri per evitare i crolli. A pensare che i restauri non siano durati nemmeno un secolo mentre Colosseo sta ancora in piedi dopo 2000 anni nonostante gli abbiano strappato tutte le grappe di ferro, fa in parte stupore per la bravura degli antichi, ma pure rabbia per i moderni.
RODOLFO LANCIANI - AMPHITHEATRVM
- Si fece ricerca dei sedili marmorei per uso delle scale di s. Pietro, ed è perciò che i registri usano costantemente la formula - a cauar marmi à coliseo ». Nel giugno si attaccarono di nuovo i travertini, per uso delle calcare, e per la selciatura a bastardoni della piazza di s. Pietro e della via Alessandrina. Conduttore degli scavi « maestro petro mamoraro » detto Goputo. Durarono sino al gennaio 1462.
- 1439, decembre - Si scavano travertini all'interno del Colosseo: « uno todesco portò la travertina da Couliseo a Sancto Johanni per essere impiegati nei risarcimenti della Tribuna » Muntz 1. e. tomo I, p. 48. La Memoria 72 di Flaminio Vacca, p. 84, ed. Fea, accenna vagamente ad una azione protettrice esercitata da Eugenio IV sul Colosseo, che egli avrebbe rinchiuso tra due muri, e posto sotto la tutela dei frati di s. Maria nuova.
- 1450 - Si riprendono gli scavi e le devastazioni del Colosseo per le opere di Pio II. I conti di camera parlano di marmi e di travertini cavati di sotterra, spezzati, rotti sul posto, e trasportati con carrette a s. Pietro per la piazza... per la fabrica delle scale di san Pietro. « Adesso è molto rovinato e distrutto per farne calce » (commenta dal Poggio)
- 1451-1454 - Si scavano, si spezzano e si mandano alle fornaci da calce di Nicolao V i travertini, gli asproni ed i marmi del Colosseo. Appaltatore principale M° Giovanni di Foglia lombardo. Muntz, voi I, p. 107.
- anno 1462 - per la richiesta di materiale per il pulpito della Benedizione, si fecero scavi e ricerche di marmi al Colosseo, alle terme Antoniniane, ad Ostia, ai portici di Ottavia, ai ss. Cosma e Damiano, alla Zecca vecchia, alla Valca, e a Ponte Molle.
- « a di X de gennaio 1462.... a m. Petro marmoraro co li manuali a cavare travertini a Coliseo »
- 1462 - Si fece ricerca dei sedili marmorei per le scale di s. Pietro, ed è perciò che i registri usano costantemente la formula "a cauar marmi à coliseo". Nel giugno si attaccarono di nuovo i travertini, per uso delle calcare, e per la selciatura a bastardoni della piazza di s. Pietro e della via Alessandrina. Conduttore degli scavi « maestro petro marmoraro » detto Goputo. Durarono sino al gennaio 1462. -
- Adriano VI concede licenza a Maria Maddalena Brugmans da Brema, e suoi socii « effodiendi in Coliseo, et prope Ecam S. Crucis in Hierusalem ac in quadam via publica qua itur a Sancto Sixto ad sanctum Sebastianum .... sine alicuius etiam edificiorum publicorum preiudicio vel deterioratione ». Le lettere patenti per ciò rilasciate dal card. Armellino intimano ai maestri delle strade di non opporre ostacoli ai concessionarii, per quanto concerne lo scavo sull'Appia, ed ai monaci di s. Croce per quello del Sessorio, pena la scomunica e mille ducati di multa. La Camera si riservala metà degli oggetti di scavo da rinvenirsi in suolo publico, il terzo di quelli da rinvenirsi in suolo privato.
(Arch. vat. Divers. tomo LXXIII, e. 103).
- 1466, decembre. quando Francesco da Vigevano riceve il saldo per aver trasportato « peperignas et tevertinas de palatio colisey alme urbis ad dieta eccam s. Marci » I trasporti erano fatti con un carrettone appositamente fabbricato.
ORIGINALE E RICOSTRUZIONE (https://www.relivehistoryin3d.com)
- 30 aprile 1467 « Maestro Bartolomeo da posa (Perosa) che hata (habita) ascto Baxilio per uno carro che a fatto fare dal borgo per tirare travertine marmore et altre cosse ».
- E cosi nel febbraio e nel marzo dell'anno seguente: « maestri scarpelini et manuali ebano lavorato per cavare tevertine al coliseo » sino al 31 dicembre 1467.
- Sotto lo stimolo dei lamenti di Gregorio XIII, il giorno 12 marzo 1573, fu pubblicato il bando per l'appalto, in scudi 25000, per la ricostruzione di due archi. Il banchiere Antonio Ubaldini fornì il danaro per le prime opere, acquistando dal Comune 50 cartelle della gabella della Carne. Altri 10000 scudi furono votati il 6 agosto 1574 sui residui del prestito forzoso di 100000 scudi imposto dal papa per la guerra contro il Turco: ma mancando con tutto ciò il materiale occorrente e specialmente i travertini, il conservatore G. B. Cecchini, nella seduta del 13 ottobre, propose che fossero presi dalle rovine del Colosseo «cascati et no sono in opera».
La deliberazione merita essere riferita "Lapides marmorei et Tiburtini existentes in ruuinis Amphiteatri Domitianj detto il Coliséo et diruti tantù, et nullo pacto dicto Amphiteatro coniuncti et applicati, sed ab oper' et fundamentis separati, et nò solù indico Ampliiteatro sed et possint effodi in óibus aliis locis publicis, prò supplemento operis Pontis S Marie, sine tamen iuditio aedificior. antiquor., prò quibus exequendis cura habere debeat magr Matthaeus Architectus: q omnes statuae et antiquitates quae in dictis locis inuenientur sint et esse debeant Ro.Po. ».
- 1484 - Accenno a scavi, nel corso dei quali furono scoperte le cloache che solcano in vario senso il substrato dell'edifizio, come pure il largo marciapiede "stratum lapidibus quadratis magnis versus septentrionem et orientem", tornato a scoprire nell'anno.
Valle del Colosseo e Meta sudans
Lo scavo ha interessato l'area compresa tra Colosseo, tempio di Venere e Roma e via Sacra (piazza del Colosseo). Sono state rinvenute le fondazioni della statua colossale di Nerone e della Meta sudans, rasate al livello stradale moderno negli anni Trenta. Le indagini si sono particolarmente concentrate sul sottosuolo, consentendo chiarimenti importanti sul sistema di costruzione, sulle fasi di uso (a partire dall'età domizianea) e sul funzionamento.
Nel corso degli scavi si sono inoltre rinvenute altre fondazioni aventi orientamento NE-SO, tra cui quelle di una fila di ambienti paralleli pertinenti molto probabilmente all'età neroniana. Sono stati eseguiti restauri e saggi di scavo; le ricerche si sono concentrate sull'esame delle fondazioni, che poggiano su strati di limo lacustre.
L'intera zona presentava falde d'acqua sotterranee che fu necessario incanalare in una serie di collettori. Gli sterri nei collettori est e ovest hanno fornito importanti dati, che sono in relazione con le notizie delle fonti letterarie sulle fasi di abbandono e successivi restauri dell'anfiteatro. L'esame degli ipogei ha fornito precisazioni sulle fasi domizianea e teodoriciana dell'edificio.
BIBLIO
- Peter Connolly - Colosseum: Rome's Arena of Death - 2003 -
- Cassio Dione Cocceiano - Storia romana - - Svetonio - Vite dei dodici Cesari - - Historia Augusta - - Carlo Fontana - L'Anfiteatro Flavio descritto e delineato dal Cavaliere Carlo Fontana - Vaillant - 1725 - - P. Colagrossi - L'Anfiteatro Flavio nei suoi venti secoli di storia - Firenze - Libreria editrice fiorentina - 1913 - - Ada Gabucci - Filippo Coarelli et al. - Il Colosseo - Milano - Electa - 1999 - - Pier Giovanni Guzzo et al. - Il Colosseo - Archeo dossier 21 - 1986 - - Roberto Luciani - Il Colosseo - Milano - Fenice 2000 - 1993 - - Lawrence Richardson, Jr. - Amphitheatrum Flavium - A New Topographical Dictionary of Ancient Rome - Baltimore, JHU Press - 1992 -