VIA LATINA





La via Latina risale addirittura alla preistoria; il tracciato originario partiva grosso modo dall'isola Tiberina, (unico guado nel basso corso del Tevere), lasciato il Circo Massimo e superate le mura a porta Latina, la strada correva nella zona dove ora si trova il Parco delle Tombe della via Latina, che conserva diversi sepolcri.

"Sulla Via Latina a man destra rimangono alcune rovine di Mausolei: Ma il più degno d'essere veduto si è un Tempio ben conservato costrutto pulitamente di terra cotta. E' egli di forma quadra con puliti cornicioni, e finestre, che davano lume al didentro. Avendo misurata la sua distanza da Roma da piè del Celio dove si deve cominciare, fino a questo Tempio è giustamente di quattro miglia, onde può giudicarsi, che questo sia il celebre Tempio della Fortuna Muliebre, che dagli Antichi Scrittori si stabilizzò a quattro miglia da Roma nella Via Latina edificato per la nota Storia di Coriolano quivi accampato contro la Patria, e placato da Vetruvia sua Madre".
(Ridolfino Venuti Cortonese 1763)

TRATTO PRIMA DI PORTA LATINA
Questa via naturale tra la valle del Tevere e la Campania era già in uso in età neolitica (circa 2500-1700 a.c.), e proprio perchè così antica non porta il nome del costruttore, con un tracciato definitivo tra il IV e il III sec. a.c. ma già percorsa dagli etruschi per colonizzare la Campania tra i secoli VIII e VI a.c.

Nel V sec. a.c. la potenza etrusca era però in declino, e così le popolazioni sannitiche si impadronirono della zona impedendone il transito; ma un secolo più tardi i Romani, che percorrevano quel tracciato sin dai primissimi tempi per commerciare con i popoli che abitavano a Sud, riuscirono a sottomettere Volsci, Ernici ed Equi, a garantirsi l'alleanza con Capua (340 a.c.) e a sciogliere la Lega Latina (338 a.c.), divenendo i padroni del Lazio meridionale. La regione così conquistata venne chiamata "Latium Novum" o "Adiectum", a differenza del "Latium Vetus", che era la regione della valle del Tevere fino a Segni.

Subito dopo Roma diresse le proprie mire espansionistiche più a Sud, affrontando le guerre sannitiche per la conquista della Campania e della Lucania; per questo motivo tra il 328 ed il 312 a.c. l'antica strada fu potenziata; la tecnica del basolato non era però ancora diffusa, per cui venne realizzata in ghiaia e terra battuta.

PORTA LATINA
A questa via, nel 312 a.c., se ne aggiunse una nuova, che attraversava la pianura pontina; la strada nuova prese il nome di via Appia dal costruttore Appio Claudio poi detto Cieco, mentre la vecchia (che esisteva prima della fondazione di Roma) fu chiamata semplicemente via Latina perché attraversava il territorio abitato dai popoli latini.

La Via Latina usciva da Roma appunto da Porta Capena, assieme alla Via Appia, vicino al Circo Massimo, in direzione sud-est per circa 200 km. Le due vie si separavano molto presto tanto che nelle Mura Aureliane ebbero ognuna una porta propria, Porta Latina e Porta Appia (poi Porta San Sebastiano).

Comunque deve aver preceduto la Via Appia come itinerario verso la Campania, poiché la colonia latina di Cales è stata fondata nel 334 a.c. e doveva essere accessibile da Roma per una strada, mentre la Via Appia è stata realizzata solo ventidue anni più tardi. Inoltre aveva un tracciato più semplice da costruire di quanto non sia occorso ingegneristicamente sia occorso per la via Appia. Nella parte iniziale ha senza dubbio preceduto la Via Labicana, anche se questa fu preferita in seguito.

La via, larga quasi 4 m, portava quindi al passo dell'Algido (altezza 560m), che delimitava i Pratoni del Vivaro, dove Algido fu un avamposto degli Equi, alleati dei Volsci contro Roma, sin dal V sec. a.c.

TORRE DELL'ANGELO
Saliva quindi verso Grottaferrata mantenendosi lievemente sulla destra dell'odierna Anagnina; qui se ne può individuare il percorso grazie ai ruderi dei sepolcri, tra cui quello nei pressi di Villa Senni al X miglio e quello di Metilio Regolo presso il ponte del bosco di Grottaferrata; sempre al X miglio si trovano gli interessanti resti archeologici della località Vicus Angusculanus, che poi venne chiamata ad decimum per via della presenza della pietra miliare relativa al decimo miglio della via Latina.

Successivamente la strada coincide con l'attuale Anagnina che dopo l'incrocio per Frascati, Grottaferrata e Rocca Priora cambia nome in Tuscolana; l'antica via Latina passa quindi sotto al Tuscolo; in località Molara nei pressi di Rocca Priora è stato portato alla luce un tratto dell'antica via visibile in uno slargo al centro della moderna via Tuscolana.

Poi oltrepassava i Colli Albani e riscendeva lungo le valli del Sacco e del Liri, nello stesso percorso della ferrovia che va a Napoli via Cassino, e rasentava in pianura le città collinari degli Ernici: Anagnia, Ferentinum, Frusino, etc.

A Fregellae scavalcava il Liris e poi attraversava Aquinum,di cui costituiva il Decumanum maximum, dalla Porta Romana e ne usciva dalla Porta Capuana, poi detta anche di San Lorenzo per la presenza nei pressi di una piccola chiesa dedicata al Santo, e proseguiva per Casinum e appunto per Capua. Oggi tracce della via Latina ad Aquino sono evidenti nelle tante basole disperse per ogni dove; nelle pareti dei vecchi casolari, nei muri a secco che costeggiano tante strade delle città, lungo viottoli e nei campi. La traccia principale però è un lungo tratto molto ben conservato che va dalla Porta Capuana al ponticello "sui laghi". 

DIMENSIONI DEGLI ACQUEDOTTI
Recentemente riportata alla luce dopo che nei primi anni ’50 vi furono scaricati centinaia di mc di terra di riporto, per la costruzione della via asfaltata che ora le corre accanto, costituisce chiara e suggestiva testimonianza di cosa fossero le vie consolari. Il tratto in questione è lungo circa 300 m ed è affiancato dai ruderi della chiesetta di San Tommaso, senza più tetto e con la parete di fondo crollata. Anche qui sono incorporati tra le mura notevoli frammenti di templi romani. 

Proprio di fronte, nel giardino di una casa privata, è posto il miliario LXXIX (79 da Roma). Su un lato vi è l’iscrizione 
"C(aius) Calvisius C(ai) f(ilius) Sabinus" il console che probabilmente restaurò la via Latina nel 39 a.c..

Sul lato opposto c’è il nome Vespasiano e l’anno 77, forse quando ci fu un altro restauro della strada. Sempre di fronte ai ruderi della chiesetta di San Tommaso, c’è oggi una strada da poco realizzata che ricalca il tracciato di una piccola via che la tradizione afferma chiamarsi "degli orefici" forse per la presenza di botteghe. 

Durante la sua costruzione sono venute alla luce numerosissimi reperti di vario genere che sono stati riutilizzati per creare un suggestivo muro "archeologico" lungo la stessa via. All’inizio di questa strada, si notano le tracce di una stanza d’abitazione quasi sicuramente d’epoca romana.



LE VARIANTI

Pressoché parallela all’Appia che costeggiava il Tirreno, la Via Latina vi si riuniva appunto a Capua, dopo aver attraversato la Valle del Liri. Uscendo da Porta Capuana, scendeva in maniera alquanto ripida verso i cosiddetti Laghi attraversando un ponte e poi risaliva lungo un ripido pendio.

Quindi passava nel varco fra gli Appennini ed il gruppo vulcanico di Rocca Monfina ma la strada originale, invece di attraversarlo, girava bruscamente all'altezza di San Pietro Infine verso nord-est sopra le montagne verso Venafrum, mettendo così in comunicazione diretta con l'interno del Sannio e, tramite altre strade, con Aesernia, Cubulteria, Alifae e Telesia.

In seguito, tuttavia, ci fu con ogni probabilità la creazione di una variante, tra Rufrae (l'attuale Presenzano) e l'attuale San Pietro Infine, che abbreviava il percorso e che seguiva l'attuale percorso dell'autostrada e della ferrovia Napoli-Roma.

I due tracciati si ricongiungevano vicino alla attuale stazione ferroviaria di Caianello e la strada portava a Teanum, Cales ed a Casilinum, la moderna Capua, dove attraversava il Volturno e si immetteva nella Via Appia.

ACQUEDOTTO CLAUDIO
La distanza fra Roma e Casilinum era di 129 miglia con la Via Appia, 135 con la vecchia Via Latina passando per Venafro, e di 126 passando per la variante di Rufrae. Resti considerevoli della strada esistono nelle vicinanze di Roma; per le prime 40 miglia, fino a Compitum Anagninum, non è seguita da alcuna strada moderna, mentre in seguito il percorso è sostanzialmente lo stesso dell'autostrada.

Il tracciato della via subì, durante tutto il III sec. a.c., uno straordinario lavoro di rettificazione, lavoro reso ancor più complesso dalle notevoli asperità del terreno; basti pensare che il tratto da piazza Galeria fino a Grottaferrata è un unico rettifilo di ben 15 km, comprendente persino un viadotto alto 7 metri dove la strada incontrava il fosso dei Cessati Spiriti.
Gli ingegneri romani anticiparono di fatto il criterio delle moderne autostrade: arrivare il più rapidamente possibile alla meta finale (Capua), tralasciando le città che erano lungo il percorso.

Anagni, Frosinone, Cassino ecc. erano collegate alla via Latina attraverso diramazioni, così come avviene oggi con l'autostrada del Sole.
Il percorso complessivo della via Latina, da Roma a Capua, era lungo in origine 147 miglia (15 in più rispetto alla via Appia costruita da Appio Claudio), ma fu progressivamente rettificata fino a misurare 129 miglia (circa 191 km), addirittura tre miglia in meno rispetto alla via Appia; il cammino poteva essere effettuato da un viaggiatore comune, a piedi, in cinque giorni.

Il percorso della via Latina, nonostante non abbia conservato lo stesso nome, oggi è ripercorso pari pari dalla Statale Casilina, e più recentemente dall’Autostrada del Sole. Dal punto terminale del percorso, Casilinum, nasce il nome medioevale della strada, Via Casilina. Alcuni tratti dell'antico tracciato sono ancora visibili nel parco degli acquedotti a Roma, all'altezza degli studi di Cinecittà e vicino all'Acquedotto Claudio.

ACQUEDOTTO FELICE


I RITROVAMENTI


PARCO ARCHEOLOGICO DELLE TOMBE DI VIA LATINA

E' uno dei complessi archeologici di maggior rilievo dei sobborghi di Roma che conserva ancora intatto l’aspetto tradizionale dell’antica campagna romana, situato poco oltre l’incrocio tra Via Appia Nuova e Via dell’Arco di Travertino. Vi si conservano un tratto di circa 450 m dell’antica Via Latina, ancora pavimentata per un lungo tratto dell'antico basolato in selce, e su entrambi i lati numerosi monumenti funebri. La scoperta e gli scavi dell’area sono stati eseguiti tra il 1857 ed il 1858 da Lorenzo Fortunati, un insegnante appassionato d’archeologia. 


TOMBA DEI  VALERI
- Subito dopo l’ingresso, sulla destra della strada, si trova un sepolcro a dado di cui rimane il nucleo in calcestruzzo e tufo, completamente spogliato dei suo originario rivestimento in marmo o travertino, con la targa
della scoperta del sito ad opera di Fortunati e dei successivi scavi intrapresi per volere di papa Pio IX.Sulla targa è inciso:

PIO IX PONTIFICI MAXIMO
XII KAL(endae) MAI(ae) AN(nus) CHR(isti) MDCCCLVIII...

Pio IX Pontefice Massimo
il 20 aprile dell'anno del Signore 1858.
Lo scopritore Lorenzo Fortunati,
devoto alla Sua Divinità e Maestà,
abile ricercatore,
la Basilica di Stefano Protomartire
di cui nei secoli sopravvisse il solo nome, la via latina, sepolcri, colombari, cimiteri e il resto di monumenti mozzati
tutti preservati dalla terra e portati alla luce del sole.

L’interesse del Papa fu conseguenza del rinvenimento della Basilica, il ché portò inevitabilmente all’estromissione del Fortunati dagli scavi nella zona dopo una breve disputa legale tra questi ed il papato, in quanto Fortunati cercò di far valere le leggi dell'epoca che gli davano tutti i diritti sui ritrovamenti; l’apposizione della lapide "a memoria" dei suoi primi scavi già l'anno successivo alla scoperta resero chiaro che i ritrovamenti dell'archeologo erano "storia" ma nulla di più avrebbe ottenuto.

- Il secondo monumento sulla destra della via è il Sepolcro dei Corneli o Barberini, così chiamato per la famiglia aristocratica ultima proprietaria dell’area, anche chiamato Sepolcro dei Corneli da una epigrafe oggi scomparsa ma riportata in un disegno del 1600 di Pirro Ligorio e riportante il nome L. Cornelius. I Barberini furono una ricca e potente famiglia originaria della Toscana che raggiunse l’apice del potere con Maffeo Barberini che dal 1623 al 1644 fu Papa Urbano VIII; furono fra i principali finanziatori delle splendide opere della Roma Barocca; purtroppo per i loro scopi saccheggiarono le opere dell’antichità, da cui il detto "ciò che non fu fatto dai Barbari fu fatto dai Barberini."

Databile intorno al 160 d.c. presenta due piani sopraterra e una camera sepolcrale sotterranea, circondata da un corridoio, utilizzato anch’esso per sepolture e pavimentato a mosaico. All’esterno si conservano decorazioni architettoniche fittili in origine dipinte. L’interno era coperto da volte affrescate e stuccate. Si tratta di un sepolcro a Tempietto in laterizi policromi della seconda metà del II sec. d.c., con la virtuosa tecnica raggiunta nell’utilizzo del mattone, con mattoni rossi utilizzati per realizzare le mura e le semicolonne e mattoni gialli utilizzati per realizzare i capitelli corinzi le architravature che avvolgono l’edificio e le cornici delle finestre e della porta.

La camera sotterranea seminterrata è accessibile dall’esterno dell’edificio e prende aria dalle strette feritoie poste alla base del monumento; in questa camera venne rinvenuto il sarcofago "Barberini" raffigurante il mito di Protesilào e Laodamìa conservato ai Musei Vaticani; il piano terra ha l’ingresso sul lato dell’edificio opposto alla strada e dal piano terra si accedeva al primo piano tramite delle scalette interne di cui restano tracce sulla parete cui erano addossate; restano tracce del pavimento a mosaico del piano terra mentre il solaio del primo piano fu abbattuto nell’ottocento per utilizzare la struttura come fienile; restano tracce degli intonaci che ricoprivano le pareti interne e la volta a crociera del secondo piano.

- Poco dopo il sepolcro Barberini, sul lato sinistro della via si trova il sepolcro Fortunati, con una struttura a pianta quadrata e camera sepolcrale sotterranea, a cui si accedeva dalla via Latina tramite una scala a due rampe di gradini che conservano ancora tracce del rivestimento in lastre di marmo. Il sepolcro presenta una camera funeraria, coperta da volta a crociera, con nicchie per le olle cinerarie nelle pareti che presentano tracce di pitture con elementi vegetali e animali.

TOMBA DEI CORNELI
- Sepolcro a pilastro
Più avanti sulla strada si trovano altri resti minori di sepolcri tra cui sulla sinistra il nucleo in opera cementizia di un sepolcro a pilastro spogliato del suo rivestimento.

- Proseguendo sul tracciato della via Latina, che conserva in alcuni punti la pavimentazione basolata, sul lato destro si trova il Sepolcro dei Valeri, la cui struttura in elevato attualmente visibile fu costruita alla fine dell’800 impostandosi sulla muratura originaria al fine di salvaguardare gli intonaci e gli stucchi della camera sotterranea. 

L’edificio, in laterizio e databile all’inizio del regno di Marco Aurelio (160-170 d.c.), era preceduto da un ingresso monumentale. 
La parte superiore del sepolcro, destinata alle cerimonie e ai banchetti funebri, è stata completamente ricostruita tra il 1859 e il 1861. 

L’ingresso, anch'esso ricostruito, presenta due colonne di cui quella originale in marmo cipollino; accanto due scale conducono alla camera funeraria, formata da un atrio e da due camere opposte, entrambe coperte da volta a botte riccamente decorata con stucchi raffiguranti menadi, satiri, nereidi, animali marini fantastici, figure danzanti e una figura femminile velata, trasportata da un grifone, che simboleggia l’anima del defunto. 

Attorno al sepolcro sono i resti di una stazione di posta (mansio); si intuisce quale fosse lo spazio destinato al marciapiedi; si noti il passo carrabile realizzato all'ingresso della stazione di posta tra le due basi delle colonne, alla sinistra dell'ingresso alla tomba. All’ingresso dalla strada si notano le basi di due colonne che probabilmente sorreggevano due statue e il selciato della strada che entra nell’area della stazione a realizzare una sorta di passo carrabile.

Sul fianco e sul retro del sepolcro sono state rinvenute due cisterne per l’acqua ed una piscina con pavimento in mosaico; Il fatto che la stazione di sosta sorgesse a fianco al monumento funebre non deve apparire strano; probabilmente gli stessi proprietari della stazione di sosta avevano dato in concessione l’uso del loro terreno per costruire il sepolcro e si occupavano della manutenzione dello stesso.

- Sul lato destro della via poco prima della fine del Parco, si staglia la facciata del cosiddetto sepolcro Baccelli, tutto ciò che rimane di una tomba che era rimasta integra nell’alzato fino al 1959, quando crollò gran parte dell’edificio.
La struttura a tempietto del II secolo d.c., ha due piani in laterizio con cornici, mensole ed architrave decorati, il piano terra per i riti funebri e una parte sopraelevata, e due camere funerarie sotterranee, attualmente non accessibili. Il sepolcro fu utilizzato nel XVI sec. come chiesa; di questo si conserva ora solo la facciata, essendo il resto crollato nel 1959.

INTERNO DELLA TOMBA
- Di fronte al Sepolcro dei Valeri si trova il Sepolcro dei Pancrazi, tomba in opera reticolata con ricorsi in laterizio, del tipo a tempietto, collocabile in età adrianea (117-138 d.c.) così chiamato per il riferimento all’iscrizione che cita il collegio funerario dei “Pancratii”, posta sulla fronte di un sarcofago di coniugi all’interno della prima sala ipogea.

L’ambiente all’altezza del piano di calpestio, diviso in due camere, presenta dei pavimenti a mosaici in bianco e nero con scene marine, di epoca più tarda.

Di questo si conserva la sola camera sotterranea; venne scoperta dal Fortunati e per questo è arrivata a noi ancora integra; ma l’accesso creato dal Fortunati a provocò anche l’ingresso dell’acqua che aveva cominciato a distruggere i fregi della camera; per questo è stato costruito nell’ottocento l’edificio che ora protegge il sito. 

All’interno della camera vennero rinvenuti svariati sarcofagi (otto?); uno di questi riporta la scritta Pancratii, che ha dato il nome al sepolcro; questo sarcofago, del tipo strigilato e databile al III-IV secolo d.c., è ancora nel sito in quanto venne posto lì prima di costruire il sepolcro, ed è troppo grande per poter passare attraverso i varchi della camera, tanto che gli stessi ingegneri vaticani rinunciarono a portarlo via; gli altri sarcofagi si trovano ai Musei Vaticani.

Il pavimento della camera sepolcrale è in mosaico bianco e nero; lo stesso pavimento fu posto in opera con il sarcofago "inamovibile" già presente come si deduce da alcuni difetti nella messa in opera; i reperti più interessanti del sito riguardano gli stupendi stucchi ed affreschi della volta a crociera e della parte superiore delle pareti della camera.

La volta a crociera della camera è decorata con pitture e stucchi policromi, in buono stato di conservazione, raffiguranti diversi episodi mitologici. Completano la decorazione moltissime figurine di animali, satiri, menadi, amorini ed elementi vegetali. La ricchezza della decorazione e dei sarcofagi presenti nel sepolcro ha fatto ipotizzare che questo fosse di proprietà di personaggi di alto rango.

- Sulla sinistra accanto al sepolcro dei Pancrazi si trova il sepolcro Circolare di cui si conserva la sola parte sotterranea.
- Ultimo sepolcro visibile al lato sinistro della strada è quello dei Calpurni: racchiuso entro un recinto, è composto da un’unica camera sotterranea, coperta da una volta a crociera, che conserva tracce dell’originario rivestimento in intonaco e stucco; sul muro si aprono arcosoli per ospitare i sarcofagi.

- Villa di Demetriade e Basilica di Santo Stefano Protomartire
Nell’area alle spalle del sepolcro dei Pancrazi emergono i resti di una grande villa realizzata alla fine del I secolo d.c. e abitata sino agli inizi del VI sec. quando Demetriade, discendente della famiglia degli Anicii, fece erigere in un settore della villa una basilica dedicata a S. Stefano Protomartire, meta di pellegrinaggi ancora sino al XIII secolo, i cui resti sono tuttora parzialmente visibili.

La villa, scavata dal Fortunati e poi reinterrata; venne parzialmente distrutta dalla costruzione di un campo di calcio nel 1964 (sig!); era disposta su terrazzamenti successivi del terreno e se ne conservano pochi resti quali le murature di un’ampia cisterna; moltissimi reperti quali pezzi di stucchi e statue sono stati portati ai Musei Vaticani.

La villa risale al I - II secolo d.c. con successive ristrutturazioni; intorno alla metà del V secolo la proprietaria del complesso Demetriade, in accordo con il papa Urbano IV, vi costruì la Basilica dedicata a Santo Stefano Protomartire e dedicò quindi la villa a luogo di culto cristiano.Della Basilica posta al centro della villa si conservano discreti resti: il battistero, l’abside dietro l’altare, la camera al di sotto dell’altare e resti delle colonne a capitelli corinzi delle tre navate; al momento è possibile vedere il sito da via di Demetriade, dall'esterno del parco.

PARCO ARCHEOLOGICO DELLE TOMBE DI VIA LATINA

TRA VICOLO MANDRIONE E TUSCOLANA

Negli scavi occorsi per la costruzione della ferrovia de' Castelli romani, fra il vicolo del Mandrione e la Tusculana, attraverso il gruppo dei grandi acquedotti, sono avvenuti ritrovamenti di importanza non comune.

Scendendo da ponente verso oriente, ossia in direzione della città, s'incontrano da prima i piloni della Claudia e dell'Amene Nuovo, dei quali sono state ritrovate le fondamenta in opera quadra di sperone, con sustrato di opera a sacco. Queste fondamenta, sfiorate di sbieco dal taglio per la ferrovia, rimarranno visibili sull'una e sull'altra scarpata. 
Segue, a contatto delle arenazioni, ma dalla parte di oriente, un'antica strada, ben selciata a pentagoni basaltini, e profonda m. 1,30 sotto l'odierno piano di campagna. La strada è larga m. 3,80, corrispondenti a  13 piedi, e segna la zona di servitù dell'acquedotto. Nell'intervallo fra la strada e le arcuazioni della Marcia, Tepula e Giulia, che è largo m. 26,40, furono dissepolte sei tombe a cassettone, coperte alla cappuccina con tegoli battentati, marcati quasi tutti col noto bollo: 

OP DOL EX PRAED LVCILL VERI /////// (I),
salvo uno che porta l'impronta rotonda :
EX PRAED AVGVSTOR OPVS DOL
sic EX FIO OCFANIS HERMETIANI
sic ET VRIBCI

Gli scheletri non avevano distintivo di sorta, né lucerna né ampolla, né moneta.

VIA DEL MANDRIONE
Seguono i piloni della Marcia, Tepula e Giulia, uno dei quali, non era altrimenti visibile prima di questi lavori ferroviari. Sarà mantenuto nella scarpata a destra. Consta di soli tre ordini di pietre poggiate sul suolo vergine.

Alla distanza di 200 m, sempre verso levante, si è scoperta nel fondo della trincea la sommità di uno speco ampio e ben costruito. 

Può essere quello dell'Auiene vetere, ma non è possibile riconoscere il vero senza un saggio di esplorazione fatto espressamente.



PRESSO CROCEVIA CON L'ACQUASANTA

Nel taglio presso la via Latina sarebbero state ritrovati a fior di terra due mezzani bronzi di Antonino Pio e di Severo Alessandro.

Presso il crocevia dell'Acquasanta sono state scoperte:
- sei anfore, ridotte in frantumi
- due tubi di terracotta, saldati a stucco, del diam. di m. 0,16;
- quattro lucerne lisce ed una col rilievo;
- due frammenti di puilvini a foglie di lauro.



PORTAFURBA

La ferrovia direttissima Roma Napoli, tronco Roma Segni, lascia la sede attuale (Roma-Ciampino) poco oltre il casello di Porta Furba, e piegando verso ponente, attraversa diagonalmente l'acquedotto Felice (Marcia Tepula Giulia), la via Latina coi suoi sepolcri, la marana mariana, e finalmente l'acquedotto della Claudia ed Anione nuovo. Proseguendo quindi il corso rettilineo attraverso le tenute di Roma vecchia, Capannello, Posticciola e Frattocchie, cade nella vecchia linea alla stazione di Ciampino.
Nei lavori intrapresi da poco, sul tratto che va dalla Porta Furba al gruppo degli aquedotti, sono avvenute le seguenti scoperte.

PORTA FURBA
A m. 15.5 prima di giungere all'acquedotto Felice sono apparse costruzioni, o meglio fondamenta di costruzioni, conosciute nelle mappe del suburbio sotto il nomo di Ruderi delle Vinacce. Tutti i muri sono rasi al piano del suolo, in maniera che non è possibile giudicare a quale edificio appartengano: probabilmente a case coloniche, dipendenti dalla villa nobilissima delle vinacce.

Vi sono tracce di pavimenti a spiga, come pure di pareti e di piani costruiti per intero con pezzi di concrezioni calcari alabastrine distaccate dall'alveo dei vicini acquedotti. Non vi ho trovato bolli sui mattone o altra memoria scritta o graffita. 

I soli oggetti ricuperati sono:
- un orologio solare marmoreo ben conservato;
- un pilastro scanalato coi canaletti pieni e vuoti;
- un rocchio di colonna,
- un torso di statuetta virile ignuda ad un terzo del vero.
Le fondamenta dei furnici della Murria sono tuttavia nascoste dal terrapieno.

Sempre nel sito di via Latina furono ricuperati:

- una figura acefala di fanciullo con la bulla appesa ad una larga fettuccia;
- un frammento di lastra marmorea con  incavo,  come di suola di sandalo, e che in origine doveva essere riempito con mosaico ;
- una nuca di busto muliebre con strana acconciatura;
- un pezzo di cornice finemente intagliata.
- Nel taglio attraverso la linea della Claudia sono tornate in luce le fondamenta di tre piloni, con un solo ordine di pietre per ciascuno. Il suolo circostante è composto in gran parte di tartari alabastrini, prodotti dalle infiltrazioni dell'Anione nuovo.

FONTANA A CLEMENTE XII
- Il selciato della via Latina è tornato in luce a metà di distanza fra le arcuazioni della Marcia e della Claudia : è largo m. 3,8 : limitato da crepidine ed angusto marciapiede di terriccio battuto, al di là del quale sorgono i piantati dei sepolcri.

- Si è scoperta, sul lato sinistro, una fossa murata con muri a strati alterni di tufo e mattoni; lunga m. 2,20 larga m. 0,50 profonda m. 1,80. Vi erano stati gettati alla rinfusa circa 40 pezzi di un sarcofago marmoreo, che credo potrà ricomporsi per intero. Il sarcofago, di eccellente fattura, ha le testate rotonde, il corpo baccellato; e mostra nella fronte un clipeo di m. 0,40 di diametro con busto muliebre di tipo mammeiano.
- Segue un secondo cassettone di muro, alle due testate del quale stavano posti verticalmente due pezzi di travertino intagliati a guisa di pulvini.
- A m. 4,40 verso nord si è scoperto nel proprio luogo un cippo di travertino, terminato a semicerchio, alto m. U,7(), lungo m. 0,25 e contenente questa memoria:
dIs MANIBVS CLAVDIAE DONATAE V-AXXXVIII

- inoltre, fra la terra di scarico, è apparso un frammento di sarcofago baccellato, con cartello scorniciato. Dalla parte opposta della strada sono stati scoperti ruderi forse di un sepolcro, forse di un tempietto, o di edicola, con basi attiche di marmo senza plinto, tegole e canali pure di marmo con antefisse ornate dì nascimenti e fave di fine intaglio, capitelli ionici, lastroni di bianco e di giallo ecc.



Alla R. ACCADEMIA DEI LINCEI per ordine di S. E. il MINISTRO DELLA P. ISTRUZIONE 1890

"Nel taglio presso la via Latina sarebbero state ritrovati a fior di terra due mezzani bronzi di Antonino Pio e di Severo Alessandro. Finalmente presso il crocevia dell'Acquasanta sono state scoperte sei anfore, ridotte in frantumi: due tubi di terracotta, saldati a stucco, del diam. di m. 0,16; quattro lucerne lisce ed una col rilievo di un cane in corsa; e due frammenti di jnilvini a foglie di lauro. Nei lavori intrapresi da poco, sul tratto che va dalla Porta Furba al gruppo degli aquedotti, sono avvenute le seguenti scoperte. 

A m. 15.5 prima di giungere all'acquedotto Felice sono apparse costruzioni, o meglio fondamenta di costruzioni, conosciute nelle mappe del suburbio sotto il nomo di ruderi, delle Vinaccie. Tutti i muri sono rasi al piano del suolo, di maniera che non è possibile giudicare a quale edifizio appartengano : probabilmente a case coloniche, dipendenti dalla villa nobilissima delle vinaccie. Vi sono tracce di pavimenti a spica, di signino: come pure di pareti e di piani costruiti per intero con pezzi di concrezioni calcari alabastrine distaccate dall'alveo dei vicini acquedotti. 

Non vi ho trovato bolli di mattone o altra memoria scritta o graffita. I soli oggetti ricuperati sono: un orologio solare marmoreo ben conservato; un pilastro scanalato coi canaletti pieni e vuoti; un rocchio di colonna, ed un torso di statuetta virile ignuda ad un terzo del vero: una fìgura acefala di fanciullo con la bulla appesa ad una larga fettuccia; un frammento di lastra marmorea con un incavo, che pare come di suola di sandalo, e che in origine doveva essere riempito con mosaico; una nuca di busto muliebre con istrana acconciatura; ed un pezzo di cornice fine mente intagliata. 

Nel taglio attraverso la linea della Claudia sono tornate in luce le fondamenta di tre piloni, con un solo ordine di pietre per ciascuno. Il suolo circostante è composto in gran parte di tartari alabastrini, prodotti dalle infiltrazioni dell'Anione nuovo." 

PARCO DELLE TOMBE DI VIA LATINA

LUIGI RUSCONI - VIA LATINA

" Si sono continuali con successo sempre più felice gli scavi intrapresi dal ch. sig. Fortunati sulla via Latina, dei quali diedi una succinta relazione nel Bullettino del dicembre e benché i recenti risultati di essi si riferiscano maggiormente alle antichità cristiane e per conseguenza siano lontani dallo scopo prefisso a questo nostro periodico, gioverà nondimeno notare, essersi verificato quanto andammo soltanto sospettando nel sullodato nostro articolo. 

Infatti, allorquando per la prima volta visitai gli importanti scavi del sig. Fortunati in compagnia del ch. cav. de Rossi, m'accennò quest'ultimo, gli avanzi di edilìzio cristiano allora visibili dover senza fallo appartenere ad una basilica del protomartire S. Stefano, a lui ben nota dalle memorie topografiche e storiche, coll' aiuto delle quali viene ricomponendo la topografia cristiana del suburbano di Roma. 

La quale sua persuasione non tardò di verificarsi mediante le scoperte del sig. Fortunati, il quale poco dopo non solo venne a dissotterrare le mura della stessa abside d'essa basilica, ma vi ritrovò puranchc una lapide posta sotto papa Sergio II che la chiama precisamente dedicata a S. Stefano primo martire. 

Lasciando intanto a chi più particolarmente spetta la provincia delle antichità cristiane, di sviluppare più ampiamente l'importanza di siffatta insigne scoperta, mi contenterò di notare che, giusta la testimonianza del liber pontificalis, quella chiesa venne eretta sotto papa Leone I da una tal Demetria (o Demetriade) via Latina miliario tertio in praedio suo. 

La quale notizia torna a completare la storia della villa antica, che nel precedente articolo abbiamo detto aver appartenuto alla fine del II secolo alla famiglia de' Servili, dalla cui proprietà essa era all'epoca di Costantino Magno passata in quella della celeberrima famiglia degli Anicii, come risulta da una lapide di Sesto Anicio Paulino console nel 325 che daremo nell'appendice di quest' articolo con un dotto commento di chi più di noi è versato nella storia e cronologia di quei tempi. 

Se peraltro nell'articolo precedente non seppi recar testimonianza più antica dell'anno 144 per l'esistenza d'una villa romana in quel luogo, sono lieto di poterla ora riportare almeno fino all'epoca di Domiziano, essendosi ritrovato fra molti bolli di tegole ivi dissotterrati anche questo: 
OP DOL EX PR DOM AVG N FIGLINAS GENIANAS
con in mezzo una Minerva armata d'asta, nota del resto dal Fabr. 514 ed inserita nella raccolta Mariniana al n. 15. 

Il qual ritrovamento può esser di qualche importanza rispetto all'epoca delle sculture rinvenute, non più recenti dell' età degli Antonini. Altre tegole munite del consolato di Serviano III e Varo ci riportano all'anno 134, mentre le figline portano il nome di T. Stalilio Massimo (Mur. 505, 5; Mar. ms. 1310). 

Dato  che qui non se ne sia rinvenuta alcuna provvista di data, debbono però col confronto di varie altre insignite de' consolati di Asiatico II ed Aquilino e di Squilla e Tiziano. In simil modo possono provarsi le tegole di A. Aristio Monandro ( Murat. 498, 16; Mar. 604) aver appartenuto agli anni 123 e 124, trovandosi esso nome in compagnia dei consoli Aproniano e Pelino, e Glabrione e Torquato, mentre altri esemplari esistono colla data de' consoli Asprenate 11 e Libone ossia dell'anno 128. 

1 mattoni poi d'un M. Emilio Proculo: 
EX PRAED M ^MlLl PROGVL || OD 
mostrano talvolta il consolato di Cionio e Civico e di L. Elio Cesare 11 e Balbino, ossia gli anni 136 e 137. Aggiungiamo a queste i bolli col nome di Domizia Lucilla, madre di M. Aurelio Augusto: 
EX PR • DOM • LVCIL • OD • MVNAT1A
e di Faustina Augusta, di M. Aurelio Antonino Augusto, di Commodo 
p. e. OPVS DOL EX F DOMT MAI PRED COM AVGN
ed avremo nelle mani le più chiare testimonianze che durante l'intero secolo II dell'era nostra la villa in discorso era abitata e venne sempre più abbellita ed amplificata di nuove costruzioni. 

Vi fu inoltre rinvenuto un tubo di piombo che in caratteri belli e grandi, simili a quelli della fistula di M. Servilio Silano, mentovata nel precedente mio articolo, mostra il nome di 
VALERIA • C • F • PAVLLINA  
dal quale può supporsi aver una volta posseduto una donna di quella famiglia la villa in discorso. I bolli di quest'imperatore ivi rinvenuti aggiungono al suo nome la nota 
PORT LIC
che si trova anche in mattoni di Domizia Lucilla sua madre (Mar. 55, 57 ) e dal Marini viene spiegata coll'aiuto del suo numero 1146 b come portus Licini. Un gran deposito di mattoni. appellato di quel nome ancor in epoca di Teodorico, vien da lui citato presso Cassiodoro var. 1 , 25, dove egli corregge così la lezione Lucimi. 

Fra le antichità peraltro dissotterratevi ultimamente notiamo particolarmente una basetta di marmo, ornata di bei bassirilievi che rappresentano nel lato principale un candelabro ardente posto fra un uomo ed una donna forse in atto di porgere un sacrifizio, al quale assistono due donne ornate d'una specie di velo, suonanti le doppie tibie. Gli altri Iati sono decorati dei consueti ordegni spettanti a sacrifizi, la patera, il lituo, l'aspergillo, il bucranio ecc., e sopra la base scorgonsi de' gradini per collocarvi sopra qualche statuetta, di cui scorgonsi ancora le vestigia nel marmo. 

Un frammento d'un bassorilievo rappresenta Mercurio che s'avvicina ad una capra allattante un bambino che appena può ritenersi per altro che Giove. Fu scoperto inoltre un torso di statua, ed un frammento di marmo nero, parte staccata senza dubbio dalle pieghe d'una statua femminile di colossale grandezza; di più una testa di donna acconciata nel modo usitato nel II secolo. Una tazza di porfido si rinvenne disgraziatamente rotta in più pezzi. Notevole poi per la stessa sua rarità si è un molino a guisa di quei di Pompei. Fra le lapidi ritrovate si distingue, oltre quella su lodata di Anicio Paulino, il frammento seguente, da me copiato: 
P • PETRONIVS . VETTIVS H . . . . ROS PLOTIVS . . . NVS W FONTEIV . . . . . VS VI . . . . . PER C SERVILIV . . . . . ys M AQVILA P N. . . . . OS QV. . P RAGON .... . S DI ROMA
egregiamente illustrato dal sig. cav. de Rossi in una delle adunanze dell'Instituto. Lo dichiarò cioè per un brano dei fasti di qualche collegio, come composto di libertini dal cognome terminante in ROS in esso ovvio, e mostrò esser di particolare importanza la linea VIII della II colonna, perchè se ne conferma la giustezza del parere del Marini che il collega di P. Nonio Asprenate nel consolato dell'anno 39 chiamatasi M. Aquila, e non M. Aquillio, come generalmente leggesi ne' fasti moderni. Le lettere Q e QV sembrano indicare i questori d'un dato anno. 

Da lettera del sig. conte B. Borghesi a G. Henzen. 
SEX • ANICIO • PAVLINO • PROCONS AFRICAE • BIS COS • PRAEF • VRB 
Quantunque dell' albero genealogico degli Anicii dato dal Reinesio e da altri, non si conosca alcuno di questa casa col prenome di Sesto, tuttavia non dubito che il nostro console Sesto Anicio Paulino, appunto per la comunanza di questo prenome si abbia da ritenere il medesimo col memorato nella seguente iscrizione africana di Thibursicum Bure, negligentemente pubblicata dal Maffei M.V. p. 460,7 , dallo Shaw T. I. p. 222, dal Donati p. 429, 24, e corretta infine dal Catherwood, che l'ha riveduta, siccome voi mi scriveste: 
SEX COCCEIO ANI CIO FAVSTO PAV LINO PROCO* PROVINCIAE AFn cAE RESPVBLICA COLONIAE .... .... AVGVSTAE

E nemmeno dubiterò per la ripetizione della maggior parie dei suoi nomi, che strettissima parentela debba aver avuto con lui il consolare M. Cocceio Anicio Fausto Flaviano dell'altro marmo di Costantana edito nella vostra appendice all'Ordii n. 6408. Convengo pure con voi, che il nuovo Paulino si abbia altresì da confondere coll'Anicio Paulino proveniente dal frammento Gruteriano 353, 5 a motivo delle tre cariche, che sole e col medesimo ordine vengono ad ambedue attribuite. 

Lo che essendo avrete ragione di negare al Sigonio e al Corsini che quel frammento spetti al prefetto del 380 non tanto, perché l'indole delle lapidi superiormente indicate non ammette che il nostro Sesto si ritardi fin verso la fine del IV secolo cristiano, ma mollo più perchè quel frammento parla apertamente di un console: e quel prefetto non ha luogo nei fasti. 

Tralascio poi che non solo non si ha alcun argomento che il prefetto del 380 sia stato degli Anicii, e non piuttosto di alcun altra famiglia, ma che nemmeno si conosce in questi tempi alcun altro di quella casa denominato Paulino, non essendo da udirsi il Reinesio Inscr. p. 67, che fece nascere quel prefetto da Anicio Paulino giuniore console nel 334, mentre ora si confessa generalmente che l'unica erede di quest'ultimo fu la celebre di lui figlia Anicia Faltonia Proba moglie di Petronio Probo console del 371, dai quali fu risuscitato il ramo primogenito degli Anicii. 

Ciò posto, per determinare a chi concedere la nuova iscrizione, non si avrà che da scegliere fra i due soli Paulini notati nei fasti sotto l'impero di Costantino Magno. Uno di loro è il precitato console del 334 che Anicio dicesi apertamente dalla Cronica Pasquale, e nella sesta epistola di S. Atanasio nella nuova Bibliotheca Patrum del Mai T. VI p. 72 consulibus Optato patrìtio et Anicio Paulino, il quale si domanda giuniore nell'Orelliana 1081, ch'egli essendo console e prefetto dedicò a Constantino, risultando poi dall'anonimo, che realmente nel 334 insieme col consolato occupò eziandio la prefettura. 

Ma questi non può fare al nostro caso, offrendo un aperto motivo d'esclusione nell'altra sua Orelliana 1082, in cui s'intitola 
PROCOS • AS1AE • ET • IIELLESPOiNTI, 
mentre il nostro Sesto fu invece 
PROCOS • AFRICAE. 

Per lo che non resta se non che di ricorrere all'altro di loro, collega di Giuliano nel 325, a cui per verità non si ha alcuna lapide che assicuri il nome di Anicio, ma che gli è dato per una felice congettura dal Pagi, che l'ha reputato 1' altro Anicio Paulino prefetto nel 331, convalidata dal sopranome di Giuniore assunto dal predetto console del 334 per distinguersi da un anonimo contemporaneo. 

Se non che s'incontra l'ostacolo, che i fasci del 325 dal Reinesio nelle note al suo albero p. 67 sono già stati conferiti ad un altro ricordato nella seguente iscrizione, nella quale egli pretese che le sigle C • V • P • V si avessero da interpretare Consul Ordinarius ( V saepissime iacet prò ), Praefectus Urbi. 

PI NOMA. 20 DEO HERCVLIIN dall'altro lato VICTO M • IVN • GAESONIVS D • D NICOMACHVS XII KAL . OCTOB ANICIVS FAVSTVS CRISPO ET CONSTANTI PAVLINVS NO CAESS IT CONSS C • V • P • V • D • D 

N'ebbe egli conoscenza dal Griderò p. 47. 4, ma proviene in prima origine dal Mazocchi p. XX, ed a lei il Muratori p. 373, e dalle schede di Alberto Lolli aggiunse la dedicazione. Questa però faceva ai calci colla spiegazione delle sigle, perchè se quella base fu dedicata nel 321, a cui corrisponde quel consolato di Crispo, come poteva far menzione dello stesso onore ottenuto da Paulino quattro anni più tardi? 

Ma una tale incongruenza è stata ora rimossa dal ch. cav. de Rossi (ara massima p. 31) adducendo che quella data spetta ad un altro titolo, e difatti l'ho veduta anch'io nel museo Capitolino, ma priva dell'epigrafe principale, a cui fu congiunta dal Lolli. E mostrò poi, quanto ingiusto fosse quel supplemento delle iniziali contro la fede istessa del marmo, provando col confronto di più altre lapidi trovale insieme con lei nelle vicinanze del tempio di Ercole nel foro Boario, che vi si ha da leggere onninamente Clarissimus Vir Praetor Vrbanus. 

Ma s'egli escluse che quel Paulino fosse in possesso dei fasci, quando fece incidere quella pietra, non ne veniva per questo che non potesse poi concorrere a quelli del 325, e conseguirli più tardi. Quindi non trovando altro Anicio in quei tempi più atto ad aspirarvi di questo senatore qui iniziato agli onori, nel Bollettino napoletano dell'anno IV p. 91 ammisi anch'io la congettura del Reinesio, che glieli attribuì. 

Ma ora ch'è venuto fuori quest'altro Paulino della medesima casa, che prova di avere effettivamente occupata la maggiore curule, osserverò invece che quel pretore urbano si ha piuttosto da reputare la medesima persona col console, che nella Gruteriana 1090. 19 viene appellato 
AMNIVS MANIVS CAESO- NIVS NICOMACHVS ANICIVS PAVLINVS. 

Troppo grande è la corrispondenza di tanti nomi per non destare sospetto, che la sola differenza del M. IVN provenga semplicemente da una falsa lezione facilissima invece di AMN o di MAN, molto supponibile in un collettore così poco esatto come il Mazocchi. Vero è che anche questa seconda pietra fu assegnata dal Corsini al console del 325, del che però mosse dubbio il Cardinali nella sua lettera sui prefetti p. 16. 

E giustamente, perchè basta paragonarla colla precitata Orelliana 1082 per restar persuasi che risguardano ambedue lo stesso soggetto per la medesima ragione dell' identità degli uffici all' uno e ali 1 altro assegnati, del che nel presente caso presta poi intera sicurezza la singolarità che al governo asiatico di tutti due si annette quello dell' Ellesponto. 

Onde  converrà dire che per qualche particolare circostanza detta altrimenti anche INSVLARVM, che sotto Diocleziano aveva il suo preside proprio, sulla quale è da vedersi il Golhofredo Cod. Theod. nelle note al 1. 13, 5, 32. Del resto niente di più comune quanto l'incontrare che i polionimi ora adoperarono tutte le loro appellazioni, ed ora più ora meno, talché mi confido di poter riferire allo stesso Paulino giuniore anche quest'altra base 
ANICIVS AMNIVS | PAVLINVS . Y . C | PRAEFECTVS . VRBI | REPA- RAVIT
che dalle iscrizioni cristiane del Marini desunse il Mai.

Tolta così la confusione generata dalla varietà della nomenclatura in queste lapidi, e dimostrato che spettano tutte a chi tenne il consolato del 334, resterà senz'altri pretendenti quello del 325 per poter essere liberamente conferito al nostro Sesto. Quando la posta di ieri sera mi portò la vostra carissima, aveva scritto fin qui, e mi proponeva di proseguire ancora per avvertire che viceversa non poteva farsi risalire costui a tempo più antico, supponendolo il Paulino console nel 277 che è ancora incerto chi fosse. 

Ma ho poi stimato inutile di spendere parole su di ciò, apparendo dalla stessa sua lapide, ch'egli non può essere anteriore a Costantino, il che risulta dal proconsolato dell'Africa datogli prima del consolato. È ora conosciuto che solo nei primi anni di quel principe i consolari perdettero il diritto esclusivo di ottenere l'amministrazione delle due provincie senatorie, che da Augusto furono loro riservate. 
Piacemi intanto di giungere in tempo di disdirmi dall'adesione da me proposta all'opinione del Reinesio intorno al rettore del 325.

(Luigi Rusconi)

IL BASOLATO DI VIA LATINA

FLAMINIO VACCA - LANCIANI I

VIA LATINA 

 Il ch. Fortunati, su gli scavi del quale avemmo più volte occasione di parlare con somma lode ne' fogli del Bullettino ( cf. 1857, p. 177 segg.; 1858, p. 17 segg.), nelle settimane prossime passate dalla località finora esplorata della villa de' Servilii e della basilica di S. Stefano, posta a sinistra della via Latina, avendo trasferite le sue ricerche a quella serie di sepolcri che ne fregia il destro lato per chi esce da Roma, venne a scoprire un sotterraneo assai vasto che per la conservazione della sua volta riccamente ornata di stucchi e per la bellezza di questi ultimi cerca un suo pari fra' sepolcri romani. 

Avendo potuto scendervi col permesso ed in compagnia del cortese scopritore, benché l'accesso non fosse allora sgombrato interamente della terra che lo copriva, crediamo far cosa grata ai nostri lettori, proponendo loro qui una breve e piuttosto superficiale descrizione del monumento, che meriterebbe certamente un'esatta pubblicazione corredata di tavole e piante. Sono due le scale che dalla parte anteriore del monumento, rivolto verso l'antica via latina, conducono in un sotterraneo quadrato abbastanza profondo che serviva di vestibolo alla crypta propria. 

N'è crollata la volta; il che fu cagione che la terra ha potuto entrarvi ed ingombrare puranche la camera sepolcrale fino ad una certa altezza, in modo peraltro da non giungere fino agli stucchi della volta, che per quel motivo sono rimasti freschi e bianchi, come se fossero testé usciti dalla mano dell'artista. 

Fra le due scale vi è una cella coperta da volta a tutto sesto, ben conservata, ma ornata di un semplice intonaco bianco senza ulteriori decorazioni sia di colori, sia di rilievi; la quale cella, aperta, come pare, verso il vestibolo, conteneva un gran sarcofago marmoreo, disgraziatamente in tutta la parte anteriore rotto in piccolissimi frammenti dalla barbarie, o dal mal inteso zelo di antichi devastatori. 

In una delle parti laterali che però per la vicinanza della parete non poteva esaminarsi bene, pareva esservi sculta una donna rapita sopra un carro, mentre sulla parte opposta riconosconsi pure le tracce di altro carro. 

 Dirimpetto a questa celletta trovasi la vera camera sepolcrale, di foggia quadrata, coperta da una volta a tutto sesto, assai alta, formata da opera laterizia tanto forte che neppure l'umidità vi è potuta penetrare. L' ingresso ne vien formato da una porta, i cui stipiti, consistenti di grossi massi di marmo, stanno ancora al loro posto, mentre n'è caduto l' architrave, ora giacente nel vestibolo. 

A destra della porta per chi entra appare una specie di pozzo, praticatovi, come suppone il ch. scopritore, per assicurare l'edifizio contro l'umidità. Le pareti della camera fino a considerevole altezza erano una volta coperte di lastre di marmo; ma pochi avanzi ne rimangono, essendosi esse barbaramente distrutte al pari dei tre sarcofaghi contenuti in essa, e la parte istoriata de' quali si è ridotta a pezzi nella maniera anzidetta. 

Tanto più pregevole si è un frammento un poco più grande, salvatosi di uno di essi, e che ci fa vedere, oltre una persona di minor importanza, la nota figura d' Ulisse coperto del pileo, la cui posizione paragonata con quella della figura suddetta ci dà a credere, esser ivi stato rappresentato Achille fra le figlie del re Licomede. 

In un altro sarcofago, giusta indicano alcuni frammenti con abbastanza di certezza, erano scolpite le forze d'Ercole; mentre un terzo forse aveva relazione alla favola di Meleagro. Non è senza importanza il conoscere in questo modo i soggetti figurali in quei monumenti, imperocché ne verrebbe assai facilitato un tentativo di restauro, mentre la grande quantità dei frammenti, quantunque minutissimi, rende probabile, essersi contentati i devastatori di spezzar tutto, senza portar via niente, 

La scultura è assai buona, trattandosi di sarcofaghi, e quale conviene air epoca degli Antonini, epoca, come vedremo in appresso, propria dello stesso monumento. La peculiare importanza peraltro di questa scoperta consiste negli stucchi che adornano tutta la volta. 

Sono rappresentanze di Ninfe e Fauni ballanti, di Tritoni e mostri marini, fra i quali non solamente grifi, cavalli, cervi, ma fino centauri marini, portanti donne sul dorso, in somma quelle figure d'invenzione spiritosa ed esecuzione graziosissima che siamo soliti d'ammirare dipinte nelle pareti pompeiane. 

Inchiuso ogni gruppetto dentro un clipeo rotondo, cinque, se non m'inganno, di simili clipei sono posti in fila per la lunghezza della camera, e cinque file intere ne adornano la volta, alternanti con altrettanti scudetti quadrati decorati di rosoni o figure isolate, mentre spirali di fiori e fogliami vanno intrecciandosi fra essi. 

La lunetta poi, formata nel fondo della camera dalla foggia della volta, vien occupata da un quadro più grande, mostrante tre donne divine portanti serti di fiori, con vesti larghe e svolazzanti, che possono più probabilmente designarsi come le Ore, ed ò circondato il quadro da bellissime spirali di fogliami, che sortono dalle mani duna simile figura vestita di lungo peplo, posta al disotto di esso. Un simile quadro, che rappresenta un grifo marino, con una donna sul dorso, è collocato sopra la porta d'ingresso. 

 Benché di semplice color bianco, tutte queste ligure ed ornamenti per il modo franco e robusto con cui sono trattati e rilevatisi perfettamente bene dal fondo, mentre non vogliamo lasciare di far osservare che, ad eccezione forse delle parti ignude de' corpi, tutto e lavorato a mano sul luogo stesso. Se per tali virtù questi lavori si raccomandano all' attenzione ed allo studio de' scultori, 1' architetto avrà da ammirare il purgato gusto e l'elegantissima semplicità nello spartimento e nella distribuzione degli ornamenti. 

La scienza finalmente, che in simili casi non di rado si trova imbarazzata, questa volta ha il gran vantaggio di poter assegnar un' opera tanto distinta per pregi artistici ad un'epoca certa, quella cioè degli Antonini; della quale cosa reca la prova incontrastabile l' unico bollo di tegola che, secondo m' assicura il ch. Fortunati, si rinviene ne' mattoni di questo sepolcro, cioè il seguente che, pubblicalo fra gli altri dal Fabretti 509, 143 e Mur. 333, 2 , nella collezione manoscritta del Marini forma il numero 522.


BIBLIO

- R. Rea - ‘Via Latina’ - in Suburbium - 241–266 -
- Strabone - Geografia - V -
- Adriano La Regina - Lexicon Topographicum Urbis Romae: Suburbium - III (G-L) - Quasar - 2006 - Tombe della Via Latina - Sito ufficiale Parco Archeologico dell'Appia Antica - 2018 -
- Antiquarium di Lucrezia Romana - Sito ufficiale Parco Archeologico dell'Appia Antica -
- Ridolfino Venuti Cortonese - Accurata, e succinta descrizione topografica delle antichità di Roma - 1763 -
- Rossella Rea (a cura di) - L'ipogeo di Trebio Giusto sulla via Latina: scavi e restauri - Roma -Pontificia commissione di archeologia sacra - 2004 -






1 comment:

Unknown on 9 novembre 2016 alle ore 01:13 ha detto...

Salve, ottimo articolo. Interessante scoprire cose su una strada poco conosciuta, purtroppo. Volevo sapere, ma una volta uscita dal parco degli acquedotti, ed avere attraversato via delle capannelle; in quale punto la via Latina si ricongiunge con la via Anagnina? Grazie

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