ANCYRA - ANKARA (Turchia)



MONUMENTO DI AUGUSTO E ROMA

Ancyra è una antica città che corrisponde oggi all'attuale Ankara. Nella sua Storia Naturale, Plinio il Vecchio lo chiama "Ancyra of Tectosages". Anche Strabone la cita come abitata dai Tectosages e la colloca in Frigia come Plinio il Vecchio.

Il sito fu occupato dal II millennio a.c. dagli Ittiti che lo chiamarono Ankuva, nel X secolo fu popolato dai Frigi e si chiamò Anküra. Secondo la leggenda, la città fu costruita dal re Mida che vi avrebbe depositato o trovato un'ancora, simbolo che compare su monete antiche.

Poi Ancyra divenne una città dell'Impero Persiano che fu conquistata da Alessandro Magno nel 333 a.c.. Ma i Celtici Tectosages (dei Galati ) che la occuparono più tardi ne fecero la loro capitale. Essi furono uno dei tre Celti popoli che, con Tolistoboges e Trocmi, formarono in Anatolia (Turchia), la Comunità dei Galati nel III secolo a.c. "Tectosages" significa, secondo Wenceslas Kruta , "coloro che cercano un tetto", i nomadi.

IL TEMPIO DI AUGUSTO E ROMA AL SUO ESTERNO

OCCUPAZIONE ROMANA

I romani la occuparono nel 189 a.c. , ma lasciarono ai Tectosages la loro autonomia fino al 25 a.c. In latino la città prende l'ortografia "Ancyra" e venne promossa al rango di "metropoli" da Nerone che ne fece ricostruire le mura. Il "tempio di Augusto e Roma ad Ancyra", chiamato il monumento di Ancyra, fu il luogo in cui si produsse la copia più completa del testamento politico di Augusto, la Res gestæ .

Durante il ' millenium bizantino ' Ancira godette, come tutte le conquiste romane, di una certa prosperità, ma le invasioni dei Sassanidi, arabi, crociati e turchi furono devastanti. Nel IV secolo vi troviamo una comunità cristiana eterodossa, gli Ascodrobes citati da San Girolamo.

Il mio compito sarebbe lungo se, dopo l'Apostolo e le Sacre Scritture, cercassi di evidenziare i vizi o le virtù di ogni nazione. Comunque sia, siamo ora arrivati ​​alla dimostrazione di questa proposizione; vale a dire che i Galati si sono sempre distinti per la loro follia e il loro cattivo umore. Chiunque abbia visitato Ancyra, la loro metropoli, sa bene quanto me di quanti scismi è stata divisa e contaminata, fino ad oggi. Mi basterà citare i Catafrii, gli Ofiti, i Lorboriti e i Manichei. Stiamo cominciando a conoscere i nomi di queste piaghe dell'umanità. Ma chi mai, in qualsiasi parte dell'Impero Romano, ha sentito parlare dei Passaloryncites, Ascodrobe, Artotyrites e altre sette più numerose delle varie denominazioni che possono essere loro applicate? Tracce di queste antiche aberrazioni sono state conservate fino ad oggi." 

Per citarne solo una delle comunità eretiche: gli Artotyrites, un gruppo di cristiani del II secolo in Galazia, ammisero le donne al sacerdozio e potevano parlare nelle assemblee. Nell'Eucaristia usavano pane e formaggio, perchè i primi uomini offrivano Dio i frutti della terra e i prodotti delle loro mandrie. San Girolamo, Sant'Agostino e da Sant'Epifane li considerano eretici. 

Dal XV secolo, l' espansione in Anatolia degli Ottomani, trasforma il nome della città in Engürü o Engüriye turco e angora in lingue occidentali. Ancyra diventa Ankara quando i turchi si stabiliscono lì e la sua popolazione cristiana ed ebraica è costretta a diventare islamizzata e turca, un po' come i cristiani hanno costretto alla conversione tutti i pagani. Nel xvi secolo è apparsa Ankara nei documenti ufficiali ottomani.

Degli splendidi edifici romani che Ancyra doveva possedere non è rimasto molto, almeno fuori terra, tutto distrutto o riutilizzato per nuovi edifici. Importantissimo è invece il Museo Nazionale

Le Res Gestae divi Augusti, cioè "Le imprese del divino Augusto", o Index rerum gestarum, sono un resoconto redatto dallo stesso imperatore romano Augusto prima della sua morte e riguardante le opere che compì durante la sua lunga carriera politica. Il testo ci è giunto inciso in latino e in traduzione greca sulle pareti del tempio di Augusto e della dea Roma (Monumentum Ancyranum) ad Ancìra (latino Ancyra), l'odierna Ankara in Turchia.

Secondo le volontà di Augusto, espresse nel rotolo contenente le sue imprese venne da lui affidato alle Vestali assieme al testamento, alle disposizioni per il suo funerale e ad un bilancio dello stato redatto un anno prima di morire. Il testo delle Res Gestae doveva essere inciso su tavole di bronzo da porre davanti alla sua tomba, il Mausoleo dove erano stati già sepolti Marco Claudio Marcello, Agrippa, Druso maggiore, la sorella Ottavia, Lucio e Gaio Giulio Cesare.

OTTAVIANO AUGUSTO

Oltre al testo di Ancira, si conoscono copie epigrafiche frammentarie provenienti sempre dalla provincia di Galazia, ovvero da Antiochia (in latino), da Apollonia (in greco). Il testo più completo, quello di Ancira, fu riconosciuto per la prima volta nel 1555 da Ogier Ghiselin de Busbecq, ambasciatore di Ferdinando I d'Asburgo presso Solimano il Magnifico. L'edificio era un tempio dedicato a Roma ed Augusto, che un tempo, sarebbe stato edificato in origine in onore della Grande Madre dell'Anatolia.

Dell'originario tempio dedicato ad Augusto e Roma, si conservano ora solo il pronao e le due pareti laterali, una delle quali presenta uno squarcio di notevoli dimensioni. All'interno del pronao, a sinistra e a destra, è inciso il testo latino dell'iscrizione disposto simmetricamente in sei colonne di scrittura, per un'altezza di 2,70 m e larghezza di 4 m.

La traduzione greca si sviluppa all'esterno, lungo la parete laterale intatta della cella, ordinata su 19 colonne, alte circa 1,25 m. I ruderi del tempio misurano ancora 12 m di altezza e 32,50 m di lunghezza. Nel 1997 è stato lanciato un grido d'allarme per lo stato di conservazione del testo, ormai ampiamente illeggibile, affinché non vada perduta la memoria di Augusto: l'allarme è stato accolto dall'Università degli Studi di Trieste che ha attivato il Progetto Ancyra, finalizzato alla messa in sicurezza del tempio e alla conservazione dell'iscrizione.

Augusto riportava gli onori che gli erano stati via via conferiti dal Senato e dal popolo romano e per quali servizi da lui resi, le elargizioni e i benefici concessi con il suo patrimonio personale allo stato, ai veterani e alla plebe, e i giochi e rappresentazioni dati a sue spese, e infine gli atti da lui compiuti in pace e in guerra.

Augusto parla di sé in prima persona, in stile semplice e conciso. La data è del 14 d.c., e sembra che Augusto abbia completato la redazione delle Res Gestae nelle ultime settimane di vita. Il documento non menziona il nome dei nemici e neppure di nessun membro della sua famiglia, ad eccezione dei successori designati, Agrippa, Gaio e Lucio Cesari e Tiberio.

L'imperatore racconta che all'età di 19 anni costituì un esercito a sue spese e con la benedizione del Senato. Nello stesso anno fu eletto console. Con questi mezzi riuscì ad esiliare e punire gli assassini di Giulio Cesare, suo padre adottivo. Vengono poi narrate le conquiste militari e l'atteggiamento verso i popoli vinti, ai quali era concesso di continuare i propri costumi e le forme di governo purché pagassero i tributi a Roma.

Sono ricordate poi le onorificenze per i successi militari, le cariche e le dignità accettate, infine le cariche sacerdotali. In politica ci sono: la revisione delle liste di patrizi, censimenti, leggi per la moralizzazione della vita politica e privata. Poi le spese sostenute attingendo al suo patrimonio privato.
Seguono le spese per la costruzione o il restauro di edifici pubblici, templi, acquedotti, strade, ponti, nonché la restituzione dell'oro coronario offertogli dai municipi e dalle colonie per i suoi trionfi.

Vengono quindi narrate le imprese: la lotta contro i pirati, la guerra civile, i bella externa (Gallia, Spagna, Germania, Etiopia, Egitto), le colonie militari, il recupero delle insegne militari perse da vari comandanti contro i Parti e il rapporto del principe con regni lontani: India, Medi, Parti. Elenca poi tutti i titoli e gli onori a lui conferiti a partire dal 27 a.c. comprese quelle non accettate. Il testo si conclude con "scrissi questo all'età di 76 anni".

MAUSOLEO DI AUGUSTO A ROMA -  AI LATI DELLA PORTA STAVANO DUE LASTRE DI BRONZO CON INCISE LE RES GESTAE, MAI RICOSTRUITE, NON SI SA PERCHE'


INTRODUZIONE

«Narrazione delle imprese del divino Augusto attraverso le quali sottomise tutto il mondo al potere del popolo romano, e del denaro che spese per la Repubblica e per il popolo romano, come sta scritto su due pilastri di bronzo a Roma.» 
La praescriptio non fu certamente scritta da Augusto, come dimostra l'epiteto divus conferito all'imperatore divinizzato solo dopo la sua morte.


PARS I - Cap.1-14 
-  descrive la carriera politica di Augusto, il suo cursus honorum, le cariche, uffici e onori che ha ricevuto o dato.

«1. A 19 anni, di mia iniziativa e con spesa privata, misi insieme un esercito, con il quale restituii alla libertà la Repubblica oppressa dalla dominazione di una fazione. Per questo motivo, essendo consoli Gaio Vibio Pansa e Aulo Irzio, il Senato mi incluse nel suo ordine per decreto onorifico, dandomi assieme il rango consolare e l'imperium militare. La Repubblica mi ordinò di provvedere, essendo io propretore, insieme ai consoli che nessuno potesse portare danno. Nello stesso anno il popolo romano mi elesse console e triumviro per riordinare la Repubblica, poiché entrambi i consoli erano stati uccisi in guerra.»


«2. Mandai in esilio quelli che trucidarono mio padre punendo il loro delitto con procedimenti legali; e muovendo poi essi guerra alla repubblica li vinsi due volte in battaglia.»

«3. Combattei spesso guerre civili ed esterne in tutto il mondo per terra e per mare; e da vincitore lasciai in vita tutti quei cittadini che implorarono grazia. Preferii conservare i popoli esterni, ai quali si poté perdonare senza pericolo, piuttosto che sterminarli. Quasi 500 000 cittadini romani prestarono a me giuramento militare; dei quali inviai più di 300 000 in colonie o rimandai nei loro municipi, compiuto il servizio militare; e a essi (tutti) assegnai terre o donai denaro in premio del servizio. Catturai 600 navi oltre a quelle minori per capacità alle triremi.»

«4. Due volte ebbi un'ovazione trionfale e tre volte celebrai trionfi curuli e fui acclamato ventun volte imperator, sebbene il senato deliberasse un maggior numero di trionfi, che tutti declinai. Deposi l'alloro dai fasci in Campidoglio, sciogliendo così i voti solenni che avevo pronunciato per ciascuna guerra. Per le imprese per terra e per mare compiute da me o dai miei legati, sotto i miei auspici, cinquantacinque volte il senato decretò solenni ringraziamenti agli dèi immortali. I giorni poi durante i quali per decreto del senato furono innalzate pubbliche preghiere furono ottocentonovanta. Nei miei trionfi furono condotti davanti al mio carro nove re o figli di re. Ero stato console tredici volte quando scrivevo queste memorie ed ero per la trentasettesima volta rivestito della podestà tribunizia.»

AUGUSTO IN VESTE DI PONTEFICE MASSIMO

«5. Non accettai la dittatura che sotto il consolato di Marco Marcello e Lucio Arrunzio mi era stata offerta, sia mentre ero assente sia mentre ero presente nell'Urbe, e dal popolo e dal senato. Non mi sottrassi invece, in una estrema carestia ad accettare la sovrintendenza dell'annona, che ressi in modo tale da liberare in pochi giorni dal timore e dal pericolo l'intera Urbe, a mie spese e con la mia solerzia. Anche il consolato, offertomi allora annuo e a vita, non accettai.»

«6. Sotto il consolato di Vinicio e Lucrezio e poi di Publio Lentulo e Gneo Lentulo e ancora di Fabio Massimo e Tuberone nonostante l'unanime consenso del senato e del popolo romano affinché io fossi designato unico sovrintendente delle leggi e dei costumi con sommi poteri, non accettai alcuna magistratura conferitami contro il costume degli antenati. E allora ciò che il senato volle che fosse da me gestito, lo portai a compimento tramite il potere tribunizio, di cui chiesi ed ottenni dal senato per più di cinque volte consecutive un collega.»

«7. Fui triumviro per riordinare la Repubblica per dieci anni consecutivi. Fui "Princeps senatus" fino al giorno in cui scrissi queste memorie per 40 anni. E fui pontefice massimo, augure, quindecemviro alle sacre cerimonie, settemviro degli epuloni, fratello arvale, sodale Tizio, feziale.»

«8. Durante il mio quinto consolato accrebbi il numero dei patrizi per ordine del popolo e del senato. Tre volte procedetti ad un vaglio dei senatori. E durante il sesto consolato feci il censimento della popolazione, avendo come collega Marco Agrippa. Celebrai la cerimonia lustrale dopo quarantadue anni. In questo censimento furono registrati 4 063 000 cittadini romani. Poi feci un secondo censimento con potere consolare, senza collega, sotto il consolato di Gaio Censorio e Gaio Asinio, e in questo censimento furono registrati 4 230 000 cittadini romani. E feci un terzo censimento con potere consolare, avendo come collega mio figlio Tiberio Cesare, sotto il consolato di Sesto Pompeio e Sesto Apuleio; in questo censimento furono registrati 4 937 000 cittadini romani. Con nuove leggi, proposte su mia iniziativa, rimisi in vigore molti modelli di comportamento degli avi, che ormai nel nostro tempo erano caduti in disuso, e io stesso consegnai ai posteri esempi di molti costumi da imitare.»

«9. Il senato decretò che venissero fatti voti per la mia salute dai consoli e dai sacerdoti ogni quattro anni. Il seguito a questi voti spesso, durante la mia vita, talvolta i quattro più importanti colleghi sacerdotali, talvolta i consoli allestirono giochi. Anche i cittadini, tutti quanti, sia a titolo personale, sia municipio per municipio, unanimemente, senza interruzione, innalzarono pubbliche preghiere per la mia salute in tutti i templi.»

«10. Il mio nome per senatoconsulto fu inserito nel carme Saliare e fu sancito per legge che fossi inviolabile per sempre e che avessi la potestà tribunizia a vita. Rifiutai di diventare pontefice massimo al posto di un mio collega ancora in vita, benché fosse il popolo ad offrirmi questo sacerdozio, che mio padre aveva rivestito. E questo sacerdozio accettai, qualche anno dopo, sotto il consolato di Publio Sulpicio e Gaio Valgio, morto colui che ne aveva preso possesso approfittando del disordine politico interno, e confluendo ai miei comizi da tutta l'Italia una moltitudine tanto grande quanta mai a Roma si dice vi fosse stata fino a quel momento.»

LA BELLA TECA DELL'ARA PACIS DI MORPURGO A ROMA CON LE RES GESTAE SUL LATO ESTERNO IN LETTERE DI BRONZO INSERITE A SCAVO NEL TRAVERTINO

«11. Il senato deliberò al mio ritorno la costruzione dell'altare della Fortuna Reduce davanti al Tempio di Onore e Virtù presso la porta Capena, e ordinò che su di esso i pontefici e le vergini Vestali celebrassero un sacrificio ogni anno nel giorno in cui, sotto il consolato di Quinto Lucrezio e Marco Vinicio, ero tornato a Roma dalla Siria, e designò quel giorno "Augustalia", dal mio soprannome.»

«12. Per decisione del senato una parte dei pretori e dei tribuni della plebe con il console Quinto Irzio Lucrezio e con i cittadini più influenti mi fu mandata incontro in Campania, e questo onore non è stato decretato a nessuno tranne che a me. Quando, sotto consolato di Tiberio Nerone e Publio Quintilio, tornai a Roma dalla Spagna e dalla Gallia, dopo aver portato a termine con successo i programmi prestabiliti, il senato decretò che per il mio ritorno dovesse essere consacrato l'altare della Pace Augusta vicino al Campo Marzio, e ordinò che su di esso i magistrati, i sacerdoti e le vergini Vestali facessero ogni anno un sacrificio.»

«13. Il tempio di Giano Quirino, che i nostri antenati vollero che venisse chiuso quando si fosse ottenuta la pace tramite vittorie in tutto l'impero romano per terra e per mare, prima che io nascessi dalla fondazione della città fu chiuso in tutto due volte; sotto il mio principato per tre volte il senato decretò che dovesse essere chiuso.»

«14. I miei figli, che la sorte mi strappò in giovane età, Gaio e Lucio Cesari, in mio onore il senato e il popolo romano designarono consoli all'età di quattordici anni, perché rivestissero tale magistratura dopo cinque anni. E il senato decretò che partecipassero ai dibattiti di interesse pubblico dal giorno in cui furono accompagnati nel Foro. Inoltre i cavalieri romani, tutti quanti, vollero che entrambi avessero il titolo di principi della gioventù e che venissero loro donati scudi e aste d'argento.»


PARS II Cap. 15-24 
 cita le distribuzioni di denaro, i giochi e i monumenti offerti al popolo di Roma.

«15. Alla plebe di Roma pagai in contanti a testa trecento sesterzi in conformità alle disposizioni testamentarie di mio padre, e a mio nome diedi quattrocento sesterzi a ciascuno provenienti dalla vendita del bottino delle guerre, quando ero console per la quinta volta; nuovamente poi, durante il mio decimo consolato, con i miei beni pagai quattrocento sesterzi di  a testa, e console per l'undicesima volta calcolai e assegnai dodici distribuzioni di grano, avendo acquistato a mie spese il grano in grande quantità e, quando rivestivo la potestà tribunizia per la dodicesima volta, diedi per la terza volta quattrocento nummi a testa. Questi miei congiari non pervennero mai a meno di duecentocinquantamila uomini. Quando rivestivo la potestà tribunizia per la diciottesima volta ed ero console per la dodicesima volta diedi sessanta denari a testa a trecentoventimila appartenenti alla plebe urbana. E ai coloni che erano stati miei soldati, quando ero console per la quinta volta, distribuii a testa mille nummi dalla vendita del bottino di guerra; nelle colonie ricevettero questo congiario del trionfo circa centoventimila uomini. Console per la tredicesima volta diedi sessanta denari alla plebe che allora riceveva frumento pubblico; furono poco più di duecentomila uomini.»

L'ARA PACIS E L'ORRIBILE TECA DI MEIER A ROMA CON LE RES GESTAE

«16. Pagai ai municipi il risarcimento dei terreni che durante il mio quarto consolato e poi sotto il consolato di Marco Crasso e Gneo Lentulo Augure assegnai ai soldati. E la somma, che pagai in contanti, per le proprietà italiche ammontò a circa seicento milioni di sesterzi e fu di circa duecentosessanta milioni ciò che pagai per i terreni provinciali. E a memoria del mio tempo compii quest'atto per primo e solo fra tutti coloro che fondarono colonie di soldati in Italia o nelle province. E poi sotto il consolato di Tiberio Nerone e Gneo Pisone e nuovamente sotto il consolato di Gaio Antistio e Decimo Lelio e Gneo Calvisio e Lucio Pasieno e di Lucio Lentulo e Marco Messalla e Lucio Caninio e Quinto Fabrizio ai soldati che, terminato il servizio militare, feci ritornare nei loro municipi, pagai premi in denaro contante, e per questa operazione spesi circa quattrocento milioni di sesterzi.»

«17. Quattro volte aiutai l'erario con denaro mio, sicché consegnai centocinquanta milioni di sesterzi a coloro che sovrintendevano l'erario. E sotto il consolato di Marco Lepido e Lucio Arrunzio trasferii l'erario militare, che fu costituito su mia proposta perché da esso si prelevassero i premi da dare ai soldati che avessero compiuto venti o più anni di servizio, centosettanta milioni di sesterzi prendendoli dal mio patrimonio.»

«18. Dall'anno in cui furono consoli Gneo e Publio Lentulo, scarseggiando le risorse dello Stato, feci donazioni in frumento e in denaro ora a centomila persone ora a molte più, attingendo dal mio granaio e dal mio patrimonio.»

«19. Ho eretto la Curia e il portico contiguo, il Tempio di Apollo sul Palatino con i portici, il Tempio del Divo Giulio, il Lupercale, il portico nei pressi del circo Flaminio - tollerai che fosse chiamato Ottavio, dal nome di chi aveva eretto la struttura precedente, in quello stesso luogo -, il Pulvinar al Circo Massimo, i templi sul Campidoglio di Giove Feretrio e Giove Tonante, il tempio di Quirino, i templi di Minerva, di Giunone Regina e di Giove Libertà sull'Aventino, il tempio dei Lari in cima alla Via Sacra, il tempio dei Penati sulla Velia, il tempio di Iuventas e il tempio della Grande Madre sul Palatino.»

«20. Restaurai il Campidoglio e il Teatro di Pompeo, l'una e l'altra opera con grande spesa, senza apporvi alcuna iscrizione del mio nome. Restaurai gli acquedotti cadenti per vetustà in parecchi punti, e raddoppiai il volume dell'acqua detta Marcia con l'immissione nel suo condotto di una nuova sorgente. Terminai il Foro Giulio e la basilica fra il Tempio di Castore e il Tempio di Saturno, opere iniziate e quasi ultimate da mio padre, e dopo averne ampliato il suolo, iniziai a ricostruire la medesima basilica, che era stata divorata da un incendio intitolandola al nome dei miei figli, e stabilii che, se non l'avessi terminata io da vivo, fosse terminata dai miei eredi. Console per la sesta volta, restaurai nell'Urbe, per volontà del senato, ottantadue templi degli dèi, e non ne tralasciai nessuno che in quel tempo dovesse essere restaurato. Console per la settima volta, rifeci la Via Flaminia dall'Urbe a Rimini e tutti i ponti, tranne il Milvio e il Minucio.»

«21. Su suolo privato costruii il Tempio di Marte Ultore e il Foro di Augusto col bottino di guerra. Presso il Tempio di Apollo su suolo comprato in gran parte da privati costruii un teatro, che volli fosse intitolato a mio genero, Marco Marcello. Consacrai doni ricavati dal bottino di guerra nel Campidoglio, e nel Tempio del Divo Giulio, e nel Tempio di Apollo, e nel tempio di Vesta, e nel tempio di Marte Ultore: essi mi costarono circa cento milioni di sesterzi. Console per quinta volta, restituii trentacinquemila libbre di oro coronario ai municipi e alle colonie d'Italia che lo donavano per i miei trionfi, e in seguito, tutte le volte che fui proclamato imperator, non accettai l'oro coronario, anche se i municipi e le colonie lo decretavano con la medesima benevolenza con cui lo avevano decretato in precedenza.»

I RESTI DELL'ANTICO TEATRO PRESSO ANCYRA

«22. Tre volte allestii uno spettacolo gladiatorio a nome mio e cinque volte a nome dei miei figli o nipoti; e in questi spettacoli combatterono circa diecimila uomini. Due volte a mio nome offrii al popolo spettacolo di atleti fatti venire da ogni parte, e una terza volta a nome di mio nipote. Allestii giochi a mio nome quattro volte, invece al posto di altri magistrati ventitré volte. In nome del collegio dei quindecemviri, come presidente del collegio, avendo per collega Marco Agrippa, durante il consolato di Gaio Furnio e Gaio Silano, celebrai i Ludi Secolari. Durante il mio tredicesimo consolato celebrai per primo i Ludi di Marte che in seguito e di seguito negli anni successivi, per decreto del senato e per leggi, furono celebrati dai consoli. Allestii per il popolo ventisei volte, a nome mio o dei miei figli e nipoti, cacce di belve africane, nel circo o nel foro o nell'anfiteatro, nelle quali furono ammazzate circa tremilacinquecento belve.»

«23. Allestii per il popolo uno spettacolo di combattimento navale al di là del Tevere, nel luogo in cui ora c'è il bosco dei Cesari, scavato il terreno per una lunghezza di milleottocento piedi e per una larghezza di milleduecento; in esso vennero a conflitto trenta navi rostrate triremi o biremi, e, più numerose, di stazza minore; in questa flotta combatterono, a parte i rematori, circa tremila uomini.»

«24. Nei templi di tutte le città della provincia d'Asia ricollocai, vincitore, gli ornamenti che, spogliati i templi, aveva posseduto a titolo privato colui al quale avevo fatto guerra. Mie statue pedestri ed equestri e su quadrighe, in argento, furono innalzate nell'Urbe in numero di ottanta circa, ma io spontaneamente le rimossi e dal denaro ottenuto ricavai doni d'oro che collocai nel tempio di Apollo a nome mio e di quelli che mi tributarono l'onore delle statue.»

PROGETTO DI UN PARCO CON SISTEMAZIONE DEI RESTI ANTICHI

PARS III Capi. 25-35
- in essa Augusto parla delle sue conquiste militari e della sua azione diplomatica.

«25. Stabilii la pace sul mare liberandolo dai pirati. In quella guerra catturai circa trentamila schiavi che erano fuggiti dai loro padroni e avevano impugnato le armi contro lo Stato, e li consegnai ai padroni perché infliggessero una pena. Tutta l'Italia giurò spontaneamente fedeltà a me e chiese me come comandante della guerra in cui poi vinsi presso Azio; giurarono parimenti fedeltà le province delle Gallie, delle Spagne, di Africa, di Sicilia e di Sardegna. I senatori che militarono allora sotto le mie insegne furono più di settecento; tra essi, o prima o dopo, fino al giorno in cui furono scritte queste memorie, ottantatré furono eletti consoli, e circa centosettanta sacerdoti.»

«26. Allargai i confini di tutte le province del popolo romano, con le quali erano confinanti popolazioni che non erano sottoposte al nostro potere. Pacificai le provincie delle Gallie e delle Spagne, come anche la Germania nel tratto che confina con l'Oceano, da Cadice alla foce del fiume Elba. Feci sì che fossero pacificate le Alpi, dalla regione che è prossima al mare Adriatico fino al Tirreno, senza aver portato guerra ingiustamente a nessuna popolazione. La mia flotta navigò l'Oceano dalla foce del Reno verso le regioni orientali fino al territorio dei Cimbri, dove né per terra né per mare giunse alcun romano prima di allora, e i Cimbri e i Caridi e i Sennoni e altri popoli germani della medesima regione chiesero per mezzo di ambasciatori l'amicizia mia e del popolo romano. Per mio comando e sotto i miei auspici due eserciti furono condotti, all'incirca nel medesimo tempo, in Etiopia e nell'Arabia detta Felice, e grandissime schiere nemiche di entrambe le popolazioni furono uccise in battaglia e conquistate parecchie città. In Etiopia arrivò fino alla città di Nabata, cui è vicinissima Meroe. In Arabia l'esercito avanzò fin nel territorio dei Sabei, raggiungendo la città di Mariba.»

«27. Aggiunsi l'Egitto all'impero del popolo romano. Pur potendo fare dell'Armenia maggiore una provincia dopo l'uccisione del suo re Artasse, preferii, sull'esempio dei nostri antenati, affidare quel regno a Tigrane, figlio del re Artavaside e nipote di re Tigrane, per mezzo di Tiberio Nerone, che allora era mio figliastro. E la medesima popolazione che in seguito cercava di staccarsi e si ribellava, domata per mezzo di mio figlio Gaio, affidai da governare al re Ariobarzane, figlio di Artabazo re dei Medi, e dopo la sua morte a suo figlio Artavaside. E dopo che questi fu ucciso, mandai su quel trono Tigrane, discendente della famiglia reale armena. Riconquistai tutte le province che al di là del mare Adriatico sono volte a Oriente, e Cirene, ormai in gran parte possedute da re, e in precedenza la Sicilia e la Sardegna, occupate nel corso della guerra servile.»

IL MONUMENTO CON EDEIFICI ADDOSSATI 

«28. Fondai colonie di soldati in Africa, in Sicilia, in Macedonia, in entrambe le Spagne, in Acaia, in Asia, in Siria, nella Gallia Narbonense, in Pisidia. L'Italia poi possiede, fondate per mia volontà, ventotto colonie, che durante la mia vita furono assai prosperose e popolose.»

«29. Recuperai dalla Spagna e dalla Gallia e dai Dalmati, dopo aver vinto i nemici, parecchie insegne militari perdute da altri comandanti. Costrinsi i Parti a restituirmi spoglie e insegne di tre eserciti romani e a chiedere supplici l'amicizia del popolo romano. Quelle insegne, poi, riposi nel penetrale che è nel tempio di Marte Ultore.»

«30. Le popolazioni dei Pannoni, alle quali prima del mio principato l'esercito del popolo romano mai si accostò, sconfitte per mezzo di Tiberio Nerone, che allora era mio figliastro e luogotenente, sottomisi all'impero del popolo romano, estesi i confini dell'Illirico fino alla riva del Danubio. E un esercito di Daci, passati al di qua di esso, sotto i miei auspici fu vinto e sbaragliato, e in seguito il mio esercito, condotto al di là del Danubio, costrinse la popolazione dei Daci a sottostare ai comandi del popolo romano.»

«31. Furono inviate spesso a me ambascerie di re dall'India, non viste prima di allora da alcun comandante romano. Chiesero la nostra amicizia per mezzo di ambasciatori i Bastarni, gli Sciti e i re dei Sarmati che abitano al di qua e al di là del fiume Tànai, e i re degli Albani, degli Iberi e dei Medi.»

«32. Presso di me si rifugiarono supplici i re dei Parti Tiridate e poi Fraate, figlio del re Fraate, e Artavasde re dei Medi, Artassare degli Adiabeni, Dumnobellauno e Tincommio dei Britanni, Melone dei Sigambri, Segimero dei Marcomanni Svevi. Presso di me in Italia il re dei Parti Fraate, figlio di Orode, mandò tutti i suoi figli e nipoti, non perché fosse stato vinto in guerra, ma perché ricercava la nostra amicizia con il pegno dei suoi figli. E moltissime altre popolazioni sperimentarono, durante il mio principato, la lealtà del popolo romano, esse che in precedenza non avevano avuto nessun rapporto di ambascerie e di amicizia con il popolo romano.»

RESTI DI TERME RINVENUTE AD ANCYRA

«33. Da me le popolazioni dei Parti e dei Medi, che me ne avevano fatto richiesta per mezzo di ambasciatori che erano le persone più ragguardevoli di quelle popolazioni, ricevettero i loro re: i Parti Vonone, figlio del re Fraate e nipote del re Orode; i Medi Ariobarzane, figlio del re Artavasde e nipote del re Ariobarzane.»

«34. Nel mio sesto e settimo consolato, dopo aver sedato l'insorgere delle guerre civili, assunsi per consenso universale il potere supremo, trasferii dalla mia persona al senato e al popolo romano il governo della repubblica. Per questo mio atto, in segno di riconoscenza, mi fu dato il titolo di Augusto per delibera del senato e la porta della mia casa per ordine dello Stato fu ornata con rami d'alloro, e una corona civica fu affissa alla mia porta, e nella Curia Giulia fu posto uno scudo d'oro, la cui iscrizione attestava che il senato e il popolo romano me lo davano a motivo del mio valore e della mia clemenza, della mia giustizia e della mia pietà. Dopo di che, sovrastai tutti per autorità, ma non ebbi potere più ampio di quelli che mi furono colleghi in ogni magistratura.»

«35. Quando rivestivo il tredicesimo consolato, il senato, l'ordine equestre e tutto il popolo Romano, mi chiamò padre della patria, decretò che questo titolo dovesse venire iscritto sul vestibolo della mia casa, e sulla Curia Giulia e nel foro di Augusto sotto la quadriga che fu eretta a decisione del senato, in mio onore. Quando scrissi questo, avevo settantasei anni.»


APPENDICE - Appendix

E' scritta in terza persona contrariamente al resto del testo, non fu probabilmente scritta per mano di Augusto. Questa riassume le spese sostenute da Augusto per l'erario, per i monumenti dell'Urbe, per i giochi e per far fronte a diverse calamità naturali. Illuminante l'ultima frase cui si citano le spese sostenute per amici e senatori, caduti tanto in disgrazia da non avere più il censo richiesto per far parte del senato. Tali spese furono "innumerabilis", ovvero, non conteggiabili.



BIBLIO

- Plinio - Naturalis Historia -
- Svetonio - Augustus -
- Tacito - Annales -
- Cassio Dione - Storia romana -
- Mario Attilio Levi -Augusto e il suo tempo - Milano - 1994 -
- Res gestae divi Augusti - Introduzione e cura di Luca Canali - Roma - Editori riuniti - 1982 -
- Pat Southern - Augustus - Londra-New York - 2001 -
- Rubin, Benjamin B. - (Re)presenting Empire: The Roman Imperial Cult in Asia Minor, 31 BC-68 AD - Ann Arbor - University of Michigan - 2008 -


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