SOTTO S. GIORGIO AL VELABRO



LA CHIESA

IL VELABRO

Il Velabro era delimitato dal forum a nord, il Palatino e il vicus Tuscus a est, il quartiere attraversato dallo Iugarius vicus a ovest, mentre la linea di separazione tra questo e il Foro Boario passava attraverso l'attuale chiesa di S. Giorgio in Velabro, in particolare con l'Arco degli Argentari. Secondo la tradizione, questo quartiere era in origine soggetto a inondazioni quando il Tevere era molto alto.



ROMOLO E REMO 

Qui i fatidici gemelli portati dalla piena dell'Aniene si fermarono presso la palude del Velabro tra Palatino e Campidoglio in un luogo chiamato Cermalus,. Quando le acque del fiume si ritirarono, la cesta rimase all'asciutto in una grotta collocata alla base del Palatino,  detta "Lupercale" perché sacra a Marte e a Fauno Luperco.

Plutarco racconta che una lupa, scesa dai monti al fiume per abbeverarsi, fu attirata dai vagiti dei due bambini, e invece di papparseli li allattò. Vuole la tradizione che anche un picchio portò loro del cibo (uccello sacro a Marte). Ma in seguito furono trovati dal pastore Faustolo, il quale insieme alla moglie Acca Larenzia decise di crescerli come suoi figli.

Alcuni identificano Acca Larentia con la "lupa", in realtà una antica Dea Madre, italica e preromana, una Dea Lupa le cui sacerdotesse erano dette le Lupe, vivevano nei "tiasi" o monasteri che dir si voglia praticando la prostituzione sacra. 

Infine si sa, i gemelli fondarono Roma e l'impero, ovvero la civiltà di gran lunga la più evoluta del mondo antico, e il Velabro è solo lo sfondo della prima scena, ma una scena fatidica e immortale nei secoli.



LA CHIESA

In un posto così carico di tradizioni non poteva non sorgere una chiesa, se non altro per far capire che le cose erano cambiate e che ora a Roma trionfava la Chiesa con i suoi riti e i suoi santi.
S. Giorgio al Velabro è una bella chiesa affiancata dal cosiddetto Aco di Giano Quadrifronte, e preceduta da un portichetto sorretto da 15 colonne sul cui architrave si leggono i seguenti versi incisi nel secolo XIII:

"Stephanus ex Stella, cupiens captare superna Eloquio rarus virtutum lumine clarus Expendens aurum studuit renovare pronaulum. Sumptibus ex propriis tibi fecit, sancte Georgi. Clericus hic cuius prior ecclesiae fuit huius: Hic locus ad velum prenomine dicitur auri."

(Stefano della Stella, uomo di rara eloquenza e preclaro per fama di virtù, desideroso di conseguire il supremo perdono, cercò di rinnovare il pronaolo con suo denaro, e a sue spese per te, o San Giorgio, fece questo lavoro. Egli fu priore di questa chiesa, che dal luogo ove sorge fu detta del vello d'oro). 

PORTALE DI INGRESSO DI ORIGINE ROMANA

Qui il Velabrum assume ancora un altro significato, quello di "Vello d'oro", che però non si capisce che ci azzecca perchè si tratta di un mito greco che poco riguarda il sito. Il fatto era che si preferiva citare il vello d'oro (velabrum = vellus aureum) piuttosto che perpetrare il ricordo dei due divini gemelli fondatori di una Roma colpevole di essere pagana. 

Invece osservando la chiesa si nota che pavimento, architrave e colonne derivano per lo più da costruzioni romane e di un certo pregio, perchè con marmi preziosi e capitelli finemente lavorati. Di solito le chiese vengono edificate sui luoghi del culto precedente, ma soprattutto a Roma si volle coprire il passato pagano.

La chiesa odierna risulta dall'ampliamento del IX secolo di una chiesa precedente, più volte rimaneggiata, che sorge presso l'arco di Giano, accanto all'arco degli Argentari, nella piazzetta della Cloaca Massima, dove avvenne il ritrovamento di Romolo e Remo da parte della lupa.

L'edificio sacro è costruito sui resti di una casa romana, trasformata in diaconia da Gregorio Magno, quindi fondata da Papa Leone II che la intitolò ai primi martiri san Giorgio e san Sebastiano nel VII secolo. Nell’VIII secolo, Gregorio II la istituì stazione quaresimale del giovedì dopo le Ceneri e papa Zaccaria, proveniente da una famiglia calabrese di origine greca, vi portò dalla Cappadocia la testa del martire Giorgio.

Nel XIII secolo, diventata collegiata, officiata dal clero diocesano, ricevette importanti lavori sulla facciata, dove fu aperto l’oculo e aggiunto il portico, adornato dalla trabeazione con l’iscrizione a caratteri gotici che ne ricorda il donatore, il priore Stefano Stella. Il campanile romanico invece è precedente al portico e si data alla seconda metà del XII secolo.

La chiesa è affidata all'ordine della Santa Croce, ed è chiesa stazionale del giovedì dopo le Ceneri, istituita tale da papa Gregorio II (715-731). Le Messe stazionali dei giovedì di quaresima risalgono all'VIII secolo, e riguardava 89 celebrazioni in 87 giorni in 42 chiese.


L'area originariamente paludosa del Velabro, dalla quale deriva l'appellativo di San Giorgio "in Velabro" o "al Velabro", secondo Marco Terenzio Varrone nel "De lingua Latina" prenderebbe nome dal verbo vehere ("trasportare") o velaturam facere ("traghettare"); in epoca medioevale la sua etimologia fu arbitrariamente cambiata in vellum aureum; nel 1259 è attestata la forma Vellaranum. 

La zona, che si estendeva a nord-ovest del Palatino, contigua al Foro Boario e al vicus Tuscus, sin dall'età repubblicana fu un importante luogo di commercio fino al VI secolo quando divenne religiosa. Nel XVI secolo la chiesa è diventa "San Giorgio alla fonte" per la vicinanza con una fonte di acqua minerale, situata nei pressi dell'arco di Giano.

Nell'Itinerario Salisburgense (620-640), viene citata per la prima volta una «basilica quæ appellatur sci. Georgii», ma la più antica menzione certa è nella biografia di papa Zaccaria (741-752), dove si cita la traslazione della testa del santo nella «venerabili diaconia eius nomini, sitam in regione secunda, ad Velum aureum» dal complesso lateranense ove era stata rinvenuta. 


L'intitolazione al martire sarebbe dovuta alla presenza nell'area, abitata da una fiorente colonia greca, di monaci orientali rifugiatisi a Roma per le persecuzioni iconoclaste e monotelite; san Giorgio, inoltre, «era patrono delle milizie bizantine di stanza nei pressi» del Foro Boario.

Martino I, papa di Roma, convocò il sinodo Lateranense del 649 e condannò l'eresia monotelita per la quale in Cristo esisteva un'unica volontà divina e non umana. L'imperatore fece allora arrestare Martino, lo tenne carcere tre mesi, poi lo espose nudo al pubblico ludibrio per le strade di Costantinopoli e infine lo esiliò. Poi nel 680 l'imperatore Costantino IV Pogonato convocò un concilio ecumenico con cui il monotelismo fu condannato per sempre.

Papa Pio XI e papa Pio XII continuarono la tradizione di concedere indulgenze a chi facesse visita alla chiesa di San Giorgio nel giorno indicato nel Messale Romano. A Roma vi erano ben 88 chiese che celebravano la Messa Stazionale con relative collette e indulgenze.



L'ESTERNO

Situato a sinistra della Chiesa, addirittura inserito con un pilastro a sostegno di essa sorge l'Arco degli Argentari, che nonostante il nome è ad architrave e non ha la forma di un arco. 

ARCO DEGLI ARGENTARI ADIACENTE ALLA CHIESA
Fu eretto sull'antica strada urbana del vicus Jugarium, nel punto in cui si immetteva nella piazza del Foro Boario, dove è l'attuale Piazza Bocca della Verità.

Venne dedicato nel dicembre nel 204, anno della celebrazione dei Ludi saeculares, dal collegio dei cambiavalute e mercanti di buoi del luogo, argentarii et negotiantes boarii huius loci, all'imperatore Settimio Severo e alla sua famiglia: a Caracalla, al cesare Geta, a Giulia Domna, moglie di Settimio Severo, e a Fulvia Plautilla, moglie di Caracalla. 

Dalle iscrizioni furono poi cancellati i nomi di Plautilla, esiliata nel 205 e uccisa nel 211, e di Geta (ucciso nel 212), tutti uccisi per volere di Caracalla e condannati alla damnatio memoriae. 

Si pensa che la dedica includesse anche il prefetto del pretorio Gaio Fulvio Plauziano, caduto nel 205. 

Doveva trattarsi di una porta che dava accesso al Foro Boario, al confine fra tre regioni augustee: la VIII, la X e la XI. Attualmente gli zoccoli di travertino, su cui poggiano i pilastri dell'arco, sono interrati di circa 1 m rispetto al livello stradale. 

Il marmo usato è il marmo bianco del monte Imetto in Grecia. L'architrave orizzontale, tutta di marmo, si suppone di età domizianea.



L'INTERNO

L’interno è a tre navate, scandito da colonne e capitelli di spoglio, con l’altare sopraelevato e il ciborio in marmo sotto il quale si apre la "fenestella confessionis", che permetteva ai fedeli di vedere il sepolcro o le reliquie dei martiri senza toccarli. 

L’affresco che campeggia del catino absidale del 1296 attribuito a Giotto, è invece del Cavallini o della sua scuola. Cristo campeggia al centro: in una mano tiene il rotolo, mentre la destra è sollevata nel gesto tipico dell’adlocutio, come nelle statue degli oratori romani. 

Ai lati Maria e san Pietro e ancora san Giorgio, a piedi accanto al cavallo e con il vessillo crociato, mentre san Sebastiano è vestito di abiti militari e porta lo scudo.



SAN GIORGIO
S. GIORGIO - CRIVELLI

E' citato nella "Passio sancti Georgii", che però già il Decretum Gelasianum del 496 classificava tra le opere apocrife, come originario della Cappadocia (Turchia), nato nel 280. Da non confondere col San Giorgio inglese che nel 1969 venne escluso dal calendario pur lasciandone la festa facoltativa. 

Trasferitosi in Palestina, si arruolò nell'esercito di Diocleziano, comportandosi da valoroso soldato, fino a far parte della guardia del corpo dell'imperatore, divenendo ufficiale delle milizie. 

I genitori lo educarono alla religione cristiana. Giorgio donò ai poveri tutti i suoi averi e, davanti alla corte, si confessò cristiano e rifiutò di sacrificare agli Dei. 

Secondo la leggenda, venne battuto, sospeso, ferito e gettato in carcere, dove ebbe una visione di Dio che gli predisse sei anni di tormenti, tre volte la morte e tre la resurrezione (!!!).

Tagliato in due con una ruota piena di chiodi e spade, Giorgio resuscitò, operando la conversione del "magister militum" Anatolio con tutti i suoi soldati, tutti uccisi a fil di spada. 

Entrò in un tempio pagano e con un soffio abbatté gli idoli di pietra; convertì l'imperatrice Alessandra, moglie di Diocleziano, che venne martirizzata per la sua fede. 

A richiesta del re Tranquillino, Giorgio risuscitò due persone morte da quattrocentosessant'anni, le battezzò e le fece sparire. L'imperatore Diocleziano lo condannò nuovamente a morte e il santo, prima di essere decapitato, implorò Dio che l'imperatore e i settantadue re fossero inceneriti.

Come Dio ebbe esaudita la sua preghiera, Giorgio si lasciò decapitare, promettendo protezione a chi avesse onorato le sue reliquie, le quali sono conservate in una cripta sotto la chiesa cristiana (di rito greco-ortodosso) a Lidda, in Israele.


BIBLIO

- A. De Angeli - Interventi di restauro sui materiali lapidei della chiesa - in AA.VV. - 2002 -
- M.C. Pierdominici - La chiesa e il convento di S. Giorgio in Velabro. Note storiche - AA.VV - 2002 -
- Francesco Sabatini - La Chiesa di S. Giorgio in Velabro - Roma - Filpucci - 1908 -
- Antonio Muñoz - Il restauro della basilica di San Giorgio in Velabro in Roma - Roma - Società Editrice d'Arte Illustrata - 1926 -
- Anna Maria Pedrocchi - Contributi sulle fonti relative a S. Giorgio al Velabro - in Bollettino d'arte - Roma - Istituto Poligrafico dello Stato - 1974 -
- Richard T. John, O.S.C. - San Giorgio al Velabro - Roma -1980 -
- Josef A. Jungmann - The Mass of the Roman Rite: Its Origins and Development (Missarum Solemnia) - Benziger - 1951 -



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