MONS TESTACEUM - MONTE DEI COCCI



MONTE DEI COCCI

Non fu Madre Natura a donare al Monte Testaccio o dei Cocci la sua forma collinare, che si innalzò invece nel corso dei decenni, grazie agli scarti degli antichi romani. Infatti, dal latino testae vuol proprio dire cocci, ed è proprio di cocci di anfore datate dal I sec. a.c. al III sec. d.c. che si è costituita tutta la montagna.

Cosa ancor più straordinaria, la collina degli antichi cocci romani, con un diametro massimo di 1 km. ed una superficie di 20.000 mq., sorge nel cuore di Roma, appena all'esterno delle Mura Aureliane, nei pressi del Tevere, nella zona meridionale della città. Insomma una discarica in pieno centro.

A Milano fecero una cosa simile (Monte Stella), una collinetta artificiale formata inizialmente con l'accumulo di macerie, provocate dai bombardamenti effettuati dalle forze angloamericane durante la II guerra mondiale.

Poi vi aggiunsero altro materiale proveniente dalla demolizione degli ultimi tratti dei Bastioni (mura medievali e spagnole note come bastioni di Milano, demoliti tra la fine del XIX secolo e gli anni 1945-60 in attuazione del Piano Beruto, un'incivile distruzione di beni storici)., avvenuta dopo il 1945, ne fecero una collina e vi fecero un parco. Sembrò un'idea originale, ma l'avevano già fatta i romani.




LA FABBRICAZIONE

Le anfore romane avevano un corpo allungato, per Io stivaggio in verticale nelle navi. Venivano eseguite in argilla lavorata al tornio, in più fasi e con asciugature intermedie. Successivamente si aggiungeva il puntale e, quando era quasi asciutto, lo si riponeva sul tornio e si applicava nella parte superiore un cilindro dl argilla da cui si ricavavano collo e labbro. Quindi si aggiungevano le anse, che venivano modellate e piegate. 

La superficie esterna dell’anfora, sovente, era ricoperta da un’ulteriore strato di argilla, molto depurata, chiamato ingobbiatura, che dava una certa impermeabilità al contenuto. Ma per una maggiore impermeabilizzazione della superficie interna, a volte, era plasmata una sostanza nerastra detta impeciatura che serviva a volte anche ad aromatizzare il contenuto (ma anche su questo abbiamo seri dubbi, a nostro avviso serviva solo ad impermeabilizzare).

Durante le fasi di produzione venivano effettuati controlli, testimoniati del graffiti dei responsabili incisi prima delle cotture. L'imboccatura stretta doveva essere chiusa da un cuneo di sughero o un operculum (disco di terracotta) fermato con malte. Tutto ciò aveva un costo discreto. 

MONTE DEI COCCI

I romani erano organizzatissimi e le iscrizioni sulle anfore (titulipicti) sono note scritte a pennello con Inchiostro nero o rosso, sul collo, spalla o ventre. Essi Indicano: 

ESEMPI DI ISCRIZIONI
- la funzione, cioè il tipo di derrata trasportata 
- il peso a vuoto e il peso netto 
- la località dl provenienza 
- la natura e le quantità delle merce contenute 
- la data di spedizione 
- il nome del mercante che ha curato il trasporto 
- la località dl destinazione 
- altri titoli, dipinti in caratteri corsivi, erano aggiunti dai funzionari dei controlli doganali:
      - luogo del controllo 
      - anno consolare 
      - peso 
      - nome del controllore 

Le anfore presentavano anche i bolli, impressi sull'argilla prima della cottura, contenente informazioni sulla fabbrica che le aveva prodotte. Infatti se le anfore conservano bolli o altro hanno un maggior valore d'antiquariato rispetto a quelle che ne sono sprovvedute.

MONTE DEI COCCI

LA CLASSIFICAZIONE

La prima classificazione tipologica si deve a Dressel, che osservò le anfore rinvenute a Roma nel deposito del Castro Pretorio, classificandone le diverse tipologie corrispondenti a diversi giacimenti. 
Nel decenni successivi, altri studiosi hanno aggiunto altre tipologie. 

CLASSIFICAZIONE DI DRESSEL


LE ANFORE SPEZZATE

Durante l'impero romano, Roma riceveva un numero infinito di anfore poiché costituivano la base del trasporto di vino, aceto, olio d'oliva, cereali, olive, lupini, uva secca, pesce, salsa di pesce, garum ecc. Secondo alcuni autori le anfore, appena scese nella terra ferma, venivano scaricate del loro contenuto, spezzate e abbandonate in loco per trasferire i contenuti in altri contenitori. Quali potevano essere gli altri contenitori però non lo spiegano.

Certamente cereali, uva secca e spezie potevano essere trasferite in sacchi di tela, ma le anfore potevano a quel punto essere riciclate, invece di reperire l'argilla e modellarle da capo. Conveniva sicuramente ricaricarle sulla nave e fare un altro viaggio con le anfore già pronte. 

L'olio e il vino non erano affatto rari ma richiedevano un trattamento che le rendessero in qualche modo impermeabili e di solito conveniva caricarle sul carro così com'erano, tanto più che si importavano solo vini pregiati.

IL MONTE DEI COCCI
Il Monte dei Cocci, o Monte Testaccio, raggiunge un'altezza di 35 metri di altitudine e sono 35 m  totalmente artificiali, in quanto creati durante i secoli I-III d.c. per un agglomerato stimato di circa 26 milioni di anfore. Una rampa, probabilmente antica, doveva essere percorsa dai carri che salivano sulla sommità del colle per scaricare le anfore.

Gli scavi, che hanno interessato solo la sommità del colle, perciò gli strati più recenti, hanno restituito frammenti di anfore per la maggior parte provenienti dalla Betica e dall’Africa, con corpo sferico (Dressel 20) e marchio di fabbrica su una delle anse o manici.

Riteniamo che la maggior parte delle anfore accumulate sulla collina si rompessero tra carico e scarico, perchè erano pesanti e perchè erano fragili, ma forse la maggior parte si rompevano addirittura nei viaggi, non avendo un sistema molto ingegnoso per stiparle.

SCAVI AL MONTE DEI COCCI
Le anfore con base appuntita, si infilavano nell'imboccatura di altre anfore se vuote o sulla sabbia della stiva , o strette tra loro. Una tempesta era però in grado di fare sicuramente molti danni.

Ma secondo altri autori Testaccio, il grande quartiere commerciale cittadino, era dominato dall’importante struttura portuale dell’Emporium, presente lungo il Tevere, sulla sponda opposta a Porta Portese. 

LA PARETE DEL RISTORANTE ADIACENTE AL MONTE
Il porto era il collettore tra le navi romane colme di beni di importazione ed esportazione, e i vicini magazzini in cui venivano stipati e poi comodamente ridistribuiti. 
E fin qui ci siamo.

Le innumerevoli anfore, non essendo smaltate al loro interno, non potevano essere riutilizzate come contenitori per altri carichi, potendo quindi essere usate una sola volta. Cosa fare quindi di quell’immenso carico di recipienti e contenitori utilizzati nei commerci che non potevano più essere riutilizzati e che anzi dovevano essere smaltiti? 

Furono sistematicamente scaricati ed accumulati, dopo essere stati svuotati, uno sull’altro, fino a formare un vero e proprio monte: un colle artificiale che è quindi un’immensa discarica di cocci! 

Molte anfore venivano riciclate come materiale da costruzione, le altre venivano frantumate e accatastate in un enorme cumulo che nel corso dei secoli si è andato ad innalzare fino a divenire una vera e propria collinetta.

La discarica è effettiva ma la notizia per cui ogni anfora venisse distrutta dopo il viaggio è senza dubbio un'assurdità.

Anzitutto un olio discreto non si deteriora prima di un paio di anni, per cui i le anfore impregnate d'olio potevano fare un'infinità di viaggi prima di dover essere gettate per l'inacidimento dell'olio. Altrettanto dicasi del vino. 


Inoltre spesso le anfore venivano spalmate all'interno di pece vegetale che impediva la trasudazione, tanto è vero che Plinio sconsiglia di farlo col vino perchè modifica un poco il suo sapore. Il che significa che venivano riutilizzate parecchie volte, anche perchè la anfore costavano a volte più di quello che trasportavano.

Pensare che venissero distrutte ogni volta, col traffico enorme che c'era a Roma che contava da un milione a un milione e mezzo di abitanti, è una follia, perchè ci avrebbero tappezzato tutta l'urbe, altro che la collina!

Le anfore sono enormi: vuote pesavano fino a 30 chilogrammi, mentre quando venivano riempite potevano raggiungere i 100 chilogrammi. Anche lo smaltimento di queste anfore non più utilizzabili perchè fessate o rotte è stato organizzato in maniera esemplare dai Romani. 

Funzionari chiamati "curatores" supervisionavano la rottura delle anfore e il loro trasporto fino alla cima della collina in carretti trainati da muli. I frammenti non sono stati scaricati senza criterio, ma impilati con cura in modo da ridurre al massimo il pericolo di frane. Sulla parte superiore delle anfore è stata sparsa della calce per prevenire il cattivo odore dell'olio rancido.



BIBLIO

- Giuliano Malizia - Testaccio - vol. 43 - Roma tascabile - Newton Compton - 1996 -
- Emilio Rodrìguez Almeida - Il monte Testaccio ambiente, storia, materiali - Roma - Edizioni Quasar - 1984 -
- Mario Tozzi - Italia segreta - BUR Saggi - Rizzoli - 2008 -
- Antonio Nibby - Roma antica di Fabiano Nardini - Stamperia De Romanis - Roma - 1818 -





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