FIDENATI (Nemici di Roma)



LA BATTAGLIA DI TULLIO OSTILIO CONTRO I FIDENATI ED I VEIENTI


Dal 753 al 717 a.c., sotto la monarchia di Romolo, si svolsero le guerre contro Sabini, contro i Fidenati e contro i Veienti.


FIDENE

Fidene era un'antica città del Lazio, e in base alle testimonianze archeologiche, sorse nel sec. XI a.c, sul colle di Villa Spada, a circa 8 km a nord di Roma sulla Via Salaria, vicina al corso del Tevere, all'incrocio tra le vie commerciali tra Romani, Sabini, etruschi e Sanniti, nonché in contatto con i traffici fluviali del Tevere, grazie al quale Fidene godeva pure di terre ben irrorate e fertili.
L'acropoli di Fidene probabilmente sorgeva sulla collina di Villa Spada, dove attualmente sorge l'omonima borgata Fidene. La città era cinta da mura e apparteneva al suo territorio anche la zona di Montesacro.

Secondo gli storici Fidene fu fondata dagli Albani. Diverse sono invece le fonti sui conduttori delle fondazioni: secondo Solino fu Ascanio, per Dionisio fu il maggiore di tre fratelli che fondarono contemporaneamente anche Nomentum e Crustumerium.



PRIMA GUERRA TRA ROMA E FIDENE

La guerra tra Roma e Fidene durò per circa 400 anni, svolgendosi sotto Romolo, sotto Numa Pompilio, Tullio Ostilio e con i Tarquini. Livio e Dionisio ricordano entrambi una guerra contro Tullo Ostilio impegnato nelle lotte contro Alba, conclusasi con la disfatta di Veienti e Fidenati nella piana presso Fidene.

Numerosi sono poi gli episodi riportati da Dionisio, durante i regni di Anco Marcio, Tarquinio Prisco e Tarquinio il Superbo, nei quali Fidenae risulta coinvolta nelle lotte tra Etruschi, Latini e Romani.
Narra Dioniso che durante la Repubblica le cose non cambiarono e numerose furono le ribellioni di Fidenae contro Roma, talvolta alleata con i Sabini, in altri casi con i Latini o con gli Etruschi di Veio.

I Romani, una volta fondata l'Urbe sul Palatino, evidentemente non solo un popolo di pastori, ma anche di ribelli, di briganti e di fuggiaschi, potenziarono il loro esercito, tanto da essere secondo Livio "così potenti da poter rivaleggiare militarmente con qualunque popolo dei dintorni".

Una dopo l'altra caddero molte delle vicine città delle popolazioni dei Ceninensi, degli Antemnati, dei Crustumini e dei Sabini. Gli abitanti di Fidene, ritenendo Roma ormai troppo vicina e potente decisero di attaccarla, almeno secondo alcune fonti, senza attendere che diventasse ulteriormente pericolosa.

La storia allora andava così, o si attaccava o si era attaccati, è l'usanza tribale, dove la tribù più forte si espande a danno delle altre. I Romani però erano lungimiranti e intuirono che non si potevano avere troppi nemici, perchè prima o poi li avrebbero sopraffatti, per cui come poterono accolsero a Roma più gente possibile, e per accoglierli dovevano considerarli alla pari, solo così avrebbero accettato di combattere al loro fianco, e combattere era inevitabile per sopravvivere.

Plutarco racconta due versioni di questa guerra. Una prima, secondo cui Roma riuscì a catturare Fidene, facendola assalire all'improvviso da un gruppo di cavalieri, a cui aveva dato ordine di tagliare i cardini delle porte di accesso della città, seguiti poi a sorpresa dall'esercito di Romolo.

La seconda versione narra invece che furono i Fidenati a scatenare il conflitto contro i Romani, armando squadroni di cavalieri e spedendoli a devastare le campagne tra Fidene e Roma saccheggiando e uccidendo. Allora Romolo, postosi a capo dell'esercito, si diresse verso nord seguendo il Tevere fino al un miglio dalla città nemica.

Lasciò una piccola guarnigione di cavalieri sotto le mura di Fidene, per attirare i Fidenati fuori delle loro mura, mentre Romolo mosse con il grosso dell'esercito verso un bosco vicino. Secondo il piano la cavalleria al momento opportuno doveva ripiegare attirando il nemico nella trappola tesa dai romani.

Una volta aperte le porte della città, i Fidenati si lanciarono sulle prime linee nemiche che si diedero alla fuga fino a raggiungere la boscaglia, dove era nascosto il grosso dell'esercito romano. Qui vennero decimati e risospinti fino alla città che ormai senza difese venne occupata.

Ma Tito Livio dà ancora una versione:
(ab Urbe Condita)

" Gli abitanti di Fidene, ritenendo troppo vicina a loro una potenza in continua crescita, senza aspettare che diventasse forte come c'era da prevedere, si affrettano a scatenare il conflitto. Armano squadroni di giovani e li spediscono a devastare le campagne tra Roma e Fidene; di lì piegano verso sinistra (a destra niente da fare, c'è il Tevere che blocca la strada) e compiono atti di vandalismo terrorizzando i contadini; l'improvviso trambusto creatosi nelle campagne arrivò fino in città e fu come una prima avvisaglia della guerra. Romolo, visto che non c'era un minuto da perdere con una guerra così vicina, esce immediatamente alla testa dell'esercito e si accampa a un miglio da Fidene.

Dopo avervi lasciato una modesta guarnigione, si mette in moto col grosso delle truppe. Una parte di queste ordinò che si piazzasse, pronta a lanciare un'imboscata, in una zona tutto intorno riparata da fitti cespugli; poi, con il blocco più consistente dell'esercito e con tutta la cavalleria, si mise in marcia e, proprio come si era prefissato, riuscì ad attirare fuori il nemico adottando un tipo di tattica spericolata e minacciosa, con i cavalieri che scorrazzavano fin quasi sotto le porte.

D'altra parte, per la fuga che doveva esser simulata, questo assalto a cavallo forniva un pretesto più verisimile. E quando non solo la cavalleria sembrava incerta tra il combattere e il fuggire, ma anche la fanteria si ritirava, all'improvviso si spalancarono le porte e le linee romane furono travolte dallo straripare dei nemici che, nella foga di darsi all'inseguimento, furono trascinati nel punto dell'imboscata.

Lì i Romani saltano fuori a sorpresa e attaccano sul fianco la schiera dei nemici; allo stupore si aggiunge la paura: dall'accampamento si vedono avanzare gli stendardi del presidio lasciato di guarnigione. Così i Fidenati, in preda al panico più totale, fanno dietro-front quasi prima ancora che Romolo e i suoi uomini riuscissero a girare i loro cavalli; e visto che si trattava di una fuga vera, riguadagnavano la città in maniera di gran lunga più disordinata di quelli che, poco prima, essi avevano inseguito ingannati dalla loro simulazione di fuga.

Però non riuscirono a sfuggire al nemico: i Romani li incalzavano da dietro e, prima che le porte della città venissero chiuse, irruppero all'interno, quando ormai i due eserciti sembravano uno solo.
Secondo le cronache la lotta tra Fidene e Roma si intrecciò più volte con quella dei Romani contro la città etrusca di Veio, perchè, come afferma Livio i Fidenati  "quoque Etrusci fuerunt", si sentivano un po' Etruschi. La città, tuttavia, risulta già conquistata e colonizzata da Roma in età regia, addirittura sotto Romolo a seguito della Battaglia di Fidene del 748-746.

A questo proposito Plutarco racconta che i Veienti divisero il loro esercito in due schiere, una assalì l'esercito romano lasciato a guardia di Fidene e l'altra si battè Romolo. A Fidene i Veienti vinsero uccidendo 2.000 Romani, ma nel secondo scontro persero la vita ben 8.000 Veienti e vinse Romolo. Lo scontro decisivo fu ancora a Fidene, dove Romolo dimostrò tutta la sua bravura di condottiero e vinse la battaglia.

"La guerra scatenata dai Fidenati fu come una febbre contagiosa che colpì gli animi dei Veienti (i quali, oltretutto, vantavano anche legami etnici, visto che condividevano coi Fidenati l'origine etrusca). E in più c'era il pericolo dei confini, nel caso in cui la potenza romana si fosse rivolta ostilmente contro tutte le popolazioni limitrofe. Così si riversarono in territorio romano senza però seguire i piani di una regolare campagna militare ma piuttosto per saccheggiare i dintorni alla rinfusa. Non si accamparono né attesero l'arrivo dell'esercito nemico, ma tornarono a Veio portandosi via ciò che avevano razziato nelle campagne. 

I Romani, da parte loro, non avendo trovato il nemico nei campi, attraversarono il Tevere pronti e determinati a sferrare un attacco decisivo. Quando i Veienti vennero a sapere che i nemici si erano accampati e stavano per marciare contro la loro città, andarono loro incontro per decidere la battaglia in campo aperto piuttosto che dover combattere ostacolati dalle case e dalle mura. Nello scontro, senza far ricorso a particolari stratagemmi di supporto alle sue truppe, il re romano ebbe la meglio solo grazie alla fermezza dei suoi veterani: sbaragliò i nemici e li inseguì fino alle mura, ma dovette desistere dall'attaccare la città in quanto risultava ben protetta dalle fortificazioni e dalla sua stessa posizione. 

Sulla via del ritorno saccheggia le campagne, più per desiderio di vendetta che per fare razzia. E i Veienti, piegati da questo disastroso strascico non meno che dalla sconfitta in battaglia, inviano a Roma dei delegati per chiedere la pace. Ottennero una tregua di cent'anni in cambio della cessione di parte del loro territorio. Grosso modo furono questi i principali avvenimenti politici e militari durante il regno di Romolo. 

Nessuno di essi impedisce però di prestar fede alla sua origine divina e alla divinizzazione attribuitagli dopo la morte, né al coraggio dimostrato nel riconquistare il regno degli avi, né alla saggezza cui fece ricorso per fondare Roma e renderla forte grazie alle guerre e alla sua politica interna. Fu proprio in virtù di quanto egli le aveva fornito che Roma di lì in poi conobbe quarant'anni di stabilità nella pace. Tuttavia fu più amato dal popolo che dal senato e idolatrato dai suoi soldati come da nessun altro. Tenne per sé, e non solo in tempo di guerra, una scorta di trecento armati cui diede il nome di Celeri."

Al termine della terza ed ultima battaglia c'erano sul campo di battaglia ben 14.000 i caduti. Romolo dopo la vittoria, inseguì i Veienti fin sotto le mura della città, conquistando loro i territori dei Septem pagi (ad ovest dell'isola Tiberina) e quelli delle Saline, in cambio di una tregua della durata di cento anni.

Poi vi fu la conquista romana del territorio di Ficulea (da Figules, i vasai) che si estendeva dalla via Nomentana fino al nono miglio della via Tiburtina, cui seguì la conquista di Crusterium (nel settore N-E della Salaria), con le assegnazioni di territori dell'agro di Fidene ai clienti della gens Claudia.

Seguì ancora la battaglia sul fiume Cremera, tentando di isolare la città di Fidene da Veio e dalle importanti vie di comunicazione fluviali (Tevere) e terrestri (Via Salaria). Per contrastare i Romani la città di Fidene si era alleata con l'etrusca Veio, ma nel 474 a.c. a seguito dell'armistizio quarantennale tra Roma e Veio la città di Fidene era stata occupata da una guarnigione romana. Il territorio fidenate fu in parte alienato in favore di coloni Romani insediati, secondo Dionisio e Plutarco, per volontà dello stesso Romolo.



SECONDA GUERRA TRA ROMA E FIDENE

Nel 438 a.c. i Fidenati cacciarono i Romani dalla loro città e si allearono ai Falisci e agli Etruschi per combatterli definitivamente. Livio riferisce che Fidene si alleò con i Veienti ed uccise gli ambasciatori romani mandati a chieder conto del suo comportamento, dando così inizio ad un altro periodo di ostilità.

Come racconta Livio, in questo scontro romano contro le popolazioni limitrofe, erano coinvolte Fidene e Veio, ma i Falisci, temendo l'espansionismo di Roma, erano accorsi in loro aiuto. Lo schieramento vedeva a destra i Veienti, a sinistra i Falisci e al centro i Fidenati. Il re dei veienti, Tolumnio, condivideva l’opinione dei suoi e dei Fidenati di temporeggiare attendendo l’attacco romano, mentre i Falisci, che mal sopportavano la lontananza dalle loro basi, sollecitavano lo scontro fiduciosi nell’esito della battaglia.

Tolumnio, per timore che i Falisci abbandonassero la lotta, diede ordine di schierarsi in battaglia. Con le truppe riunite, gli alleati nemici sispinsero fin sotto le mura di Roma, che ora correva un grande pericolo. I Romani allora inviarono contro Veio il console Aulo Caio  Cosso che, dopo aver battuto l'esercito etrusco issò la testa del re di Veio Tolumnio su una lancia. A quella vista gli ultimi combattenti veienti e fidenati si diedero alla fuga. Fidene fu espugnata, i Veienti e i Falisci furono costretti a scendere a patti con Roma.

L'anno successivo i nuovi consoli, Malungineuse e Crasso, depredarono l'agro di Fidene ed entrarono nel territorio di Falerii. Di li a poco, però, la città di Fidene fu conquistata, saccheggiata e data alle fiamme dai romani (436-435 a.c.). La città divenne un "municipium" di Roma e parte degli abitanti cadde in schiavitù.

Per ricostruire le mura ed alcuni edifici che erano stati distrutti dopo l'incendio gallico, i Romani fecero affluire da Fidene una grossa quantità di pietre di tufo. Con la caduta di Fidene l'Urbe riuscì a porsi in una posizione favorevole nella lotta contro Veio.

Plutarco però racconta un epilogo diverso secondo cui Romolo non distrusse la città, bensì ne fece una colonia romana, dove insediò ben 2.500 coloni. La versione è abbastanza credibile perchè i Romani avevano bisogno di colonie per espandere il loro dominio e ricevere così soldati e magari tributi. Infatti sulle pendici orientali della collina, lungo la via Salaria, fu costruita dai romani la Curia Fidenate, con un'iscrizione dedicata dal Senato di Fidene a M. Aurelius, qui scoperta nel 1889, insieme a resti di alcuni edifici.

La guerra scatenata da Fidene trascinò anche i Veienti che si trovavano ad ovest del Tevere, per cui Romolo dovette combattere anche loro, e anche qui vinse occupando il territorio dei Septem pagi (ad ovest dell'isola Tiberina) oltre alle Saline, costringendo i Veienti ad arretrare i loro confini.



TERZA GUERRA TRA ROMA E FIDENE

Ma le ribellioni di Fidene Roma non erano finite, anno 315 a.u.c - 438 a.c., e le versioni più o meno si equivalgono:

"Nell'anno 315° dalla fondazione di Roma i Fidenati si ribellarono contro i Romani. A questi fornirono aiuto i Veienti e il re dei Veienti Tolumnio. Queste due città erano vicine a Roma, da Fidene distano sei, da Veio distano 18 miglia. A questi si unirono anche i Volsci. Ma furono vinti dal dittatore Emilio e dal maestro della cavalleria Cincinnaro e persero anche il re. Fidene venne presa e rasa al suolo. Dopo venti anni infine i Veientani si ribellarono. Il dittatore Furio Camillo fu mandato contro gli stessi, che per prima cosa li vinse in combattimento, poi prese assediando a lungo anche la città, la più antica e ricca dell'Italia. Dopo quella prese anche Falisci, non meno nobile città. Ma a quello fu mossa invidia, come se avesse diviso male il bottino, fu condannato per tale ragione e esplulso dalla città. Subito i Galli Senoni giunsero in città e vinsero i Romani all'undicesimo miglio da Roma presso il fiume Allia e occuparono la città."



QUARTA GUERRA TRA ROMA E FIDENE

Nel 426, come narra Livio, il conflitto si riaccese. I Fidenati si ribellarono nuovamente facendo strage dei coloni romani stanziati nel loro territorio, quindi, insieme ai Veienti, affrontarono i Romani presso la città, uscendone definitivamente sconfitti.



LA DECADENZA

Successivamente il centro è nominato solo raramente, come esempio di decadenza, ad esempio da Orazio e da Strabone.
L'unica notizia successiva la danno Svetonio e Tacito, a proposito del crollo di un teatro ligneo edificato per spettacoli temporanei presso Fidene nell'anno 27 d.c., che causò la morte di circa 20.000 persone, sulle 50.000 presenti, e che fu ricordato come uno dei peggiori disastri causati dal crollo di teatri in epoca romana.


BIBLIO

- Tito Livio - Ab Urbe condita libri -
- Plutarco - Vita di Romolo -
- L. Quilici, G. Quilici Gigli - Fidenae (Latium Vetus, 5) - Roma - 1986 -
- F. di Gennaro - Fidenae. Contributi per la ricostruzione topografica del centro antico. Ritrovamenti 1986-1992 - Bullettino della Commissione Archeol. Com. di Roma - CII - Roma - L'Erma di Bretschneider - 2001 -
- P. Barbina, L. Ceccarelli, F. Dell'Era, F.o di Gennaro - Il territorio di Fidenae tra V e II secolo a.c. - Suburbium II: il suburbio di Roma dalla fine dell'età monarchica alla nascita del sistema delle ville, V-II sec. a.c. - Roma - École française de Rome - 2009.-


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