PORTA SATURNIA (Porte Serviane VI sec. a.c.)



LA PORTA SATURNIA RITRATTA NELL'ANAGLYPHA TRAIANI

PORTE SERVIANE

Nel VI secolo a.c. appare il primo vero e proprio recinto difensivo, le Mura Serviane, attribuito secondo la tradizione ai Re Etruschi: iniziate da Tarquinio Prisco e completate poi da Servio Tullio da cui derivano il nome. La cinta murario si estendeva intorno alla Città di Roma per circa 7 km, rimangono ancora visibili i resti sul colle Palatino, sul colle Quirinale, sul colle Campidoglio e sul colle Esquilino. Le porte all'epoca sono:

- Porta Mugonia per il Palatino (già della Roma Quadrata)
- Porta Saturnia (o Pandana) per il Campidoglio,
- Porta Viminalis,
- Porta Oppia, (monte o colle Oppio)
- Porta Cespia (monte o colle Cispio)
- Porta Querquetulana (Querquetulum era l'antico nome del colle Celio)
- Porta Collina (per il collis Quirinalis)

La porta Saturnia risale al tempo della costruzione delle mura Serviane, quando il muro difensivo del colle Campidoglio avrebbe perduto la sua funzione difensiva e vennero pertanto aperte delle porte per la comunicazione all'esterno. Essa si apriva sul lato rivolto al Foro romano. La Porta, che si trovava lungo il clivo Capitolino assicurava l’accesso più diretto al colle dall’area forense, derivando il suo nome dal fatto che restava sempre aperta.

La porta ebbe più di un nome di cui la Saturnia fu quello più antico.
- Fu detta Saturnia perchè era locata presso il tempio di Saturno; ma secondo Varrone perché da questo varco si poteva accedere al « colle di Saturno… o terra Saturnia », remote e mitiche denominazioni dell'antico Capitolium;
- oppure venne detta Porta Capitolini, per la sua collocazione sul mons Capitolinus;
- o porta Tarpeia, per la vicinanza con la Rupe Tarpea;
- o ancora porta Pandana, ovvero "sempre aperta" per i Sabini in seguito all'accordo tra Romolo e Tito Tazio. Permetteva l'accesso dal clivus Capitolinus, la via seguita dai cortei dei trionfatori.

Le fonti letterarie riferiscono tre notevoli porte di accesso al Campidoglio, la « fortificazione più inespugnabile » di Roma:
- la porta Pandana, così chiamata dal vicino fanum Carmentae, situata sulle pendici meridionali del colle all’uscita del vicus Iugarius e rivolta dunque verso l’area sacra di S. Omobono,
- il portus Tiberinus,
- ed il Tevere.

Si tratta, come è evidente, di ingressi/passaggi fondamentali nella topografia generale dell’Urbs, aperti in sostanza verso le due zone forse più importanti della città arcaica e repubblicana, e che con l’ausilio di uomini di guardia avrebbero dovuto svolgere e garantire, secondo le normali prassi difensive, un’attenta funzione di controllo e di selezione in entrata ed in uscita.

- Una seconda porta, la Porta Catularia, si apriva però sul lato opposto della Porta Pandana, per un asse viario in salita (clivus) proveniente dal Campo Marzio.

- Una terza porta, la porta Carmentalis posta verso sud-ovest, permetteva l'ingresso della scalinata dei Centum gradus, il cui nome evoca i cento gradini che scendevano dal Fornix Calpurnius sul lato della Rupe Tarpea, verso il teatro di Marcello.

Secondo gli studi di D. Filippi (Filippi 1998, A. Carandini, Atlante di Roma antica.) la porta nelle forme acquisite in età imperiale, senza ormai funzioni difensive, è identificabile con l’arco visibile nei cosiddetti Anaglypha Traiani, tra i templi di Saturno e di Vespasiano, e potrebbe riconoscersi nei resti della fondazione di un arco individuati da A. M. Colini negli scavi effettuati in questo settore del clivo capitolino negli anni ‘40 del secolo scorso. 
LE ORIGINI DI ROMA

PORTA PANDANA
Paolo Festo: « Pandana porta dicta est Romae, quod semper pateret »; il riferimento è nel verbo pando, che significa anche aprire e spalancare. Festo si rifa all’episodio del tradimento di Tarpea decisivo nella presa del colle da parte di Tito Tazio, riferendo una specifica richiesta dei Sabini nella stipula della pace, che avrebbero chiesto a Romolo che per loro una porta restasse sempre aperta:

« Tarpeiae esse effigiem ita appellari putant quidam in aede Iovis Metellinae, eius videlicet in memoriam virginis, quae pacta a Sabinis hostibus ea, quae in sinistris manibus haberent, ut sibi darent, intro miserit eos cum rege Tatio; qui postea in pace facienda caverit a Romulo, ut ea Sabinis semper pateret »

Anche Arnobio ricorda che venne concessa la facoltà a Tito Tazio di accedere all’acropoli di Roma: «et quod Tito Tatio, Capitolinum capiat ut collem viam pandere atque aperire permissum est, Dea Panda est appellata, vel Pantica » Qui si allude al nume tutelare della Porta, o della zona dove era la Porta, una Dea Panda o Pantica.

Guarda caso in Polieno (Polyaen., 8, 25, 1) sono i Galli a chiedere ai Romani che una porta « della rupe inaccessibile » rimanesse sempre aperta : « Dopo che i Celti occuparono Roma, i Romani conclusero con loro il patto di pagare tributi, di lasciare sempre una porta aperta e terra coltivabile.
I Celti perciò si accamparono e i Romani inviarono loro molti doni ospitali come ad amici e molto vino. Quando poi i barbari, molto amanti del bere, dopo aver attinto molto vino, giacquero addormentati in preda all'ubriachezza, i Romani li attaccarono e li massacrarono tutti. Per dare l’impressione di voler rispettare in tutto gli accordi, costruirono su una roccia inaccessibile

una porta aperta » 



« ...QUOD SEMPER PATERET ».
LA PORTA PANDANA, LA PORTA CARMENTALIS E L'ASYLUM

Sembra però che sia la Porta Pandana (Porta Saturnia) che la Porta Carmentalis fossero le uniche porte di Roma sempre aperte, giorno e notte, per dare asilo nell'Asylum a chiunque volesse usufruirne, dai perseguitati e ricercati ingiustamente a quelli ricercati giustamente per crimini. Questo non si opporrebbe all'idea della chiusura di un fornice per l'uscita da Roma, in quanto serviva solo per l'entrata dall'esterno dell'Urbe.

PORTA SATURNIA IN ANAGLYPHA TRAIANI (INGRANDIBILE)
Pertanto la Porta Saturnia doveva essere abbastanza agguerrita, cioè dotata di un notevole corpo di guardia in gradi di allarmare altri soldati in modo rapido per due buoni motivi.

Il primo è che spesso i fuggitivi venivano inseguiti e in tal caso i militi romani dovevano bloccare gli inseguitori, sia perchè erano entrati in territorio straniero e quindi obbedire alle leggi del territorio, sia perchè quella zona era l'Asylum, per cui si accoglievano solo coloro che desiderassero abbandonare la precedente cittadinanza e diventare romani.

Ma c'era anche una seconda ragione ed è che nel Tempio di Saturno era conservato l'erario, cioè il tesoro di stato, pertanto la zona era continuamente guardata dai custodi militari del tesoro di Stato e di Roma contemporaneamente.

Scrive Plutarco, che in questo luogo reso sacro e deputato all’hospitium « accoglievano tutti, non restituendo lo schiavo ai padroni, né il plebeo ai creditori, né l’omicida ai magistrati ». Tutti fruitori che, in età storica, se bloccati in corrispondenza di chiuse e sorvegliate porte, non avrebbero facilmente raggiunto la zona franca dell’Asylum (e la salvezza), laddove, per utilizzare un’espressione cara alle diplomazie contemporanee, vigevano le regole di un “diritto internazionale” (ius gentium) che evidentemente superava le norme dettate dagli ordinamenti legislativi interni.


LUCUS ASYLI

Appena fuori della Porta Saturnia si stendeva il Lucus Asyli: lo nominano, tra gli altri, Livio, Strabone e Dione Cassio, come bosco o talvolta come spazio tra i boschi, quindi come un bosco dotato di ampia radura, in cui era possibile ottenere il diritto d'asilo, da cui il nome.

L'area sarebbe stata creata da Romolo per radunare un certo numero di schiavi fuggitivi, o cittadini esiliati per rivalità politiche o per crimini commessi, o briganti ricercati, o prigionieri di guerra fuggiti, o emigranti dalle città vicine. Il primo Re di Roma non guardava per il sottile, l'Urbe per sopravvivere aveva bisogno di combattenti, per cui doveva accrescere la popolazione della nuova città appena fondata accogliendo chicchessia.

Proprio nel lucus avveniva una distribuzione di viveri tra gli ospiti che da lì, del resto, non potevano essere tratti fuori in maniera coatta. Scrive Plutarco, in riferimento addirittura ai tribuni della plebe: «La legge impediva loro di chiudere la porta della propria casa, che infatti restava aperta notte e giorno come porto e rifugio per i bisognosi » (Plut., quaest. Rom., 81)

Pertanto l'accoglienza nel lucus aveva due aspetti, quello pratico di aumentare il numero degli abitanti, e fu molto seguito, tanto che erano ormai soli uomini e dovettero ricorrere al Ratto delle Sabine, e quello della sacralità dell'ospite secondo gli antichissimi costumi romani ma pure preromani.

Non si sa con certezza a quale divinità fosse dedicato questo Lucus propinquo alla porta Saturnia; in epoca storica si legò a Veiove, ma Servio (Commentari all'Eneide, II, 760) cita l'annalista del I secolo a.e. Lucio Calpurnio Pisone, che chiama Lucoris la divinità di questo particolare lucus. Si tratta forse di un appellativo generico che indica semplicemente la divinità del bosco o una divinità legata alla luce, ma non lo sappiamo. .


BIBLIO

- Mauro Quercioli - Le porte di Roma - Newton & Compton - Roma - 1997 -
- Mauro Quercioli - Le mura e le porte di Roma - Roma - Newton Compton Editori - 2007 -
- Laura G. Cozzi - Le porte di Roma - F. Spinosi Ed. - Roma - 1968 -
- Filippo Coarelli - Guida archeologica di Roma - A. Mondadori Ed. - 1984 -




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