CULTO DI GOBANNUS



IL DIO COBANNUS

Cobannus o Gobannus, in gallico Gobannos, era una divinità romana importata appunto dalle Gallie, un Dio Fabbro come poteva essere grosso modo Vulcano. Tuttavia i romani, che importavano i culti stranieri con grande liberalità, non lo associarono a vulcano ma a Marte, chiamandolo Mars-Cobannus.

Si trattava probabilmente di un Dio della guerra che forgiava le armi, ma siccome i romani si consideravano figli di Marte, onoravano questo Dio in particolar modo i legionari, che vivevano in perenni battaglie. Per Roma la pace era l'eccezione e non la regola.

Essendo i Galli un popolo guerriero, i fabbri erano importanti per forgiare armi e armature. I Galli infatti più volte invasero Roma e dai romani erano definiti il "Metus gallicus", il terrore dei Galli", terrore che scomparve con Giulio Cesare che in nove anni di guerre sottomise tutta la Gallia.

Sembra che il nome di questa divinità appartenga al linguaggio Proto-Celtico, o Celtico Comune, un linguaggio proveniente da quello Proto-Indo-Europeo. In questo linguaggio il nome del Dio significava appunto "Il Fabbro".
Alcune statue a lui dedicate sono ritrovate insieme a un calderone di bronzo dedicato a Deus Cobannos, alla fine degli anni '80, ed esportate illegalmente negli Stati Uniti, ora nel Getty Museum nel Getty Center, in California. Divinità mai restituita come moltissime statue romane che sono in giro per il mondo.

Il Dio è menzionato in un'iscrizione trovata negli anni '70 a Fontenay-près-Vézelay Francia centro settentrionale), dove si legge:

AVGusto SACrum deO COBANNO, cioè dedicata ad Augusto e al Dio Cobannus.

LA TAVOLETTA DI BERNA
Importante fu soprattutto il ritrovamento della tavoletta di zinco di Berna o "Tavoletta Gobannus", una lastra metallica trovata nel 1984 a Berna, in Svizzera, analizzata solo dopo la morte dell'operaio che aveva trovato e rimosso la tavoletta dal suo sito. 

Poiché l'iscrizione consiste di quattro nomi propri, può essere considerata una lingua gallico-latina. 

L'epigrafe appare scritta in gallico, ed è composta da quattro parole, formate da piccoli punti impressi sul metallo:

ΔΟΒΝΟΡΗΔΟ ΓΟΒΑΝΟ ΒΡΕΝΟΔΩΡ ΝΑΝΤΑΡΩΡ ( Dobnoredo Gobano Brenodor Nantaror )

La mescolanza di lettere greche e latine è attestata anche da un certo numero di monete gallo-romane. 

La dedica è a Gobannus, Brenodor è probabilmente un toponimo, Brenno-duro "città di Brenno (Brenin deriva dal celtico brigantinos, che significa "preminente, eccezionale"), come Salodurum (oggi Soletta, che ospitava un distaccamento della XXII Legione, di stanza a Magonza, in Germania. Secondo le iscrizioni, vi era un tempio di Giove, un tempio di Apollo Augusto e un altare alla Dea dei cavalli Epona), e come Vitudurum (oggi Winterthur, dove fu trovata l'iscrizione:

IMPerator) CAESar Gaius AURElius VALerius DIOCLETIANUS PONTifex MAXimus
GERmanicus MAXimus SARmaticus MAXimus PERSicus MAXimus 
TRIBunicia POTestate XI IMPerator x COnSul V Pater Patriae PROCOnSul ET
IMPerator CAESar) Marcus AURelius VALerius MAXIMIANus PONTifex MAXimus 
GERmanicus MAXimus SARmaticu MAXimus PERSicus MAXimus TRIBunicia POTestate X 
IMPerator VIIII COnSul IIII Pater Patriae PROCOnSul Pii Felices INVicti AUGusti ET 
VALerius CONSTANTIU ET GALerius VALerius MAXSIMIANUS NOBILISSimi CAESariS MURUM VITUDURENSEM A SOLO SUMPTU SUO FECERunt AURELIO PROCULO 
Viro Perfectissimo PRAESidie PROVinciae CURANTE

L'imperatore Gaio Aurelio Valerio Diocleziano, Germanico Massimo, Sarmatico Massimo, Persiano Massimo, proclamato nell'XI anno della sua potestà tribunicia, per la X volta insieme alla moglie, console per la V volta, padre della patria, proconsole, pio, felice, vittorioso imperatore, 
e Valerio Costanzo e Galerio Valerio Massimiano, nobilissimi Cesari, costruirono il ​​muro del forte di Vitudurum unicamente a loro spese sotto la supervisione di Aurelius Proculus, il perfettissimo curatore e governatore provinciale).

La tavoletta è fatta di zinco, per cui all'inizio venne considerata un falso, dato che la produzione di zinco non è attestata in questa regione prima del XVI sec.. 

La lega però era diversa dallo zinco moderno, contenente piombo e ferro, oltre a tracce di rame, stagno e cadmio. Venne raccolto da una fornace, dove il metallo veniva aggregato, una lega che Strabone (64 a.c. - 24 d.c.) chiama pseudoarguros "finto argento".

Nel 1546, Georg Agricola scoprì che un metallo bianco poteva essere raschiato via dalle pareti di una fornace quando i minerali di zinco venivano fusi), ma si ritiene che di solito fosse gettato via come inutile. 

Poiché la tavoletta è dedicata al Dio dei fabbri, è improbabile che tali resti di zinco venissero raschiati da una fornace e raccolti dai fabbri considerandoli particolarmente legati alla divinità, visto che la tavoletta è dedicata al Dio dei Fabbri.

STRABONE
Secondo le scarse informazioni a disposizione dell'archeologo Rudolf Fellmann (1925-2013 - membro della Archeologia Provinciale Romana che si occupa dei ritrovamenti romani nelle province romane), è stato trovato nella foresta di Thormenboden in un contesto gallo-romano, con tegole romane reperite a una profondità di circa 30 cm. 

Ora noi sappiamo che i romani amavano onorare anche gli Dei stranieri, ma non sappiamo come e dove fosse onorato questo Dio un po' Marte e un po' Cobanno. Di certo la statua reperita che vediamo sopra (di circa 53 cm) è di squisita fattura romana e non gallica, assimilabile un po' alle romane figure dei Lari come stile di bronzistica, quindi del I sec. d.c., e certamente doveva avere in mano una lancia, e magari uno scudo dall'altro lato, simile un po' alle Minerve romane senza armature ma con lancia e scudo.

Tutto ciò per dire che questa divinità doveva essere divenuta romana a tutti gli effetti, probabilmente reperita nell'Italia settentrionale, la zona gallica di più antica conquista e romanizzazione. 
Giulio Cesare assoldò parecchi galli mercenari per la sua Guerra Gallica (la prima volta che i romani assoldavano militari stranieri), perchè anche se totalmente inferiori come razionalità, pertanto poco capaci di disciplina e organizzazione, avevano un grande coraggio in battaglia nell'affrontare la morte. Questo coraggio i romani lo apprezzarono e onorarono di conseguenza il Dio che glielo infondeva.



BIBLIO

- Rudolf Fellmann - La Svizzera in epoca romana -
- Rudolf Fellmann - Die Zinktafel von Bern - Thormebodenwald und ihre Inschrift. In: Archäologie Schweiz 14/4 (1991) - S. 270-273 -
- Rehren Th. - A Roman zinc tablet from Bern, Switzerland: Reconstruction of the Manufacture, in Archaeometry 94 - 1996 -


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