EPITAFFI ROMANI



EMBLEMATA EPICUREO

Gli antichi romani distinguevano:

- Epitaffio (epitaphion): la epigrafe posta sul luogo di sepoltura (dal greco: ciò che stà al di sopra del sepolcro), che ricorda ed eventualmente elogia il defunto.
- Epicedio (epicedion): componimento poetico scritto in elogio di un defunto, il cui scopo è di piangerlo e commemorarne i pregi.
- Consolatio: componimento poetico il cui scopo è di consolare chi è in vita e di alleviarne il dolore.



AFFETTIVI

- «Al tenerissimo padre:
Dopo tante fatiche e tanti affanni, ora taci
e riposi in pace nella tua silenziosa dimora».

«Chiunque tu sia, viandante, che percorri la Flaminia, non ignorare questo nobil marmo.
Delizia di Roma e arguzia del Nilo, arte e grazia,
gioco e piacere, splendore e dolore del teatro romano ed ogni amore ed ogni desiderio son conservati qui, in questo sepolcro, insieme a Paride.»
(Marziale - per Paride)

- «Eretto a memoria di Memmio Claro dal suo coliberto Memmio Urbano.
Io so che mai ci fu l’ombra di un dissapore tra me e te.
Mai una nuvola passò sopra la nostra comune felicità.
Io giuro agli Dei del cielo e degli inferi che noi lavorammo
lealmente e amorevolmente insieme, che noi fummo resi liberi 
dalla schiavitù nello stesso giorno e nella stessa casa: 
niente avrebbe mai potuto separarci eccetto questa fatale ora.»

- «Mi chiamo Franco,
soldato nell’esercito di Roma,
mi comportai sempre da valoroso in guerra.»

- «Per l'adorabile, benedetta anima di L. Sempronio Firmo Sapevamo, ci amavamo dall'infanzia: sposato, una mano empia ci separava in una sola volta. Oh, Dei infernali, siate gentili e misericordiosi verso di lui, e lasciate che lui mi appaia nelle ore silenziose della notte. Permettetemi di condividere il suo destino, che possiamo essere riuniti "dulcius et celerius".» (nel modo più dolce e veloce possibile)

- Nella necropoli di Alfaterna il padre al figlio: «Voi donne che passate onorate la memoria di mio figlio morto giovane, eternamente giovane»

- Tomba di Nerone (al VI miglio della via Cassia - fine II secolo - inizio III secolo d.c.)
E' il sepolcro del Prefetto Publio Vibio Mariano e della moglie Reginia Massima realizzato dalla loro figlia ed erede Vibia Maria Massima.
È un semplice sarcofago ad arca, con tetto a doppio spiovente ed acroteri angolari, interamente in marmo decorato con bassorilievi e posto su di un alto basamento originariamente rivestito di marmo e oggi rivestito in mattoni.
Venne detto Tomba di Nerone dopo che papa Pasquale II nel XII secolo ordinò di abbattere la vera tomba di Nerone, il sepolcro dei Domizi, ubicata dove ora sorge Santa Maria del Popolo; questo papa rabbioso perchè il popolino, che ancora amava la figura di questo Imperatore, era solito portare i fiori alla tomba il 9 Luglio, anniversario della morte di Nero, decise di far distruggere il monumento; successivamente, per placare il malcontento popolare, venne fatta correre la voce che le ceneri fossero state traslate in un mausoleo sulla Cassia, abbastanza lontano per sperare che cessasse la tradizione di portare i fiori sulla tomba al 9 di Luglio, speranza che però restò disillusa.
L’epigrafe riporta:
D(iis) M(anibus) S(acrum)
P.VIBI [P.] F. MARIANI E.M.V. PROC.
ET PRAESIDI PROV. SARDINIAE P.P. BIS
TRIB. COH. II [PR.] XI URB. IIII VIG. PRAEF. LEG.
II ITAL. P.P. LEG. III GALL. [---] FRUMENT.
ORDIUNDO EX ITAL. IUL. DERTONA
PATRI DULCISSIMO
ET REGINIAE MAXIME MATRI
KARISSIMAE
VIBIA MARIA MAXIMA C.F. FIL. ET HER.
cioè:
"Sacro agli dei Mani
a Publio Vibio Mariano figlio di Publio eminentissimo uomo, Procuratore
e Presidente della provincia di Sardegna, due volte Pro Pretore,
Tribuno della Coorte X Pretoriana, XI Urbana, IV dei Vigili, Prefetto della Legione
II Italica, Pro Pretore della Legione III Gallica, Centurione dei Frumentarii,
oriundo dalla colonia italica Iulia Dertona
padre dolcissimo
e a Reginia Massima madre
carissima
la figlia ed erede Vibia Maria Massima ebbe cura di costruire".

- Stele ad edicola di Tiberio Natronio Venusto (sulla via Trionfale, nel settore santa Rosa della necropoli trionfale al Vaticano). Nell’edicola è contenuta la testa di un bimbo con l’iscrizione:
«hic situs est
Tib(erius) Natronius Venustus
vixit ann(os) IIII menses IIII dies X»
“In questo luogo è
Tiberio Natronio Venusto.
visse 4 anni 4 mesi e 10 giorni.”
(venustus= bellino)



POETICI

- «Mi ha rapito il sole.»

- «Qui riposo, spento l’ultimo raggio»



STRAZIANTI

- (Una donna sull’urna del figlio Marius Exoriens)
«Le insensate leggi della morte lo hanno strappato dalle mie braccia!
Giacché sono favorita dagli anni, la morte avrebbe dovuto portar via me prima.»

- Alessandro Gerente di Aquileia ha seppellito la moglie Primitiva:
«Non fueram, non sum, nescio,
non ad me pertinet»
«Non fui, non sono, non so nulla.
Non mi riguarda»

- «Chiunque tu sia che passi e leggi, fermati, viandante e considera come fu iniqua la mia sorte e com’è vano il mio lamento.
Non potei superare i trent’anni poiché uno schiavo
mi tolse la vita e poi mi gettò nel fiume».

- Lucio vive con Rubria diciotto anni e poi lei muore:
«Io il tuo sposo Lucio dedicai questo monumento
a te che l’hai meritato.
Finalmente noi pure avremo una casa insieme».

- «La sola cosa che io posso fare, sventurato,
è stringermi a te, cara, nella tomba,
fino a che mi resta da vivere.
Credo che ciò ti sia gradito,
se qualche notizia di noi giunge al Tartaro»

- Da Capua.
«Infelice, carica d’anni, sopravvissi al marito e alla figlia.»

- «All’adorabile, benedetta anima di L. Sempronio Fermo.
Ci conoscemmo, e amammo ciascun l’altro fin dalla fanciullezza:
ci sposammo ed una empia mano ci separò improvvisamente.
Oh, terribili Dei, siate benevoli e clementi con lui, 
e consentitegli di apparirmi nelle silenziose ore della notte.
Ed anche consentitemi di condividere il suo destino, 
che noi possiamo essere riuniti dolcemente e celermente.»

- «Come non piangere una bimba così soave! Meglio se non fossi mai nata se tu, che eri tanto cara, sin dalla nascita eri destinata a tornare presto là da dove eri venuta a noi ed essere ai tuoi motivo di lutto».

- «Nebullo a Marta, sua compagna di schiavitù:
Piansi, Marta, i dolorosi casi dei tuoi giorni estremi, 
e composi le tue ossa:
Accetta questa prova del mio amore.»

- (Sulla tomba con le immagini di un ragazzo e una ragazza)
«Oh, crudele, empia madre che io sono:
alla memoria dei miei più dolci ragazzi, 
Publio che visse 13 anni 55 giorni, 
ed Eria Teodora che visse 27 anni 12 giorni.
Oh, madre sventurata, 
che hai visto la più crudele fine dei tuoi figli!
Se Dio fosse stato pietoso, 
tu saresti stata sepolta da loro.»

- «La madre addolorata fece questo monumento al figlio,
di cui mai dovette dolersi, tranne che della sua morte».

- «Alla moglie Antonia:
Per amor mio, hai attraversato mari e terre e cieli inclementi;
attraverso i nemici trovasti arditamente la via;
hai sopportato incredibili rigori del cielo,
o dolce sposa, diletta all’anima mia.
Simile a un fiore nel nome,
felice del nostro legame, casta e pudica,
non avevi ancora saziato il fuoco del mio amore,
poiché lasciasti prima del tempo il talamo consacrato».



INFORMATIVI

- «Mantova mi generò. la Calabria mi rapì, ora mi custodisce Partenope.»
Cantai i pascoli, i campi, i condottieri”
(Virgilio)

- «Agresti vita felix fuit"»
"Visse sui campi e fu felice»

- «Non c'è amico che mi abbia fatto un favore,
né nemico un torto, che io non abbia ripagato in pieno».
(Silla)

- Stele di Licinia Amias (inizio III secolo d.c. - via Trionfale) Museo delle Terme, rinvenuta alla necropoli vaticana,  fine ottocento, quando fu abbattuta la porta Angelica.
Semplice stele con acroteri, di cui si conserva la sola parte superiore, interessante per la compresenza di elementi pagani e cristiani; usanza diffusa nel IV secolo d.c. ma già presente nei secoli precedenti, se pure in modo meno diffuso.
La scritta è parte in latino e parte in greco, con il disegno di due pesci ed un’ancora; i pesci sono cristiani e l’invocazione ai mani è pagana:
D(is) M(anibus)
ΙΧθΥς ΖωΝΤωΝ
LICINIAE AMIATI
BENEMERENTI VIXIT
[...]
Agli dei Mani
pesce dei viventi
A Licinia Amias
(che) benemerita visse



LIEVI

- (L’attore di teatro Leburna, ad Ostia)
«Qui riposa Leburna, maestro di recitazione,
che visse più o meno cent’anni.
Son morto tante volte, ma così, mai!
A voi, lassù, auguro buona salute».

- «Sono qui contro la mia volontà».

- «Sono morto grazie all'aiuto di molti dottori».

- Claudio Secundo:
«Bagni vino e Venere devastano i nostri corpi.
Ma bagni vino e Venere fanno la vita».

- Il vedovo: 
«Obsequio raro. Sola contenta marito»
«Virtù rara. Si accontentò del solo marito». 

- «Questo non mi era mai capitato».

«Qui io, Lemisio, giaccio.
Solo la morte mi dispensò dal lavoro».

- «Sono evaso, Sono fuggito,
Saluto la Speranza e la Fortuna.
Ora prendetevi gioco di qualcun altro».

- «Qui riposano in pace le mie ossa: è ciò che resta di un uomo.
Non mi preoccupa il pensiero di sentirmi affamato,
sono libero dalle malattie, né mi capiterà più di dover garantire un prestito.
Usufruisco per sempre di un alloggio gratuito».

- (Colombario in Vigna Codini sull’Appia)
«Avvocati e malocchio state lontani dalla mia tomba».

- «Ho vissuto come volli. Perché sia morto, non lo so"

- «Hodie mihi, cras tibi»
"Oggi a me, domani a te».

«Finché sono vissuta, accumulai denaro, 
ma ne persi altrettanto. 
Venne la morte e mi liberò da guadagni e da perdite».

- L'epitaffio che Trimalcione nel Satiricon vuole sia inciso sulla sua tomba. 
Al termine sarà scritto "Stai bene” e chi leggerà risponderà "Anche tu" 
è una consuetudine romana ben documentata epigraficamente:
«Gaio Pompeo Trimalchione Mecenatiano
Qui Giace.
Gli Fu Decretato Il Sevirato Durante La Sua Assenza. 
Poteva Essere In Tutte Le Decurie Di Roma,
Ma Non Ha Voluto. 
Pio, Forte, Fedele, Venne Su Dal Nulla, 
Lasciò Trenta Milioni Di Sesterzi
E Non Ascoltò Mai Un Filosofo. 
‘Stai Bene’.
‘Anche Tu».



DI AVVERTIMENTO

- (Affinchè gli eredi potessero utilizzare la tomba per la loro sepoltura ma non venderla o donarla)
«Heredes ne sequatur»
«Che gli eredi non alienino» (il sepolcro)

- «Qui hic mixerit aut cacarit 
habeat deos Superos et Inferos iratos»
«Chi piscia o caca qui (sulla tomba)
abbia gli Dei superiori ed inferi adirati»

- Su una lapide nella Vigna Codini: «Gli avvocati e il Malocchio si tengano lontano dalla mia tomba.»

- A Roma.
«Ne tangito, o mortalis, reverere Manes deos»
«Non toccate, mortali. Rispettate gli Dei Mani»

- “Ehi, tu che passi, vieni qui, riposa un momento. 
Scuoti il capo? Eppure anche tu dovrai venire qui.”

- “Non siamo nulla, e fummo mortali. 
Tu che leggi, rifletti: 
dal nulla torniamo subito al nulla”.

- "Non piangete... vi ho solo preceduti."

- Cornelio Basso:
“Fino a diciotto anni, vissi come meglio potei, 
caro al padre, a tutti gli amici. 
Ti esorto a divertirti, a scherzare: 
qui regna solo estremo rigore”.

- Aurelio Niceta: 
«Chiunque solleverà questa pietra o la farà rimuovere, 
muoia l’ultimo dei suoi» 
e aggiunge 
«Chiunque solleverà questa pietra o la danneggerà, 
muoia l’ultimo dei suoi».

- “Le mie ossa per metà son esposte alle intemperie
e la copertura della mia sepoltura è ormai in pezzi.
Di già si vedon i vermi brulicare all’interno 
della mia cassa squassata.
Viandante, chi mi ricoprirà di terra?
È accaduto che gli abitanti han realizzato un sentiero,
là dove prima nessuno passava, calpestando così i miei mortali resti.
Nel nome degli dei degli Inferi, di Plutone, di Mercurio e della Notte,
voi, lassù, cessate di usare codesto sentiero!”

- "Apusulena Geria vixit annos XXV
quod quisque vestrum optaverit mihi,
illi semper eveniat vivo et mortuo"

Apusulena Geria visse 25 anni
"Quel che ognuno di voi ha augurato a me,
per sempre accada a lui da vivo e da morto"

- “Chiunque danneggi la mia tomba o rubi i suoi ornamenti, 
che possa egli veder la morte di tutti i suoi familiari.”

- “Chiunque rubi i chiodi da questa struttura, 
che possa conficcarteli nei tuoi occhi.”

- (a Fano) 
"Viator, viator:
quod tu es, ego fui;
quod nunc sum, et tu eris.
"
"Viandante, viandante:
quel che tu sei, io fui;
quel ch’io sono, domani sarai."

- (a Roma)
"Nihil sumus et fuimus mortales.
Respice, lector, in nihil ab nihilo
quam cito recidimus.
"
"Non siamo niente e fummo mortali.
Osserva, tu che leggi, quanto rapidamente
precipitiamo dal nulla nel niente."



DI AUGURIO

- Sit tibi terra levis
Ti sia la terra lieve
(Marziale)
0
Sulla via Appia 1562, Id. ivi XX e. 68.
« Essendosi scassato un sito vicino al fiume Aimone, che ora si chiama Acquadaccia tra le rovine antiche che vi erano nelle cose della via Appia vi furono trovati questi versi con un bello pilo » "Lesbiae ossa hic sita sunt"  5 distici. (Rodolfo Lanciani)

- In questa iscrizione greca ma romana vi è inciso un colloquio tra il Morto e il Viandante:
V: «Chi ti ha allevato?»
M: «Era Kilix l’ateniese. Di nobile stirpe»
V: «E come ti chiami?»
M: «Numenio»
V: «A quanti anni sei morto?»
M: «A quaranta anni»
V: «Sarebbe stato meglio tu fossi vissuto ancora»
M: «Ma era necessario che morissi»
V: «Queste cose che dici sono degne di te.
Statti bene»
M: «Stai bene anche tu.
A te infatti rimangono i piaceri;
noi ne abbiamo avuti abbastanza ».

- Primo, seppellito a Ostia:
«Hoc ego seu in tumulo Primus notissimus ille.
Vixi Lucrinis, potabi saepe Falernum,
balnia vina Venus mecum senuere per annos
hec ego si potui, sit mihi terra lebis
set tamen ad Manes foenix me serbat
in ara qui mecum proferat reparare sibi»
«In questo sepolcro io giaccio, il notissimo Primo.
Mi nutrii di ostriche e spesso bevvi Falerno;
bagni, vino, amore, un anno dopo l’altro
mi accompagnarono fino alla vecchiaia.
Se tanto potei mi sia lieve la terra.
Ma presso i Mani una Fenice mi attende sull’ara,
e s’affretta a rinnovarsi con me».

- "Tu che leggerai, 
cerca di vivere e di star bene, 
di amare e essere riamato 
fino a che verrà il tuo ultimo giorno!”

- Consolatio per sé stesso: in morte di Erotion
"Le delicate ossa sian protette da non dura zolla, e tu,
terra, non esserle pesante: lei non (lo) fu per te".

- Epitaffio di Pantagato, giovane schiavo barbiere
"Terra, sii (a lui) propizia come è giusto, appagata e leggera"

- (ad Aquileia):
"Have Septimia. Sit tibi terra levis. Qisquis huic tumulo posuit ardentem lucernam, illius cineres aurea terra tegat."
"Addio Settimia, ti sia leggera la terra. Chiunque abbia posto su questo tumulo una lucerna accesa, che le sue ceneri possano esser protette da una terra meravigliosa."



TRISTEZZA

- “Qui Zotico null’altro lascia che un labile nome; 
il corpo è cenere, la vita s’è dissolta nell’ètere.”

- «Infelix annosa viro nataeque superstes».
«la vita diventa un peso vedendo finire le vite attorno a sé. 

- Lucio Anneo Seneca: 
«La morte ci riporta in quella tranquillità 
dove eravamo prima di nascere»

- Lucius Nomerius Victorinus
«Credo certe ne cras»
“Sono convinto che non c’è domani”

- Il marito di Claudia
«Straniero, ho poco da dire: fermati e leggi. 
Questo è il sepolcro non bello di una donna che fu bella. 
I genitori la chiamarono Claudia.
Amò il marito con tutto il cuore. Mise al mondo due figli.
Uno lo lascia sulla terra, l’altro l’ha deposto sotto terra.
Amabile nel parlare, onesta nel portamento,
custodì la casa, filò la lana. Ho finito, Va’ pure».

- Quinto Ammero
«La terra tiene il corpo, un sasso il nome, l’anima l’aere.
Sarebbe stato meglio non aver toccato mai il suolo». 

- Dalla via Appia
«Respice et crede.
Hoc est, sic est, aliut fieri non licet».
«Leggi e credi.
Questo è, così è, non può essere altrimenti». 

- «Non passare oltre all’epigramma, ma fermati, 
ascolta e vai via solo dopo aver appreso. 
Non c’è nave nell’Ade, né il nocchiero Caronte, 
né Eaco con le sue chiavi, né il cane Cerbero. 
Noi tutti che quaggiù siamo morti non siamo diventati 
che ossa e cenere e null’altro.
Ti ho detto la verità; vai o viandante,
poiché da morto non ti sembri troppo chiacchierone!».

- Pudente di Brescia
«C’è il nulla oltre la morte, nulla è più utile»

- «E' stato un abile oratore, qui giace in silenzio».

- Un greco di Roma
«Non donare alla stele profumi e corone: è una pietra. 
Non accendere il fuoco: è una spesa inutile. 
Se avevi qualcosa da darmi, dovevi farlo quando vivevo, 
e facendo libagioni sulla cenere fai del fango e il morto non beve. 
Io stesso sarò così. E tu gettando terra sulla carne devi dire:
“Ciò che ero quando non ero, ora lo sono diventato”».
 
- A Roma: 
«La violenza del fato ti travolse, 
anima sventurata,
e molti mali hai sopportato,
nata qual sei dal nulla dove sei ricaduta,
anima, requie invocando ai mali: 
e che altro traesti dalla vita se non male?»

- «Se v’è chi consente a prender parte al nostro dolore, 
si avvicini e non ricusi qualche lacrima
La giovinetta che solo ebbi cara, 
rapito in un dolce amore, e qui ho deposta, sventurato!
Fu la mia sposa, fino a che lo permise 
il breve tempo concesso dai fati.
Ora, strappata alla casa e ai suoi cari, è qui sepolta.
Tutta la grazia del volto, e la persona tanto ammirata 
sono ombra lieve; le ossa un pugno di cenere».


BIBLIO

- Alison E. Cooley - "History and Inscriptions, Rome" - in The Oxford History of Historical Writing - eds. A. Feldherr & G. Hardy - Oxford University Press - Oxford - 2011 -
- E. De Ruggiero - Dizionario epigrafico di antichità romane - I - Roma - 1886 -
- Luciano Canfora - Gli antichi ci riguardano - Bologna - Il Mulino - 2014 - (Collana: «Voci») -



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