BATTAGLIA ROMANA DELLE TERMOPILI (191 a.c.)



PASSAGGIO DELLE TERMOPILI
Le Termopili sono una località greca dove nell'antichità esisteva uno stretto passaggio costiero. Il nome significa all'incirca "porte calde" e deriva dalla presenza di numerose sorgenti naturali di acqua calda.

È nota soprattutto per la battaglia delle Termopili del 480 a.c., nella quale una piccola forza greca comandata dal re di Sparta Leonida I e composta da vari contingenti, tra i quali spiccavano i soldati scelti spartani, rallentò l'avanzata dell'esercito persiano comandato da Serse I a prezzo della quasi completa distruzione; da allora il termine «termopili» è utilizzato per indicare una tragica ed eroica resistenza nei confronti di un nemico molto più potente.

La battaglia delle Termopili ebbe luogo nell'aprile del 191 a.c. tra l'esercito seleucide di Antioco III il Grande (241 - 187) e quello romano comandato da Manio Acilio Glabrione. Manlio era stato tribuno della plebe nel 201 a.c. e si era opposto alla richiesta del console Gneo Cornelio Lentulo che voleva il governo della provincia d'Africa, assegnata invece a Publio Cornelio Scipione per unanime voto delle tribù.

ANTIOCO III IL GRANDE
L'anno successivo fu nominato decemvir sacrorum, per il controllo dei riti sacri, venendo poi eletto edile, e poi pretore nel 196 a.c., in cui presiedette ai Giochi Plebei nel Circo Flaminio. Homo pius, utilizzò le multe per l'occupazione impropria dei terreni demaniali per la costruzione di statue in bronzo della Dea Cerere e degli Dei Liber e Libera. 

Era, seppure plebeo, uomo erudito e ottimo generale, stimato peraltro dall'aristocratico Scipione che ne coltivava l'amicizia.

Eletto console nel 191 a.c., fu chiamato a condurre la guerra romano-siriaca contro Antioco III che stava avanzando in Acarnania, in Grecia, ponendo sotto assedio molte città. Verso la fine del 192 a.c. Antioco attaccò la Grecia con circa 10.000 fanti, 500 cavalieri, sei elefanti ed una flotta composta da 100 navi da guerra e 200 da carico. Non era un grande esercito.

I Romani, che avevano reclutato ben 20.000 legionari romani e 40.000 tra gli alleati Italici, con la primavera riuscirono ad inviare ad Apollonia in Illiria, un esercito di 20.000 fanti e 2.000 cavalieri avendo, inoltre, predisposto una flotta a Brundisium.
Per prima cosa Roma inviò come ambasciatore agli Etoli, un certo Publio Villio Tappulo, affinché minacciasse un intervento romano nella zona.

Antioco aveva iniziato a invadere la Grecia, grazie anche ai consigli di Annibale, che avrebbe suggerito di attaccare Roma su due fronti, non solo nel mar Egeo, ma anche in Italia, con una flotta seleucide e 10.000 armati, per riconquistare il potere a Cartagine, ed invadere nuovamente l'Italia dall'Epiro (auspicando in un'alleanza con Filippo V di Macedonia), occupandone i punti strategici principali.

Annibale fu autorizzato dal re selucide ad inviare un messaggero a Cartagine per sobillarli, ma il messaggio fu scoperto e distrutto da chi temeva un nuovo scontro "suicida" di Cartagine contro Roma. 

Sembra che nel 192 a.c. Annibale e Scipione l'Africano, si incontrarono per la seconda ed ultima volta nella loro vita per trovare un accordo tra le parti. In verità si era creato ormai un forte legame tra il cartaginese ed il romano, l'unico ritenuto da Annibale alla sua altezza. Sembra che i due si stimassero molto per l'intelligenza nell'arte del comando e per l'onestà dell'animo dimostrate da entrambe le parti.

SCIPIONE ED ANNIBALE
Nel 192 a.c. Antioco III, prima di tentare di stipulare inutilmente accordi con i Romani (offrendo loro di lasciare liberi i Rodii, gli abitanti di Bisanzio e di Cizico, tutti i Greci anche dell'Asia Minore, a parte gli Etoli, gli Ionii ed i re barbari dell'Asia), sbarcò in Eubea con 10.000 armati, e si proclamò protettore della libertà dei Greci. 

Il re seleucide confidava, inoltre, che alla sua alleanza si sarebbero uniti sia i Lacedemoni di Sparta che i Macedoni di Filippo V.

Antioco dapprima sbarcò ad Imbro, da lì passò a Sciato, a Pteleo, a Demetriade, e a Falara nel golfo Maliaco in Tessaglia, poi a Lamia, dove si concretizzava l'alleanza tra Seleucidi ed Etoli e si conferiva al sovrano seleucide il ruolo di sua guida.

La Calcide però non volle allearsi, ma nemmeno i Beoti, e gli Achei ed il re Athamania di Amynandro. Anzi gli Achei si accordarono con i Romani.

Antioco, venuto però a sapere che le truppe romane avevano passato l'Adriatico e che il sovrano macedone, Filippo V, (238 a.c. 179 a.c.) accompagnato dal pretore romano Marco Bebio Tamfilo si stava dirigendo in Tessaglia, e stava conquistando diverse città, tornò prudentemente a Calcide in Eubea.

Con l'inizio della primavera, Acilio Glabrione, con due legioni romane e due di alleati italici, per un totale di 20.000 fanti, 2.000 cavalieri ed alcuni elefanti, sbarcato ad Apollonia in Illiria, si unì all'armata dell'alleato macedone. Dopo aver liberato varie città si diresse, con il consenso del re macedone, verso il sud della Tessaglia, prendendo la guida dell'intero esercito.

Antioco spaventato inviò messaggeri in Asia per sollecitare l'arrivo di Polissenida, comandante rodio che doveva assumere il comando dell'esercito di Antioco, mentre egli si attestava con 10.000 fanti, 500 cavalieri oltre agli alleati a guardia del passo delle Termopili (quello famoso dei 300 di Leonida), per impedire al nemico di penetrare più a sud, e qui attendere l'arrivo dei rinforzi.

Antioco fece costruire un doppio vallo sul quale egli pose le sue macchine d'assedio oltre a un fossato e un muro, e, per evitare che i Romani attraversassero le montagne e lo aggirassero, presidiò con 2000 Etoli le tre cime del monte, denominate Callidromo, Teichio e Rodunzia. In realtà i romani ignoravano quel passaggio, ma non Manio Glabrione che aveva studiato attentamente la storia greca con la battaglia delle Termopili. E fu la salvezza sua e del suo esercito.

Egli infatti si rammentò dell'esistenza di un percorso diverso per superare il passo delle Termopili già utilizzato secoli prima dai Persiani per sorprendere i Greci. Pertanto inviò alcune truppe contro Antioco e allo stesso tempo fece cercare ai suoi esploratori il presidio sul sentiero segreto.

Casualmente, un reparto romano condotto da Marco Porcio Catone (234 a.c. - 149 a.c.) incappò in un avamposto che Antioco aveva stabilito per custodire il percorso. Riuscì a catturare uno dei greci e a scoprire la posizione della forza principale di Antioco e che la guarnigione posta a difesa del percorso ammontava a 600 armati Etoli. I Romani attaccarono questo piccolo contingente, che si disperse immediatamente.

L'ODIERNO PASSO DELLE TERMOPILI
Mentre la battaglia sulla cima del monte infuriava, apparve sulle alture del Callidrono il contingente degli Etoli in fuga da Catone e poi Catone stesso con un reparto romano, minacciando la retroguardia del re.

Antioco avendo sentito parlare del micidiale combattimento dei romani si spaventò e, invece di combattere, preso tra due fronti, venne sonoramente sconfitto mentre cercava di riparare nel proprio accampamento, incalzato dai romani che vi entravano insieme a lui.

Le perdite romane risultarono assai irrilevanti (circa 200 armati), mentre la maggior parte dell'esercito di Antioco fu annientato o ridotto in schiavitù, tanto che il re seleucide dovette fuggire in Asia, ad Efeso, con soli 500 armati. Si racconta che Antioco stesso fu colpito alla bocca da una pietra e perse alcuni denti.

Ancora oggi si vedono i resti di tre fortezze greche sulle alture sopra alle Termopili, che si presuppongono identificabili con le tre alture citate da Tito Livio. A causa delle vittorie romane nella battaglia delle Termopili (191 a.c.), nella battaglia di Magnesia (190 a.c.) e in alcuni scontri navali nel Mare Egeo, Antioco venne definitivamente sconfitto e Glabrione ottenne il suo meritato trionfo.

Venne pertanto stipulato un trattato di pace nel 188 a.c., ad Apamea in Frigia, tra la Repubblica romana ed Antioco III, sovrano seleucide, detta Pace di Apamea. Secondo le disposizioni contenute nel trattato Antioco dovette cedere le navi (gliene lasciarono solo dieci) e gli elefanti da guerra e pagare un'enorme indennità di guerra pari a 15.000 talenti.

Per la Siria comportò la perdita dei territori ad ovest del Tauro, inclusa la Pisidia, che i Romani affidarono al regno ellenistico degli Attalidi di Pergamo. La sconfitta ebbe conseguenze nefaste per l'impero seleucide che aveva precedentemente superato una grave crisi politico-economica grazie alla guida del re Antioco. I Romani ebbero così l'occasione di espandere il proprio dominio sul Mar Mediterraneo orientale. .



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