CULTO DI PORTUNO - PORTUMNUS



MATER MATUTA E PORTUNO (LEUCOTEA E PALEMONE)

"Leucothea Grais, Matuta vocabere nostris; in portus nato ius erit omne tuo, quem nos Portunum, sua lingua Palaemona dicet
("tu sarai chiamata Leucòtea dai Greci, e dai nostri Matuta, e il potere sui porti sarà interamente di tuo figlio, che noi diremo Portuno, e la nella sua lingua originaria Palèmone").
(Publio Ovidio Nasone, Fasti, VI)

Secondo Dumézil, i termini latini portus e porta (da cui il nome del Dio) deriverebbero da una radice indoeuropea *protu- da cui nella lingua iranica avestica discenderebbe peretu, cioè "passaggio", di "ponte" e anche di "guado".
Però secondo il linguista Giuliano Bonfante, e il linguista e storico delle religioni Georges Dumézil, Portuno sarebbe stato il Dio degli attraversamenti d'acqua e dei guadi, quando gli antenati dei Latini vivevano in villaggi di palafitte nell'area centro-europea, dove l'accesso al villaggio sarebbe stato un porto (per l'attracco delle imbarcazioni) e una porta (l'entrata del villaggio).

Portuno, ovvero Portumnus, era il Dio romano dei porti e delle porte, che in seguito venne identificato con il Dio greco Palemone, detto anche Melicerte, anch'egli protettore dei porti, assorbendone anche i miti, cosicché  Portuno ebbe come madre Leucotea, la Dea Bianca, trasferita sulla Dea Mater Matuta.

Così la Dea italica Mater Matuta aveva un figlio, appunto Portumnus, proprio nel suo aspetto di Dea marina, una delle qualità della Dea. Sembra infatti che una statua della Dea col figlioletto Portumnus in braccio fosse stata deposta a Roma proprio nel tempio di Portumnus, che venne dedicato proprio il giorno dei Portunalia. 

LEUCOTEA - CASTELLO DI SANTA SEVERA

PALEMONE - MELICERTE

Palemone figlio di Leucotea va identificato con Melicerte, figlio di Atamante e di Ino, divinizzato da Poseidone sotto il nome di Dio Palemone. In quanto Dio dei porti, i Romani lo assimilarono a Portuno.
Così Portuno (latino Portunus o Portumnus) è il Dio romano dei porti e delle porte. I Romani lo assimilarono al dio greco Palemone, in quanto anch'egli Dio dei porti.

Dapprima chiamato Melicerte, fu il mitico figlio di Atamante, re dei Mini in Orcomeno, e di Ino, una mortale figlia di Cadmo ed Armonia, che fu la seconda moglie di Atamante e divenne madre di Learco e Melicerte. Secondo la leggenda venne gettato nell’acqua bollente dal padre o dalla madre impazziti.

Poi Ino, rinsavita, lo trasse fuori e si gettò con lui in mare e venne trasformata nella divinità marina Ino-Leucotea, mentre Melicerte assunse il nome di Palemone dopo essere stato trasformato in un Dio marino, Portunus per i Romani, Dio propizio ai naviganti.

TEMPIO DI PORTUNO - ROMA

Il TEMPIO DI PALEMONE

Il tempio,  secondo Varrone, si trovava presso il Ponte Emilio, come indicano alcuni antichi calendari romani. Nel calendario di Capranica infatti si legge: "Portuno ad pontem Aemiliano ad theatrum Marcelli"; in quello di Amiterno: "Feriae Portuno Portun... ad pontem Aemilium".

Dunque la divinità era collegata al porto fluviale che si trovava negl'immediati paraggi, nella zona ora occupata oggi dall'edificio dell'Anagrafe, ed era pseudoperiptero (dove il colonnato si riduce a una fila di semicolonne o di paraste, aggettanti dalle pareti). 

Scavi recenti hanno rivelato l'esistenza, a un livello più basso, di una fase precedente del tempio, attribuibile al IV o al III sec. a.c. Il tempio, che volta le spalle al foro Boario, è uno dei pochi dell'età repubblicana arrivato integro. 

Il suo culto pubblico era curato a Roma da uno dei dodici flamini minori, il flamine portunale, (Flamen Portunalis) che era il sacerdote preposto al culto del Dio Portuno (Portumnus), protettore dei porti e del commercio marino.

DIO PORTUMNUS

IL FLAMINE E LA FESTA

- Nel calendario di Capranica si legge:" Portuno ad pontem Aemiliano ad theatrum Marcelli";
- Nel calendario di Amiterno si legge: "Feriae Portuno Portun... ad pontem Aemilium".

Del flamine portunale sappiamo solo che in occasione dei Portunalia del 17 agosto svolgeva la funzione di ungere le armi (o più precisamente l'asta) della statua di culto di Quirino nel suo tempio sul Quirinale. Dice infatti Festo che "persillum uocant sacerdotes rudusculum picatum ex quo unguine flamen Portunalis arma Quirini unguet". Il persillum era un vaso impeciato di terracotta nel quale era conservato l'unguento usato per questa operazione.

La sua festività era denominata Portunalia e si celebrava il 17 agosto. Nel tardo calendario di Filocalo, l'autore nel 354 di un calendario romano giunto fino ai nostri giorni, dove la festa del 17 agosto è chiamata Tiberinalia, nome derivato dall'essere celebrata al Porto Tiberino, dove si trova il tempio di Portuno.



LA CERIMONIA

Negli Scholia Veronensia si legge che durante la cerimonia dei Portunalia si gettassero delle chiavi nel fuoco, secondo alcuni si sarebbe trattato di portare le chiavi nel Foro per un sacrificio di espiazione, ma non sembra molto attendibile perchè appare come un rito di purificazione. 
- Secondo l'edizione curata da Heinrich Keil sembra che si gettassero delle chiavi nel fuoco; 
- secondo quella di Angelo Mai invece si sarebbero portate le chiavi nel Foro per un sacrificio di espiazione. 

In ogni caso le chiavi avrebbero avuto una parte nella festa, forse come simbolo della casa da purificare.
"huius dies festus Portunalia, qua apud veteres claves in focum addere prope more institutum
(G. Vaccai, Le feste di Roma antica, Roma, Edizioni Mediterranee, 1986)
Secondo altri ancora si gettavano in acqua le chiavi del tempio che poi venivano ripescate.

Nell'iconografia Portuno veniva rappresentato con le chiavi in mano, in quanto protettore delle porte. Secondo Giuliano Bonfante e Georges Dumézil. Nel tardo calendario filocaliano, la festa del 17 agosto venne chiamata Tiberinalia, nome derivante dal Porto Tiberino, dove si trovava appunto il tempio di Portuno.

Nella Roma dei Cesari, il tempio, prossimo al Tevere, era eretto tra due portici e venne un tempo attribuito falsamente alla Fortuna Virile, alla cui Dea Servio Tullio dedicò un tempio proprio nel Foro Boario, ma era la dedica più antica, trasformata poi in Mater Matuta con figlio Portunus in braccio, e infine dedicata al solo Dio Portunus. 

Il tempio di Portuno era stato dedicato proprio il giorno dei Portunalia, secondo quanto riferito da Varrone, e si trovava presso il Ponte Emilio, come indicano alcuni antichi calendari romani. Nell'Eneide, Portuno viene invocato da Cloanto durante la gara delle navi e il Dio risponde spingendo la nave in avanti.

 


FLAMEN PORTUNALIS

Il flamine portunale (Flamen Portunalis) era il sacerdote preposto al culto del Dio Portumnus, protettore dei porti e del commercio marino.

Il culto pubblico di Portuno, essendo un culto di stato, era curato a Roma da uno dei dodici flamini minori, il flamine portunale. La sua festività era denominata Portunalia e si celebrava il 17 agosto, in quanto era stato dedicato in quel giorno.

Del flamine portunale sappiamo solo che in occasione dei Portunalia del 17 agosto svolgeva la funzione di ungere le armi (o più precisamente l'asta) della statua di culto di Quirino nel suo tempio sul Quirinale. 

Dice infatti Festo che "persillum vocant sacerdotes rudusculum picatum ex quo unguine flamen Portunalis arma Quirini unguet". Il persillum era un vaso impeciato di terracotta nel quale era conservato l'unguento usato per questa operazione.

Kurt Latte aveva escluso che potesse trattarsi del flamine Portunale sostenendo trattarsi invece del flamine Quirinale, ma Georges Dumézil fece osservare come il significato di questa operazione sia quello del mantenimento in efficienza delle armi di Quirino, che ben si accorda con il suo carattere di Mars tranquillus e la funzione di Portuno di guardiano delle porte (oltre che dei porti) ben si accorda con l'intervento del suo flamine sulle armi di Quirino. 

Inoltre la vicinanza delle due divinità e quindi del flamine Portunale è dimostrata anche dalla raffigurazione di Portuno con le chiavi in mano e dall'epiteto di Custos dato a Quirino.

TEMPIO DI PORTUNO A ROMA


IL DIO DEI NAVIGANTI

"Portunalia si dicono da Portuno cui in quel giorno fu dedicato un tempio nel porto del Tevere, ed istituita una festa".
(Marco Terenzio Varrone, De lingua latina, VI, 19)

Nell'Eneide, Portuno viene invocato da Cloanto, compagno di Enea, durante la gara delle navi e il Dio risponde spingendo la nave fino alla vittoria, pertanto è anche Dio dei naviganti: "et pater ipse manu magna Portunus euntem impulit" ("il padre stesso Portuno con grande mano sospinse la nave in corsa") (P. Virgilio Marone, Eneide, V, 241). 

Come attesta M. Terenzio Varrone, si trovava presso il Ponte Emilio, come del resto indicano alcuni antichi calendari romani.
Portuno sarebbe stato in origine il Dio degli attraversamenti d'acqua, cioè dei guadi, ai tempi in cui i Latini vivevano nei villaggi di palafitte sulla riva del fiume, per cui l'accesso al villaggio sarebbe stato contemporaneamente un porto (per l'attracco delle imbarcazioni) e una porta (per l'entrata al villaggio), ma la cosa è solo una supposizione.

PORTUMNUS


LE PORTUNALIA

Nella festa delle Portunalia i sacerdoti iniziavano la processione di buon'ora con delle barche inghirlandate che scorrevano sul Tevere dove le acque venivano benedette, per la buona navigazione e già che c'erano pure per la pesca. Vi partecipavano dunque i marinai romani che combattevano sulle navi, ma pure gli addetti al porto e i pescatori.

Le ghirlande venivano poi gettate nel Tevere e seguiva poi la cerimonia ai piedi del tempio Portuno dove venivano gettate nel fuoco le chiavi del tempio e venivano, non bruciati, ma grigliati sui numerosi bracieri preparati all'occorrenza sempre ai piedi del tempio, una lunga serie di pesci che venivano poi divisi tra la popolazione. In pratica un cibo benedetto.

Seguiva poi la sfilata delle barche da pesca a loro volta inghirlandate con i marinai che cantavano e bevevano fino a notte quando si accendevano le torce e il Tevere notturno s'illuminava come le sue rive. Sembra che per l'occasione si lanciassero in acqua vari amuleti che proteggessero le navi romane dagli attacchi nemici. la festa terminava quando si spegnevano le fiaccole.

TEMPIO DI PORTUNO RIDEDICATO A S. MARIA EGIZIACA - PIRANESI


S. MARIA EGIZIACA

Il tempio romano di Portuno è di epoca repubblicana, situato a Roma nell'attuale piazza della Bocca della Verità, dove anticamente si trovava il Foro Boario, poco distante dal Tempio di Ercole e dal più antico Porto Tiberino. È uno degli edifici dell'antica Roma perfettamente conservati. Per molto tempo venne chiamato "Tempio della Fortuna Virile" e fu identificato solo negli anni venti con il tempio dedicato al Dio Portuno, ricordato da Marco Terenzio Varrone.

Il tempio è tetrastilo, cioè con quattro colonne in facciata, di ordine ionico, e a pianta pseudoperiptera, ossia con colonne libere anteriormente in corrispondenza del pronao e semicolonne in prosecuzione addossate all'esterno del muro della cella.

Le colonne del pronao e quelle collocate agli angoli della cella sono in travertino, le altre in tufo dell'Aniene di colore rossastro. Probabilmente anticamente le parti in tufo, come spesso si usava, erano intonacate per ricreare visivamente l'effetto del marmo.

"Huius dies festus Portunalia, qua apud veteres claves in focum add(ere prope) more institutum" (G. Vaccai, Le feste di Roma antica Roma, Edizioni Mediterranee, 1986)

PORTUNO A FORMA DI CHIAVE
La costruzione dell'attuale edificio è stata datata dai materiali rinvenuti nelle fondazioni all'80-70 a.c., ma esistono anche tracce di fasi precedenti.


Nella fase più antica, datata tra la fine del IV e gli inizi del III secolo a.c., presentava un lungo podio in tufo di Grottaoscura, collegato, nel corso del III secolo a.c. al ponte Emilio da un ponticello in muratura. 

Il tempio era circondato un recinto sacro, che tuttavia subì modifiche intorno alla prima metà del II secolo a.c., con il rialzamento del terreno, sicuramente artificiale, dovuto ad una sistemazione degli argini del Tevere.

Da un'epigrafe scoperta nel 1571 si ricava che l'antico tempio romano venne trasformato in chiesa sotto il pontificato di papa Giovanni VIII, nell'872 dedicato a Maria Vergine.

La chiesa fu detta Sanctae Mariae in Secundicerio, perché affidata alle cure di Stefano Stefaneschi, giudice e secundicerio, il secondo più importante personaggio della corte di Giovanni VIII. 

La chiesa è chiamata anche Sanctae Mariae de gradellis, ma l'archeologo Mariano Armellini attribuisce questo nome ad un'altra chiesa posta nel circo Massimo, i cui gradoni di accesso sarebbero all'origine del nome; secondo altri sarebbe invece da attribuire proprio a codesta chiesa, e le "gradellae" sarebbero le gradinate di accesso al Tevere.

Il nome di Santa Maria Egiziaca (santa egiziana del III secolo) occorre per la prima volta in un catalogo del 1492 e diventa comune nei cataloghi del XVI secolo.



LA SANTA

Nata attorno al 344 ad Alessandria d'Egitto, Maria fuggì di casa a 12 anni guadagnandosi da vivere elemosinando e  prostituendosi. A 29 anni incontrò un gruppo di pellegrini che si imbarcavano per Gerusalemme e si unì a loro pagando con il suo corpo. Giunta in città nella Festa della Croce, fu impedita dal recarsi nella Basilica da una forza ignota. 

Pregò davanti alla Madonna e solo dopo riuscì ad entrare e adorare la Croce di Gesù. Una voce le disse «se attraverserai il fiume Giordano, ritroverai quiete e beatitudine». Vi si recò e si immerse, iniziando un cammino di penitenza per il deserto per 47 anni, nutrendosi solo dell'erba trovata nel cammino. 

Un monaco di nome Zosimo, la incontrò: molto magra, nuda e con lunghi capelli bianchi come la lana. Accettando il mantello per coprirsi, Maria gli raccontò la sua vita ricevendo l'Eucaristia. Zosimo promise di tornare nello stesso luogo l'anno successivo e tornò, come promesso, trovando la santa morta, con addosso lo stesso mantello dell'anno precedente. Leggenda vuole che la sua tomba fu scavata da un leone con i suoi artigli.



LA CHIESA DEGLI ARMENI

Papa Pio V, nel 1571, concesse la chiesa agli Armeni che avevano perso la loro chiesa a causa della costruzione del ghetto e che la tennero fino al 1921. Clemente XI (1700-1721) fece restaurare ed abbellire la chiesa, con l'ospizio annesso, ove alloggiavano i pellegrini armeni.



RITORNO AL TEMPIO PAGANO

Negli anni Venti del XX secolo la chiesa fu sconsacrata per il ripristino dell'antico tempio romano e gli arredi furono trasferiti dal 1924 nella chiesa di San Nicola da Tolentino, la nuova chiesa nazionale armena; l'annesso ospizio dei pellegrini Armeni fu demolito nel 1930. L'inserimento della struttura ecclesiastica mantenne intatto l'esterno del tempio; internamente sono ancora visibili gli antichi affreschi altomedioevali che narrano la storia della santa.


BIBLIO

- Carlo Buzzetti, s.v. - Portunus, aedes - in Eva Margareta Steinby - Lexicon Topographicum Urbis Romae - IV - 1999 -
- Publio Ovidio Nasone - Fasti - VI -
- Graves, Richard Perceval - Robert Graves and The White Goddess - 1940-85 - Londra: Weidenfeld and Nicolson - 1995 -
- Cesare Santus - L'accoglienza e il controllo dei pellegrini orientali a Roma. L’ospizio armeno di Santa Maria Egiziaca - Mélanges de l’École française de Rome - Moyen Âge - 2019 -
- Giuseppe Lepore (a cura di) - Santa Maria in Portuno nella valle del Cesano - Percorsi di Archeologia - Bologna - 2006 -
- G. Vaccai - Le feste di Roma antica - Roma - Edizioni Mediterranee -1986 -
- Georges Dumézil - Feste romane - Genova - Il Melangolo - 1989 -


0 comment:

Posta un commento

 

Copyright 2009 All Rights Reserved RomanoImpero - Info - Privacy e Cookies