PATRIZI E PLEBEI




Il conflitto tra patrizi e plebei, ovvero, nelle fazioni tra optimates e populares, fu uno scontro politico basilare nell'antica Repubblica romana, per il desiderio e senso del diritto della plebe di raggiungere le più alte cariche governative e la parità politica, onde assicurarsi un trattamento equo e non di sfruttamento.



PATRIZI E PLEBEI

Fin dalla nascita della Repubblica la popolazione di Roma era divisa in due parti: il patriziato e la plebe e le teorie su questa suddivisione sono diverse:
- una sostiene che i patrizi fossero i discendenti dei primi senatori e i plebei i clienti dei patroni patrizi;
- un'altra che i patrizi fossero i Latini, abitanti del Palatino e i plebei i Sabini insediati sul Quirinale ed entrati a far parte della società in un secondo tempo e pertanto in una condizione di inferiorità;
- oppure che i patrizi fossero i grandi proprietari terrieri e i plebei i ceti emergenti economicamente tenuti in una condizione di inferiorità;
- secondo la tradizione fu a Romolo a creare cento senatori (patres), i cui discendenti furono detti patrizi, e tutti gli altri erano plebei; 
- per altri le gentes patrizie erano antiche organizzazioni politiche, anteriori alla civitas; quindi i patrizi sarebbero i membri (gentiles) di queste genti unitesi a formare la civitas originaria; 
- per altri ancora, i patrizi sarebbero sorti dalla solidarietà di interessi di famiglie divenute ricche e potenti, e anche piuttosto imparentate.

Di solito avviene che divengano più potenti le famiglie che si impiantano per prime nella fondazione di una città, che solitamente per ragioni di difesa formano un gruppo coeso, e che poi si arroccano sancendo dei privilegi verso i nuovi arrivati che cercano di insediarsi successivamente. Le dinamiche della psicologia dei gruppi, ben studiate e illustrate dallo psicoanalista britannico Wilfred Ruprecht Bion (1897- 1979), valgono anche per gruppi più estesi, dove si osserva che gli appartenenti al primo gruppo realizzano un senso di intrusione nei nuovi arrivati coalizzandosi contro di loro.

Le cause dei contrasti sociali tra le due parti furono comunque di natura sia economica che politica, essendo chiaro per i plebei che se non si riscattavano politicamente non avrebbero neppure ottenuto un'equità economica. Tito Livio, nella sua Ab Urbe Condita, narra che i patrizi, una volta preso il potere esecutivo detronizzando Tarquinio il Superbo e cacciando definitivamente la monarchia nel 509 a.c., stabilirono di limitare ai soli componenti del loro ordine il governo annuale della città con il titolo di console.

Pertanto la plebe era la "classe inferiore" base della economia e della milizia e ai patrizi erano riservate tutte le magistrature, l'accesso esclusivo ai collegi sacerdotali e al Senato. Peggio ancora: i patrizi usarono contro i plebei l'istituto del "nexum" per portare i debitori alla schiavitù, favorendo il loro ordine nelle cause contro i plebei e annullando le decisioni dei comizi centuriati. 

Le continue guerre di Roma con i popoli vicini rendevano spesso impossibile alle famiglie agricole plebee, private dei maschi della famiglia per il lavoro dei campi, pagare i debiti che contraevano per sopravvivere durante la loro assenza. Così i patrizi si prendevano le terre e li facevano schiavi. I Patrizi in definitiva erano gli unici ad avere l'accesso al potere, in virtù del fatto che erano i soli a poter prendere gli auspicia.

La caduta dei Tarquini ed i mutamenti nel quadro internazionale della prima metà del V sec. a.c., ebbero pesanti ripercussioni nella situazione economica di Roma. La sconfitta subita dagli Etruschi per opera di Ierone di Siracusa nella battaglia navale combattuta nelle acque davanti a Cuma, nel 474 a.c., portò al crollo del dominio etrusco in Campania, causando un grave danno per Roma, prosperata grazie alla sua funzione di punto di passaggio sul Tevere, lungo la via commerciale che conduceva dall'Etruria alle città etrusche della Campania. 



LE XII TAVOLE

Le leggi, fino al 450 a.c. circa, quando vennero promulgate le XII tavole da parte dei Decemviri, erano tramandate per tradizione orale da un pater familias al successore e solo i patrizi avevano accesso a questa conoscenza. Non c'è da stupirsi, era il mondo tribale in cui i guerrieri più potenti comandavano nella tribù, con un capo che, come tra gli animali, era il più forte, o il più aggressivo o, nel caso più fortunato, magari il più esperto.

Era quel mondo barbarico  che i romani poi esecrarono e mutarono, dove il capo famiglia aveva diritto di vita e di morte su moglie figli, come fu all'inizio della civiltà romana, perchè non essendoci leggi scritte vigeva la legge del più forte.

Le XII Tavole in realtà non introdussero grandi novità, perchè i Decemviri si sarebbero limitati a redigere per iscritto gli antichi mores, cioè i costumi vigenti in quell'epoca, possederne le iscrizioni significava però che i patrizi non potessero rigirarsele a loro vantaggio.



ESTRATTI  DALLE  XII TAVOLE

Tavola I (procedura civile)
- Se (l'attore) lo cita in giudizio, (il convenuto) ci vada. Se non ci va, (l'attore) chiami dei testimoni. Quindi lo afferri.
- Se la malattia o l'età avanzata sono un impedimento, gli sia dato un mulo. Se non lo vuole, non gli sia data alcuna lettiga.
- Se ambo i contendenti sono presenti, il tramonto sia il limite ultimo del processo.

Tavola II (procedura civile)
- Grave malattia... o un giorno stabilito contro il nemico... se qualcuno di questi è un impedimento per il giudice o qualsiasi partito, quel giorno i procedimenti devono essere sospesi.
- Uno che cerca testimonianza da un assente deve gridare davanti alla sua porta ogni quarto giorno.

Tavola III (procedura esecutiva)
- Per un debito riconosciuto, una volta emessa sentenza regolare, il termine di legge sarà di trenta giorni.
- Dopo ciò, ci sia l'imposizione della mano (manus iniectio) e il debitore sia trascinato in giudizio. 
- Se il debitore non paga la condanna e nessuno garantisce per lui, il creditore può portare via con sé il convenuto in catene. Lo può legare con pesi di almeno 15 libbre. 
- Il debitore può sfamarsi come desidera. Se egli non riesce a sfamarsi da solo, il creditore deve dargli una libbra di grano al giorno. Se vuole può dargliene di più.
- Al terzo giorno di mercato, (i creditori) possono tagliare i pezzi. Se prendono più di quanto gli spetti, non sarà un illecito.
- Nei confronti dello straniero, è perpetuo l'obbligo di garantire la proprietà della merce.

Tavola IV (genitori e figli)
- Un bambino chiaramente deformato deve essere ucciso.
- Se un padre vende il figlio per tre volte consecutive perde la patria potestas su di lui. 

Tavola V (eredità)
- Se una persona muore senza aver fatto testamento, il parente maschio prossimo erediterà il patrimonio.
- Se questo non c'è erediteranno gli uomini della sua gens.
- Se qualcuno impazzisce, il suo parente più prossimo maschio e i gentili avranno autorità su di lui e sulla sua proprietà. 

Tavola VI (proprietà)
- Quando taluno fa un nexum o una mancipatio, come solennemente pronuncia, così sarà il suo diritto (cioè il tenore e la portata del diritto dipenderanno esattamente dalle parole proferite).
- Nessuno deve spostare travi da edifici o vigne.

Tavola VII (mantenimento delle strade)
- Mantengano le strade: se cadono in rovina, i passanti possono guidare le loro bestie ovunque vogliano.
- Se la pioggia fa danni [...] la questione sarà risolta da un giudice.

Tavola VIII (illeciti)
- Se una persona mutila un'altra e non raggiunge un accordo con essa, sia applicata la legge del taglione.
- Coloro che hanno cantato un maleficio.
- Chiunque rompa l'osso di un altro, a mano o con un bastone, deve pagare trecento sesterzi se è un libero; centocinquanta se è uno schiavo; se abbia commesso altrimenti offesa la pena sia di venticinque.
- Chi si appropriasse con la magia del raccolto o il grano di un altro...
- Se avrà tentato di rubare nottetempo e fu ucciso, l'omicidio sia considerato legittimo.
- Se di giorno [l'omicidio è legittimo], se [il ladro] si sarà difeso con un'arma [e se il derubato avrà prima tentato] di gridare aiuto.
- Se un patrono (cittadino autorevole in genere patrizio, con legame di patrocinio, ossia di protezione, con i clientes) froda il cliente (cittadino che, per la sua posizione svantaggiata nella società, è costretto a ricorrere alla protezione del "patronus"), sia condannato alla sacertà (sanzione giuridico-religiosa che determinava un'infrazione della pax deorum.
Quest'ultima era un'espressione del diritto penale romano, nel periodo regio, per indicare una situazione di concordia tra la comunità dei cives e le divinità della religione romana; ad es. disonorava i vincoli sociali e religiosi tra patronus e cliens, o tra tribuno della plebe e gli altri magistrati. 
Questi, condannato alla maledictio, secondo le leges sacratae, era consacrato a Giove e il suo patrimonio era consacrato a divinità plebee, garantendo l'impunità a colui che uccidesse il colpevole.
- Chi sia stato chiamato a testimoniare o a pesare con una bilancia, se non testimonia, sia disonorato e reso incapace di ulteriore testimonianza.
- Se una lancia sfugge dalla mano o viene lanciata per sbaglio (uccidendo qualcuno ndt), si sacrifichi un ariete.
Tavola IX (principi del processo penale e controversie)
- Non devono essere proposte leggi private a favore o contro un singolo cittadino (privilegi). 

Tavola X (regole per i funerali)
- Quando un uomo vince una corona, o il suo schiavo o bestiame vince una corona per lui.
- Nessun morto può essere cremato né sepolto in città.
- Nessuno deve aggiungere oro (a una pira funebre). Ma se i suoi denti sono tenuti insieme dall'oro e sono seppelliti o bruciati con lui, l'azione sia impunita. »

Tavola XI (matrimonio)

- È vietato il matrimonio fra plebei e patrizi.

Tavola XII (crimini)
- Se uno schiavo ha commesso furto o un male [...].
- Se qualcuno abbia portato in giudizio una falsa vindicia (il pretore?) dia tre arbitri, e paghi il doppio (del bene?) e dei frutti.

Le XII tavole furono un passo in avanti per i plebei, perchè le interpretazioni delle leggi, e perfino la decisione di quale fosse il giorno giusto per il dibattimento di una causa, restavano in mano ai patrizi attraverso i collegi degli auguri che decretavano i "giorni fausti" e i "giorni infausti".

D'altra parte anche le leggi delle XII tavole non portarono che miglioramenti limitati. La fissazione su bronzo e l'apposizione del testo alle colonne del tempio resero necessario definire anche una serie di altre decisioni accessorie, i giorni infausti, dovettero essere ben definiti e in quei giorni era chiusa ogni attività forense. Queste leggi, inoltre, rimanevano molto discriminatorie nei confronti della plebe. Basti citare la legge che vietava il matrimonio fra componenti dei due ordini e che fu abrogata dopo pochi anni con l'approvazione, fra immani contrasti, della Lex Canuleia nel 445 a.c.



LA MILIZIA

La distinzione tra patriziato e plebe significò per molti una coincidenza tra patriziato e cavalleria, da un lato, e plebe e fanteria, dall’altro. Ma per altri si identifica con i patrizi e i loro clienti il populus (cioè il popolo in armi), riservando invece alla plebe una funzione ausiliaria.
Se così fosse non si spiegherebbe l’impoverimento economico che faceva decadere tra la plebe tante famiglie patrizie impoverite, come dimostra la decadenza numerica dei patrizi: delle circa 130 genti note alle fonti antiche non ne rimanevano, sul finire della repubblica, che 14 con circa 30 famiglie. 

L’esercito romano era infatti composto per la maggior parte da cittadini-agricoltori e a causa delle continue guerre di Roma con i popoli vicini le famiglie plebee, che si mantenevano grazie al lavoro svolto dal capo-famiglia e dai figli maschi nei campi, non riuscivano a parare i debiti contratti per sopravvivere durante l’assenza dei maschi impegnati in guerra. Come già detto, attraverso il nexus i patrizi si impadronivano delle terre e rendevano in stato di schiavitù i contadini-combattenti e le loro famiglie.

Essendo gli unici a poter godere del diritto di diventare magistrati e senatori, partecipare ai comizi, ottenere cariche sacerdotali, i patrizi finirono per abusare della loro posizione utilizzando, ad esempio, il nexus per rendere in schiavitù la classe plebea. Populus e plebe finirono per essere identificati, in contrapposizione al gruppo dei patrizi.

PATRONUS CHE RICEVE CLIENTES - Gustave Boulanger


LE SECESSIONI

In questa situazione di oppressione i plebei riuscirono ad ottenere l'istituzione del tribuni della plebe, la cui autorità per proteggerli dagli eccessi dei patrizi fu da questi accettata. Queste prime forme di emancipazione furono ottenute anche attraverso la secessione, cioè la decisione di uscire in massa dalla città e di non rientrarvi fino alla soddisfazione delle richieste. Questo rese impossibile la chiamata della leva militare contro i confinanti e sempre pronti nemici e il patriziato dovette accettare questa diminuzione del potere quasi assoluto.

La protesta dei plebei fu dunque di lasciare la città, non svolgere più i loro compiti (sia civili che militari) e ritirarsi sul Monte Sacro o, per un'altra tradizione, sull'Aventino. La secessione preoccupò molto i patrizi, soprattutto per l'esercito. Menenio Agrippa decise, allora, di andare a parlare con i plebei, garantendogli che molte delle loro rivendicazioni sarebbero state soddisfatte ed i plebei accettarono di fermare la protesta.

La plebe ottenne l'istituzione dei tribuni della plebe eletti durante i Concili della plebe. Inizialmente solo solo due, successivamente fino a dieci. Non molto tempo dopo ai plebei fu, come conseguenza, aperto l'accesso alle cariche di dittatore, censore e pretore. Compito dei tribuni era "prestare soccorso" ai cittadini che si rivolgevano a loro contro abusi di potere da parte dei patrizi; proprio per questo la porta della casa dei tribuni era sempre aperta, giorno e notte. 



IL DIRITTO DI VETO

Altro potere dei tribuni era il "diritto di veto" sui decreti emanati da altri magistrati o sulle delibere del senato considerate lesive per la plebe e per i cittadini. Allo stesso modo, le decisioni di un tribuno della plebe potevano essere annullate o sospese da altri magistrati.
 
Fu dichiarata un'altra secessione risolta da Quinto Ortensio, plebeo, che nominato dittatore riuscì a riportare i plebei in città. Dopo poco tempo fu approvata la legge Ortensia, proposta dal dittatore, con cui i plebei ebbero il riconoscimento giuridico delle loro assemblee popolari, i concili della plebe, che cambiarono il nome in comizi tributi, cioè comizi del popolo riunito per tribù.



I PLEBISCITI

Le delibere dei comizi tributi, formati da maggioranza plebea, presero il nome di plebisciti e divennero vincolanti sia per i plebei che per i patrizi. Da quel momento cessarono le differenze politiche tra i due Ordini e verso la fine della repubblica si assistette a passaggi di membri dall'Ordine dei patrizi all'Ordine dei plebei in quanto ai plebei era consentito di salire a tutte le cariche mentre ai patrizi non era consentito essere eletti tribuni della Plebe. 

La crisi politica che portò al termine del conflitto degli ordini avvenne nel 287 a.c. quando gli agricoltori, nonostante una legislazione ormai imponente, ancora impossibilitati a restituire i debiti per aver partecipato alle guerre, chiesero al Senato di essere sollevati dal gravame finanziario, ma senza esito.

La secessione che ne seguì fu dichiarata e venne risolta da Quinto Ortensio, plebeo che, nominato dittatore, riuscì a riportare i plebei in città in un modo che ci è sconosciuto. Probabilmente ci fu la promessa di una legge adeguata e, infatti, poco dopo fu approvata la "Lex Hortensia" che dava uguale peso ai decreti del Senato e alle assemblee della plebe. Da quel momento cessarono le differenze politiche fra i due ordini anche se rimasero distinte certe forme, per lo più esteriori.

Addirittura, come già detto, verso la fine della Repubblica si assistette a casi di passaggi di membri del patriziato all'ordine plebeo; famoso quello di Publio Clodio Pulcro in quanto, mentre ai plebei era concesso di salire a tutte le cariche, ai patrizi non era consentito essere eletti tribuni della plebe e ciò, paradossalmente era una limitazione delle possibilità del cursus honorum. Non a caso Giulio Cesare, seppure di gens patrizia, si iscrisse e militò nel partito dei Populares, cioè della plebe.

Rimasero tuttavia sempre patrizi il rex sacrorum, i tre maggiori dei flamines e dei salii, gli interreges, il princeps senatus, ma essendo naturalmente esclusi dalle magistrature plebee, i patrizi erano in certo modo in condizioni di inferiorità rispetto alla plebe.



LE LEGGI IN FAVORE DEI PLEBEI

509 a.c. - Lex Valeria de provocatione - rogata dal console Publio Valerio Publicola per cui la pena capitale di un condannato a morte poteva essere cambiata in altra pena per decisione popolare.

V sec. a.c. - I "Fasti" riportano numerosi casi di consoli con nomi plebei  quando l'accesso alla carica doveva, da tradizione, essere riservato ai patrizi.

496 a.c. - secessione sul Monte Sacro - la plebe riuscì a far riconoscere i propri diritti ed a far eleggere i propri rappresentanti, i tribuni della plebe. Ai tribuni della plebe spettarono le seguenti prerogative:
la sacrosanctitas, ovvero l'inviolabilità personale,
lo ius auxilii, cioè il diritto di aiuto nei confronti di un uomo della plebe,
la intercessio, ovvero il diritto di veto contro i decreti dei magistrati.367 a.c. - le leggi Licinie-Sestie riservavano ai plebei uno dei posti di console e aprirono quindi anche le altre magistrature.

471 a.c. - Lex Publilia Voleronis - Istituzione dell'elezione dei tribuni della plebe da parte dei comizi tributi (che comprendevano sia patrizi che plebei)

454 a.c. - Lex Icilia - Concessione di terre ai plebei. Dichiarava ager publicus l'Aventino.

451 a.c.
- il senato richiede ad una commissione di dieci persone, i decemviri (di cui tre sono gli esperti che avevano studiato le leggi straniere), di redigere in forma scritta le leggi civili e penali in modo ordinato e preciso.
Il decinvirato sostituì tutte le magistrature ordinarie per tutto l'anno, sia della plebe che dei patrizi, ed era formato da: Appio Claudio, Tito Genucio, Publio Sestio, Lucio Veturio, Gaio Giulio, Aulo Manlio, Publio Sulpicio, Publio Curiazio, Tito Romilio e Spurio Postumio.

450 a.c. - il senato rinnovò il mandato dei decemviri, inserendovi altri cinque membri plebei. Sempre in questo anno Appio Claudio, nobile e ambizioso uomo politico, assunse la direzione della commissione, con lo scopo di far diventare stabile tale concilio, instaurando una tirannide.

449 a.c. - Leggi delle XII Tavole, il Senato sciolse la commissione e ripristinò le magistrature ordinarie. La plebe ottenne leggi scritte, incise su dodici tavole di bronzo, esposte nel Foro così che tutti possono consultarle. Le Leggi delle XII Tavole riconoscono, per la prima volta a Roma, l'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge e la certezza del diritto. 

421 a.c. - Anche la plebe può accedere alla questura

367 a.c. - Leges Liciniae Sextiae promulgate da Gaio Licinio Stolone e Lucio Sestio, per cui uno dei due consoli poteva essere eletto fra i componenti dell'ordine plebeo. 

343 a.c. - Lex Genucia - almeno uno dei due consoli doveva essere plebeo

339 a.c. - Lex Publilia Philonis De Plebiscitis - Si stabilisce che un plebiscito può avere valore di legge, qualora il Senato abbia concesso la propria preventiva auctoritas.

326 a.c. - Lex Poetelia-Papiria - Abolizione della schiavitù per debiti

300 a.c - Il plebiscito Ogulnio aumentò i pontefici da 4 a 8, stabilendo che 4 fossero plebei, mentre gli auguri passarono da 4 a 9, dei quali 5 dovevano essere plebei. 

287 a.c. - Lex Hortensia de Plebiscitis - fu promulgata durante la Repubblica, dal dittatore Quinto Ortensio a seguito di un ennesimo conflitto tra patrizi e plebei.
La legge imponeva che le deliberazioni prese durante il Concilium plebis (concilio della plebe) dovessero vincolare tutto il popolo romano, per cui i Plebiscita (le decisioni dei concilia plebis tributa), vennero equipararte alle leges rogatae, le deliberazioni dei comitia centuriata.

149 a.c. - Lex Atinia - Tribuni della plebe automaticamente promossi al Senato.

91 a.c. -
Il tribuno della plebe Marco Lucio Druso, propone una riforma del senato, una riforma agraria e la concessione della cittadinanza agli italici. Uccisione del tribuno.

88-84 a.c. - il tribuno della plebe Publio Sulpicio Rufo promuove un'alleanza tra cavalieri e popolazione che genera la guerra civile fra Mario e Silla.

58 a.c. - Lex Clodia de capite civis Romani - Prevedeva l'esilio per chi avesse condannato un cittadino romano senza aver concesso la Provocatio ad popolum cioè senza accordargli la possibilità di appello al popolo

58 a.c. - Lex Clodia de iure et tempore legum rogandarum - Liberava l'attività dei comizi da tutti i limiti derivanti dagli "auspici"

45-44 a.c. - Lex Cassia - provvedimento emanato nel 137 a.c., che allargò lo scrutinio segreto dalle assemblee elettorali (Lex Gabinia, 139 a.c.) alla corte circa la concussione.

30 a.c. - Lex Saenia
Queste attribuirono rispettivamente a Cesare e ad Augusto la facoltà di elevare i plebei al patriziato, facoltà divenuta in seguito censoria e come tale assunta da Claudio, Vespasiano e Tito; scomparsa la censura, la facoltà rimase agli imperatori.
Nel frattempo si andava diffondendo la pratica del clientelato, attraverso il quale la plebe poteva essere facilmente controllata dai patrizi ed essere dunque usata come strumento politico. 

Successivamente le leggi si occuparono di risollevare le sorti degli schiavi e dei servi, ma non si parlò più di patrizi e plebei perchè ormai, aldilà delle ricchezze personali (e talvolta i liberti diventavano più ricchi degli optimates), la parità legislativa tra patrizi e plebei era fatta.


BIBLIO

- Giovanni Rotondi - Leges publicae populi Romani. Elenco cronologico con una introduzione sull'attività legislativa dei comizi romani - Milano - Società Editrice Libraria - 1912.
- Paul Krüger - Studi critici nel regno del diritto romano - 1870
- Theodor Mommsen - Digesta, recogn. - 1889.
- J.Carcopino - La vita quotidiana a Roma all'apogeo dell'Impero - Laterza - Bari - 1971.
- Diritto romano - thes.bncf.firenze.sbn.it, - Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze.
- Corpus Inscriptionum Latinarum (CIL).
- Salvatore Di Marzo - Manuale elementare di diritto romano - Utet - Torino - 1954.



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