TREBULA MUTUESCA - MONTELEONE (Lazio)



L'ANFITEATRO
«Una sola, imponente, è la coorte Amiterna, e i prischi Quiriti,
e tutta la schiera d'Ereto e Mutusca, la ricca d'olivi;
e chi la città di Nomento, e chi la Rosea e il Velino,
chi l'irte rupi di Tétrica abita e il monte Severo,
Casperia e Foruli e l'Imella scorrente...»

(Eneide, lib. VII, vv. 710-714)

La città sabina di Trebula Mutuesca, (o Trebula Mutusca) citata da Publio Virgilio Marone nell'Eneide, si trovava nel Lazio, in provincia di Rieti, nel territorio dell'attuale paese di Monteleone Sabino, a 496 metri di altitudine sul livello del mare, sulle propaggini meridionali dei monti Sabini, a circa 60 km da Roma.

Plinio il Vecchio menziona due popoli trebulani: Trebulani qui cognominantur Mutuscaei, et qui Suffenates. Il sito antico è locato a Monteleone Sabino, un villaggio a circa 3 km a destra della Via Salaria , tra Osteria Nuova e Poggio San Lorenzo.

Qui emergono notevoli rovine dell'antico centro romano, tra cui quelle di un teatro, di bagni o terme e parti dell'antica pavimentazione. Diverse iscrizioni sono state trovate, alcune delle quali portano il nome della sua gente, Plebs Trebulana, Trebulani Mutuscani e Trebulani Mut., cosa che toglie ogni dubbio sull'attribuzione del sito.


Virgilio descrive Mutusca come abbondante di olive ( oliviferaeque Mutuscae), che ancora caratterizza Monteleone Sabino, e un villaggio vicino che porta addirittura il nome di Oliveto.

I lavori di scavo dal 2000 ad oggi hanno portato alla luce il portico del tempio di Feronia che un tempo era caratterizzato da muri periferici di breccia, originariamente realizzati in legno, successivamente sostituiti da muri di travertino e mattoni.

Non si conosce l'origine del suo nome che secondo alcuni deriverebbe da trabes, che secondo alcuni significa casale, ma in realtà significa "trave", termine strano per un paese. Dato invece che in zona venne ritrovato un tempio della Dea Angizia, detta anche la Dea Muta, non escludiamo che il nome Mutuesca, o Mutusca, possa derivare dall'appellativo della Dea.

Nel IV secolo a.c. in questa località sorgeva un santuario, dedicato alla Dea Feronia, Dea di origine italica, protettrice prima della natura selvaggia (Potnia Theron) e poi dei boschi e delle messi, celebrata dai malati e dagli schiavi riusciti a liberarsi, dalla malattia e dalla schiavitù.

L'ISCRIZIONE DI TREBULA
Il santuario era situato nella attuale zona di Pantano, frequentato probabilmente dalle popolazioni che abitavano in capanne sulle alture vicine. Ma si formò un vero e proprio villaggio solo dal secolo successivo, sorto dalla frequentazione del santuario che offriva souvenir, cibo e alloggio ai devoti pellegrini che accorrevano dalle varie località per onorare e supplicare la Dea, tanto più che il santuario era abbastanza vicino alla via Salaria.

Quando la Sabina venne associata a Roma si svilupparono i commerci, la popolazione crebbe e si radunò in centri abitati più grandi fino a che, nel I secolo a.c. sorse un'autentica cittadina, con il Foro, i templi, la basilica, le terme e gli altri edifici pubblici.

L'IMMAGINE DELLA DEA DI TREBULA
"Trebula Mutuesca, cioè Monteleone Sabino in provincia di Rieti, sorgeva alla confluenza di due grandi vie naturali, quali la Salaria e la valle del Tevere: si tratta dunque ancora una volta di un centro nodale di scambi, oltre che area di contatto tra Sabini, Equi e il comparto faliscoe capenate. 

Il santuario doveva costituire il punto di aggregazione per il sistema insediativo trebulano, che sembra consistesse in piccoli nuclei sparsi. Anche in questo caso, successivi restauri sembrano confermare che il culto fu in vigore per diversi secoli. 

Da questo edificio proviene la iscrizione CIL I 1834, su un elemento di colonna che menziona elementi architettonici quali colonne e crepidine. Nelle immediate vicinanze del santuario in loc. Pantano, nei pressi dell’attuale chiesa di S. Vittoria, venne rinvenuta una stipe votiva, con materiali databili tra la metà del IV gli inizi del III secolo. 

Sin dalla scoperta la stipe è stata considerata connessa al santuario, e dunque al culto di Feronia, che in tal modo risulterebbe già presente nella seconda metà del IV secolo. 

Si può essere piuttosto certi che il culto della Dea a Trebula fosse originario: anche in questo caso infatti, troviamo il ricorrere di elementi tipici. Si è già evidenziata la collocazione lungo grandi vie di percorrenza. Inoltre, la già ricordata centralità del santuario per l’intera area ne fa un luogo la cui importanza deve presumibilmente affondare le radici in epoche remote.

Infine anche in questo caso l’elemento acqua è decisamente presente, come testimoniano le condotte idriche collegate al Pozzo di S. Vittoria presente nella chiesa e le cui acque hanno peraltro un ruolo importante nella leggenda della santa."


(Massimiliano Di Fazio - I luoghi di culto di Feronia. Ubicazioni e funzioni)

CORRIDOIO SOTTERRANEO

IL MUSEO DI MONTELEONE

La parte degli oggetti nelle vetrine centrali apparteneva al deposito votivo e sono databili tra IV e III secolo a.c., a questi si aggiungono reperti dalla città, soprattutto d'epoca imperiale; i pezzi in pietra sono tutti riferibili alla Trebula romana, e vanno dal I secolo a.c. al IV secolo d.c.

All'ingresso, dopo il leone in pietra calcarea bianca, che originariamente sorvegliava l'accesso ad un sepolcro romano del I secolo a.c., si osserva i primi tre pannelli che inquadrano geologicamente e storicamente l'area della Media Sabina, riportando anche i passi degli autori antichi che menzionano Trebula e la zona limitrofa (Virgilio, Stradone, Plinio il Vecchio, ecc.). 

Sul lato opposto altri tre pannelli fanno riferimento all'epoca preromana, con particolare descrizione dei più locali, come quelli dedicati ad Angizia e Feronia, e al deposito votivo rinvenuto presso la chiesa di S. Vittoria, indagato negli anni 1958 e 1980, cui sono riferibili i materiali contenuti nelle vetrine attigue.

EDIFICIO ROMANO IN OPUS RETICULATUM
Le vetrine sono allestite tipologicamente:
- alcune teste in terracotta, tra le quali spiccano quella di uomo con velo e la figura femminile, con alcuni particolari dipinti, come la collana e i lunghi orecchini a catenella.
- Nel ripiano inferiore si notano alcuni esemplari rifiniti a stecca, mentre un'altra risente dell'influsso della scultura magnogreca.
- Nella vetrina B è particolarmente importante la statua di bambino rozza ma efficace.
- Nel ripiano inferiore sono conservati vari animali votivi, bovini ed equini.
- In alto, alcune ceramiche di uso domestico.

La vetrina C contiene, oltre a piatti e vasi di uso comune (scodelle coperchi e piccoli contenitori) un nutrito campionario di arti votivi in ​​terracotta, fra cui si nota un piede con calzatura, un altro molto ben rifinito, una mano stilizzata.


La vetrina D conserva materiali di varie origini e cronologie, tra cui spiccano molti vasi “una vernice nera”: per lo più coppe e ciotole, anche con stampi di fabbrica e graffiti eseguiti dopo la cottura al forno.
Nel ripiano inferiore ci sono anche altri oggetti d'uso comune come lucerne a olio e pesi da telaio  oltre a piccoli oggetti di bronzo, come un cinturino da cinturone e un sigillo inciso.
Nella sezione di Trebula Mutuesca in epoca romana:

- i pannelli storico-descrittivi e alcuni reperti scultorei, come un rilievo raffigurante un gladiatore vittorioso, 
- un altro con scena di combattimento, 
- il torso di una statua di un personaggio con un mantello militare, 
- una statua togata acefala. 
- Una ricca decorazione a motivi vegetali ad altorilievo entro cassettoni posta originariamente all'interno di un arco, 
- la parte inferiore di una scultura che raffigura il sacrificio di un toro.


Nella seconda sala vi sono i reperti provenienti dai più recenti scavi:
- due pezzi in marmo dall'area dell'anfiteatro: un frammento di statua panneggiata e un capitello ben lavorato, ambedue di epoca imperiale.
- In fondo alla sala una grandiosa iscrizione in marmo, ottimamente conservata e restaurata, che ricorda il rifacimento dell'anfiteatro avvenuto nel 115 d.c., sotto l'impero di Traiano.
- Nella vetrina a destra dell'epigrafe alcuni frammenti di statua in bronzo, tra cui spiccano un piede calzato e una mano, più grande del vero.

EPIGRAFE DI TITO MALTINIO
Dall'area del tempio provengono vari oggetti in metallo, fra cui un paio di pinzette in bronzo; interessante anche una scelta di marmi colorati che decorano vari edifici di Trebula Mutuesca e una serie di lucerna in terracotta databili al V secolo, rinvenuta recentemente negli scavi della catacomba sotto la chiesa di Santa Vittoria.

Nella sezione successiva, epigrafica:
- alcune iscrizioni latine e viene raffigurata e commentata la Lex Familiae Silvani, lunga epigrafia che riporta lo statuto di un'associazione religiosa del I sec. d.c.
- un'epigrafe con dedica ad un Rufus,
- una lapide funeraria che ricorda Tito Maltinio, morto da poco più di un anno,
- quattro pannelli ricordano la nascita, nel periodo medievale, del paese di Monteleone Sabino, nonché lo sviluppo, sin dall'epoca tardo-romana, del culto per la giovane Vittoria, martirizzata e sepolta presso Trebula, nel luogo dove dapprima sorse un piccolo cimitero a catacomba e poi, nell'VIII secolo, una chiesa che assunse l'aspetto romanico nel XII secolo.



SANTA VITTORIA - DEA VICTORIA

Vi era a Trebula Mutuesca un tremendo dragone il cui sbuffo pestifero faceva morire uomini ed animali. L'imperatore Domiziano in persona si recò nel posto dove era stata esiliata Vittoria, e la pregò di salvare la città dal drago.

Però il suo aspirante consorte dopo tre anni la denunciò al pontefice del Campidoglio perchè non voleva sposarsi in quanto destinata al Cristo, pertanto cristiana. Rifiutatasi di adorare una statuetta della Dea Diana, venne trafitta con la spada. Domiziano che va in un paesino a pregare una fanciulla di uccidere un "dragone" lascia un po' interdetti.

E' evidente che si tratta di uno stereotipo di santa che deve essere necessariamente martire, che deve uccidere il solito drago e che deve rifiutare il matrimonio per essere "vergine e martire" secondo la classica dicitura.

Probabilmente fu la solita sostituzione di una divinità pagana con un santo cristiano, in questo caso della Dea Victoria (la greca Dea Nike) che evidentemente era adorata in loco e aveva qui il suo santuario, tanto è vero che sono stati trovati molti reperti sotto la chiesa. Probabilmente vi era un santuario dedicato alla Dea.





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