IL CAPODANNO ROMANO



JANUS - JANUA

« Rivolgete preghiere a Consivio (Giano). Spalanca tutte le porte, ormai egli ci ascolta benevolo… Tu sei il buon Creatore, di gran lunga il migliore degli altri re divini… cantate in onore di lui, del padre degli dei, supplicate il dio degli dei ».
(M. Terenzio Varrone)



IL PRIMO DELL'ANNO A MARZO

Il Capodanno attuale risale alla festa del Dio romano Giano. Però anticamente il Dio di più grande rilievo a Roma era Marte, padre di tutti i romani, sicchè a Marzo iniziava il nuovo anno.
Romolo, nei Fasti di Ovidio, invoca il Dio della guerra dedicandogli il primo mese dell'anno:

Signore delle armi (Marte), dal cui sangue mi ritengo nato e, affinché sia creduto, darò molte prove, da te proclamiamo l’inizio per l’anno romano: il primo mese sarà dal nome del padre

In realtà si festeggiava il risveglio della vegetazione con l'equinozio di primavera. Infatti Marte anticamente era Mavor, Dio dei giardini e della vegetazione che nulla aveva a che fare con la guerra. Era figlio della Grande Madre, Jauna, da cui Juno e Giunone, che lo ebbe, secondo una tradizione più tarda, toccando un narciso, secondo altri toccando un fiore particolare dell'Etolia.

Insomma la Grande Madre che partoriva senza marito, cioè da Vergine, fece il figlio vegetazione che ogni anno moriva al solstizio di inverno e risorgeva all'equinozio di primavera. Del resto anche il Cristo muore e rinasce ogni anno e per giunta una delle lodi alla Vergine Maria la definisce: " Janua coeli" cioè porta del cielo, come era definita appunto Ianua, la porta dei tre mondi, celeste, terreno e infero.

Tutto questo però è il culto italico. I Romani, popolo guerriero, si crearono il mito di Marte che giace con la vestale Rea Silvia e diventa padre di Romolo e Remo:

"O bellicoso Marte", invoca Ovidio all'inizio dei suoi Fasti: "lasciati per un poco lo scudo e la lancia, assistimi e sciogli le lucenti chiome dall’elmo. Forse tu stesso chiedi che attinenza ci sia per un poeta con Marte: da te prende nome il mese che è cantato”.

Del resto Rea aveva avuto un sogno premonitore:
Vegliavo sui fuochi Iliaci, quando la fascia di lana caduta dal capelli scivolò davanti ai sacri fuochi. Da là sorsero insieme, mirabile a vedersi, due palme: tra quelle una era maggiore dell’altra, e con i rami carichi aveva ricoperto tutta la terra e con la sommità della chioma aveva toccato le sue stelle. Ecco mio zio scaglia la spada contro quelle: tremo per il presagio, e il cuore balza per il timore. Il picchio, uccello sacro a Marte, e la lupa combattono per entrambi i tronchi: le due palme furono sicure grazie a loro”. 

Per i Romani, Marzo rappresentava religiosamente l’inizio dell’anno sacro. Si spegnevano i fuochi nel santuario di Vesta con l'acqua della fonte sacra di Giuturna, moglie di Giano. Quindi con legni sacri il fuoco veniva riacceso e venivano sostituite le fronde d’alloro nella reggia.

Poi i sacerdoti Salii portavano nella sacra processione gli Ancilia, le undici copie dello scudo piovuto dal cielo, insieme allo scudo vero. Erano la sacra difesa di Roma.


SACRO BANCHETTO

IL PRIMO DELL'ANNO A GENNAIO

Ci sono diversi equivoci in merito. Alcuni lo fanno risalire al 191 a.c. e non è esatto. In quella data venne emanata dal senato la "Lex Acilia de intercalando"
Introdotta dal console M. Acilio Glabrione, questa legge autorizzava i pontefici ad un periodo di intercalari al fine di evitare lo spostarsi delle stagioni nel calendario lunare pregiuliano. Lo storico Fulvio ritiene sia la prima intercalazione nella storia di Roma, lo storico Varrone invece la fa risalire al V secolo a.c.

Quel che sappiamo di certo, lo conferma anche Terenzio, è che l'inizio dell'anno originariamente venne fissato a marzo, per volere di Numa Pompilio, il II re di Roma, e non venne portato a gennaio, con la "lex Acilia de intercalatione".

I Fasti Capitolini (epigrafi attestanti i giorni atti a trattare gli affari pubblici e privati;) attestano infatti intercalazioni già avvenute nel 260 e nel 236 a.c.; e le "rogationes de intercalando" (richieste di intercalare alcuni giorni del calendario) della "lex Acilia de intercalatione", non erano leggi bensì davano ai pontifices la podestà di intercalare giorni nel calendario secondo le necessità. (Varrone, De lingua latina). Insomma era un aggiustamento del calendario, fatto di volta in volta che lasciava però a Marzo l'inizio dell'anno.

Alcuni attestano che fu Giulio Cesare, nel 46 a.c., a portare il primo dell'anno a gennaio, ma anche questo è falso, perchè anche se è vero che Cesare riformò il calendario che da lui fu detto "giuliano", non ne cambiò la data del capodanno che era già stata trasferita da oltre un secolo a Gennaio.

Fu invece il console Quinto Fulvio Nobiliore, nel 153 a.c. ad effettuare il cambiamento di data.
Infatti Fulvio Nobiliore, nel 153 a.c. fu eletto console. A quel tempo i consoli venivano eletti a dicembre, con qualche mese di anticipo rispetto alla data in cui sarebbero entrati ufficialmente in carica, cioè alle idi di marzo, che era l'inizio dell'anno nel vecchio calendario lunare.

Ma dato che doveva domare la rivolta dei Celtiberi in Spagna, Quinto chiese e ottenne dal senato di poter entrare in carica immediatamente per difendere gli interessi di Roma. Gli fu concesso e, da quel momento l'eccezione divenne la regola. Infatti i consoli neoeletti trovarono molto più conveniente entrare in carica immediatamente, piuttosto che aspettare la scadenza del mandato dei predecessori.

Ricordiamo che all'epoca gli anni venivano riconosciuti dai nomi dei consoli, ogni console che entrava in carica determinava l'inizio dell'anno. C'è di che stupirsi? No, perchè il senso di essere "Pii" dei romani non riguardava mai il fanatismo che era invece guardato con disprezzo.
Quinto Aurelio Simmaco, autorevole membro del Senato, poteva affermare alla fine del IV secolo:

Guardiamo le medesime stelle, comune è il cielo, un medesimo universo ci racchiude: che importa con quale dottrina ciascuno ricerca la verità? Non si può giungere a così sublime segreto per mezzo di una sola via”.

Avesse avuto la stessa grandezza di vedute la cristianità, ci saremmo risparmiati l'oscurantismo del Medio Evo e tutte le sante crociate. 

Dunque i Romani rispettavano e onoravano gli Dei e i riti sia romani che stranieri, ma se era più opportuno cambiare le date lo facevano, aldilà delle consuetudini e dei riti, perchè erano un popolo fortemente razionale. Da allora l'anno iniziò il primo di gennaio, mese che prese il suo nome proprio dal Dio Giano.

TEMPIO DI VESTA

IL CAPODANNO ROMANO

Anzitutto erano i consoli a dare il via alle feste di capodanno. Infatti, consultati i sacerdoti e ricevuti gli auspici favorevoli potevano indossare la toga praetexta e ricevere la salutatio di amici e clienti. Iniziava quindi a Roma la solenne processione aperta dai littori e affollata dai sostenitori, diretta al Campidoglio dove i consoli ricevevano l’acclamazione pubblica, sacrificavano un toro bianco ed esprimevano i vota publica, cioè i voti per il benessere dello Stato durante il loro anno di magistratura.

Ma Gennaio era il mese dedicato da Numa Pompilio a Giano, il Dio bifronte e talvolta quadrifronte. Il Dio bifronte significa che guarda indietro, ossia alla fine dell'anno trascorso, e avanti, ossia all'inizio del nuovo anno.

Un’altra tradizione risale al 31 a.c. al tempo di Ottaviano Augusto: in occasione del Capodanno romano chi indossava un drappo rosso simboleggiava il potere, la salute e la fertilità. Da qui deriva l'usanza attuale di indossare alla fine dell'anno un qualsiasi indumento rosso per la buona fortuna. 

Il colore rosso di cui i re etruschi si dipingevano il viso nelle cerimonie, o che dipingevano sul volto delle statue di Giove, o che come velo adornava nel giorno del matrimonio le spose romane, era il colore della Dea Vesta e del suo fuoco. A capodanno il Tempio di Vesta veniva ornato con serti di lauro e di pino, ponendo un mantello rosso sulla statua della Dea.

Per questa ragione tutti i militari romani di alto rango indossavano un mantello rosso, e per la stessa ragione le spose romane indossavano un manto rosso il giorno delle nozze.




Vacanza o lavoro

Quindi il Pontifex Maximus, o Sommo Pontefice, offriva a Giano farro con sale e una focaccia fatta con cacio grattugiato, farina, uova e olio per propiziare la benevolenza del Dio sui campi e i raccolti. Quel giorno non era vacanza, anzi gli atti lavorativi avevano un valore rituale, secondo le prescrizioni di Giano che dice, come riporta Ovidio:
"Consacrai al lavoro l'anno che appena comincia perché non sia l'intero ciclo ozioso".

Da cui deriva un nome che sembra una contraddizione: le ferie e i giorni feriali. Le Feriae romane erano giorno di festa e ancor oggi per noi le ferie sono i giorni in cui non si lavora, però chiamiamo "giorni feriali" i giorni della settimana in cui si lavora, cioè tutti meno la domenica. 

Ebbene le Ferie di Giano, cioè il primo giorno dell'anno era lavorativo, però si faceva festa. Naturalmente i romani, che facevano feste in continuazione, non è che lavorassero tanto il primo dell'anno, però facevano l'atto di farlo. Aprivano le botteghe, gli uffici e il tribunale per qualche ora, o anche meno, poi li chiudevano. Anche nei campi i contadini lavoravano per un po' e poi tornavano a casa a festeggiare e sembra che spesso fosse consentito anche agli schiavi.


Anno Nuovo - Dio Bambino

Nell'Urbe chi continuava a lavorare erano le tabernae, perchè si festeggiava anche così, col vino e il buon cibo. Il vino era imprescindibile dalla festa, soprattutto per il capodanno, tanto è vero che
in quel giorno era usanza festeggiare anche Dioniso (il dio del vino, il Bacco romano), invocando un bambino in fasce che rappresentava la rinascita del Dio stesso come lo spirito della fertilità. 

Si usava declamare e onorare con molti brindisi di vino schietto una statuetta di legno, in genere rudimentale, avvolta nelle fasce neonatali, poggiato su una piccola roccia. Nell'ultimo brindisi si versava un po' di vino sulla roccia e si toccava la fronte del Dio bambino con le dita intinte nel vino. Da qui nasce l'idea che porti fortuna, quando si rovescia un bicchiere di vino, bagnarsi le dita e toccarsi la fronte con quel vino.

Così, malgrado i cristiani condannassero la pratica pagana, la popolarità del bambino come simbolo di rinascita costrinse la Chiesa, che l'aveva tanto deprecata, a rifarsi i conti ed istituire il suo Gesù bambino che nasceva al solstizio di inverno come Bacco e come Mitra. E finalmente consentì anche ai cristiani di celebrare il capodanno, che rappresentava all'epoca la nascita di Gesù Bambino.



GIANO

Plutarco nel I sec. a.c., riferendosi alla protostoria romana, scrive degli avi di Roma come divinità primigenie; tra cui il dio Giano spesso raffigurato tra i due gemelli Dioscuri.

« Giano fu un semidio o un re che al tempo dei tempi, secondo la tradizione, strappò gli uomini dallo stato ferino e selvaggio in cui vivevano: lo fece mediante le riforme politiche e sociali. Giano è rappresentato con due facce (i due Dioscuri) appunto a indicare che procurò agli uomini una forma e condizione di vita più elevata della precedente ». 
(Plutarco, Vite Parallele, La vita di Numa Pompilio)

Il culto del Capodanno era legato anche alla divinazione del Dio Giano, un Dio con due facce, una delle quali guardava in avanti e l'altra indietro, tra il passato e il futuro. Pertanto era il giorno in cui i divinatori potevano presagire il futuro degli uomini e degli eventi.

Il Dio Giano non trova riscontro in altre mitologie, perchè fu solo Dio italico e latino, e non ebbe padre nè madre. Il termine Janus evoca la porta, in latino janua, infatti Giano è considerato Dio dell’apertura e dell’inizio, cioè del principio di ogni azione. 

JANUS
Dunque Giano, Janus, divenne il custode delle porte, chiamato per questo Janitor da cui deriva la parola "genitore". In quanto divinità solare, Giano aveva il controllo delle Porte del Cielo (Januae caelestis aulae) direttamente collegate al ciclo giornaliero e annuale del sole, attraverso le Porte Solstiziali, da cui il Sole inizia i suoi percorsi annuali: ascendente e discendente. 

Nei frammenti superstiti del Carmen Saliare Giano è salutato con enfasi come padre e Dio degli Dei :
« cantate Lui, il padre degli Dei, supplicate il Dio degli Dei »

Non era possibile intraprendere nessuna impresa militare, commercio o lavoro artigianale o cerimonia, pubblica o privata, senza essersi propiziati il suo favore, pena il fallimento dell'operazione. Per questo, la prima preghiera in ogni simile occasione era sempre rivolta a Giano. E' evidente che in tempi molto arcaici fosse il Re del Panteon romano, come poi, con l'influsso greco, lo fu Giove.

Questo Dio proteggeva anche il principio della vita, ovvero il concepimento; allo stesso modo si era convinti che presiedesse alla nascita del mondo e di tutte le creature. Fu dunque definito in tal senso Janus Pater, padre di tutti gli uomini, di tutta la Natura e dell’Universo. Esattamente come Ianua prima di lui. 

Sembra infatti che Janus fosse antecedentemente il figlio della Grande Madre Janua, che nacque da lei nel solstizio d'inverno, crebbe, morì nell'equinozio di primavera e si ricongiunse con lei nella dimensione celeste.

I sacerdoti salii lo chiamarono Buonus Cerus, Buon Creatore, e Deorum Deus, Dio degli Dei. Ovidio ritiene che sia il Dio dell’anno, Janus anni deus; Orazio lo identifica con il Sole e lo chiama Matutinus Pater; come custode del cielo, regge nelle mani una chiave e una verga. Il simbolo della chiave custode del cielo verrà poi ripresa dalla chiesa cattolica che munirà di chiave San Pietro, anzi di due chiavi, quella del cielo e quella della terra in quanto il papa era anche un monarca.


Dio di ogni inizio, Giano era invocato per primo in ogni rito, cerimonia o impresa. Vigilava sulla nascita di ogni essere, mortale o divino che fosse, per cui era anche Ianus Consivius: Dio della procreazione, Dio degli Dei e padre di tutta l’umanità. Giano, quindi, Dio del principio e della fine di tutte le cose, presiedeva a tutti gli inizi e ai passaggi, sia nello spazio che nel tempo, e per questo fu oggetto di un culto diffuso e popolare con vasti campi d’azione, anche a carattere magico.


Dio delle transizioni, posto a tutela dei momenti di passaggio (matrimoni, nascite, semine e raccolti), delle porte, dei passaggi, Giano segna l’evoluzione dal tempo andato all’avvenire, da uno stato e da una visione all’altra, da un universo all’altro. 

Il console Marco Valerio Messalla Rufo scrisse nel suo libro sugli Auspici che Giano è colui che plasma e governa ogni cosa e che un tempo unì, circondandole con il cielo, l'essenza dell'acqua e della terra, pesante e tendente a scendere in basso, e quella del fuoco e dell'aria, leggera e tendente a sfuggire verso l'alto, e che fu l'immane forza del cielo a tenere legate le due forze contrastanti.
Settimio Sereno lo chiamò "principio degli Dei e acuto seminatore di cose".

Macrobio, nella prima giornata dei Saturnali, racconta di Giano che: 
« Durante la guerra sabina, provocata dal ratto delle vergini, i Romani avevano fretta di chiudere la porta ai piedi del colle Viminale, che in seguito fu per questo chiamata Gianuale, perché i nemici facevano impeto in quel punto. Appena chiusa, si aprì da sola; e il fatto si ripeté una seconda e una terza volta. Visto che non era possibile chiuderla, rimasero di guardia armati in gran numero davanti alla soglia. Mentre da un’altra parte si combatteva molto aspramente, all’improvviso corse la voce che i nostri erano stati sbaragliati da Tazio. 
A questa notizia i Romani che difendevano l’accesso fuggirono atterriti. Quando però i Sabini stavano per irrompere attraverso la porta aperta, si dice che dal tempio di Giano uscirono attraverso questa porta torrenti impetuosi dalle acque gorgoglianti e molte schiere nemiche perirono bruciate dai flutti bollenti o inghiottite dai gorghi travolgenti. In seguito a ciò si decretò che in tempo di guerra le porte del tempio restassero aperte, come se il dio fosse partito in aiuto della città. Questo per quanto riguarda Giano ».

MONETA NERONIANA DEL TEMPIO DI GIANO A ROMA

I TEMPLI DI GIANO

«…(Numa Pompilio) fece costruire verso la parte più bassa dell’Argileto un tempio a Giano, indice di pace e di guerra, perché, aperto, significasse che la città era in armi, chiuso, che erano in pace tutti i popoli vicini. 

Questo tempio rimase chiuso due volte dopo il regno di Numa; una volta sotto il consolato di Tito Manlio, nel 235 a.c., alla fine della I guerra punica; la seconda, e questo gli Dei ci concessero di vedere ai tempi nostri, dopo la battaglia di Azio (nel 31 a.c.), quando l’imperatore Cesare Augusto procurò la pace per terra e per mare » 

(Tito Livio)

Secondo il mito Giano, istituì per primo i riti religiosi e dato inizio alla costruzione di templi; di conseguenza era il patrono dei Collegia Opificum et Fabrorum, istituiti sotto il regno di Numa e in suo onore le corporazioni degli artigiani romani celebravano le due feste solstiziali, essendo protettore di ogni inizio e iniziatore della civiltà. 

Il più antico tempio di Giano a Roma venne eretto nel Comizio da Numa Pompilio, a tutt’oggi non rinvenuto o,  non riconosciuto con sicurezza, noto anche come Geminus o Quirinus. Il tempio a lui dedicato nel Foro Romano rimaneva aperto in occasione di imprese militari e belliche, ma sbarrato solennemente in tempo di pace.

Quindi di Giano veniva esaltato anche il ruolo di custode della pace e in base a ciò veniva chiamato Ianus Patulcius ("che apre le porte"), e Ianus Clusius ("che chiude le porte"). Del tempio non ci sono resti; è rimasto solo una raffigurazione del tempio (chiuso) nel Foro su un moneta di Nerone del 66.

 Ovidio chiede proprio a Giano di propiziare l’anno nuovo con le seguenti parole: 

« Germanico, ecco Giano l’anno t'annunzia felice, 
Giano che nei miei carmi per primo compare. 
Giano bifronte, che l'anno cominci scorrente 
 silenzioso, solo tra i numi vedi dietro. 
 Ai duci sii propizio, che danno con l’opera loro 
alla fertile terra pace serena e al mare; 
il popolo proteggi, proteggi il senato di Roma 
e i candidi templi dischiudi col tuo cenno ». 
(Ovidio, Fasti, Libro I, vv. 63-70). 

Un altro tempio, monumentale e pervenuto fino a noi, era situato nel Foro Olitorio, nell’area individuata all’incirca dal teatro di Marcello, dalla moderna via del Mare e dalla chiesa medievale di San Nicola in Carcere, derivato dalla trasformazione in un grande tempio di un antico altare lì situato e voluto, al tempo della I Guerra Punica, da Gaio Duilio, vincitore a Milazzo (Mylae 260 a.c.). 

A questo tempio, quasi del tutto scomparso, Augusto donò la statua del Dio, opera  di Scopas o di Prassitele. A Giano  erano anche dedicati un altare sull’Esquilino, noto come Ianus Curiatius, alcune statue nel Foro e i celebri archi quadrifronti denominati Iani.

Il primo dell'anno venivano onorati in processione tutti i vari templi con festoni, offerte di vini e focacce che venivano poi divise tra la popolazione accorsa.


SOL INDIGES

Antico culto italico solare, secondo Macrobio sarebbe da associarsi al culto di Janus-Giano. 
Nel suo culto solare rientra il mito della fenice, che ogni cento anni prende fuoco e si brucia riducendosi in cenere, ma subito dopo rinasce dalle ceneri perpetuando così la sua eterna giovinezza.

Vi si associa pure al Dio Inuo, anch'esso culto solare, come il Dio Elio dotato di aureola solare.. 
Tra questi il culto più antico sarebbe quello di Giano, che però, associato a Janua-Diana, la sua paredra, era un culto solare - lunare, con allusioni al mondo esterno ed interno, o a vita e morte, o a luce ed ombra. 

GIANO CON LA CHIAVE DEL CIELO

IL DIO RE

« Qualsiasi cosa ovunque tu veda, cielo, mare, nubi, terre, tutto incomincia e finisce per mano mia. E' a me solo che è affidata la custodia dell'intero universo, è del tutto mio il diritto di farlo girare sui cardini. Assieme alle pacifiche Ore custodisco le porte del cielo (anche Giove esce ed entra per opera mia). E' per questo che sono chiamato Giano »

Così Ovidio fa parlare Giano come Dio Supremo di tutti e tutto. Ma in antichissime tradizioni egli venne considerato un grande re, un po' come Saturno.

Di Giano si diceva infatti che fosse stato il primo re del Lazio, prima ancora dell’arrivo di Saturno (il greco Crono); questi sarebbe stato ospitato proprio da Giano dopo essere stato detronizzato dal figlio Giove. Per l’ospitalità ricevuta, Giano ricevette dal Dio Saturno il dono di vedere sia il passato sia il futuro, all’origine della sua rappresentazione bifronte.

Dimora del Dio Giano era il colle del Gianicolo, dove il Dio avrebbe regnato sui primitivi abitanti del Lazio, gli Aborigeni, insegnando loro l’agricoltura, il vivere civile e il rispetto della legge.



LA FESTA

Il primo di gennaio i Romani usavano invitare a pranzo gli amici e alla fine del lauto pasto scambiarsi il dono di un vaso bianco con miele, datteri e fichi secchi, il tutto accompagnato da ramoscelli d'alloro, detti strenna, o strenua, come augurio di fortuna e felicità. 

IANUS IANUA - ERMA ROMANA I SEC. A.C.
Il nome strenna derivava dal fatto che i rami venivano staccati da un boschetto della via sacra ad una Dea di origine sabina: Strenia, o Strenua, che aveva uno spazio verde a lei dedicato sul Monte Velia.

La Dea era apportatrice di fortuna e felicità; il termine odierno "strenna", cioè regalo natalizio, deriva dai regali del solstizio di inverno che i romani si facevano come augurio di fortuna in nome della Dea.

Con quei ramoscelli si ornavano anche le porte degli edifici più importanti, come il tempio di Vesta, la reggia, le Curie e le case dei flamini maggiori

In Ovidio - I Fasti - lo stesso Dio Giano spiega quindi perchè l'anno abbia inizio non in primavera , quando si risveglia la natura, ma d’ inverno: appunto perchè il sole e l'anno possano dare insieme principio al loro corso.

Sottolinea la particolare importanza che si attribuisce al primo giorno dell'anno riguardo ai presagi: perciò i Romani lavorano in quel giorno, si scambiavano auguri e strenne, che purtroppo la brama degli uomini ha reso sempre più ricche 

Ovidio interroga Giano: 
« Che cosa voglion dire i datteri e i fichi rugosi
e il puro miele offerto dentro candido vaso?
Si fa per buon augurio disse (Giano) perché nelle cose
passi il sapore; e l'anno, qual cominciò, sia dolce.
Comprendo il perché dei dolci: 
ma spiegami la ragione del dono in monete, 
affinché nulla della tua festa mi sfugga. 
Rise e disse: Oh quanto ti inganni sui tuoi tempi, 
se pensi che ricever miele sia più gradito che ricever monete! 
Già, regnando Saturno, ben pochi io vedevo a cui non stesse a cuore la
dolcezza del guadagno; col tempo crebbe l’avidità del possedere, e ora
è arrivata a tal punto che più non potrebbe aumentare ». 
(Ovidio, Fasti, Libro I)

Ma il vaso bianco non era l'unico regalo che i romani si scambiavano nel giorno del capodanno, perchè si facevano anche veri e propri doni di oggetti di valore diverso, a seconda delle possibilità.
A tavola si usava porsi sul capo dei ramoscelli di ulivo intrecciati a rametti di pino.

La notte antecedente invece si facevano riti per cacciare l'anno vecchio lasciando socchiusa la porta di casa affinchè il vecchio anno potesse uscire, ma in alcune zone si ponevano ai lati della porta dei fasci di saggina che impedivano l'accesso a spiriti malevoli. In genere la cena conteneva erbe amare simbolo delle traversie dell'anno passato e uova sode come simbolo e aspettativa di rinascita del nuovo anno.



INNO A GIANO

O Giano bifronte, origine dell'anno che scivola silenziosamente, 
solo tu tra gli dei superi che vedi le tue spalle: 
sei presente alla destra dei capi, con la fatica dei quali 
la terra fertile produce ozi tranquilli e il mare anche. 
Sei presente alla destra dei tuoi padri, e del popolo di Romolo: 
e apri con un cenno le cose favorevoli per il tuo tempio.

La luce sorge propizia; favorite gli spiriti e le parole.
Ora sono da dirsi buone parole nel giorno favorevole. 
Le orecchie manchino lai lotta, e le dispute furiose stiano sempre lontane: 
divulga il tuo lavoro, o lingua invidiosa, e fai in modi che splenda il cielo
con i fuochi profumati e accesi questi, canta con la spiga della Cilicia.
la fiamma, con il suo splendore colpisce l'oro dei templi, e sparge
il raggio tremolante dal punto più alto del tempio. 

Tarpea va nell'acropoli con le vesti intatte, e lo stesso popolo 
è di colore uguale nel suo giorno di festa.
e già avanzano i nuovi fasci e la nuova porpora brilla 
e il ricco avorio sperimenta nuova importanza.
I teneri torelli offrono i colli da sgozzare per il lavoro agricolo,
che l'erba del territorio dei Falisci nutrì con i suoi campi.

Giove guardi verso tutto il mondo dalla sua sede 
e non abbia niente altro che il mondo romano da proteggere. 
Non abbia null'altro che il mondo romano che lui protegge.
Salute, o giorno felice, e ritorna sempre migliore 
degno di essere venerato da un popolo potente.
Dirò: quale dio, infatti, posso dire che tu sia, o Giano bifronte?
Infatti la Grecia non ha nessuna divinità pari a te.
Svela nello stesso tempo il motivo perché, solo tu tra gli dei, 
vedi ciò che è alle spalle e ciò che è davanti.
A me, che esamino queste cose, con le tavolette acquisite, 
il tempio appare più splendente di come fu in precedenza.

(Ovidio - Fasti)

La festa del Capodanno, nonostante le riprovazioni cristiane, si protrassero per molti secoli, tanto è vero che nel VII sec., poichè i belgi delle Fiandre, seguaci dei druidi, usavano ancora festeggiarle all'uso pagano, vennero fortemente redarguiti da Sant'Eligio, che ammonì severamente:

« A Capodanno nessuno faccia empie ridicolaggini quali l'andare mascherati da giovenche o da cervi, o fare scherzi e giochi, e non stia a tavola tutta la notte né segua l'usanza di doni augurali o di libagioni eccessive. Nessun cristiano creda in quelle donne che fanno i sortilegi con il fuoco, né sieda in un canto, perché è opera diabolica »


BIBLIO

- Ovidio - Fasti - Libro - I -
- Dionigi di Alicarnasso - Antichità romane - II -
- John F. Donahue - "Towards a Typology of Roman Public Feasting" in Roman Dining - A Special Issue of American Journal of Philology  - University Press - 2005 -
- Georges Dumézil - Feste romane - Genova - Il Melangolo - 1989 -
- William Warde Fowler - The Roman Festivals of the Period of the Republic  - Londra - 1908 -


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