HORTI ACILIORUM





Acilius fu il nome di un'antica famiglia Romana, la Gens Acilia, i cui rami della famiglia includevano gli Acilii Balbi e gli Acilii Glabriones (una tomba appartenente a questo ramo familiare fu trovato a Roma nel 1888). I Glabriones possedevano un famoso giardino, (Horti Aciliorum) locato sul Pincius nel II sec.d.c.. La loro bellissima villa posta in cima alla collina offriva sicuramente una splendida vista su Roma. Sulla sinistra si notano le enormi sostruzioni che circondavano il colle (Substructiones Hortorum). La pianta riguarda la parte nord del Pincius.



LA STORIA

Faltonia Betitia Proba, moglie del praefectus urbi nel 351 d.c., fu la più importante e influente poetessa di lingua latina del tardo impero che compose versi prima di carattere epico e poi cristiano. Ebbe una nipote, Anicia Faltonia Proba, sorella del console del 370 Olibrio e moglie di Sesto Petronio Probo, console nel 371, che visse a Roma, nella ricchissima villa che gli Anici avevano al Pincio, più o meno dove sorgono oggi la scalinata e la chiesa di Trinità dei Monti e Villa Medici, ossia negli Horti Aciliorum.

La brillante carriera di Sesto Petronio Probo portò lustro alla gens Anicia Proba si che i tre figli della coppia divennero tutti consoli, Anicius Probinus e Anicius Hermogenianus insieme nel 395, Anicius Petronius nel 406.

Il fratello di Proba, Olibrio, aveva sposato Giuliana, a sua volta nipote di Proba, e dalle loro nozze era nata Demetriade, che prenderà poi il velo monastico a Cartagine. 

 Un’iscrizione attesta il legame di Proba con l’attuale Pincio, segnalando nell’onomastica familiare la relazione esistente fra gli Anicii ed i Pincii:

Consimiles fratrum trabeis gestamina honorum
tertia quae derant addidimus titulis
dilectae Probus haec persolvo munera matri
restituens statuis praemia quae dederat
Aniciae Faltoniae
Probae Amnios Pincios
Aniciosque decoranti
consulis uxori
consulis filiae
consulum matri
Anicius Probinus v(ir) c(larissimus)
consul ordinarius
et Anicius Probus v(ir) c(larissimus)
quaestor candidatus
filii devincti 
maternis meritis 
dedicarunt. 

Divenuta vedova nel 389, Proba, già fervente cristiana, trasformò la sua residenza romana in una specie di chiesa dove si pregava e si faceva la carità.

Girolamo elogiò molto Proba che per la sua santità e generosità, riconosciuta anche presso i barbari, pure, all’avvicinarsi dei Goti di Alarico, nel 410, Proba dovette fuggire da Roma, con la nuora Giuliana e la figlia Demetriade: che «dall’alto mare aveva visto le rovine fumanti della patria e aveva affidato la sua salvezza e quella dei suoi ad una fragile barca», diretta verso l’Africa.

MURO TORTO, IN ORIGINE IL MURO DI SOSTEGNO
SETTENTRIONALE DEGLI HORTI ACILIORUM
Si sa che Proba, una volta che la situazione dell’urbe si tranquillizzò, decise di vendere i possedimenti romani, e di quei soldi ebbe gran bisogno perchè a Cartagine le tre donne vennero imprigionate dal comes Eracliano, che governava l’Africa proconsolare a nome dell’imperatore Onorio, che pure era un imperatore cristiano.

Eracliano le aveva costrette a sborsare un’ingente somma in cambio della libertà. Il denaro fu versato dalla stessa Proba, proveniente dalla vendita dei bellissimi Horti Aciliorum.

I bei giardini sulla collina pinciana appartennero agli Acilii Glabriones almeno dal II sec. d.c., se ne ignorano i confini esatti, ma dai resti ritrovati si presume che si estendessero da Trinità de' Monti fino alle pendici della collina a Villa Borghese, e ad est fino a Porta Pinciana. Gli horti passarono alla gens Pincia nel IV sec., e poi ad Anicia Faltonia Proba e suo marito Petronius Probus, divenendo poi proprietà imperiale col nome di Domus Pinciana.

CASINA VALADIER

R. LANCIANI

''« Nella sommità del detto colle (Pincio) vicino alle mura vi è una mezza machina, che ha forma sferica et ritonda, à guisa del Panteon, ma è molto minore et più rovinata » p. 65 (Vedi Bull. com. tomo XVIII, 1891, p. 132 segg. e Itiner. Einsiedl. p. 26).

CASINA VALADIER
In questo scritto del XVI sec. un edificio degli Horti Aciliani viene così descritto, non si sa se un tempio o un esedra, nè si sa quando sia scomparsa.

Gli Horti erano sostenuti a nord, a ovest e a est da alte mura, costruite sulle pendici della collina, incorporate poi a est e a nord da Aureliano per le mura dell'Urbe, ricostruendole parzialmente.

La struttura originale era in opus reticulatum, con una serie di arcate aperte con massicci piloni di sostegno. Il famoso Muro Torto è il contrafforte inferiore dell'angolo nord in conci di tufo.

A nord di Trinità de' Monti c'era un grande emiciclo, che apriva ad ovest, con due ali di scalinate che conducevano al piano sottostante. 

Accanto al moderno casino vi era una piscina, divisa in due sezioni  connesse con un atrio, consistenti in un labirinto di piccole gallerie scavate nella roccia, con tunnels lunghi 80 m.

Dunque un gigantesco e ben articolato ninfeo, con erme, statue e fontane. L'attuale Villa Medici è dunque costruita sulle rovine di un ninfeo ottagonale chiamato Parnassus, e le sue rovine sono riemerse tutte intorno alla collina, da Trinità a S. Maria del Popolo. Sono stati trovati dei resti a sud della Trinità che possono appartenere a questi horti o agli Horti Luculliani.

Gli horti erano situati sul Pincio; la loro estensione viene stimata tra la Porta Pinciana e Trinità dei Monti. A nord, ovest ed est erano chiusi da dei muri di sostegno, costruiti lungo le pendici del colle, costruiti in opus reticulatum; in seguito i tratti settentrionale e orientale vennero inclusi nelle Mura Aureliane, venendo parzialmente ricostruiti: la parte settentrionale è il famoso Muro Torto.

PARTE COPERTA DELLA CASINA VALADIER
Era presente un vasto emiciclo, con l'apertura orientata a occidente, con una scalinata che scendeva verso il pianoro sottostate, e posto a nord dell'attuale Trinità dei Monti.

Era presente una piscina, divisa in due sezioni e connessa ad una cisterna, consistente di un labirintino di piccole gallerie scavate nella roccia; la collinetta nell'attuale Villa Medici fu costruita sulle rovine di un ninfeo ottagonale, noto come Parnassus.

Erano di proprietà degli Anicii Glabriones, che li fece edificare nel II secolo, ma nel IV secolo erano passati alla gens Pincia, poi ad Anicia Faltonia Proba e a suo marito Sesto Petronio Probo, infine divenendo proprietà dello Stato.''


CASINA VALADIER

La Casina Valadier sorge sugli Horti Aliliorum, alla sommità del Pincio, e fu realizzata tra il 1816 e il 1837 da Giuseppe Valadier, noto architetto e urbanista romano, nella fase di ristrutturazione di Piazza del Popolo e del Pincio.

Il Valadier rielaborò in stile neoclassico il precedente Casino Della Rota, un fabbricato seicentesco costruito a sua volta sui resti di un’antica cisterna romana, la cisterna che alimentava le fontane degli horti. Indubbiamente il luogo apparteneva agli horti Aciliani, e molti reperti furono in parte riutilizzati in parte venduti o distrutti.

VILLA MEDICI

VILLA MEDICI

Villa Medici si erge sulla collina del Pincio dove, alla fine del periodo repubblicano, Lucio Lucinio Lucullo fece collocare i suoi horti e  la sua villa che doveva occupare l'intero sito, dalla via Salaria Vetus a Sud all'attuale passeggiata del Pincio a Nord, tra il 66 e il 63. 

Valerio Asiatico, due volte console, vi fece aggiungere durante il regno di Claudio un grande giardino terrazzato con uno splendido ninfeo semi-circolare che dominava l'attuale area di Trinità dei Monti, sovrastato dal tempio della Dea Fortuna.

Messalina, moglie dell'imperatore Claudio, che voleva per sè gli splendidi horti, coprì Valerio Asiatico di false accuse finchè Claudio obbligò Valerio al suicidio.

Questi si tagliò le vene, proprio nei giardini, nel 47 d.c., ma più tardi Messalina, ormai padrona degli horti, vi fu assassinata dai soldati incaricati da suo marito.

VILLA MEDICI OGGI
La Villa continuò ad essere proprietà imperiale fino a Traiano, che gli preferì i giardini di Sallustio, nella parte est del Pincio. 

Nel III sec. gli horti passarono in gran parte alla famiglia patrizia degli Acili, ridotti e delimitati dalla costruzione delle Mura Aureliane.

Nel IV sec. gli Acilii la cedettero ai Pinci, da cui il nome attuale della collina.
Quando i Goti invasero Roma partendo dalla Porta Salaria, situata sul Pincio, nel 410 d.c., l'imperatore Onorio (395-423 d.c.) collocò il suo palazzo nei giardini e nel 537 d.c. Belisario vi si stabilì per difendere Roma contro l'ostrogoto Vitige. Alla caduta dell'impero il luogo fu abbandonato a causa della sua posizione troppo periferica.



IL SEGUITO DELLA STORIA


NARDINI

1553. Essendo incominciata la fabbricazione della via Paolina (del Babuino) nuovamente aperta dal precedessore di Giulio III. la famiglia Garzoni che possedeva vaste aree « sotto il monte della Trinità » le pone in vendita a piccoli lotti, e generalmente col patto di riserva per gli oggetti di scavo.

PARTI ROMANE DELLA VILLA MEDICI
IN UN QUADRO DI VELASQUEZ DEL 600
I Garzoni aprirono al tempo stesso una cava di pozzolana nelle viscere del monte per comodo dei fabbricatori. Gli atti relativi a queste faccende si trovano nel prot. 29* e 30* del notare Giambattista Amadei in A. S.

Nel prot. 3924 di Lotto Quintilio, a e. 310, si parla di un terreno della misura di 80 canne
« non procul a portone Monasterii SS. Trinitatis in monte Pincio ad rationem iulii unius prò qualibet canna (dodici centesimi e mezzo al mq) « ceduto in enfiteusi l'a. 1564 da maestro Giovanni Ceutofanti da Gallese a Quirino Garzoni, insieme ad altre aree « nella via del Portone della SS. Trinità » aderenti alla vigna ereditaria dei Garzoni stessi, la quale doveva trovarsi nel sito dove oggi hanno origine le vie Felice e Gregoriana.

I ruderi degli Horti Luculliani e degli Horti Aciliorum compresi in queste proprietà devono avere restituito non pochi oggetti di scavo, vista la cura con la quale i Garzoni inseriscono la clausola di riserva negli atti enfiteutici di aree fabbricabili, specialmente a partire dall'anno 1553.

IN ROSSO LA POSIZIONE DEGLI HORTI ACILIORUM
(INGRANDIBILE)
Il sito degli Horti Aciliorum, ossia di quella parte dell'altipiano del Pincio che è oggi occupata dalla chiesa e monastero della Trinità, dalla villa Medici e dal Giardino publico, era diviso in sul principiare del secolo XVI in un numero assai maggiore di proprietà.

Basti a ciò dimostrare, il seguente documento, del tempo di Alessandro VI (26 nov. 1492) in atti Capogalli, prot. 470, e. 'S3S bis, nel quale Francesco de ludicibus fa l'inventario dei beni ereditarii spettanti ai suoi nipoti Camillo, Pantasilea, Silvia, e Sulpicia:

« . . . . itein quatuor vineas intus urbeni sita in loco qui dicitiir Pinci, commuiie cuni domino [Mattheo do ludicibus episcopo Pennensi patruo testatoris] ovines sunt numero xxiiij petiarum. Una .sita est inter hos tìnes: ab uno lato sunt res domini Nicolai de Castello ab alio latere sunt les Tommarotij. Alia sita est inter hos limes ab uno latere tenet ipse Tomarosius, ab alio res Baptista de lo sordo. Alia est inter vineam ipsius baptiste et vineaiu gabrielis de rubeis (il celebre collettore di antichità ricordato a p. 166, dell tomo). Alia vero est inter vineam ipsius gabrielis et muros civitatis ».

Nel prot. 1819 è ricordato il palazzo del quondam G i o v a uni Micheli cardinal di sant'Angelo e vescovo di Porto, con vigna e giardini, nel luogo detto Pinci, donato da Alessandro VI a Ludovico Borgia del titolo di San Marcello, cardinale Palentino, fatto che ricorda la tragica fine dei fratelli Quintilii, con ciò sia che per entrare in possesso dell' ambita villa i Borgia avevano fatto morire di veleno il legittimo possessore (a. 1503).

La presente Casina del publico Passeggio, architettata dal Valadier, occupa il sito di quella già del cardinal della Rota (sepolto in santa Maria del popolo), abitata in seguito dal cardinale di Portocarrero.
Nel prot. 1509 e. 260 del notaro Curzio Saccoccia è descritta una vigna « in loco dela Trinità » che Alessandro Guidiccioni vescovo Aiacense aveva acquistata l'anno 1552 da Cristoforo Gibraleone. Confinava con i terreni dei Nari e degli Stati.

BASSORILIEVI ROMANI NELLA VILLA
Tutte queste proprietà finirono con l'essere assorbite da due soli possessori: i Ricci di Montepulciano (Medici), e i frati agostiniani del Popolo. Vedi la pianta del Nolli I, 3, e la nona tavola dalle IX chiese dal Maggi. Purtroppo i frati non erano estimatori di archeologia romana:
 
« Nella vigna de Frati della Madonna del Popolo, contigua al giardino del gran duca, si vedono molti andamenti d' acqua, tra quali vi è una gran botte, ricetto d' acqua, cosa notabile per la sua magnificenza ».
Vacca, Mem. 43. « Nel monte Pincio vi era una conserva di acqua antica, la quale da alcuni frati fu fatta disfare per ridurla in grotte di vino da affittare agli osti. Ma perchè erano di poca profondità, riuscirono più calde di quello che li buoni frati si pensavano, e fu inutile la spesa ». Bartoli, Mem. 101. Vedi A. Cassio, Corso delle acque, tomo II, n. 30, § 5, p. 333.

La costa occidentale del monte, a pie della quale si veniva tracciando una strada denominata dal barbiere Margut, uno dei primi suoi abitatori, è rimasta sino al presente in proprietà della famiglia Naro (Patrizi). Vedi Nolli, tav. citata, e Ulisse Aldovrandi, p. 193, ed. Mauro, 1562.
 
« In casa di M. Pompilio Naro nella piazza di Campo Martio, nella sala su fra due finestre in un nicchio si vede una Venere ignuda intiera, eh' esce dal bagno: tiene con la man destra un panno, e si cuopre le parti vergognose: sta posta sopra una base e dicono ch'abbia le più belle spalle, e schiena di statua che si vegga. La ritrovò M. Pompilio ne la sua vigna sotto il colle de gli Hortoli che lo chiamano anco Monte Pincio, presso à la Trinità ».

Passata la proprietà nelle mani di Orazio Naro circa il 1565, esso incominciò a venderla a piccole aree per scopo di fabbricazione, e con espressa riserva per gli oggetti di scavo. Ricordo un esempio di questi negozi. Con istrumento stipulato dal not. Pechinolo, a e. 326 del prot. 5528, il predetto messer Orazio concedo in enfiteusi perpetua a Lorenzo del quondam Bartolomeo de Fratriis bergamasco un terreno 
« nel  C° Marzio in via Paulina Trifaria nuncupata tendente a platea ecce S. M. de populo ad radicem Montis pincii alias della Trinità (via del Babuino). . . retro via Nara nuncupata (strada Margutta) ».

Questo strano nome « strada paulina trifaria » ricorre anche in altre apoche enflteutiche degli stessi terreni. Egli è certo che belle e abbondanti scoperte di antichità debbono essere avvenute in questi tempi e in questa striscia di suolo, tra gli avanzi di quelle che l'autore della vita Gordiani e. 32 chiama 
« privatorum possessiones et aeditìcia et horti sub colle », perchè non si trova atto di compravendita della seconda metà del cinquecento che non contenga la nota riserva per eventuali rinvenimenti. Perfino il prefetto del collegio Greco, recentemente fondato da Gregorio XIII, inserisce tale clausola nei patti per fabbricazione delle aree annesse all' Istituto. Vedi not. Bacoletto, prot. 500, e. 379, a. 1580.

Si può argomentare la ricchezza archeologica della contrada dal numero e dal valore degli oggetti raccolti nella sola vignola di Ambrogio Gigli, e quivi descritti dall'Aldovrandi.

« Nella vigna di M. Ambrogio Lilio, a la radice del colle de gli Mortoli » egli dice a p. 198: « si vede in una loggia una tavola marmorea, nella quale quasi di tutto rilevo è un Re assiso, ma non ha testa, et uno che gii presenta un cavallo, come per tributo. Vi è anco un servo con una lancia in mano, è vestito all'antica. Vi è poi un albero, fra le cui frondi si vede ravolto un serpe... Poi sopra in una camera si vedo un'Hercole giovane di tutto rilevo, che tiene una testa di cavallo per li crini ».

È probabile che dallo stesso sito provengano le sculture viste dal medesimo  «  in casa di M. Ambrogio Lilio, su la strada de' Cesarini. Dinnanzi sulla porta si vede una bella testa antica, che dicono che sia di Pompeio. ...Dentro la corte sono molti torsi e frammenti antichi, fra i quali vi è una tavola marmorea, dove sono scolpite  le forze d'Hercole ».



VILLA E MUSEO MEDICI SUL MONTE DELLA TRINITÀ 

R. LANCIANI

Il sito della famosissima villa appartenne alla casa Crescenzi sino al 30 maggio dell'anno 1564, sotto la quale data, essi ne fecero vendita a Giulio e Giovanni Ricci, nipoti del noto cardinale Giovanni di Montepulciano.

L'epoca, inserita a e. 245-248 del prot. 3025 del not. Quintili, contiene le seguenti stipulazioni. I Ricci di Montepulciano, appassionati collettori di cose di scavo, raccolsero marmi scritti e scolpiti.

« Mi ricordo » racconta F. Vacca, Mem. 32 « al tempo di Giulio III tra la Pace e s. Maria dell'anima, vi furono cavati alquanti rocchi di colonne di mischio africano, e di porta santa, quali erano abbozzati ad usanza di cava, non mai stati in opera, grossi da sette palmi (m. 1.56) e li comprò il card. di Montepulciano »
Id. Mem. 50:
« appresso il giardino del capitano Mario Spiriti si trovarono sette teste di Sabine molto belle, con conciature di capelli molto capricciose : come anche un pilo ovato di marmo parlo, con il bassorilievo di Bacco, tirato sopra il carro dalle Baccanti, alcune delle quali danzavano, e suonavano cembali, e i Satiri colle tibie.il tutto fu comprato dal card, di Montepulciano che le mandò a donare al re di Portogallo ; ma l'invidioso mare le assorbì »

Id. Mcm. 58. « Nella vigna di Gabriel Vacca, mio padre, accanto porta Salara, dentro le mura... cavandovi trovò una fabrica di forma ovata (corr. rotonda: è il tempio di Venere Ericino-Sallustiana) con portico attorno ornato di colonne gialle, lunghe palmi diecidotto scannellate, con capitelli e basi corintie ... ed a ciascuna (delle quattro) entrate vi erano due colonne di alabastro orientale si trasparente, che il sole vi passava senza impedimento... Il cardinale di Montepulciano comprò di quelle colonne, e ne foce fare la balaustrata alla sua cappella in s. Pietro in Montorio. 

Comprò ancora quelle di alabastro, una delle quali essendo intiera la fece lustrare, e delle altre rotte ne fece fare tavole, parendogli cose preziose. Le infrascò con altre anticaglie e tavole commesse, e le mandò a donare al re di Portogallo, ma quando furono in alto mare l' impetuosa fortuna trovandosele in suo dominio, ne fece un presente al mare ».

Nello spianare il colle per l' adattamento della nuova villa alla Trinità, i Ricci e il loro architetto Lippi arrecarono danni irreparabili alle fabbriche degli Orti Aciliani, e specialmente al ninfeo rotondo, che coronava il colle nel sito del presente colle Parnaso. Sallustio chiama il ninfeo Tempio di Nettuno « rovinato dal card. isi riccio per accomodar la sua vigna » e Ligorio dice che il gruppo centrale delle fabbriche era limitato a septentrione dalla « vigna del cardinale crescentio bora è del cardinale di montepoliciano » e si estendeva in direzione del sito dove « hoggidì è fatto il monasterio della santissima Trinità ». 


OGGI

Tuttora proseguono gli scavi archeologici sotto Villa Medici che hanno portato alla luce bassorilievi in marmo, un ninfeo, pavimentazione marmorea, cisterna, fontana, muretti in opus reticulatum, colonne, decori con ghirlande e putti, fontana ecc.


BIBLIO

- Rodolfo Lanciani - Gli Horti Aciliorum sul Pincio - Bullettino della commissione archeologica - 1891 
- Rodolfo Lanciani - Storia degli scavi di Roma - Ermanno Loescher & Co. - Roma -
- Eugenio La Rocca e Maddalena Cima - Horti Romani - Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma - Atti del convegno - Roma - 1995 -
- Eugenio La Rocca - Horti Romani (atti del convegno, Roma 1995) (Bullettino della Commissione archeologica comunale di Roma) - L'Erma di Bretschneider - Roma - 1998 (con Maddalena Cima) -



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