MARCO FABIO QUINTILIANO - M. FABIUS QUINTILIANUS





Nome: Marcus Fabius Quintilianus
Nascita: Calagurris Iulia Nasica nella Spagna Tarraconensis il 35 d.c.
Morte: Roma 96 d.c.
Professione: oratore e avvocato, e maestro di retorica per la prima volta stipendiato dallo stato.


« Quintiliano nelle Instituzioni dedicate a Marcello presentò lezioni, non solo di bene scrivere, ma di bene operare, istruì l'animo e l'intelletto, e pose per base de' suoi precetti che i costumi sono l'incremento delle lettere, che madre della vera eloquenza è la virtù.. »
(A. Ledru-Rollin in Guglielmo Audisio - Lezioni di sacra eloquenza - Stamperia Reale - TO - 1850)



LA VITA

Fabio si trasferì da piccolo con il padre retore a Roma dove seguì le lezioni di Remmio Palèmone e di Domizio Afro. Conobbe il filosofo Lucio Anneo Seneca ma lo ritenne un cattivo educatore e per come venne su Nerone forse non gli si possono dare tutti i torti. Ciò che si sa di Quintiliano è noto dalla sua opera e dal Chronicon di Girolamo, nonchè in Marziale II 90 e Giovenale VII 186 ss.
 
Al periodo tormentato di Nerone (54-68) di cui Seneca fu appunto tutore, seguì la «restaurazione» di Tito Flavio Vespasiano e dei figli (69-96): che sostituirono al filosofo e consigliere imperiale il retore e funzionario amministrativo, importante per la formazione oratoria della nuova classe politica romana. Come gusti letterari, Quintiliano si pose fra i classicisti, contando in una rinnovata serietà dell’insegnamento. Ebbe notevoli dispiaceri poichè perse la moglie giovanissima e di due figli in tenera età.



IN SPAGNA

"La maggior parte delle cose sono oneste o turpi non tanto per sé stesse, quanto per i motivi per cui si fanno" (Quintiliano XII, 1, 3)

Finiti gli studi tornò in Spagna dove restò fino al 68 insegnando la retorica; poi venne ricondotto a Roma da Sulpicio Galba, allora legatus Augusti della provincia, acclamato imperatore dalle legioni ispaniche, dove esercitò l'avvocatura e divenne maestro di retorica, con buona fama si che nel 78 Vespasiano gli affidò la prima cattedra statale di eloquenza.



A ROMA

L'imperatore gli accordò un onorario annuo di ben 100.000 sesterzi, per il suo contributo alla formazione della futura "classe dirigente". Dopo vent'anni abbandonò l'insegnamento, e scrisse sulla corruzione dell'arte dell'eloquenza (l'opera perduta De causis corruptae eloquentiae), e poi scrisse l'Institutio oratoria dove loda l'amico Giulio Secondo per il suo stile elegante. Per Quintiliano non era più la filosofia a ricoprire un ruolo primario, ma la retorica, che assumeva valenza educativa.

Quando, presumibilmente intorno al 90, Quintiliano pubblicò il "De causis corruptae eloquentiae", il Nuovo Stile di cui Seneca pochi decenni prima era stato l’esponente più illustre, contava ancora molti seguaci. Ma pochi anni dopo, ai tempi dell’Institutio, la situazione parve profondamente cambiata: il nuovo classicismo andava affermandosi e la battaglia culturale di Quintiliano aveva vinto.

Furono suoi allievi Plinio il Giovane (62 - 114) e Tacito (58 - 120); Domiziano lo incaricò nel 94 dell'educazione dei figli e dei nipoti, concedendogli la carica di console. Nell’Urbe rimase anche dopo l’assassinio del princeps, dedicandosi all’avvocatura e all’insegnamento dell’oratoria. Quintiliano scomparve presumibilmente fra il 96 e il 100 a Roma.


LE OPERE PERDUTE

"Est felicibus difficilis miseriarum vera aestimatio". (da Decl., p, 6)  "A chi è felice è difficile avere una vera comprensione della miseria."

(Quintiliano)


Di Quintiliano è andato perduto il trattato "De causis corruptae eloquentiae", le "Artes rethoricae", a dispense e due raccolte di "declamazioni" ("maiores" e "minores"). Le sue orazioni di avvocato andarono anch'esse perdute, nell'epurazione cristiana che tante opere distrusse in quanto pagane, furono però in parte recuperate presso altri autori e molto apprezzate dai contemporanei.

Nel saggio De causis corruptae eloquentiae (90 d.c.), egli affronta un problema già trattato da Seneca il Vecchio e da Petronio e che verrà riproposto, qualche anno dopo, da Tacito. "Prima est eloquentiae virtus perspicuitas" Prima virtù dell'eloquenza è la chiarezza. (II, 3, 8)

Quintiliano non attribuiva la crisi dell'oratoria alla decadenza della società romana come fecero Seneca il Vecchio e Tacito ma l'attribuì alla carenza di buoni insegnanti, poi al nuovo stile delle scuole di retorica, con cattivi insegnanti tipo Seneca, al deterioramento del gusto e dello stile, e infine alla moda delle declamazioni impostasi nei decenni precedenti, eccessivamente declamatorie.

INSTITUTIO ORATORIA

OPERE PERVENUTE

INSTITUTIO ORATORIA

Fu autore di un importante libro di testo di retorica, l' "Institutio oratoria". in dodici libri, scritta probabilmente fra il 93 e il 95, dedicato all'amico Marco Vitorio Marcello, un oratore ammirato anche da Stazio e amico di Valerio Probo, ed è preceduta da una lettera a Trifone, l’editore che dovette curarne la pubblicazione.

Vitorio Marcello era funzionario della corte di Domiziano, a cui Quintiliano dedica il libro per l'educazione del figlio Geta, e cioè l'Institutio oratoria (90-96 d.c.), cioè "la formazione dell'oratore" e del futuro uomo politico, compendio di 10 anni di insegnamento, come manuale dell'ars oratoria misto a insegnamenti pedagogici e suggerimenti didattici.

Quintiliano è contrario alle punizioni corporali, controproducenti al processo educativo ed è molto attento alle inclinazioni del bambino. La pedagogia è un metodo graduale, che va dal più semplice al più complesso, e dovrebbe durare tutta la vita. L'obiettivo finale della pedagogia proposta da Quintiliano è di formare il perfetto oratore.

In questo lavoro interagiscono, l'educatore, l'alunno, la scuola e la famiglia, in cui riconosce nella figura materna un ruolo fondamentale nella formazione linguistica del bambino. Quintiliano pensa e crede che ogni bambino possa diventare come Alessandro il Macedone, cioè la perfezione. Una figura da ammirare, per le sue gesta e soprattutto perché fu allievo di Aristotele (uno dei punti di riferimento di Quintiliano). Seneca invece riteneva l'immagine di Alessandro Magno immorale, spregiudicata e diseducativa.



IL MAESTRO COME UN SECONDO PADRE

Prenda dinanzi ai suoi discepoli l’aspetto di un genitore, non abbia né tolleri i vizi. Non sia arcigna la sua severità né dissoluta la sua compagnia affinchè da lì non derivi odio, da qui il disprezzo. Frequentissimo sia il discorso sull’onestà e sul bene, quanto più spesso avrà ammonito, più raramente castigherà. Non incline all’ira, né dissimulatore delle cose da punire, semplice nell’insegnare, resistente alle fatiche, assiduo più che esagerato.



SU MARCO CATONE

Sia, dunque, l’oratore che andiamo formando e di cui dà la definizione Marco Catone, uomo onesto, esperto nell’eloquenza, ma soprattutto, come egli stesso ha messo al primo posto, assolutamente onesto: non solo perché, se l’eloquenza fosse servita a dare armi alla malvagità, non ci sarebbe nulla di più dannoso, per la vita pubblica e privata, dell’eloquenza, e noi stessi, che abbiamo tentato di portare un contributo allo sviluppo dell’eloquenza, avremmo fatto il peggiore servizio all’umanità, se forgiassimo queste armi per un predone e non per un soldato. "
(Inst. XII 1)

Per Quintiliano l'oratore ideale è il "vir bonus dicendi peritus" cioè l'uomo onesto abile nel parlare, ma opponendosi agli eccessi del "Nuovo Stile" di tipo senecano a base di declamazioni che mirano a suscitare forti sentimenti, più che a insegnare. 

QUINTILIANO

SU CICERONE

Propone il modello di Cicerone come esempio di sanità di espressione e saldezza di costumi, senza ampollosità e figure retoriche, perchè l’oratore doveva raggiungere una formazione morale e culturale completa per cui il maestro doveva seguire l'alunno fin dall’infanzia, fornendo le competenze tecniche e l'esempio morale.

Spesso ho detto e dirò che Cicerone è oratore perfetto, così come chiamiamo generalmente gli amici e galantuomini e prudentissimi, mentre nessuna di queste qualità viene concessa, se non ai sapienti in assoluto. Ma, quando bisognerà esprimersi secondo la legge stessa della verità, cercherò quell’oratore che anche lui cercava. Sebbene io confessi che egli è pervenuto al più alto fastigio dell’eloquenza e non mi riesca quasi di trovare che cosa ancora gli si sarebbe potuto aggiungere, effettivamente il giudizio degli studiosi, in generale, è che siano in lui moltissime virtù e qualche difetto, tuttavia, se almeno avesse avuto vita più lunga e maggiore tranquillità per comporre, potrei onestamente credere che gli sia mancata quella suprema perfezione, alla quale nessuno più di lui si avvicinò mai. "
(Inst. XII 19-20)

Quintiliano è attento ai problemi didattici e pedagogici, con indicazioni didattiche legate in modo organico e coerente. Si poteva migliorare l’oratoria futura grazie al contributo di docenti validi e di seria moralità. Da criticare era invece la pratica delle declamationes, che, nate come esercitazioni per gli allievi delle scuole di retorica, divennero discorsi fittizi che si tenevano in pubblico, con uno stile ricercato e artificioso, mirante a sorprendere l'uditorio e strappare applausi.

Inoltre, sono state tramandate con il suo nome due raccolte di Declamationes (diciannove maiores, ampie e compiute, e centoquarantacinque minores in forma di schema o di abbozzo di orazione), ma la loro paternità è, in parte o completamente, respinta da molti studiosi.



DETTI DI QUINTILIANO

"Mendacem memorem esse oportet" - Il bugiardo deve avere buona memoria. (Quintiliano IV, 2, 91).

"Ubi amici ibi opes" Dove sono amici, lì sono denari. (V, 11, 41)

"Qui stultis videri eruditi volunt, stulti eruditis videntur "
Quelli che appaiono saggi in mezzo agli stupidi, in mezzo ai saggi appaiono stupidi. (X, 7, 21)

"Maledicus a malefico non distat nisi occasione" - Il maldicente non differisce dal malvagio che per l'occasione. (XII, 9, 9)

"Propositum potius amicum quam dictum perdendi" -  Preferii rinunciare ad un amico anziché ad un motto. (De causis corruptae eloquentiae VI, 3, 28)

Su Seneca: « Di molti suoi brani è consigliabile la lettura a scopo morale, ma per il riguardo stilistico sono generalmente corrotti e tanto più pericolosi, in quanto abbondano di allettanti vizi ».


BIBLIO

- J. Adamietz - Quintilian’s Institutio Oratoria - ANRW II - 1986 -
- Fabio Lanfranchi - Il Diritto nei retori romani: contributo alla storia dello sviluppo del diritto romano - Dott. A. Giuffré - 1938 -
- Marco Fabio Quintiliano, L'istituzione oratoria - trad. Rino Faranda - UTET - Torino - 1979 -
- P. Bizzell, B. Herzberg - The Rhetorical Tradition - Boston - 1990 -
- W. Dominik, J. Hall (eds.) - A Companion to Roman Rhetoric - Malden - 2010 -
- A. Ledru-Rollin in Guglielmo Audisio - Lezioni di sacra eloquenza - Stamperia Reale - Torino - 1850 -- Domenico Corvino - Nuove proposte letterarie latine - Guida Editori - Napoli - 2004 -


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