TEMPIO DI GIOVE CAPITOLINO



IL TEMPIO IN EPOCA MONARCHICA

LA FONDAZIONE

Il tempio di Iuppiter Optimus Maximus Capitolinus, chiamato anche aedes Capitolina, o Giove Optimo Massimo, era il più importante di Roma e forse di tutto lo Stato. Fondato neI 575 a.c. sulla cima meridionale del colle Capitolino, fu dedicato a Giove Ottimo Massimo, a Giunone e a Minerva, le altre due divinità della "triade capitolina", e per tradizione fu costruito per sovrastare quello di Iuppiter Latiaris, Giove Laziale, sull'odierno Monte Albano, dal re Tarquinio Prisco.

A Tarquinio infatti si attribuisce la creazione di questo nuovo Giove, rappresentato per la prima volta a Roma in forma umana, vestito con toga regia. Romolo aveva creato il primo tempio di Roma sul Campidoglio, una capanna intitolata a Giove Feretrio, meta delle processioni vittoriose e garante dei trattati, ma la divinità era una selce, un'ascia di pietra, con cui i sacerdoti colpivano un porcellino per sancire i patti fra gli stati.

Il Colle Capitolino, rispetto agli altri colli romani, fu stabilmente abitato molti secoli prima degli altri. Lo testimoniano: le indagini archeologiche condotte nel Giardino Romano, ora Esedra di Marco Aurelio, che hanno consentito di datare l’origine del villaggio del Campidoglio nella Media età del Bronzo (XVII-XIV sec. a.c.). I materiali rinvenuti inoltre testimoniano un abitato sia in età arcaica che in quella del Ferro e del Bronzo. Pertanto solo qui poteva venir costruito il tempio più importante dell'antica Roma.

PRIMA FONDAZIONE DEL TEMPIO
Il Tempio era il più grande monumento esistente sul Campidoglio, davanti a questo sacro edificio terminavano le cerimonie trionfali e vi si svolgevano le assemblee solenni del Senato, oltre ai sacrifici augurali dei nuovi consoli.

Vi erano depositati gli archivi riguardanti le relazioni diplomatiche con i vari popoli ed i Libri sibillini.

Il legame tra culto Capitolinus e culto Albanus era evidente nella cerimonia del trionfo, che su decreto del senato era concesso ai generali romani vittoriosi e celebrato a Roma al ritorno dalle imprese belliche, oltrepassando la porta Triumphalis ed ascendendo con la pompa triumphalis fin sul Campidoglio.

Chi non riusciva ad ottenere il trionfo dal senato, poteva celebrare la cerimonia in monte Albano. È proprio su questo monte che in origine era nato questo genere di cerimonia, di tradizione etrusca, poi trasferita nell'Urbe.

Tarquinio Prisco aveva fatto voto di questo tempio mentre combatteva coi Sabini e sembra che alcune delle sue fondamenta vennero edificate sotto di lui, ma gran parte del lavoro venne fatto da Tarquinio il Superbo, che si dice averlo quasi del tutto completato. Secondo la tradizione c'erano santuari di altre divinità sul luogo destinato a questo tempio, tutte spodestate ad eccezione di Termine ed Iuventas i cui tabernacoli vennero incorporati nel tempio.

Tarquinio Prisco e Tarquinio il Superbo però non videro la fine della costruzione in quanto i Tarquinii vennero cacciati da Roma, infatti il tempio fu inaugurato il 13 settembre del 509 a.c. da Marco Orazio Pulvillo, console repubblicano. Le grandi dimensioni testimoniano però l'importanza di Roma all'epoca dei re etruschi e probabilmente con l'intento di fare di Roma la sede della lega federale latina, sostituendo il tempio di Giove sul monte Albano.

Per i lavori Tarquinio il Superbo, successore di Tarquinio prisco, si servì di artisti e artigiani etruschi, tra cui il Vulca di Veio, l'autore dell'Apollo di  Veio, che realizzò la statua di Giove, il Dio seduto con le insegne della regalità etrusca: corona, scettro, toga purpurea e fascio di fulmini, abiti e insegne poi indossate dai condottieri nei trionfi. L'inaugurazione però avvenne nel 509, esattamente nel I anno della Repubblica, e fu inaugurato dal console M. Horatius Pulvillus. La sua festa infatti si celebrò da allora il 15 settembre, in cui si ricordava la dedicatio del tempio.




RODOLFO LANCIANI

"Flaminio Vacca, allievo di Vincenzo, parla del maestro con evidente simpatia, la quale doveva essere fomentata, oltre che dall'istinto dell'arte, anche dal comune interesse verso le antichità. 

Il Vincenzo conta fra i pochi discesi a curiosare nella voragine mitriaca del Campidoglio {Mem. 19): e deve anche avere preso interesse negli scavi del tempio di Giove Ottimo Massimo, coi marmi del quale egli scolpì « tutte le statue e profeti » della cappella, che il cardinale Federico Cesi faceva costruire nella chiesa di s. Maria della Pace.

COME APPARIVA IN EPOCA MONARCHICA
Q. Aradius Rutìnus Valerius Proculus " nel horto di s. Stephano rotundo, al lato alla chiesa di s. P]rasmo, dove sono state cavate le reliquie dell'atrio di Proculo viro clarissimo, nel cui atrio, nella colonna del peristilio erano istrumenti dei tre contratti scritti in rame " (1684-86). 

Vedi Cod. Bruxell. 4350, f. 6. Le tre tavole contenevano il nome di Q. Aradius Rutìnus Valerius Proculus, preside della provincia Valeria Bizacene nel 321, e quello dei municipii e delle colonie africane che avevano voluto rendergli onore, e perpetuare in varii modi i vincoli di amicizia e di servitù contratti con esso durante la sua gestione della provincia. 

Il piedistallo poi era dedicato a L. Aradius Valerius Proculus, che fu prefetto di Roma nel 337, e console nel 340. Questi scavi ancora a s.Erasmo. La storia di questa insigne tavola di donazione di fondi rustici, che si attribuisce ai tempi di " Sotto Clemente X, (1670-1676) si rincominciò a cavare nel detto luogo e vi furono trovati vestigi delle migliori pitture clic si siano viste in Roma; medesimamente diverse statue e busti nobilissimi, in particolare li due Lucj Veri comprati dal Card, di Ruglione, ed Amore e Psyclie dal Card, de' Medici : oltre ciò diversi marmi mischi, una lucerna nobilissima di metallo, la quale rappresenta la navicella di s. Pietro; oltre altri bellissimi pezzi di anticaglie", (lìart-li. Mem. 54).

Questa insigne lucerna « aggiungo il Bellori nei Commenti alle Anf'che Lucerne del Bartoli p. 11, n. 31 « fu tratta dalle mine del monte Celio, nella vigna de signori Morelli contigua a santo Stefano, dove sono state trovato statue e marmi de' buoni tempi dell' imperio. 

Dimorava in quel tempo in Roma il Caelimontium ducale Leopoldo Medici, che la lucerna portò à Fiorenza con altri rari ornamenti di scoltura ». Una quinta campagna di scavi ebbe luogo nel febbraio del 1711, e fruttò la scoperta della tavola di bronzo n. 1689, che il Bianchini dice essere passata al museo di d. Leone Strozzi, e forse del frammento di base n, 1695 passato al museo Vaticano. 

Tale e tanta fu la ricchezza di questa dimora celimontana degli Aradii, che anche dopo sette devastazioni (410, 1554, 1561, 1653, Clemente X, 1711, Benedetto XIV) sono state trovate negli ultimi disterri tre erme marmoree infisse ancora al loro posto e collocate in modo simmetrico contro i colonnati dell'atrio!




ROMA CAPUT MUNDI

Il tempio fu iniziato da Tarquinio Prisco con un enorme terrapieno cinto da un muro, per il quale venne scavato il territorio circostante. La leggenda, riportata da vari autori, narra del ritrovamento, durante i lavori, di una testa, per qualcuno il teschio del condottiero Aulo Vibenna, ma se così fosse non avrebbe creato tali problemi. Per altri era la testa di una statua.
POSIZIONE RISPETTO ALLE STRUTTURE ODIERNE

Tanto è vero che, narra la storia, vennero convocati auruspici romani, che non ci capirono granchè.

Allora chiamarono gli auruspici etruschi, che però volevano ingannarli, finchè parlò il figlio di un auruspice etrusco e svelò la verità: quella testa significava che Roma sarebbe stata la "caput mundi", il capo del mondo. naturalmente.

Qualcuno ha sospettato che fosse la testa della statua eretta all'antica Dea Tarpeia, da cui la rupe Tarpea, Dea del combattimento e della morte, collegata al taglio e al tarpare e forse è vero, visto che da allora i traditori si punivano gettandoli da quella rupe.

Comunque i testi parlano di "caput humanum integra facie", un capo umano con la faccia integra, quindi non si trattava di un teschio, ma, a meno che non fosse mummificata, difficile da credere, era una testa in pietra o in argilla cotta, una statua insomma, forse di un'antica divinità dimenticata. Che fosse una testa femminile è reso più probabile dal fatto che le fonti più antiche non ne specificano il sesso, se fosse stata maschile di certo sarebbe stato dichiarato senza imbarazzo.



LA DESCRIZIONE

Dai pochi resti gli archeologi ne hanno ricostruito l’aspetto originario, in linea con le informazioni fornite da Vitruvio e da Dionisio, stabilendone la pianta del tempio, che rimase la stessa per le ricostruzioni successive, simile a un tempio greco a pianta rettangolare, quasi quadrata, di m 62 x 54, dimensioni enormi anche oggi, ma soprattutto per l'epoca.

VERSIONI SUCCESSIVE DOPO LA RIEDIFICAZIONE
Si possono ancora vedere sul luogo i resti del podio, caratteristico dei templi romani, per la maggior parte sepolto sotto l’ala del Museo Nuovo dei Musei capitolini.

Girandogli intorno, dall’angolo sud-ovest del podio in via del Tempio di Giove fino all’angolo sud-est in piazzale Caffarelli, se ne rileva che le dimensioni del tempio erano simili a quelle del Pantheon, quindi monumentali.

Per metà era costituito dal pronao con tre file di sei colonne tuscaniche, di tufo, e per l'altra metà dalla cella fiancheggiata da sei colonne per parte e divisa in tre ambienti: al centro Giove, a sinistra Giunone, a destra Minerva. Il pavimento era all’incirca all’altezza della terrazza Caffarelli. All'interno del tempio erano conservati, in una teca di marmo, i Libri Sibillini.

Il tempio aveva una superficie di circa 15.000 m2, il più grande tempio etrusco e italico fino allora conosciuto, un po' come il Partenone ad Atene, alto e dominante sulla città.

STAMPA D'EPOCA DEL TEMPIO
I setti del podio in blocchi di cappellaccio, le cui cave sono caratteristiche nell'uso dell'epoca monarchica, coprono infatti un’area corrispondente all’ampiezza del cinquecentesco palazzo Caffarelli, attualmente annesso al complesso dei Musei Capitolini, che del resto sorse sulle rovine del tempio, e del suo giardino.

Con orientamento verso sud-est, come la maggior parte dei templi romani, in modo che il sole vi battesse il più a lungo possibile sulla facciata, illuminando tempio e statue, era a sei colonne sul fronte, e sei su ogni lato, mentre non aveva colonne sul retro.

Le colonne dovevano essere tuscaniche e a tre file. Su monete e rilievi storici di età imperiale il tempio è però raffigurato però come tetrastilo. La cella era tripartita, con una camera maggiore destinata a Giove e due minori ai lati destinati a Giunone e Minerva.

INTERNI
Si ergeva su un podio alto 13 piedi, con due avancorpi fra i quali si svolgeva una grande scalinata.

Vitruvio riferisce che l'intercolunnio era areostilio, cioè la distanza fra le colonne alla base era uguale o maggiore di quattro volte il diametro delle colonne stesse.

Per la decorazione con statue e fregi di terracotta policroma furono chiamati artisti veienti, perchè all'epoca tra i più valenti, anche molto simili ai Greci arcaici, ma soprattutto perchè i Tarquinii erano etruschi, tra cui lo scultore Vulca, che eseguì la statua di Giove e una quadriga in terracotta sul fastigio. E' di Vulca il celebre Apollo di Veio del tempio di Portonaccio.

Giove assumeva qui una suprema importanza, era il re di tutti gli Dei, come Zeus di Olimpia, ma vestito all'etrusca. Anche il trionfo era una cerimonia etrusca importata da Tarquinio a Roma per esaltare il re che si truccava la faccia di minio per somigliare al Dio.

Davanti al tempio terminavano i cortei trionfali, mentre ad ogni inizio d'anno i nuovi consoli, che iniziavano il loro incarico, svolgevano sacrifici solenni quale segno augurale, e da qui partivano i governatori inviati nelle provincie dell’Impero.

Il piazzale davanti alla facciata del tempio era detto Area Capitolina, o Aedes Capitolina, perchè qui si radunavano i Romani per assistere alla celebrazione del culto officiata dai sacerdoti sull'ara posta come d'uso ai piedi del tempio.

In una lettera di Varrone si parla delle "Favisae Capitolinae", erano delle celle o depositi sotto il tempio del Campidoglio nelle quali venivano custodite le vecchie statue del tempio, sostituite per vetustà, e le offerte votive.



MIGLIORAMENTI E RICOSTRUZIONI

Nel 296 a.c., il frontone venne sormontato da una colossale quadriga bronzea, che sostituì la precedente fittile, si dice realizzata coi proventi delle multe inflitte agli usurai.
"TITO LIVIO (AB URBE CONDITA)
Lo stesso anno gli edili curuli Gneo e Quinto Ogulnio citarono in giudizio alcuni usurai, condannati poi alla confisca di parte del patrimonio; col denaro che le casse dello Stato ricavarono vennero costruite le porte di bronzo del tempio di Giove Capitolino, le suppellettili d'argento di tre mense nella cella di Giove, il rilievo di Giove con le quadrighe sul frontone del tempio". 

PLASTICO DELLA RICOSTRUZIONE DEL 70-80 D.C.
Si narra che la quadriga, plasmata e sistemata nella fornace, si ingrandì miracolosamente: il prodigio venne considerato premonitore della futura grandezza di Roma.

Inoltre il frontone ed il tetto vennero decorati con figure di terracotta, fra le quali una statua di Summanus 'in fastigio' , uno degli attributi di Giove, la cui testa venne staccata da un fulmine nel 275 a.c., e stavolta non fu di buon auspicio.

Un tempo spesso i fulmini si scaricavano sulle statue di bronzo poste in alto sugli edifici, per il semplice fatto che non esistevano nè parafulmini nè antenne della TV.

Nel 192 a.c. vi vennero apposti degli scudi dorati dagli edili curuli Marco Emilio Lepido e Lucio Emilio Paolo. Nel 179 a.c. i censori Marco Emilio Lepido e Marco Fulvio Nobiliore restaurano alcune aree del tempio, forse parti affiancate, le fonti riportano che le pareti e le colonne vennero coperte ancora una volta di stucco, poi nella cella venne posta una pavimentazione a mosaico.
Nel 142 il soffitto venne coperto con lastre di bronzo dorato.

VISTA FRONTALE
Il tempio venne danneggiato dagli agenti atmosferici, soprattutto dai fulmini, distrutto nell' 83 a.c. da un incendio e con esso i Libri sibillini, che vi erano conservati.

Nelle favissae, i passaggi sotterranei, vennero immagazzinate le vecchie statue cadute dal tetto e varie offerte dedicatorie. Il tetto era sostenuto da aquile 'vetere ligno' ed era coperto da piastre del bronzo dorato.

Un denarius dell'epoca mostra Roma in piedi sugli scudi fra due uccelli, con la lupa ed i gemelli a destra e sull'apice la statua di Giove in un quadriga.
Ricostruito e abbellito poi da Tito e Domiziano nell'80, con marmo pentelico per le colonne e bronzo dorato per porte, tegole e fregi.

La ricostruzione in pietra, voluta in seguito da Lucio Cornelio Silla, fu affidata a Quinto Lutazio Catulo che la terminò nel 69 a.c., conservando fedelmente la pianta e l'aspetto precedenti. Secondo alcune fonti Silla fece prelevare per questa ricostruzione le colonne del tempio di Zeus Olimpico a Atene.

Queste colonne, di ordine corinzio, influenzeranno da allora lo stile romano. La statua di Giove, distrutta dall'incendio, fu sostituita nel 65  a.c. da una statua crisoelefantina, scolpita dall'artista ateniese Apollonio, probabilmente sul modello di quella di Zeus ad Olimpia. Sembra Apollonio sia lo stesso autore del Torso di Belvedere firmato "Apollonio figlio di Nestore".

VISTA POSTERIORE
Di questa statua vennero fatte numerose copie inviate ai municipi delle città italiche colonizzate da Roma, e la migliore delle copie sarebbe il Giove di Otricoli, oggi ai Musei Vaticani.

Restaurato nuovamente da Augusto, subì un ulteriore incendio nel 69 d.c., durante le lotte tra i partigiani di Vespasiano e i pretoriani di Vitellio e, dopo essere stato da poco restaurato dallo stesso Vespasiano, sulle sue linee originarie ma ancora più alto.

Venne distrutto da un altro incendio nell' 80 d.c. e fu ricostruito per opera di Tito e Domiziano.

Il tempio era ancora intatto alla fine del IV sec. d.c. e nel VI sec. era ancora una delle meraviglie del mondo. Tuttavia, sembra che nel 571 Narsete rimosse le statue, e molte di loro furono fatte a pezzi. Fu inoltre utilizzato come cava di materiali pregiati, soprattutto dai papi che ne fecero chiese e palazzi, ma pure macinandone le statue e i rilievi marmorei, in odio al paganesimo e per trarne calce.

Verso il XVI sec. i Caffarelli costruirono il loro palazzo sulle rovine del tempio già abbandonato e spogliato di tutto. Così non è rimasto più nulla, se non, al di sotto e intorno al Palazzo Caffarelli, gran parte del basamento del tempio più antico.



I RESTI

Del tempio, di cui si hanno notizie fino alla fine del IV sec., i resti sono purtroppo molto scarsi, sia per la devastante demolizione in epoca cristiana, sia per il crollo di questa parte del Campidoglio.

FONDAMENTA DEL TEMPIO
Ne rimangono tuttavia tre angoli e ampie parti delle sostruzioni in blocchi di cappellaccio, alte fino a 19 filari.

Nell'area del palazzo Caffarelli furono rinvenuti parte della platea e del podio e diversi frammenti della preziosa, ricca e monumentale decorazione marmorea del rifacimento relativo all'età domizianea.

I resti maggiori si vedono all'interno del Museo Nuovo Capitolino, mentre un lato della parte posteriore è di fronte al giardino di piazzale Caffarelli. L'angolo anteriore destro infine si trova sulla via del Tempio di Giove.



PIU' CHE UNA CURIOSITA'

Le quattro bellissime colonne di bronzo dorato che ornano l'Altare del Sacramento della Basilica di San Giovanni, qui poste da Pietro Paolo Olivieri in occasione dell'Anno Santo del 1600, sarebbero quelle originarie del Tempio di Giove Capitolino.

Qualcuno le ritiene provenienti dal Tempio di Gerusalemme, ma sembra impossibile, perchè la fattura è decisamente romana e poi per quanto i romani abbiano eretto templi a Gerusalemme, non avrebbero mai ristrutturato un tempio di un Dio che si riteneva unico abolendo ogni altro Dio. 

Le colonne in pezzo unico e di grande altezza e manifattura si prestavano benissimo, soprattutto rimodernandole (sig!) con una accurata doratura alle colonne, alle basi e fin sui capitelli (quest'ultimi però sono posteriori).


2.18 Il tempio di Giove Capitolino, con la mappa del Campidoglio.

Il basamento, a forma di parallelogramma largo circa 55 metri e di poco più lungo, è costituito da blocchi di capellacciosquadrati approssimativamente, esattamente come alcune porzioni delle mura serviane. La sua superficie e la sua altezza furono ridotte di un terzo, quando i Caffarelli costruirono il loro palazzo nel 1680.

Uno schizzo eseguito all’epoca da Fabretti e pubblicato nel suo volume "De Columna Trajana", mostra ancora i quattordici filari di pietre scomparsi. Una parte dello stesso basamento, scoperta nel 1865 da Herr Schloezer, ministro prussiano presso Pio IX, è di seguito riprodotta

I muri di fondazione, che Plinio e Livio annoverano tra le meraviglie di Roma, sono stati messi in luce, ed in parte lo si sta ancora facendo, sui tre lati del colle che fronteggiano Piazza della Consolazione, Piazza Montanara e la Via di Torre de'Specchi. Sono costruiti in blocchi di tufo rosso, con rivestimento in travertino.

Il rivestimento in travertino è coperto di iscrizioni eseguite in onore della grande divinità romana da Re e Nazioni del mondo intero . Non si può non acquisire un nuovo senso della grandezza e della potenza di questa città dopo aver letto questi documenti storici.

Queste iscrizioni sono state trovate perlopiù ai piedi della sostruzione, sul lato verso Piazza della Consolazione. Le ultime, trovate nelle fondazioni di Palazzo Moroni, contengono messaggi di amicizia scritti da Mitridate Philopator e Mitridate Philadelphos del Ponto, da Ariobarzane Philoromaeus della Cappadocia e da Atena sua regina, dalla provincia della Licia, da alcune comunità della provincia della Caria, etc.

BASILICA DI SAN GIOVANNI - COLONNE DI GIOVE CAPITOLINO


RODOLFO LANCIANI - TEMPIO DI GIOVE CAPITOLINO

"Per quanto riguarda i resti veri e propri del tempio, la colossale colonna scoperta il 7 novembre del 1875 nel giardino dei Conservatori, non è l’unica salvatasi dalla distruzione. Flaminio Vacca, lo scultore e appassionato di archeologia del XVI sec., dice:

"Sotto la rupe Tarpea, dietro il Palazzo de'Conservatori, si trovarono diverse colonne di marmo pentelico (marmo statuale). I loro capitelli sono così enormi che da uno di essi ho scolpito il leone ora a Villa Medici. Gli altri furono usati da Vincenzo de’Rossi per scolpire i profeti e le altre statue che adornano la cappella del Cardinal Cesi nella chiesa di S. Maria della Pace. Credo che le colonne appartenessero al tempio di Giove. Non sono stati trovati frammenti della trabeazione ma, dato che l’edificio era così vicino alla rupe Tarpea, sospetto che debbano essere caduti nella piana sottostante".

La correttezza di questa ipotesi è dimostrata non solo dalla scoperta dell’iscrizione dedicatoria in Piazza della Consolazione, nominata precedentemente, ma anche da quello che avvenne nel 1780 quando il duca Lante della Rovere stava scavando le fondazioni di una casa al n 13 di Via Montanara. Le scoperte sono così descritte da Montagnani:

"(Si trovarono) trabeazioni marmoree di enorme dimensione e stupenda fattura con festoni e bucrani
nel fregio. Nessuno si prese la briga di farne degli schizzi: vennero distrutti sul posto. Non ho dubbi che appartenessero al tempio visto dal Vacca sul Monte Tarpeo, 186 anni fa".

Tutte queste indicazioni, messe in relazione alla scoperta del basamento, delle sostruzioni e della colonna di marmo pentelico nel giardino dei Conservatori, non lasciano dubbi circa la reale posizione del tempio di Giove. A quel pezzo di marmo dobbiamo l’opportunità ed il privilegio di porre fine ad una disputa sulla topografia romana durata almeno tre secoli.

Il tempio, ricostruito da Domiziano, rimase intatto fino alla metà del V secolo. Nel giugno del 455, i Vandali, guidata da Genserico, saccheggiarono il santuario; le sue statue furono portate via per adornare la residenza africana del re e metà del tetto fu privata delle sue tegole in bronzo dorato.

Da quel momento il luogo fu usato come cava di pietre e calcara di marmi a tal punto che solo quel frammento di colonna rimase sul posto a testimoniare la dimensione della distruzione. Un altro pezzo di marmo pentelico fu trovato il 24 gennaio del 1889 vicino al Tullianum (S. Pietro in Carcere).

Appartiene alla parte superiore di una colonna ed ha lo stesso numero di scanalature, ventiquattro. Questo frammento sembra essere stato segato sul posto alla misura desiderata, 2 m e 10 cm, e poi trascinato giù per la collina verso la bottega di qualche taglia pietre. Perché fu poi abbandonato a metà strada in una buca o fossa scavata all’uopo, non è dato sapere.

Il tempio di Giove è rappresentato in antichi monumenti classificati come “rilievi pittoriali”. Ho scelto per la mia illustrazione uno dei pannelli dell’arco trionfale di Marco Aurelio, vicino S. Martina, perché contiene una buona rappresentazione del frontone con Giove seduto tra Giunone e Minerva. La rappresentazione del tempio è approssimativa, visto che il numero delle colonne è ridotto della metà: da otto a quattro."

(Rodolfo Lanciani)


BIBLIO

- Plinio - Naturalis historia - III -
Eutropio - Breviarium ab Urbe condita - I -
- Vitruvio - De architectura - III -
- Ovidio - Fasti - I
- Francesco Galluccio - " Il mito torna realtà. Le decorazioni fittili del Tempio di Giove Capitolino dalla fondazione all'età medio repubblicana" - "Campidoglio mito, memoria, archeologia" - a cura di Claudio Parisi Presicce e Alberto Danti - (catalogo mostra, Musei Capitolini, 1º marzo - 3 luglio 2016) - Roma 2016 -



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