I VINI ROMANI




Lucrezio:
"E in effetti si narra che Cerere le messi e Libero la bevanda
prodotta col succo della vite abbian fatto conoscere ai mortali;
eppure la vita avrebbe potuto durare senza queste cose,
come è fama che alcune genti vivano tuttora.
Ma vivere bene non si poteva senza mente pura;
quindi a maggior ragione ci appare un dio questi
per opera del quale anche ora, diffuse tra le grandi nazioni,
le dolci consolazioni della vita placano gli animi."


Sembra che Livia, la morigeratissima moglie di Augusto, sostenesse di aver raggiunto una notevole e sana vecchiezza grazie al vino che aveva allietato i suoi pasti. Il divieto delle donne romane sul vino era già decaduto verso la fine della repubblica ed era dimenticato in età imperiale, quando le donne, pur non avendo la parità di diritti, stavano molto meglio dei paesi esteri e soprattutto dei secoli successivi, fin quando il cristianesimo tolse alle donne tutti i diritti conquistati. 

Plutarco afferma che quello che era racchiuso nel cuore dell’uomo sobrio era, invece, sulla lingua dell’uomo ubriaco che, proprio sotto l’effetto del vino, pronunciava parole delle quali poi si sarebbe pentito. Insomma "in vino veritas".

Bacchus e Liber, spesso identificati, erano Dei del vino, in loro onori si festeggiavano i Baccanali, che per quanto proibiti nel 186 a.c. proseguirono segretamente anche in età imperiale. Per Libero si festeggiavano i Liberalia, dedicati anche a Cerere, ma sempre col vino in primo piano.

"Ci sono le vigne di Taso, ci sono le uve di Marea, bianche,
s'addicono queste a terreni grassi, quelle a terre più fini;
e la psitia migliore per il passito e il lageo leggero,
che alla fine fa barcollare e impaccia la lingua,
le uve purpuree e quelle precoci, e come ti potrò cantare
o Retica? Però non sfidare le cantine di Falerno!
Vi sono anche le viti aminee, vini robustissimi,
a cui cedono il passo quello di Tmolo e persino il Faneo, re dei vini;
e l'Argitide, quella più piccola, con cui nessun altra può rivaleggiare
o per quantità di succo o per durata di anni.
Certo non io ti trascurerò o Rodia, gradita agli dei e alle mense,
né te o Bumasto, dai grappoli rigonfi!
"

(Virglio - Georgiche - Libro II)



LE ORIGINI DEL VINO

"Ex vite vita" La vita origina dalla vite.

Le origini della viticoltura romana hanno radici soprattutto autoctone, poi etrusche e in misura minore greche.  L'Italia venne infatti definita da Sofocle (V sec. a.c.) "terra prediletta dal Dio Bacco".  Diodoro Siculo sosteneva che la vite da noi cresceva spontaneamente e che non era stata importata da altri popoli. Essa era tenuta, dalle popolazioni autoctone, incolta, ossia allo stato selvatico. Anche Plinio riferisce che nei primi tempi di Roma esistevano viti non potate.

I Romani avevano una profonda conoscenza dei segreti della coltivazione e della vinificazione. Avevano appreso tali segreti da Etruschi, Greci e Cartaginesi e, proprio da questi ultimi, impararono a costruire aziende agricole razionali e capaci di produrre, con grandi guadagni. I Romani avevano il senso del business, tutto doveva essere organizzato e produttivo.

Vennero così create piantagioni specializzate a conduzione schiavile, ove si coltivarono i grandi vini del passato. Tra questi, dall’omonima area della Campania, presto si distinse il vinum Falernum: il miracolo non fu solo opera dell’uomo, ma anche per i terreni alle pedici dei monti Petrino e Massico, un prezioso miscuglio mineralogico, con rocce ignee, calcaree e sedimentarie. I Romani furono capaci di creare terrazzamenti drenanti, in grado di conservare la giusta dose di umidità e calore, da cui produssero tre famose qualità di vino.

RICOSTRUZIONE DI UN TORCHIO ROMANO
Da uno di questi terrazzamenti antichi, alle pendici del Massico, proviene una delle più interessanti scoperte archeologiche, fatta negli ultimi anni del secolo scorso, che ha restituito le tracce fossili di un vigneto d’età imperiale.

La scoperta, avvenuta nei lavori di sbancamento per la costruzione della strada Panoramica  di Falciano del Massico, ha rivelato una serie di sulci (filari), in cui dovevano essere sistemate le viti per la produzione del Falerno. All’interno dei solchi, al momento della scoperta, furono rinvenuti solo frammenti di ceramica fine di produzione africana, tipica del mondo imperiale romano. Si tratta di 15 solchi paralleli, disposti a una distanza di circa m. 2,70 l’uno dall’altro.

Columella, autore del De re rustica, raccomandava, infatti, che nei vigneti la distanza tra un solco e l’altro fosse di 10 pedes (3 m), quindi un vigneto maritato ad alberi oppure sostenuto da grossi pali ligneii. I risultati delle analisi polliniche forniranno risposte adeguate, capaci di chiarire i tanti quesiti, ancora insoluti, sulle tecniche di coltivazione della vite falerna.

Sempre secondo Plinio fin dalla I metà del I sec. a.c. i vini italiani avevano cominciato a godere di fama uguale o superiore a quella dei migliori vini greci. Nello stesso periodo, però, cominciavano a farsi conoscere i vini spagnoli; la conquista dell'Ibera, nel 133 a.c., aveva reso possibile la concorrenza dei vini iberici. Il vino "Betico" arrivava a Roma in grande quantità; molto apprezzato era, secondo il poeta Marziale, il "Ceretano", ossia il vino di Ceret (Jerez de la Frontera).

La coltura della vite, alberata etrusca, venne sostituita dal filare con intrecciata di canne, fino ad arrivare agli impianti a cordone e guyot. Il vino veniva fatto fermentare nei dogli, vasi di terracotta panciuti della capacità di 1000 l, e da qui travasato in anfore da 20 l, fra Marzo e Aprile, dove veniva lasciato a invecchiare anche fino a 20 - 25 anni. Queste informazioni sono sempre di Columella, che nel I sec. d.c. scrisse il De re rustica, un vero e proprio manuale di viticoltura e tecnica della vinificazione.

Ogni tanto è bene arrivare fino all’ebbrezza, non perché questa ci sommerga ma perché allenti la tensione che è in noi. L’ebbrezza scioglie le preoccupazioni, rimescola l’animo dal più profondo e, come guarisce da certe malattie, così guarisce anche dalla tristezza
(Seneca)

I vini migliori, più strutturati, non venivano trattati, ma piuttosto arricchiti con l’aggiunta di defrutum, un mosto concentrato che alzava la gradazione di uno o due gradi alcolici. Le esportazioni di vino dalla costa adriatica verso la Grecia riguardarono, sotto l'impero, soprattutto i vigneti di Hadria (Atri), Praetutti e Ancona. 

RESTI DI UNA CANTINA ROMANA A BARCINO (Spagna)
Il vino più pregiato veniva invecchiato, in soffitta o al sole (Banjuls), ma la maggior parte dei vini, proveniente da vigneti meno pregiati, o da vigneti troppo giovani, venivano addizionati con sale, acqua marina concentrata, resina e gesso, una vera e propria sofisticazione. Marziale parla di un mercante che al vino (grossolano) di Sorrento, mescolava gli avanzi di vini pregiati di Palermo, ottenendo un prodotto scadente che rendeva bene.

Secondo alcuni la fermentazione non era controllata e pertanto in alcuni vini il grado alcolico era elevato, ma in realtà i romani già conoscevano i tagli del vino, per cui sovente mescolavano i vini meno alcolici con quelli più forti.

A volte il vino veniva migliorato dai produttori col taglio, col miele o aggiungendo aromi al mosto.
Sono state trovate indicazioni per trasformare il vino da bianco in rosso e viceversa.

Durante l'epoca repubblicana ed imperiale i Romani diffusero la vite non solo in Italia, ma in gran parte delle province che man mano conquistavano e che poi, in particolar la Gallia, richiedevano vini in abbondanza. I vini ricercati dai romani erano liquorosi per poi annacquarli, mentre i Galli bevevano il vino puro, non miscelato con l'acqua, considerato incivile dai romani perchè portava all'ubriachezza.

L'espansione della viticoltura nella Sicilia e nell'Italia meridionale ben presto determinò, una contrazione delle importazioni di vino dall'Egeo e dalla Grecia e nel III sec. a.c. l'Italia non si limitò più a produrre per i fabbisogni interni, ma anche per l'esportazione e continuò a svilupparsi soprattutto nella prima metà del II sec a.c.

Fra gli scambi commerciali del Urbe, ricchissimo era il commercio del vino, come testimonia il Testaccio, una collina alta 35m e con un perimetro di 850m alla base, poco distante dal Tevere; la cui origine deriva dallo scarico dei cocci (in latino: testa)delle anfore vinarie e olearie gettati via dai mercati del vicino emporium. Nonostante siano trascorsi millenni e il mondo si sia completamente trasformato, Roma rimane circondata da vigneti e caratterizzata da una produzione di vini che continuano a essere richiesti e apprezzati soprattutto dai romani.

Il vino era parte essenziale di ogni banchetto, per lo più diluito con acqua calda o fredda, secondo i gusti e la stagione, e berlo puro non era considerato di buon gusto, sia perchè le cene abbondavano di brindisi e libagioni, sia perchè all'epoca erano maggiormente alcolici, sia perchè a volte si aromatizzava o dolcificava il vino in vari modi, anche se Plinio sosteneva la superiorità del vino senza aggiunte. La birra era conosciuta ma poco stimata. D'altronde il suolo italico si chiamava allora Enotria, cioè terra dei vini.



IL VINO NELL'IMPERO

"Da dove potremmo cominciare – scriveva Plinio il Vecchio - se non dalla vite, rispetto alla quale l’Italia ha una supremazia così incontestata, da dar l’impressione di aver superato, con questa sola risorsa, le ricchezze di ogni altro paese, persino di quelli che producono profumo? Del resto, non c’è al mondo delizia maggiore del profumo della vite in fiore".

Per un lungo periodo la viticultura romana fu contenuta anche se Intorno al V sec. a.c. Erodoto ed altri scrittori greci definirono l'Itlalia meridionale, in considerazione dell'importanza che la viticoltura aveva assunto in quella regione, Enotria, ossia produttrice di vino; nome che poi si estese a tutta la penisola.

INSEGNA DI UN TERMOPOLIO ROMANO
Successivamente si moltiplicò, tanto che Marco Porcio Catone (234-149 a.c.) mise la vigna come la prima delle culture italiche.I Romani poterono sfruttare l'opera degli Etruschi, che coltivavano le viti "maritate" agli alberi o "viti alberate". Avevano così delle varietà tipiche dell'Italia Centrale come il Trebbiano, il Montepulciano, il Sangiovese.

"Nullam, Vare, sacra vite prius severis arborem "
"Non piantare, o Varo, alcun albero prima della vite sacra". Orazio

Sembra che la vite esistesse in Toscana fin prima della comparsa dell'uomo. Trovandola, gli Etruschi colonizzatori dell'entroterra toscano e probabili primi abitatori delle zone del Chianti, l'avrebbero addomesticata da selvatica qual’era.
Col vino si onoravano i morti, insieme alla danza e al suono dei flauti. Soprattutto nel ceto aristocratico, erano diffuse pratiche religiose in onore di “Fufluns” (Bacco), il Dio del vino. Questi riti segreti e strettamente riservati agli iniziati, grazie all’ebbrezza provocata dalla bevanda, per la “possessione” da parte del Dio.

Alcuni vini bevuti a Roma erano a bassa gradazione alcoolica, quindi assai facili ad inacidirsi. Per questo sovente venivano cotti, come esiste ancora oggi in alcune zone italiane dove il sole non riesce a scaldare abbastanza i vitigni consentendo lo zucchero e quindi l'alcool sufficienti alla lunga conservazione.

I vini di lusso erano quindi generalmente cotti e sottoposti a lunghissimo invecchiamento e, per essere poi bevuti, venivano mischiati con almeno il 50% di acqua. I vini importati dalla Grecia, dalle coste africane e dall'Asia Minore erano per lo più trattati con sostanze aromatiche: resine, estratti di erbe, miele, legni odorosi, essenze vegetali, mirra, assenzio profumi e rose.

Lucrezio:
"Poi giunge l'autunno, e con esso
cammina l'Evio Bacco. 
Poi altre stagioni
e i loro venti seguono".


La Sicilia produceva grandi quantità di vino. Monete dell'epoca (550-200 a.c) raffiguranti grappoli d'uva o ceppi di viti furono coniati a Naxos, a Catania, a Enna, a Lipari e nei paesi delle falde dell'Etna, ma anche nel Lazio la viticoltura era molto antica; secondo Plinio essa esisteva prima della fondazione di Roma. Annibale nel 217 a.c. trovò grande abbondanza di vino nel Picenum. Il vino di Taranto restò sconosciuto fino al II sec.. La produzione di vino, però, fino al 121 a.c. non fu abbondante nè molto apprezzata.

Citati da Varrone sono i vigneti del territorio di Milano. Molto diffusa era anche la viticoltura lungo l'Adriatico, dal Picenum fino al delta del Po.
    
RARA BOTTIGLIA DI VINO ROMANO DEL 350 D.C.
Mentre per tradizione i vini greci in generale erano ritenuti i migliori, Plinio il Vecchio (23-79 d.c.) scrive nella "Naturalis Historia" che almeno due terzi della produzione totale proveniva dall'Impero ed elenca 91 vitigni diversi con 195 specie di vini. Tra questi 50 li definisce generosi, 38 oltremarini, 18 dolci, 64 contraffatti, 12 prodigiosi. Catone afferma invece di conoscere 8 qualità di vino, Varrone 10, Virgilio 15, Columella 58.

Come i Greci avevano portato la vite nell'area asiatica, così i Romani la trasmisero nel resto dell'Europa, anche se i vini ricavati avevano altre caratteristiche e soprattutto erano meno dolci. Essi portarono la vite in Provenza, nel Nord della Francia, in Germania, sul Reno e sulla Mosella.

A partire della metà del II sec. a.c. vennero trascurati i vini del mare Egeo a favore dei vini italiani, ai quali vengono dati dei nomi. 

Fino ad allora infatti, i buoni vini italiani non erano ancora classificati per zone viticole ben delimitate o per cru. 

La nascita del più antico dei vini italiani, il Falerno, si fa ufficialmente risalire al 120 a.c.. Secondo Plinio i vini italiani cominciarono ad acquistare rinomanza dopo l'anno 600 di Roma. Ciò è da collegare con l'arrivo in Italia di schiavi orientali, più esperti di vigneti e di vinificazione dei romani, e con l'introduzione dalla Sicilia di nuovi vitigni di qualità, quali la "eugenia", e di nuove tecniche viticole. 

Negli impianti dei vigneti in funzione delle condizioni pedoclimatiche, si segue sia la via della qualità che quella della quantità per rispondere alle varie esigenze dei mercati. I Romani infatti erano a conoscenza delle proprietà battericida del vino e come consuetudine lo portavano nelle loro campagne come bevanda dei legionari. Plutarco racconta che Cesare distribuì vino ai suoi soldati per debellare una malattia che stava decimando l'esercito.

Alla fine della repubblica erano noti e ricercati solo tre qualità: il Falerno, il Cecubo e l'albano. Questi tre vini rimasero a contendersi i prime tre posti fino all'inizio del regno di Augusto.


ETTORE DI RUGGIERO

CAECUBUM (vinnm). — Così detto da un luogo palustre della Campania presso il golfo di Gaeta (Strab. 5, 3, 5. 6 p. 231 segg.), molto celebrato dagli antichi (Horat. od. 1, 20,9; 37, .5, 2 ; epod. 9, 1. Mart. 13, 115. Colum. 3, 8, 5 etc), e divenuto rarissimo già al tempo di Plinio (nat. hist. 14, 6, 61 etc). 
È ricordato in una iscrizione metrica di un pilicrepus (C. VI 9797 lin. 9 seg. : et merum profundite nigrum Falernum aut Seiinum aut Caeculum etc) e sopra delle moltissime anfore trovate insieme in Roma in questi ultimi anni : {Caec{ubrn7i) (6M. 1879 p. 54). 

(Ettore di Ruggiero)

Sotto Augusto oltre ai tre grandi Cecubo, Falerno e Albanum, buona reputazione ebbero nuove celebrità, quali i vini di Setia e di Sorrento, il Gauranum, il Trebellicum di Napoli e il Trebulanum. Il vino si diffuse oltremodo, Plinio il Giovane si lamentava che le cantine non avessero più recipienti per accogliere l'uva, sempre abbondante. 

Anche Marziale si lamentava, nel I° secolo d.c. che a Ravenna l'acqua fosse più scarsa del vino. Erodiano (170-240 d.c) indicava tutta l'enorme quantità di vino che veniva convogliata dalla pianura padana ad Aquileia, per venir poi inviata nelle aree illirico-danubiane.

Sembra che un ettaro di vigneto riuscisse a produrre fino a 150 q di uva. Lungo l'Adriatico tra Ancona e le paludi di Ravenna si avevano rendimenti di 200 ht. per ha, mentre a Faventia anche di 300 hl per ha. Tutto ciò contribuì al crollo delle importazioni dei vini greci favorendo la commercializzazione dei vini italiani.

I romani raccoglievano i grappoli d'uva ben maturi, con coltelli a forma di falce, e li portavano in cantina con ceste, scartando quelli immaturi ed alterati, che servivano per produrre il vino degli schiavi.

Vino per gli schiavi che, secondo Catone (234 - 149 a.c.), veniva anche fatto aggiungendo acqua alle vinacce dopo pressate e facendo fermentare il tutto.

Della "lora", ossia del "vinello" così ottenuto, agli schiavi spettava una razione di tre quarti di litro al giorno; in media era di 260 litri/anno. Oltre agli schiavi anche i contadini e gli operai in genere bevevano la "lora".
Un'estrema raffinatezza era bere il vino raffreddato facendolo passare attraverso una tela colma di neve, naturalmente raccolta sui monti. Tenendo conto che il vino freddo si beveva nella stagione calda si può capire cosa costasse arrivare sui monti e tornare a precipizio perchè la neve non si liquefacesse. Il vino si mesceva in coppe larghe e quasi piatte.

Prima di iniziare un banchetto, vi era l'uso di eleggere, sorteggiandolo ai dadi, un "magister bibendi". Costui, che doveva astenersi dalla bevanda, aveva il compito di stabilire quante parti di acqua, calda o fredda, vi si mescolavano.
Le diluizioni preferite, dopo aver scartato quella metà acqua e metà vino, giudicata pericolosa, erano quelle chiamate “a cinque e tre”. La proporzione a cinque era formata da tre quarti d’acqua e due di vino; quella a tre, invece, da due parti d’acqua per una di vino.

Nei primi due secoli dell'Era Cristiana, l'Italia diventò il maggiore importatore di vino dell'Impero facendolo pervenire dalla Grecia, dalla Spagna e dalla Gallia, segno dell'abbandono di tanti vitigni italiani, e dell'agricoltura in generale in quanto, non vincendo più le guerre, non si avevano più schiavi. Per giunta la Spagna stava cominciando a diventare un grosso produttore di vino, e per produrre vino si era tolta la produzione di grano procurando fame a tutto l'Impero.

Per questo Domiziano emanò un editto in cui si proibiva di piantare nuove viti in Italia, ordinando di tagliare i vigneti nelle Province, conservandone al massimo la metà. Vietò altresì di piantare anche piccoli vigneti nelle aree urbane italiane. Pare comunque che il Decreto di Domiziano, nato come misura politica, non sia mai stato effettivamente applicato. Insomma tutti i vitigni portati dai legionari di Augusto, poi estirpati dalle province per decreto di Domiziano vennero reintrodotti per volere di Probo nel 280 d.c..

PROVENIENZA DEI VINI ROMANI NELLE DIVERSE QUALITA'


QUALITA' DI VINI

Seneca ricorda i benefici effetti del vino: “Ogni tanto è bene arrivare fino all’ebbrezza, non perché questa ci sommerga ma perché allenti la tensione che è in noi. L’ebbrezza scioglie le preoccupazioni, rimescola l’animo dal più profondo e, come guarisce da certe malattie, così guarisce anche dalla tristezza”.

Il vino poteva essere Atrum (rosso) o Candidus ( bianco ) o Rosatum (rosato)

Il culto del vino, soppresso nei baccanali, riapparve negli ultimi anni della Repubblica con le feste viticole istituzionali, i Liberalia del 17 marzo per celebrare il dio Libero-Bacco, ed i Vinalia, festa del 19 agosto per propiziare la vendemmia.

Gli haustores, i sommeliers dell'epoca, classificavano i vini in molti modi: dolce, corposo, soave, nobile, prezioso, forte, delicato, ecc., dimostrando di avere un palato non inferiore a quello degli esperti odierni. 
Orazio avvertendo Mecenate che sarà suo gradito ospite, lo avverte però del suo desco modesto, nominando quattro superbi vini campani, tutti molto cari: - Caro Mecenate, tu sarai solito bere a Cecubo e Caleno, ma nelle mie coppe non si mesce nè il Falerno nè il Formiano -

LA TORCHIATURA

LE UVE

Inizialmente le varietà di uve da vino più famose, di origine greca e molto coltivate in Sicilia, nella Magna Grecia e nelle conquiste romane, erano le "Aminee" e le "Nomentanae" ricche di colore; da esse davano vini pregiati. Vi erano anche le "Apianae o Apiciae", uve a sapore moscato che, quando erano mature, attiravano le api ("apes"). 
Si piantavano, però, anche viti più produttive e resistenti, provenienti dalle province, quali la "Balisca" (originaria, secondo Columella, di Durazzo in Albania), la "Rhaetica" molto diffusa nel veronese e la "Buririca", che ha dato origine ai vigneti di Bordeaux, oltre alla "Lambrusca", vite selvatica dalla quale si ottenevano vini di scadente qualità.


I VINI

VINUM ADRUMENJTANUM - Sicilia
VINUM AGLIANICUM - Campania e Basilicata, vino rosso di origine greca.
VINUM ALBA LUX - detto oggi Erbaluce, piemontese, bianco.
VINUM ALBANUM - del Lazio e dell'Emilia, poco pregiato.
VINUM ALBARENZEULI - bianco della Sardegna.
VINUM ALBAROLUM - bianco, della Liguria.
VINUM ALEATICUM - Campania, molto zuccherino.
VINUM APIANUM - bianco della Campania presso Avellino.
VINUM BELLONAM - in onore della Dea Bellona, laziale, oggi Bellone.
VINUM BENEVENTANUM - Campania
VINUM BIBLINUM - siciliano, molto pregiato
VINUM BRACHETUM - rosso frizzante del Piemonte. Si narra che ne facesse uso Cleopatra.
VINUM CAECUBUM - proveniente da un luogo palustre della Campania presso il golfo di Gaeta (Strab.), molto celebrato dagli antichi (Herat,; Mart. ), e rarissimo già al tempo di Plinio. E' ricordato in una iscrizione metrica di un Pilicrepus: "et merum pro fundi te nigrum Falernum aut Seiinum aut Caeculum" etc. e sopra moltissime anfore trovate in Roma in questi ultimi anni. Vitigno scomparso, che cresceva a sud del Lazio in terreno paludoso, soprattutto nel Golfo di Amicla nel territorio tra Terracina e Gaeta, pregiatissimo.
Cecubo si suppone derivi da caecus (cieco), congiunto a bibeo (bevo), o bibere (bere), ad identificare il bere del cieco, cioè la bevanda preferita da Appio Claudio Cieco. Plinio il Vecchio classificò prima il Cecubo e, poi, il Falerno, precisando antea coecubum, postea falernum, cioè dopo il celeberrimo vino che Petronio fece offrire da Trimalcione ai convitati, con il commento: "questo vino ha cento anni; esso ho vita più lunga dell’uomo". Columella, nel De Agricoltura, individuò il sito di produzione del miglior vino dell’Impero sulle alture sopra la “spelunca” (Sperlonga). Orazio (ode II) ricorda che i vini cecubi erano nascosti, come un bene prezioso, sotto cento chiavi, ed erano superiori persino a quelli offerti negli opulenti banchetti dai Pontefici. Il medico greco Galeno: "gradevolissimo, di buon tono, di forte sostanza alimentare, ottimo per l'intelligenza e per lo stomaco".
VINUM CALENUM - dalla Campania, pregiato e delicato, esaltato da Orazio, Giovenale e Plinio.
VINUM CATINIENSE - dalla Sicilia, rosso e forte..
VINUM CAUDA VULPIS - Campania, bianco.
VINUM CAESANUM - rosso del Lazio, conosciuto fin dall’Antica Roma quando i coloni disboscarono la montagna per fare spazio ai vigneti. oggi Cesanese.
VINUM CAERETANUM - vino rosso, presso Caere Lazio.
VINUM COLUMBINUM - rosso, della Campania, citato da Plinio.
VINUM CUMANUM - bianco, pregiato come tutti i vini campani. Delle falde Vesuviane.
VINUM FALANGHINUM - campania, si ritiene fosse uno dei componenti del Falerno.
VINUM FALENUM - di Capua, bianco, molto pregiato.
VINUM FALERNUM - della Campania, molto alcolico, di colore ambrato o bruno, raccomandato con 10 anni di invecchiamento e con due specie: il secco e il dolce. Marziale suggerisce, a coloro che bevevano il Falerno caldo, di unirvi la mirra perché ne avrebbe esaltato il sapore. Plinio invece ne distingue tre specie: austerum, dulcis, tenuis.
VINUM FAUSTIANUM - Campania
VINUM FONDIANUM -  di Fondi, molto pregiato.
VINUM FORMIANUM - della zona di Formia, pregiatissimo.
VINUM GALIAE i vini della Gallia narbonese venivano affumicati e spesso contraffatti.
VINUM GARGANECUM - si pensa di origine greca, del Veneto.
VINUM GAURANUM - della Campania.
VINUM GRAECUM - di Chio, di Sicione, di Cipro. Oltre allo spumante "Aigleucos" molto apprezzato dai Romani.
VINUM HADRIANUM - rosso dell'Emilia.
VINUM HISPANICUM - Anche i vini spagnoli erano piuttosto apprezzati. Nel 202 a.c. con la sconfitta di Cartagine e di Annibale, le regioni costiere della Spagna erano divenute colonie dell'Impero. Nelle province di Tarragona, Andalusia e nella città di Cadice, il vino era di ottima qualità ed arrivava a Roma in circa una settimana ed era usatissimo dai Romani.
VINUM LESBICUM - da Lesbo
VINUM LITERNUM - da Literno
VINUM MARONEUM - con alta gradazione alcolica
VINUM MASSICUM - della Campania vicino al monte Massicum, non pregiatissimo, ma tonico e robusto.  
VINUM MARSILIAE - di Marsilia, non pregiato.
VINUM MEMERTINUM - o mamertinumsiciliano, molto pregiato, prodotto nei pressi di Messina e fatto conoscere da Giulio Cesare.
VINUM MOSCATUM - bianco di Sardegna
VINUM NASCUM - bianco di Sardegna.
VINUM NOMENIANUM (o Nomentanum) - Lazio.
VINUM NURAGUM - bianco sardo.
VINUM OPIMIAM - richiedeva un invecchiamento di 25 anni, pregiatissimo, in Trimalcione il vino offerto ha 125 anni, praticamente impossibile la buona conservazione.
VINUM PELIGNUM - abruzzese.
VINUM PIPERNUM - prodotto a Piperno.
VINUM POLLIUM - siciliano e pregiato.
VINUM POMPEIANUM - della zona di Pompei, si invecchiava anche 25 anni.
VINUM PORTULANUMsiciliano e pregiato
VINUM POTITIANUM - Sicilia.
VINUM PRAECIANUM - di origine veneta
VINUM PRENESTINUM - Lazio
VINUM PRANNIUM - prodotto presso Smirne, molto pregiato.
VINUM PREATORIANUM - abruzzese, molto amato dai pretoriani
VINUM PULCINUM del territorio di Aquileia piaceva molto a Livia, moglie dell'Imperatore Augusto.
VINUM RAETICUM - del Veneto, poco pregiato.
VINUM SABINUM - del Lazio.
VINUM SENIANUM prodotto a Segni.
VINUM SCIITICUMdi Scio
VINUM SETINUM - da Seria, odierna Sezze Romana.
VINUM SORRENTINUM - di Sorrento, molto pregiato e leggero.
VINUM TARENTINUM - dalla Puglia, paragonato da Orazio al Falerno, quindi ottimo.
VINUM TAUROMENITANUM - prodotto nell'attuale Taormina, in Sicilia.
VINUM TIBERTINUM (o Tiburtinum) - molto pregiato, Lazio
VINUM TREBELLUM - di Napoli, molto apprezzato.
VINUM TRIFULINUM - della campania, alle falde Vesuviane, pregiato.
VINUM VAIETANUM - del Lazio, vicino Roma.
VINUM VELLERANUM prodotto a Vallerano, territorio dell'antica gens Valeria, nell'agro romano.
VINUM VERNACULUM - della Sardegna.
VINUM VATICANUM - Lazio.
VINUM VOLTURNUM - dal territorio campano presso il fiume Volturno.

LA CONSERVAZIONE

VINI SPEZIATI

"Si finisce per essere giustamente orgogliosi imparando che tutto il vino che si fa oggi in Europa ha radici italiane. Lo dimostrano le ricerche del professor Attilio Scienza, il più autorevole studioso di genetica della vite, che ha documentato scientificamente, attraverso le più moderne tecniche del Dna, che 78 vitigni coltivati oggi in Europa, dalla Spagna all'Ungheria, hanno un unico e antico progenitore comune: il vitigno che l'imperatore romano Marco Aurelio Probo affidò alle sue legioni." (Roma caput vini)

- ippocras - vino, ambra, pepe, mandorle, muschio, susina, zenzero, cannella, chiodi di garofano e fiori di mais.
- vinum mulsum 1 -Il vinum mulsum era il vino dolcificato col miele, ma talvolta la dolcificazione avveniva includendovi frutta molto dolce, come i fichi o i datteri. Columella suggerisce, per ottenere dell’ottimo mulsum, di impiegare il mosto derivato dal naturale gocciolamento dell’uva prima che venisse pigiata.
- vinum mulsum 2 - Vino, ambra, pepe, mandorle, muschio, susina, zenzero, cannella, chiodi di garofano e fiori di mais.
- granum paradisi - vino, chiodi di garofano, miele, zenzero, cannella.
- conditum paradoxum - vino cotto con miele, alloro, datteri, pepe,
- vinum gustaticium - un vino aperitivo che si beve a digiuno prima del pasto, era un vino al quale si aggiungeva miele e aromi.
- vinum passum 1 - fatto con uva secca.
vinum passum 2 - con aggiunta di uva secca.
vinum rosatum 1- con petali di rosa, bene asciutti, ai quali era stata tolta l’”unghia” bianca e questo procedimento doveva essere ripetuto per tre volte ogni sette giorni. Quando si trattava di utilizzare questo vino: rosatum, bisognava aggiungervi del miele.
-  vinum rosatum 2 - Eliogabalo aveva fatto correggere il sapore del rosatum facendovi aggiungere anche un trito di pigne.
- vinum rosatum 3 - secondo Apicio si poteva ottenere anche prendendo delle foglie verdi di limone che, dopo averle sistemate in un cestino fatto con foglie di palma, dovevano essere messe nel mosto e lasciate in infusione per 40 giorni. Al momento dell’utilizzo vi si doveva aggiungere del miele.
- vinum viatoris, Apicio ricorda un vino mielato condito con il solo pepe e, aggiunge che questo vino si conservava a lungo e per questo veniva dato ai viandanti.
- vinum violacium - Se poi al posto dei petali di rose si utilizzavano dei petali di viole, si otteneva il violacium.
- vinum lentischius - vino e lentischio.
- vinum assentium - vino e assenzio.
- vino e mandragora.
- vino con finocchio.
- vino con anice.
- vino con rosmarino
- vino, acqua di mare e colofonia.
- vino, mirra, canna, giunco, cannella, zafferano e palma.
- vino con pece e mirra che era considerata, quest’ultima, un ottimo condimento. Infatti Marziale suggerisce, a coloro che bevevano il Falerno caldo, di unirvi la mirra perché ne avrebbe esaltato il sapore.
- c'era anche l'usanza di porre nel vino piccole pepite d'argento per esaltarne il sapore.



IL PREZZO DEI VINI

Per comprendere i prezzi ci basiamo su una Taberna pompeiana, che nel 79 d.c.aveva inciso sul muro che:

- un kg di pane costava 2 assi, 
- un litro di vino 2 assi; 
- un piatto di legumi o verdure: 1 asse; 
- una prostituta nel “lupanare”1 sesterzio, 
- una tunica 12 sesterzi. 

Un asse equivaleva dunque a 1,5 euro; per cui un litro di vino costava circa 3 euro..



INDEX VINORUM 

- ALIARUMQUE RERVM - MEMORABILIVM QUAE
in hoc орете continentur - Ubi "а" primam paginam, "b" a secundam demonstrant

(Iacobi Prafecti)

Vini varia generemm in simposio parata:

Vinum falernum
Vinum grecum
Vinum pramnium
Vinum caristium
Vinum maroneum
Vinum marcociacum
Vinum maluaticum aut creticum
Vinum lesbicum
Vinum campanum
Vinum achaicum 
Vinum albanum
Vinum latinum
Vinum buxentinum
Vinum cœcubum
Vinum fbrmianum
Vinum segninum
Vinum sàbinum 
Vinum calonum
Vinum Geminianensis
Vinum Lucentis 
Vinum Apianum
Vinum Rubellum
Vinum Oppianicum
Vinum Opimianum
Vinum aurelianum
Vinum pollianum
Vinum valerianum
Vinum allobrogicum
Vinum тhеticum
Vinum pellinœum
Vinum reginum
Vinum privernum
Vinum tiburtinum
Vinum praenestium
Vinum guaranum
Vinum nomentanum 
Vinum sinuessum
Vinum marsilianum
Vinum uluanum
Vinum fundanum
Vinum barolianum
Vinum spoletanum
Vinum caulinum
Vmum trebellianum
Vinum rupilanum
Vinum sìracusanum
Vinum boricinum
Vinum berbulum
Vinum turentinuni
Vinum Benentanum
Vinum cosantinum
Vinum laginium
Vinum amimeum
Vinum lustanum
Vinum gallicum
Vinum burgundicunn
Vinum uasconium
Vinum vicundicum
Vinum andianum
Vinum delnensè
Vinum ifatinum
Vinum prœgeanum
Vinum fixanum
Vinum susianum
Vinum aimum
Vinum tripbolinum
Vinum Iabicanus
Vinum ibleum
Vinum netinum
Vinum valvianum
Vinum nefranum
Vinum erbulum
Vinum sucrotinum 
Vinum marsilium
Vinum salernitanum 
Vinum sanseverinum
Vinum massicum
Vinum privcrnuntianum
Vinum pretunum
Vinum cesènaticum
Vinum mœcenaticum
Vinum gravicanum
Vinum stoniense
Vinum arfìnum
Vinum titacazonum
Vinum adrianum



I CONTENITORI

I dolia, recipienti panciuti che contenevano lo spumante, erano mantenuti a bassa temperatura con acqua fredda per impedirne la fermentazione. Ma contenevano anche vini normali, e allora venivano tappati ed interrati per 3/4 della loro altezza, che era attorno ai 2 m, dove avveniva la fermentazione. Se il vino ottenuto era torbido procedevano alla chiarificazione usando bianchi d'uovo montato a neve o latte fresco di capra.

TIPOLOGIE DI CONTENITORI DA VINO
I vini di poco pregio non venivano travasati, quelli di pregio invece venivano versati in anfore a doppia ansa chiamate seriae, con una punta che si conficcava nel pavimento. Potevano contenere da 180 a 300 litri ed erano impermeabili.

Prima del III° sec d.c. le anfore di ceramica erano i contenitori principali per il traffico marittimo con una capacità di una ventina di litri, chiuse ermeticamente con tappi di sughero, sigillati con pece che permettevano l'invecchiamento. Sulle anfore vi era un'etichetta stampigliata, che portava il luogo di provenienza del vino, il nome del produttore e quello del Console in carica.

Tra il 20 ed il 10 a.c. l'anfora fu sostituita con un tipo più leggero e capiente, che scomparve anch'esso verso la fine del I° sec. d.c., sostituito dalla "botte", trasportabile anche da due soli uomini e caricabile sui carri.

Per il commercio del vino proveniente dalla Sicilia, i romani utilizzavano Naves Vinariae (navi vinacciere) piuttosto piccole, veloci e resistenti alle tempeste, capaci di circa 300 anfore, cioè di 2,78 t.



IL VINO NEL FAST FOOD

Per i Romani il vino non replicava l'invasamento religioso della cultura greca (vedi il simposio) dove colui che beveva era posseduto dal vino e dalle divinità, fosse questa Eros, Dionisio o le Muse. I romani erano razionali e avevano come ideale la "continenza", cioè godere di tutto ma senza eccedere. Per questo si raccomandava di annacquare il vino, per non eccedere all'ebbrezza. Nel banchetto romano si presentavano contemporaneamente la carne ed il vino, identificando quest'ultimo come una bevanda e non una droga.

Ma il vino non si beveva solo nelle case, perché c’era il thermopolium, un luogo di ristoro dove era possibile acquistare cibi pronti. Era un locale di piccole dimensioni con un bancone nel quale erano incassate grosse anfore di terracotta, atte a contenere le vivande. I Pompeiani, come i Romani, amavano mangiare pasteggiando vino, o farsi un goccio ogni tanto per rallegrarsi, come nelle osterie romane che ancora sopravvivono a Roma. Ce ne sono ampi resti negli scavi di Pompei ed Ercolano, ma Roma ne era piena.

Del resto durante la giornata ogni scusa era buona per bere un buon bicchiere di vino. Si brindava alla salute di un amico, di un patronus, di una persona importante o della donna amata e in questo caso l'usanza era che si bevessero tante coppe quante erano le lettere che ne componevano il nome. Si brindava altresì per onorare un defunto, o a una divinità di cui si chiedeva la benevolenza, o semplicemente a un progetto affinchè andasse in porto, ma un accenno alla Dea Fortuna c'era sempre.



SCOPERTA UNA VIGNA ROMANA

Tracce di polline di una vigna di età romana sono state rinvenute all'interno di un vigneto fossile lungo uno dei fianchi del Monte Massico, in provincia di Caserta. Il vigneto risalirebbe all'età imperiale romana. 

La scoperta, in realtà, è stata fatta negli ultimi anni del secolo scorso, in seguito ai lavori di sbancamento per la costruzione della strada Panoramica del piccolo borgo di Falciano del Massico. 

Sono state individuate una seriedi sulci (filari), in cui dovevano essere sistemate le viti per la produzione del vino. All'interno dei solchi, al momento della scoperta, sono stati rinvenuti frammenti di ceramica
fine di produzione africana. Sono stati individuati 15 solchi paralleli, disposti ad una distanza di circa 2,70 metri l'uno dall'altro.


BIBLIO

- Marziale - Epigrammi Libro unico
- Teofrasto - Historia Plantarum
- Columella - De Agricoltura
- Columella - De re rustica
- Petronio - Satyricon
- Virgilio - Bucoliche
- Virgilio - Georgiche
- Aulo Cornelio Celso - De Artibus
- Catone - libro de agri coltura -
- Plinio il Vecchio - De Naturalis Historia - XII-XIX libro
- Storia di vini e di vigne intorno al Vesuvio - Flavio Castaldo
- Storia naturale del vino - Ian Tattersall, Rob Desalle
- Alceo - Lesbo 630 a.c. - Frammenti
- Catullo - Poesie


10 comment:

Anonimo ha detto...

Ne sapete una più del diavolo, bravissimi, magari anche qualcosina della Roma sotterranea.... :)

Romanoimpero on 24 settembre 2012 alle ore 15:58 ha detto...

Alcuni articoli sulla roma sotterranea li puoi trovare sotto la voce Monumenti, spesso si tratta di domus, altri sono in lavorazione e usciranno prossimamente. :)

Anonimo ha detto...

Bravi ottimo articolo e molto approfondito!
Sarebbe da approfondire come venivano scaticate dalle bavi le anfore...e portate in casa o nei luoghi opportuni..come venivano aperte..( e consumate..con il rischio che diventasse aceto)!
Grazie e bravi
Antonio

Anonimo ha detto...

buongiorno mi permettevo di sottolineare un refuso riguardo la morte di Plinio il Vecchio che nell'articolo è riportato il "97 d.C.".
Mentre vi chiedevo rispetto alla descrizione del "vinum mulsum 2" quando si scrive "fiori di mais" cosa si intende? Quale mais?
un saluto e grazie alla redazione

Unknown on 12 luglio 2018 alle ore 15:24 ha detto...

Salve, le informazioni da quale fonte provengono?

Niko Orsini on 24 maggio 2019 alle ore 11:22 ha detto...

Mancherebbe una parte relativa al consumo del vino, puro, schietto, o miscelato, ed in che rapporti lo usavano

Unknown on 28 settembre 2020 alle ore 17:02 ha detto...

Sto cercando il nome del produttore di vino dell' antica Roma che punzonava le sue anfore con CAESAI-LVCR, trovato in Tuscia in un sito di villa rustica accanto a via Clodia

Rocco Martinelli on 17 maggio 2021 alle ore 16:21 ha detto...

Manca un dato storico eccezionale,la Calabria! Che era la maggior produttrice di vini dell impero romano esportato da costantinopoli a marsiglia specialmente quello nella locride dove sorge una Villa Romana maestosa a Casignana RC e dove nel territorio sono presente oltre 700 palmenti (vasche di pietra enormi per pigiare l uva).
Per il resto ottimo articolo

Marinella Gagliardi Santi on 23 luglio 2022 alle ore 11:04 ha detto...

Complimenti, ho trovato l'articolo estremamente interessante. Ho trovato anche l'informazione che cercavo, a proposito dei vini provenienti dall'Africa. Mi serviva per un romanzo che sto scrivendo: se qualcuno conoscesse il nome di qualche vino africano in epoca imperiale, anche quello mi interesserebbe!

Anonimo ha detto...

L'articolo interessantissimo, ma e mancato l'elogio al vino Faustianum che era all'epoca ii Falernum per eccellenza stimato dagl'indentitori Romani.altrimenti complimenti per l'articolo

Posta un commento

 

Copyright 2009 All Rights Reserved RomanoImpero - Info - Privacy e Cookies