LE NAVI ROMANE RITROVATE



NAVI ROMANE DA GUERRA
Ecco una panoramica non esaustiva delle navi romane reperite in Italia nelle varie epoche. Non esaustiva sia perchè alcuni ritrovamenti sono ancora al lavoro sia perchè la maggior parte delle navi romane giace ancora sul fondo, dato il traffico enorme nei secoli dei secoli dell'impero romano.

Il Mare Nostrum, a cui è stato mutato il nome, piuttosto banale, in Mediterraneo, cioè che sta in mezzo alle terre, è ancora tutto da scoprire, anche presso le coste. Il Mare Nostrum invece era il nostro mare, il mare dell'impero romano, che era tale in tutte le coste del Mediterraneo, sentirlo "nostrum" avrebbe dato un senso di maggiore unità ai suoi popoli, ma pure un senso di appartenenza alla più gloriosa civiltà che sia mai apparso sul globo terrestre.

LE NAVI DI NEMI

LE NAVI ROMANE DI NEMI

Le Navi di Nemi sono due navi imperiali romane attribuibili all'imperatore Caligola, affondate sul fondo del lago di Nemi, recuperate in una impresa archeologica condotta dal 1928 al 1932. Il recupero fornì uno dei contributi più importanti alla conoscenza della tecnica navale romana.

Il lago di Nemi, detto "Lo specchio di Diana", si trova a circa 30 chilometri a sud di Roma, sui Colli Albani, abitata fin dalla preistoria. Qui in epoca romana qui sorgeva il Tempio di Diana Aricina, grande centro religioso. La leggenda dell'esistenza di due grandi navi sommerse sul fondo del lago, forse custodi di favolosi tesori, veniva tramandata dagli abitanti del luogo e supportata dai recuperi casuali dei pescatori.

OPERAZIONI DI RECUPERO DI UNA NAVE ROMANA
È noto quanto Caligola, il terzo imperatore di Roma, morto assassinato a 29 anni per mano dei suoi stessi pretoriani, e di cui nel 2012 è stato celebrato il bimillenario della nascita (12 a.c.), fosse legato al Santuario di Diana a Nemi, uno dei più importanti luoghi di culto dell'antichità.

«Caligola ebbe un rapporto preferenziale con il Santuario - riflette la Ghini - le due famose navi ancorate nel lago, lunghe oltre settanta metri e larghe venti, avevano una doppia funzione: la prima era una nave palazzo, con cui dalla sua villa sul lago l'imperatore poteva raggiungere il Santuario, la seconda una nave cerimoniale, a bordo della quale sono stati rinvenuti oggetti di culto».

Nel XV secolo, il Cardinale Prospero Colonna fece recuperare alcune fistole di piombo con iscritto il nome di Caligola che permisero la datazione delle navi.

Nel 1535, il bolognese Francesco De Marchi fece un tentativo avvalendosi di una specie di campana. Fu riportato in superficie "tanto legname da caricarne due muli".

ANCORA ROMANA
Nel 1827, a opera del Cavalier Annesio Fusconi, si riprende l'esplorazione del fondo del lago con una campana di Halley.

 Vengono recuperate pezzi di pavimento in porfido e serpentino, smalti, mosaici, frammenti di colonne metalliche, chiodi, laterizi e tubi di terracotta.

Nel 1895 un provetto palombaro per conto dei principi Orsini individua una delle navi e recupera una bellissima testa di leone in bronzo.

Su indicazione dei pescatori, viene localizzata anche la seconda nave che fornisce altro abbondante materiale.

La presenza dei reperti testimonia dell'adibizione del lago a sede di riti sacri, anche se sulle navi rinvenute si è congetturato un uso orgiastico, oggi si pensa fossero invece cultuali per le celebrazioni di Diana.

Il recupero delle navi, attuato dal governo fascista, fu un'opera mastodontica che richiese, in un tempo di quasi 5 anni 1928 - 1932, l'abbassamento del livello del lago per mezzo di idrovore.

A partire dal Rinascimento si prova a riportare alla luce le imbarcazioni con conseguenze drammatiche sugli scafi, perchè ne devastano le strutture, asportando reperti e legname. Le navi sono troppo grandi e pesanti per essere ripescate, ma di questo ci si renderà conto solo alla fine dell'Ottocento.

TESTA DI LEONE IN BRONZO DELLA NAVE DI NEMI
Il primo tentativo conosciuto risale al 1446, quando il cardinale Prospero Colonna, signore di Nemi, incarica del recupero l'architetto Leon Battista Alberti. 

Il resoconto dell'impresa è narrato da Flavio Biondo nella sua Italia illustrata: grazie ad alcuni esperti nuotatori genovesi, si esplora la nave più vicina a riva, determinandone distanza e profondità; poi se ne tenta vanamente il recupero con una piattaforma galleggiante munita di corde e uncini.

ANCORA IN LEGNO CON CEPPO DI PIOMBO
Nel 1535, il bolognese Francesco De Marchi compie una serie di immersioni, di cui dà conto nella sua opera Della Architettura Militare. 

Utilizzando una speciale campana di legno munita di oblò in vetro, che protegge la parte superiore del corpo lasciando libere gambe e braccia e permettendo la respirazione, De Marchi determina le dimensioni dello scafo più vicino a riva e il suo stato di conservazione.

Passano tre secoli. Il 10 settembre 1827 il cavaliere Annesio Fusconi al cospetto di un folto pubblico, utilizzando una campana di Halley dotata di una pompa d'aria, raggiunge i relitti e asporta marmi, smalti, mosaici, frammenti di colonne metalliche, laterizi, chiodi. Il legname recuperato viene poi utilizzato per realizzare souvenir (sigh!). 

Il maltempo interrompe i lavori, il materiale recuperato viene depredato e il Fusconi abbandona l'impresa. Pubblica i risultati del suo lavoro in un volume dal curioso titolo Memoria archeologico-idraulica sulla nave dell'imperatore Tiberio, pubblicato a Roma nel 1839.

L'ultima operazione prima dell'intervento dello Stato è quella condotta da Eliseo Borghi nel 1895, intervento condotto su incarico della famiglia Orsini e autorizzato dal Ministero della pubblica istruzione. Grazie al lavoro di un palombaro viene riportata alla luce la bellissima ghiera in bronzo di un timone, lavorata a rilievo con una testa di leone. 

Vengono riportati alla luce anche attrezzi e oggetti, pilastrini in bronzo, protome ferine, tegole in rame dorato, mosaici, lastre in porfido, laterizi ma anche rulli sferici e cilindrici, testimonianza delle conoscenze tecniche romane, che fanno ipotizzare la presenza sulle navi di piattaforme girevoli. 

RICOSTRUZIONE NAVE A
La maggior parte del materiale recuperato viene acquistato dal Museo Nazionale Romano, ma molti altri reperti prendono la strada del mercato antiquario. Resosi conto dello scempio, il Ministero della pubblica Istruzione fa cessare i tentativi di recupero, che stavano demolendo gli scafi e, con la collaborazione del Ministero della Marina, inizia le ricerche scientifiche necessarie. 

L'incarico viene assegnato all'ingegnere Vittorio Malfatti, tenente colonnello del Genio Navale, che nel corso dell'anno 1895-96 identifica  posizione e stato delle due navi, esegue il rilievo generale del lago ed esplora la parte accessibile dell'emissario. 

L'ANCORA A CEPPO
Scarta intelligentemente il sollevamento diretto degli scafi, optando invece per un abbassamento del livello delle acque del lago, dato il canale di epoca romana già esistente all'uopo. La relazione ottiene consensi ma non se ne fa nulla. 

Nel 1926 viene istituita una nuova commissione incaricata dello studio del recupero: ne fanno parte periti, archeologi e ingegneri, sotto la guida dell'archeologo e senatore Corrado Ricci. 

La commissione approva l'opera di Malfatti e concorda sullo svuotamento parziale del lago fino a 22 metri di profondità per mezzo dell'emissario.

Dovranno seguire poi le indagini archeologiche sulle navi emerse, l'esplorazione del fondo del lago alla ricerca di reperti, il sollevamento degli scafi e il loro ricovero in un museo da realizzarsi appositamente. 

Il 9 aprile 1927, in un discorso alla Reale Società Romana di Storia Patria, il Capo del Governo Benito Mussolini annuncia il piano di recupero delle navi sommerse.

TIMONE ROMANO
Il direttore generale della società ingegnere Guido Ucelli, Costruzioni Meccaniche Riva di Milano, specializzata nella produzione di pompe e turbine idrauliche, offre al governo mezzi e opera per il compimento dell'impresa.

Così le società Costruzioni Meccaniche Riva, Elettricità e Gas di Roma, Laziale di Elettricità si riuniscono per costituire il Comitato Industriale per lo scoprimento delle Navi Nemorensi.

Si impegnano con il governo per lo svuotamento del lago a mezzo di un impianto idrovoro che scarichi le acque attraverso l'emissario già utilizzato dagli antichi romani per regolare il livello delle acque, evitando così si sommergere il santuario di Diana.

Si parte dallo scavo della vasca di scarico per le pompe e di un nuovo canale in Valle Ariccia per il deflusso delle acque al mare; il canale dell'emissario però è franato in più punti e ostruito dai materiali. 

Vengono impiantati due cantieri: il primo all'imbocco dell'emissario, il secondo in Valle Ariccia. 

In quattro mesi, da giugno a ottobre 1928, grazie all'impiego di 70 operai organizzati su tre turni di otto ore ciascuno, si asportano i detriti, si allarga la galleria, se ne rettifica il percorso, si livella la pavimentazione. 

Il 20 ottobre 1928 Mussolini avvia lo svuotamento del lago, mettendo in funzione l'impianto idrovoro. Sulla sponda del lago dove si trovano le tubazioni aspiranti ci sono degli spostamenti del terreno che richiedono il consolidamento della sponda mediante palafitte.



LA LEGGENDA

La leggenda delle due navi favolose in fondo al lago che custodivano tesori, venne accreditata ogni tanto dal ritrovamento di strani reperti da parte dei pescatori del lago. Le navi, fatte costruire dall'imperatore Caligola, vennero poi distrutte alla sua morte nel 41 d.c., per ordine del Senato di Roma che aveva avversato l'imperatore.


LE NAVI ROMANE

Sulla riva del lago, costruito negli anni ‘30 per proteggere gli antichi scafi, è il primo museo al mondo creato in funzione del contenuto.

Il museo delle navi di Nemi è un doppio hangar di calcestruzzo delle dimensioni esatte per le due navi lunghe circa 70 metri. Il progetto fu realizzato dall'ottimo arch. L. Morpurgo, lo stesso che costruì la vecchia teca dell'Ara Pacis.

Dopo il malaugurato incendio del ’44 rimase chiuso a lungo. Recentemente è stato ristrutturato in tutta la sua bellezza dalla Soprintendenza Archeologica del Lazio, ed ospita un tratto dell’antica Via Sacra, i modelli in scala 1:5 delle navi sulla base dei disegni, il materiale scampato all'incendio, reperti del Tempio di Diana e, davanti all’entrata, il profilo di una delle navi, recentemente ricostruita dai maestri d’ascia dei cantieri navali di Torre del Greco.

Il 28 marzo 1929 affiorarono le strutture più alte della prima nave, ed emergono armi, monete, decorazioni, attrezzi, ami da pesca, chiavi. 

Ormai abbassato il livello delle acque di 22 metri, la prima nave è completamente emersa e a fine gennaio 1930 affiora la seconda. che viene recuperata alla fine del 1932. Successivamente viene costruito il Museo delle Navi romane, un capolavoro progettato dal grande architetto Vittorio Ballio Morpurgo. Nel 1935 viene ricoverata la prima nave e nel 1936 la seconda. Il museo viene inaugurato nella festa nazionale del Natale di Roma, il 21 aprile 1940.

SCULTURA ROMANA CHE RIPRODUCE UNA NAVE ROMANA

LA DESCRIZIONE

Datate all'epoca dell'imperatore Caligola (37 - 41 d.c.), la bellezza delle imbarcazioni, delle loro decorazioni e degli arredi, e soprattutto la collocazione in un lago, le denotano come navi cerimoniali, per le feste religiose relative al sacro luogo di Nemi.

 Le navi erano realizzate legno di pino, di abete e di quercia. La carena all'esterno (la parte dello scafo che può essere immersa) era rivestita da un tessuto in lana imbevuto di pece e altro, poi ricoperta da fogli in piombo tenuti da una fitta chiodatura.

Il primo scafo misurava 71 m in lunghezza e 20 in larghezza; il secondo 75 m in lunghezza e 29 in larghezza, caratterizzati dalla presenza di lunghi bagli (travi che uniscono le opposte murate di una nave) posti a distanze regolari, forse atti a portare fuori bordo le scalmiere (alloggi incavati dei remi).

Sono state ritrovate due grandi ancore: una in legno con ceppo in piombo della lunghezza di 5 m e una del tipo detto ammiragliato, cioè a ceppo, fino a quel momento si credeva ideata dal capitano inglese Rodger nel 1851.

ORNAMENTI DELLE NAVI DI NEMI

LA DISTRUZIONE

Un incendio scoppiato la notte dal 31 maggio e durato fino al 1 giugno del 1944 distrusse le due navi e gran parte dei reperti che erano custoditi con esse. L'incendio di origine quasi certamente dolosa fu ad opera, si disse subito, dei tedeschi che avevano piazzato una batteria di cannoni a 150 metri circa dal museo che conteneva le navi.

Ma siccome il museo non fu preso a cannonate e siccome i tedeschi sottraevano quanti più beni potevano ma non distruggevano opere d'arte, la versione non convince.

NAVE ROMANA RITROVATA NEL LAGO DI NEMI

La commissione d'inchiesta concluse che fosse opera dei tedeschi, si disse pure che fosse un'azione determinata al recupero del bronzo, ma neppure questa è verosimile perchè il bronzo poteva venir recuperato solo dopo giorni di raffreddamento e di pulitura delle macerie.

La versione più probabile è che si era alla fine della guerra e dell'era fascista, e la gente cominciava a cancellare le vestigia di un periodo che aveva portato guerra e morte.

Le navi, come la passione dell'antico mondo romano, erano l'orgoglio del fascismo e come tali furono abbattute. Purtroppo in ogni epoca è avvenuta la distruzione di opere d'arte per cancellare un regime.

Lo fecero anche i Romani quando volevano cancellare la memoria di un imperatore sgradito. L'arte e l'antichità, come oggi asserisce L'UNESCO, sono patrimoni dell'umanità che andrebbero conservati aldilà delle vicende storiche. Nella notte fra il 31 maggio e il 1º giugno 1944, un violento incendio devasta il museo, distruggendo le navi: si salva solo quanto già portato a Roma.

Viene istituita una Commissione per accertare le cause del rogo. I custodi riferiscono che nei giorni precedenti una batteria tedesca di artiglieria di 4 cannoni si era posizionata nei pressi dell'edificio; i soldati si erano sistemati all'interno del museo, allontanando i custodi e le loro famiglie

Nei giorni seguenti, l'aviazione anglo-americana aveva bombardato la zona, provocando qualche danno alle strutture ma nessun incendio. I bombardamenti si erano ripetuti anche la mattina del 31 maggio ed in serata si era svolto un furioso cannoneggiamento della zona, terminato alle ore 20.15 circa.

LE MANI DELLA DEA
Un'ora più tardi il custode notava un lume vagare all'interno dell'edificio. Alle ventidue, quasi due ore dopo il termine del bombardamento, era divampato l'incendio, che divenne in breve devastante. Andarono distrutti gli scafi, le ancore, un timone e alcune imbarcazioni più piccole; si salvano i reperti artistici e tutto il materiale trasportabile, già portato al sicuro a Roma.

I nazisti abbandonarono la loro postazione il 2 giugno, gli americani arrivarono due giorni dopo, tutto è già compiuto. Le due navi sono state riprodotte in scala 1/5, e questi modellini sono a tutt'oggi esposti in un'ala del museo.

La Commissione esclude che l'incendio sia stato provocato da bombe di aviazione e da proiettili d'artiglieria e conclude per l'origine dolosa, considerati anche i danneggiamenti volontari inflitti dai soldati tedeschi al patrimonio archeologico del museo e il mancato utilizzo dei sistemi di spegnimento in dotazione. La civiltà finisce dove finisce, oltre al rispetto degli uomini, il rispetto della cultura.

RICOSTRUZIONE DELLA NAVE IMPERIALE DI CALIGOLA

I RITI

In età imperiale, Caligola fece costruire sul lago, per trascorrervi i suoi otia o per celebrarvi riti e feste in onore di Diana, due gigantesche navi ricche di sovrastrutture murarie, di bronzi, mosaici, marmi ed altri materiali pregiati.

Le due navi, a chiglia piatta, interamente conservate, misuravano una m 73 di lunghezza x 24 di larghezza e l'altra m 71 x 20, ambedue in robusto fasciame di pino, rivestite esternamente di lana catramata e di lamiere di piombo, fissate al fasciame con chiodini di rame.

ALTRA RICOSTRUZIONE DELLA NAVE IMPERIALE DI CALIGOLA
Le grandi tubazioni in piombo recuperate appartenevano ad un impianto idraulico che solo persone ricche e potenti si potevano permettere.

Questi tubi erano ricavati da lastre rettangolari di piombo saldato longitudinalmente, su cui si stampigliava il nome del proprietario, spesso il nome del "liberto idraulico" e a volte il numero progressivo.

Sulle navi Caligola fece erigere costruzioni analoghe alle ville patrizie, con terme e templi galleggianti coperti da tegole in terracotta o in rame dorato, ma pure colonne lavorate, pavimenti in mosaico, statue in marmo e in bronzo, protomi leonine, ghiere per timoni, erme bifronti sulla balaustra.

Nel 1895, Orsini promosse una campagna di ricerche in cui emersero la ghiera di un timone, le famose "protomi ferine" dalla forma di teste di felino, che stringevano tra i  denti un anello.

E poi cerniere, pilastrini in bronzo, tubi di piombo, tegole di rame dorato, laterizi di varie forme e dimensioni, frammenti di mosaici decorati con pasta di vetro, lamine di rame ed altro.

Fu poi individuata la seconda nave, dalla quale si recuperò altro materiale, fra cui una mano a decorazione del sostegno di uno dei quattro timoni, la testa di una Medusa, e una quantità enorme di legname, bellissime travi, in ottimo stato di conservazione.

Per fortuna la maggior parte del materiale fu acquistato dal governo ma non si evitò il saccheggio di alcune delle parti più preziose delle navi, tra cui le tegole di rame dorato, frammenti di mosaico, lastre di marmo, tubature di piombo.

Ciò nonostante, il Museo delle Navi Romane è ancora di estremo interesse per i numerosi pezzi archeologici che conserva.
Delle navi sono esposti due fedeli modelli in scala 1:5 e molti elementi salvati dall'incendio: tra questi, i notissimi bronzi di rivestimento delle travi, con teste di leone, di lupo, di pantera, di gorgoni e con mani apotropaiche che dovevano tenere lontani gli spiriti maligni; molte ermette bifronti, una transenna bronzea, terrecotte ornamentali, un'ancora di ferro a ceppo mobile che porta inciso il peso (di 417 kg), un grande rubinetto di bronzo, pompe, piattaforme girevoli, ruote dentate, un timone, ecc.
Il museo comprende anche una sezione documentaria sulla tecnica navale romana e sulle organizzazioni marinare.

LE NAVI DI CALIGOLA

IL SITO FANTASMA

Pensare che accanto a un tempio di importanza laziale dove convergevano pellegrini da ogni dove non si formi un paesetto con botteghe, cibo, locande e souvenir, è come pensare che non esista un centro accanto a Lourdes. Tanto più che in zona c'era una villa imperiale e almeno un'altra ancora seppellita, e chissà quante ancora sconosciute.

L'afflusso di devoti da Roma al tempio era tale che si costruì la via Virbia in diramazione dall'Appia, in parte ancora visibile lungo i bordi dell'attuale via di Diana che scende da Genzano e anche all'interno del Museo delle Navi.

Il paese che ospita il castello Ruspoli a picco sul lago, presenta alcune caratteristiche: anzitutto il castello, in abbandono e non visitabile, si sa che accogliesse statue e frammenti architettonici romani.

Sul giardino comunale che un tempo scendeva quasi fino al lago, ricavato sul costone prospicente il castello, c'erano tracce di tessere romane e altri frammenti. Tutto lascia pensare fosse la via delle processioni dal colle al lago dove, non dimentichiamolo, si celebravano i Lupercali, riti più misteriosi di quanto si pensino, dove le sacerdotesse si prostituivano facendo il verso del lupo e vestendo pelli di lupo, per poi tornare vergini immergendosi nello Specchio di Diana, cioè nel lago di Nemi.

LA MEDUSA DI NEMI
Tutto lascia presupporre che il castello sia sorto su qualche vestigia antica, forse romana, anche perchè la Diana del giardino sottostante al castello ha tutta l'aria di essere una copia della Diana Nemorense, visto che reca la cornucopia vuota.

La cornucopia vuota era il simbolo della luna nera, e Diana era appunto Dea della luna, il che sta ad indicare la presenza di culti ctonii, riservati alle donne e assolutamente segreti.

Sicuramente un sito abitato, sia pure piccolo, esisteva, si tratta di rintracciarlo. Ma se nemmeno si scava sul tempio di Diana che è citato all'inizio del Ramo d'oro di Frazer, il libro di antropologia più famoso al mondo, c'è qualche perplessità a sperare su altri scavi.

LA DEA DELLE NAVI DI NEMI

TROVATA LA TOMBA DI CALIGOLA?
(Fonte)

La tomba perduta di Caligola è stata trovata, secondo la polizia italiana, dopo l'arresto di un uomo che cercava di contrabbandare all'estero una statua dell'imperatore romano famigerato recuperata dal sito.
Con molti dei monumenti di Caligola distrutti dopo essere stato ucciso dai suoi pretoriani a 28 anni, gli archeologi sono desiderosi di scavare alla ricerca dei suoi resti.

I funzionari della squadra archeologica italiana di polizia fiscale la scorsa settimana hanno arrestato un uomo vicino al lago di Nemi, a sud di Roma, mentre aveva caricato su un camion parte di una statua alta 2, 5 metri.

L'imperatore aveva una villa su quel lago, come pure un tempio galleggiante e un palazzo galleggiante, alcuni dei loro manufatti erano stati recuperati al tempo di Mussolini, ma distrutti successivamente nella guerra.

La polizia ha detto che la statua aveva un paio di "caligae", gli stivali militari favoriti dall'imperatore.

La statua è stimata a un valore di 1 milione di euro. Il suo raro marmo greco, il trono di Dio e vesti ha convinto la polizia che potesse provenire dalla tomba dell'imperatore. 
Sotto interrogatorio, il tombarolo, di cui non è stata fornite le generalità, li ha condotti sul luogo, dove inizieranno gli scavi oggi.

Nemi è il comune più piccolo dell'area dei Castelli Romani, sopra al Lago di Nemi, dove nel 1927-1932 furono rinvenute nel lago due navi celebrative romane dell'imperatore Caligola, conservate nel Museo delle Navi Romane fino alla loro distruzione nel 1944.

Il territorio apparteneva in età antica alla città latina di Aricia, dove sorgeva il tempio di Diana Aricina o Nemorense, divinità tutelare dei boschi e della fertilità del suoli, degli animali e delle donne, il cui santuario giace ancora sulla sponda nord del lago.

Il tempio era un appuntamento fisso tutti gli anni, il 13 di agosto, le cosiddette Idus nemorenses da cui derivano le feriae augustae d'epoca romana e quindi il nostro Ferragosto, festa che si protrarrà a Roma in epoca imperiale.

LA NAVE DI VENTOTENE

LE NAVI ROMANE DI VENTOTENE

Marzo 2017 - Nel mare di Ventotene sono state ritrovate ben cinque imbarcazioni romane, risalenti ad un periodo compreso tra il I ed il IV secolo d.c., insieme al loro enorme carico di vasellame ed anfore, contenenti olio, vino e garum. I restanti carichi portavano altro vasellame, oggetti di vetro, cilindri probabilmente in piombo non ancora identificati e altri oggetti. Gli archeologi del ministero hanno stabilito che le navi romane stavano facendo rotta verso la Spagna e il Nord Africa.

Il ritrovamento è avvenuto nella campagna di archeologia subacquea della soprintendenza per i beni archeologici del Lazio con la fondazione americana Aurora Trust. L'archeologa Annalisa Zarattini, che opera presso il Nucleo operativo di archeologia subacquea, ha affermato che si tratta di un ritrovamento eccezionale, che dimostra l'importanza dell'isola come crocevia di antiche rotte. Inoltre, la dottoressa Zarattini ha rivelato che nelle acque che circondano l'isola è arenato un notevole patrimonio subacqueo che attende di essere valorizzato.

Le imbarcazioni di Ventotene sono state individuate con la parte lignea dello scafo intatta, ad una profondità di cento metri. Sono stati riportati alla luce, per meglio studiare la tipologia del carico e delle navi, alcuni reperti: un'anfora e quattro ciotole per rimescolare il cibo.

L'imbarcazione più antica, che gli studiosi fanno risalire al I secolo a.c., è lunga 18 metri e trasportava anfore italiche. Il relitto più carico invece, risalente al I secolo d.c., misurava 15 metri x 5 e trasportava anfore spagnole della Betica (Andalusia) ancora nella stiva e persino integre. Le altre tre navi misuravano 13, 20 e 25 metri e trasportavano, rispettivamente, anfore e mortuaria la prima, cilindri di piombo, anfore e frammenti di vetro la seconda e anfore africane la terza.

NAVI ROMANE DI FIUMICINO

LE NAVI ROMANE A FIUMICINO

Le navi Romane reperite a Fiumicino erano di due tipi: le grosse navi da carico (naves onerariae), normalmente utilizzate per i traffici e in caso di guerra per i trasporti di uomini e materiali; e le più lunghe navi da battaglia (naves longae).

L’eccezionale collezione di imbarcazioni conservate nel museo di Fiumicino (perennemente chiuso per lavori di ristrutturazione forse aprirà quest'anno), a partire dall'età imperiale, permette di ammirare il sistema di costruzione utilizzato dagli antichi mastri d’ascia. 
Avevano a poppa una cabina riservata al comandante e ai suoi aiutanti, dietro la quale si levava una costruzione molto più alta della prua e cinta da una robusta ringhiera in legno.


A differenza delle navi da guerra, quelle da carico andavano quasi sempre a vela, usando i remi solo in caso di bonaccia o di particolari manovre. 

Al contrario le navi da guerra andavano solo a remi, per raggiungere maggiore velocità e rapidità di manovra.

Le torri di legno e le altre strutture da combattimento venivano installate solo prima della battaglia, mentre gli alberi e le vele venivano lasciati nella più vicina base navale o sulla spiaggia dell’accampamento.
Le torri e le piattaforme erano generalmente di struttura più leggera, ed indicavano con i loro colori a quale flotta o reparto apparteneva la nave. 

Dei manicotti di cuoio proteggevano le scalmiere, ossia i fori di uscita dei remi, dalle ondate più alte. Le vele delle navi da guerra erano bianche, color lino o in alcuni casi di un color grigio-celeste per esigenze di mimetismo. La nave ammiraglia aveva invece le vele color porpora.

Le navi da guerra erano: la Bireme, la Triremi, la Quadriremi, la Quinquiremi, la Esareme, la Deceris, l'Actuaria, la Liburna, la Caudicaria. C'erano poi le navi ausiliarie: adibite alla logistica (onerarie), al trasporto celere di truppe (attuarie) e di cavalli (ippagoghe), ai collegamenti (celoci), alle esplorazioni (speculatorie).



LA NAVE ROMANA AD OSTIA

La parte superiore del fianco di una nave romana (lunga 11 metri) databile alla prima età imperiale è stata rinvenuta nell'area degli scavi di Ostia. La scoperta è avvenuta durante il rifacimento del ponte che collega Ostia a Fiumicino, e rivela che la linea di costa all'epoca dei romani era arretrata di 3-4 km rispetto a quella attuale. 

E' una nave più lunga di 11 metri, databile della prima eta' imperiale, per l'assenza di elementi di congiunzione tra le singole parti, la fiancata si trovava 4 metri sotto terra ed è sorprendente che il legno si sia conservato per tutto questo tempo. Altre navi di epoca romana sono state scoperte in passato nell'area, ma si trattava di imbarcazioni di dimensioni inferiori.

Ha detto il ministro Galan "Per i lavori del Ponte che collega Ostia a Fiumicino si tratterà di aspettare e vedere cosa c'è. Ci mancherebbe altro che non ci si fermasse davanti al ritrovamento di una nave che ha quasi 2.000 anni. Non posso inoltre immaginare per quanto si protrarranno i lavori archeologici. Bisogna vedere se è l'unica nave, quanto è lunga e cosa c'è intorno. Quando ci sono cose importanti i soldi ci sono, il problema è tecnico, data la delicatezza estrema del legno".

LA NAVE ROMANA DI PISA

LE NAVI ROMANE A PISA

Nel 1998, poco fuori l’antica cerchia delle mura di Pisa, verso il mare, le Ferrovie iniziarono lavori di scavo a fianco della stazione di Pisa San Rossore facendo emergere dei legni lavorati, a circa tre metri di profondità emerse un’impressionante serie di relitti di navi. Si aprì allora un grande cantiere di scavo, concluso nel 2016, che ha restituito circa trenta imbarcazioni di epoca romana e migliaia di frammenti ceramici, vetri, metalli, elementi in materiale organico.

L’eccezionale stato di conservazione dei reperti ha spinto alla protezione dei reperti con pannelli in vetroresina, procedendo per piccole fasce di 50 centimetri/1 metro, rilevate tridimensionalmente, e quindi nuovamente protette con un tessuto in grado di trattenere l’umidità erogata mediante un impianto di nebulizzazione.


IL RESTAURO

Gli scafi quasi integri sono stati scavati progressivamente, e ogni porzione portata alla luce è stata chiusa in un guscio di vetroresina, forato, per potere inserire le soluzioni per la conservazione temporanea del legno. La vetroresina consente di proteggere gli scafi durante il loro trasferimento nei laboratori, dopo lo scavo.

Lo scavo archeologico ha permesso di ritrovare una grande quantità di oggetti di legno, conservati perché completamente imbevuti d’acqua. Le operazioni di restauro hanno previsto l’eliminazione dell’acqua, avendo cura che il legno non si ritiri, si fessuri o si distorca. L’acqua è stata sostituita con sostanze che, riempiendo le microcavità, hanno consentito al legno di stabilizzarsi durante l’essiccazione, in ambienti controllati o con liofilizzatore. 

La finitura è a cera, microcristallina, sia per finalità estetiche che per stabilizzare il legno rispetto alle variazioni di umidità dell’ambiente esterno. Ora sono esposti negli Arsenali Medicei.

LE NAVI ROMANE DI NAPOLI

LE NAVI ROMANE A NAPOLI

Gli scavi per i lavori alla stazione Municipio, presso l’antica linea di costa hanno fatto riemergere cinque navi d’epoca imperiale ( I-III secolo d.c.) nella zona dell’area portuale dell’antica Neapolis, insieme a migliaia di reperti collegati all’attività commerciale, alle persone che vi lavoravano, e alle strutture portuali.
Le navi erano destinate in parte al trasporto di merci tra il porto e le grandi navi onorarie ancorate in rada, in parte a navigare lungo la costa anche fino porto di Ostia. Erano lunghe circa 15 metri, costruite in legno di abete con continui e sapienti restauri che ne testimoniano il notevole livello di ebanisteria navale.

Alcune sono caratterizzate da una estremità tagliata in verticale. Le imbarcazioni vennero sommerse da un'alluvione che interrò parte del porto di Neapolis tra il III ed il V secolo d.c., che le ha sigillate in una coltre di tredici metri consentendone l’ottima conservazione.

I materiali reperiti: anfore, bottiglie di vetro, monete, gioielli, corde, calzari e ceramiche varie, opportunamente restaurati sono stati esposti nella stessa stazione metropolitana insieme ai reperti emersi dalla costruzione della linea “1” della linea metropolitana durati oltre un decennio (!).



LA NAVE ROMANA A MARAUSA 

NAVE ROMANA DI MARAUSA
MARSALA - E' stata inaugurata l'esposizione della Nave romana di Marausa. La «Nave oneraria tardo-romana» fu rinvenuta nel 1999 di fronte il lido di Marausa, al confine tra i Comuni di Marsala e Trapani, a circa due metri di profondità e a 150 metri di distanza dalla costa, ma è stata recuperata solo nel 2008 insieme le numerose anfore africane cilindriche che aveva a bordo.

Si tratta di un’imbarcazione larga circa 8 metri e lunga 16 metri realizzata con la tecnica di costruzione a guscio portante.

Assieme alla Nave punica, oggi c'è anche la Nave romana. Il mare della Sicilia è un altro museo, purtroppo non visitabile per tutti, per cui occorre recuperare quanti più relitti è possibile. Occorre anche che ci si doti di un laboratorio per restaurare e lavorare il legno bagnato, piuttosto che mandarlo altrove, come si è dovuto fare con la Nave Romana.

LA NAVE ROMANA DI COMACCHIO

LA NAVE ROMANA DI COMACCHIO

La nave romana di Comacchio è stata rinvenuta alla periferia della città, nel tratto iniziale del Canale Collettore, nel bacino di Valle Ponti. Nel 1980, nel corso di lavori di dragaggio del canale, vennero portati in superficie i frammenti di legno di un’imbarcazione. Nell'estate del 1981, gli scavi portarono alla luce tutta la parte superiore del relitto e fu recuperato il carico. Successivamente, il relitto fu sommerso dall'acqua di falda per preservare le parti lignee.

Il recupero avvenne nell'inverno 1988-89: lo scafo, sostenuto da una centina lignea che si adattava alle deformazioni della struttura e ingabbiato con un telaio metallico, fu sollevato e trasportato a Comacchio all’interno del complesso di Palazzo Bellini. L’imbarcazione fu posizionata all’interno di una vasca e sottoposta a ripetuti lavaggi in acqua dolce. Recentemente, sullo scafo è stato modellato un guscio di vetroresina che permetterà di ridurre  notevolmente costi e tempi.

L’imbarcazione, spinta dal vento e dalle correnti, probabilmente durante una mareggiata, si arenò vicino alla battigia. Le sovrastrutture vennero distrutte dalle onde che, scalzando alla base la nave, determinarono il suo sprofondamento nella sabbia, favorito anche dal notevole peso del carico. In breve tempo, l’imbarcazione venne ricoperta dai sedimenti litorali.

Lo scafo è conservato per poco più di 20 m di lunghezza e risale alla fine del I sec. a.c. Il carico era costituito da 102 massae plumbee di provenienza spagnola, anfore per derrate alimentari e tronchi di bosso. I lingotti sono contrassegnati da una serie di marchi tra i quali ricorre con regolarità il nome di Agrippa. A bordo era stato caricato anche vasellame in sigillata nord italica e sei tempietti in lamina di piombo. 

Tra i materiali eterogenei, appartenenti alla dotazione di bordo, ricordiamo una stadera in bronzo per la vendita al dettaglio della merce, numerosi indumenti, contenitori e calzature di cuoio appartenenti all'equipaggio e ai viaggiatori nonché una serie di attrezzi per la manutenzione (mazzuoli, un’accetta, una pialla) e per il governo (bozzelli, una sassola, un’ancora in ferro) della nave.

LA NAVE ROMANA DI ALBENGA
La nave di epoca romana rinvenuta ad Albenga, era una nave oneraria, lunga 40 m e larga 12 m, che trasportava intorno alle 11.000/13.000 anfore vinarie e vari tipi di ceramica, soprattutto campana, destinati alla Francia meridionale e alla Spagna.
Nel 1948 Giovanni Quaglia presidente ella SO.RI.MA, propose una prima campagna di indagini ed il Ministero della Pubblica Istruzione approvò. Fu stipulato un accordo fra il Comune di Albenga e la SO.RI.MA che doveva fornire una nave di appoggio per condurre le ricerche mentre i reperti recuperati verrebbero custoditi nel Museo Civico di Albenga. 

Nel 1950 il professore Giovanni Lamboglia tentò il primo recupero dei reperti con l’aiuto della nave Artiglio "anfore a centinaia, sparse in ogni direzione, su una linea di circa 30 metri di lunghezza e circa 10 di larghezza, formante una massa affusolata alta circa due metri sul fondale melmoso"
RICOSTRUZIONE DELLA NAVE
Il relitto era in posizione quasi orizzontale sul fondo ed era protetto da una coltre di fango alluvionale, che salvò le parti basse della nave dalla distruzione. Il rilievo totale del relitto fu eseguito nel 1961 tra luglio e ottobre. Nell'estate del 1962 fu eseguito il primo scavo.

La nave trasportava per la maggior parte anfore, alcune integre, altre solo in frammenti di fondi e colli, circa 13.000 pezzi contenenti vino, ma pure con residui di noccioline. Le anfore erano chiuse con tappi di sughero, sigillati con la malta, alcune di esse presentavano sotto il tappo una pigna incastrata nel collo, con lo scopo di mantenere l’aroma del vino.

Tra i vari resti sono stati trovati anche due elmi in frammenti; un corno di ariete; una ruota di manovra; tubi; un mortaio; lamine; un tubetto in piombo e piccoli strumenti difficili da identificare. Per il tipo di anfore rinvenute la nave di Albenga è stata datata primo decennio del I a.c.
NAVI ROMANE DELLA GALLURA

NAVI ROMANE DELLA GALLURA
Relitto di una nave romana rinvenuto nelle acque galluresi. All'interno dell'imbarcazione, lunga 18 metri, è stato rinvenuto un intero carico di laterizi ancora intatti. La scoperta è stata fatta dal nucleo di sommozzatori della polizia di Sassari in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica della Sardegna.

Il nucleo dei sommozzatori della polizia di Sassari, in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica della Sardegna ha rinvenuto il relitto di una nave romana nelle acque della Gallura. La nave è stata rinvenuta “a meno cinquanta metri di profondità” e costituisce un reperto unico nel suo genere sia per il suo posizionamento che per il carico rinvenuto al suo interno.

Il notevole carico di laterizi si è conservato in perfette condizioni nonostante dall'affondamento dell’imbarcazione siano passati almeno 1700 anni; il carico, inoltre, era ancora stivato come al momento della partenza. Gli archeologi ritengono che fosse diretta in Spagna o alla costa occidentale della Sardegna. La nave è lunga 18 metri e larga 7 metri e per tutti questi secoli ha custodito intatto il suo carico di tegole e mattoni d’età romana imperiale.
La Gallura, però, non è nuova a questi ritrovamenti. Solo presso il museo archeologico di Olbia sono ben 24 le imbarcazioni romane – o ciò che oggi ne rimane – esposte al pubblico, fatto tutt'altro che sorprendente se si pensa che, all’epoca, Olbia era un importantissimo porto commerciale da cui partivano e in cui arrivavano ogni giorno moltissime navi cariche di ogni tipo di merce.




LE NAVI DI PONZA

I relitti di 6 navi romane sono stati ritrovati nelle acque di Ponza da Annalisa Annalisa Zarattini, direttrice del nucleo di archeologia subacquea della Soprintendenza del Lazio. La scoperta risale allo scorso luglio ma è stata resa nota solo ora nell’ambito del progetto Archeomar 2, presentato dalla direzione generale per le antichità del Ministero per i Beni Culturali che realizzerà nei fondali marini di Lazio e Toscana un complesso intervento di indagine, censimento, mappatura e catalogazione del patrimonio archeologico subacqueo.

Due in particolare sono state le zone dove sono stati effettuati ritrovamenti importanti: le Isole Pontine e le acque al largo di Civitavecchia, dove nel maggio scorso è stato ritrovato un altro relitto romano. Già nel 2008 le ricerche aveva portato alla luce 5 relitti nella acque di Ventotene ai quali si vanno ora ad aggiungere i relitti scoperti nello scorso luglio.

A Ponza sono stati scoperti sei relitti romani, lunghi tra i 18 e i 20 metri, con un grande carico di anfore. Sono relitti di epoche e provenienze diversa, databili dal I al IV secolo d.c. e originari dagli estremi opposti del Mediterraneo, due dalla Spagna e quattro dall'Africa; erano navi da trasporto e le anfore contenevano olio, vino, conserve di frutta. Nelle acque al largo di Civitavecchia, invece, a circa seicento metri di profondità è stato individuato a maggio del 2010 un relitto romano d'età augustea.

LA NAVE DI ALASSIO

LA NAVE ROMANA DI ALASSIO

L'hanno ritrovata i Carabinieri del Nucleo Subacqueo di Genova nelle scorse settimane nel corso dell'operazione "Nemo". Ma risale a questa mattina il rinvenimento di una delle anfore che componevano il carico dell’imbarcazione.

La nave romana si trova ad una profondità di circa 200 metri e per questo è stato necessario l’intervento anche degli esperti in archeologia subacquea della soprintendenza per i beni archeologici della Liguria. Vista l'elevata profondità non raggiungibile da nessun sommozzatore, l'anfora è stata ripescata da un robot meccanizzato comandato a distanza. L’anfora attualmente è stata trasportata alla Marina di Loano, in seguito il reperto sarà trasportato a Genova per essere analizzato.



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