PENATIS - FESTA DEI PENATI (31 gennaio)



ENEA FUGGE COI PENATI
Festa prettamente romana in onore degli Dei Penati risalente ai Penati di Enea, di cui i Romani si dichiaravano discendenti. Il tempio stava sul Palatino, dove i Penati erano rappresentati come due uomini seduti, vestiti alla militare e armati di lancia (Dion. Alic., I, 68). Il fatto che fossero due e per giunta armati, indicava che stavano a guardia, ovvero a protezione dei membri della "familia" in questione.
 
Ogni famiglia aveva i suoi Penati, trasmessi in eredità col patrimonio familiare. Essi erano spiriti protettori della gens o della famiglia. Nel Foro di Augusto ci sono resti della statua del genio di Augusto, in realtà il Penato di Augusto, ma che essendo protettore dell'imperatore diventava protettore, mediante Augusto, di tutto il popolo romano. 

I Penati, e pure i Lari, si conservavano in genere nell'atrio (compluvium) e così accadeva nella casa di Augusto ("compluvium deorum Penatium" Suet., Aug., 89), come ad essi rimase sempre in modo particolare dedicata la cucina ("singula enim domus sacrata sunt dis, ut culina Penatibus", Serv., Ad Aen., II, 469).

Ai penati il padrone accende una candela e pronuncia una preghiera in loro onore, inoltre ad ogni pasto il padrone di casa fa loro un'offerta di sale, l'elemento che purifica e conserva, e di farro, il primo cereale che i Romani abbiano coltivato ("farre pio et saliente mica", Orazio, Carm., III, 23, 19).

Successivamente, con lo sviluppo di Roma, si costituirono i Penati Pubblici a difesa dello Stato, venerati nel tempio di Vesta nel Foro, entro cui era conservato un Penus, dove erano conservate le offerte libatorie, che una volta all'anno, nell'apposita festa, veniva solennemente purificato e rinnovato e dove nessuno, a parte il pontefice massimo e le vestali, poteva entrare. 

Secondo la leggenda Enea avrebbe preso con sé i Penati di Troia per consiglio di Ettore; i Penati gli sarebbero apparsi in sogno ammonendolo sulla rotta da tenere verso i lidi d'Italia (Aen., III, 148); Enea li invita al sacrificio secondo il rito domestico dei Romani (Aen., V, 62) e quando è in vista dell'Italia li ringrazia e li invoca solennemente: 
"O fidi Troiae salvete Penates" (Aen., VII, 121) e stabilisce il loro culto a Lavinio "oppidum quod primum conditum in Latio stirpis Romanae, Lavinium; nam ibi di Penates nostri" (Varr., De lingua lat., V, 144).

I consoli, nell'assumere o nel rimettere la carica, dovevano infatti celebrare un sacrificio nella città di Lavinio in onore dei Penati pubblici. Il culto dei Penati pubblici era connesso a quello di Vesta. I magistrati prestavano giuramento ai Penati pubblici. I Penati di Lavinio oscurarono quelli dei Penati di Alba, città madre della confederazione latina e da curie, dopo la distruzione, i Penati sarebbero stati trasportati in Roma.

SACRIFICIO DI ENEA AI PENATI

LA FESTA

Tutti voi presenti che venerate i penetrali della casta Vesta,
rendete grazie e ponete incenso sui fuochi di Ilio.
Ai titoli innumerevoli che Cesare preferì meritare
si è aggiunto l’onore del pontificato.
I numi dell’eterno Cesare vegliano su fuochi
eterni: tu vedi congiunte le garanzie dell’impero.
Divinità dell’antica Troia, preda degnissima per chi vi portava,
carico della quale Enea fu sicuro dai nemici,
un sacerdote disceso da Enea tocca numi che gli sono parenti:
tu, Vesta, proteggi il capo di chi ti è parente.

(Ovidio, Fasti, III 417-26)

La festa riguardava soprattutto i Penati pubblici, e perciò i Penati di Roma, festa che si eseguiva a carico e a spese dello stato. Anche nelle case si festeggiavano i Penati ma la festa importante era quella pubblica, particolarmente curata da Augusto in poi. Infatti i Penati vennero venerati prima nel tempio di Vesta, poi sulla Velia in un tempio proprio, restaurato appunto da Augusto.

I Penati pubblici venivano venerati nel tempio di Vesta nel Foro, tempio entro cui era riservato un Penus, dove erano conservate le offerte libatorie, che una volta all'anno, per l'appunto nella festa, veniva solennemente purificato e rinnovato e dove nessuno, a parte il pontefice massimo e le vestali, poteva entrare.

Dionigi d'Alicarnasso fa menzione infatti di un tempio a Roma presso il foro ove erano state poste le immagini dei Penati Troiani che ciascuno poteva liberamente vedere ed ove leggevasi l'iscrizione PENAS che significa Penati.

Le cerimonie avvenivano nel tempio ma alla base del tempio si cuocevano le carni del sacrificio compiuto sull'ara e si distribuivano alla popolazione. Il luogo rigurgitava di bancarelle con cibo da strada e statuette di Penati in terracotta, bronzo, legno ecc., oltre a fiori, nastri, ghirlande, rami di mirto  e fiocchi colorati. 

Per l'occasione di ponevano ghirlande anche ai Lari degli incroci stradali a cui si ponevano offerte di dolcetti e biscotti. I Penati furono venerati, con Vesta, fino al termine del paganesimo quando Teodosio ne impedì il culto pena la morte dei celebranti, la confisca dei beni e l'esilio delle famiglie i cui membri avessero partecipato alla celebrazione.


BIBLIO

- Ferdinando Castagnoli -  Les origines et le développement du culte des Pénates à Rome - Rome  - École Française de Rome - 1989 -
- R. H. Klausen - Aeneas und die Penaten - Amburgo - 1833 -
- Gneo Nevio - Bellum Poenicum fragmenta - lib. I -
- Renato Del Ponte - I Lari nel sistema spazio-temporale romano - in Arthos - vol. 6 - nº 10 - 2002 -
- J. Eckhel - Doctrina numorum veterum - IV - Vienna - 1794 -


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