PRAENESTE - PALESTRINA (Lazio)



RICOSTRUZIONE DEL SANTUARIO


PRAENESTE

Praeneste fu un'antica città del Lazio alle pendici del monte Ginestro, propaggine dei Monti Prenestini. L'attuale Palestrina sorge sull'antica Praeneste, città latina col celebre santuario dedicato alla Dea Fortuna Primigenia, della fine del II secolo a.c.

"(Silla) Superò quanto di grande aveano fatto mai i suoi concittadini, nell’edificare a Preneste il tempio della Fortuna, della cui magnificenza abbiamo ancora un argomento negli avanzi, che tuttora sen veggono. Era quello nella salita del monte, ove è oggidì Palestrina, fabbricata colle di lui ruine, la quale però molto meno del tempio medesimo s’estende. 
In questo monte scosceso bensì, ma dirupato con una certa regolarità, si va al tempio per mezzo di sette ripiani, le ampie piazze de’ quali sostenute sono da lunghi muri di pietre quadre, tranne la inferiore di tutte, che è formata di tegole incastratevi, e ornata di nicchie. Nella prima e nell’ultima v’erano de’ magnifici serbatoj d’acqua, che tuttora si riconoscono. 
Al quarto ripiano trovavasi il primo vestibolo del tempio, di cui ci è restato un gran pezzo della facciata con mezze colonne, e sulla piazza che v’è davanti si tiene ora il pubblico mercato. Ivi nel pavimento stava il rinomato musaico, che prende perciò il nome di Palestrina da questa città, feudo del principe Barberini, nel cui palazzo continua a servire di pavimento. Quello palazzo occupa il luogo dell’ultimo ripiano, e ivi ergeasi propriamente il tempio della Fortuna".
(Johann Joachim Winckelmann)

Non ci si deve sbagliare, il culto della Dea era di molto antecedente, e pure il luogo di culto doveva esserlo, un culto italico e preromano, in cui si adora la prima nata tra gli Dei, la Dea Fortuna, colei che è nata prima di tutti gli Dei. Non è difficile comprendere che trattavasi di una Dea Madre, sostituita si nel Pantheon romano da Giove, ma che in parte a Roma, e soprattutto a Preneste, aveva conservato i suoi numerosi fedeli, un po' come accadde con la Bona Dea e la Dea Cibele.

Solo che qui il santuario si era così affermato soprattutto per il suo potere oracolare, si che da ogni parte del Lazio accorrevano i pellegrini per accogliere i responsi delle sue sacerdotesse.

I primi reperti archeologici che dimostrano l'occupazione del sito e pure le sepolture, risalgono all'inizio dell'VIII secolo a.c., poco prima dell'incredibile fioritura che investì la città di Preneste, e non solo, in età orientalizzante (VIII-VII secolo a.c.).

IERI ED OGGI

LA FONDAZIONE

Numerose sono le leggende che narrano della sua fondazione. Ad esempio il geografo e storico di età imperiale Strabone riporta come fondatore Telegono, figlio di Ulisse e di Circe, la maga ammaliatrice, oppure l'eroe eponimo Prainestos, figlio del re Latino e nipote di Ulisse e fratello appunto di Telegono (Plut., Mar., 41).

Telegono, saputo dalla madre Circe di essere figlio di Ulisse, vuole conoscere il padre e s'imbarca per Itaca. Gettato sulla riva dalla tempesta però non riconosce Itaca, e la scambia per l'isola di Corcira (Corfù), dove, per sfamare l'equipaggio, saccheggia il paese e razzia il bestiame. Ulisse interviene a difendere l'isola, ma Telegono lo uccide accidentalmente.

Ulisse morente e Telegono si riconoscono, infine Telegono torna da Circe insieme a Penelope e Telemaco, e qui seppellisce il padre. Circe rende immortali suo figlio e gli ospiti. Poi Telegono, che era figlio di Calipso e di Ulisse sposò Penelope (la madre!), e Circe Telemaco. Il figlio di Telegono sarà il fondatore di Tuscolo e di Palestrina. E' evidente che si vuole dare una storia all'ìimmigrazione greca a palestrina.

Virgilio, invece, riporta la fondazione della città, secondo una tradizione autoctona riconosciuta da Catone e da Virgilio, a Caeculus, Ceculo, ritrovato in fasce presso alcuni fuochi che l'avrebbero nascosto alla vista degli uomini (Verg., Aen., VII, 678-681)

Ceculo era figlio di Vulcano, ma, nato da una vergine fecondata da una scintilla del focolare, viene da questa abbandonato e allevato da alcune vergini che lo chiamano Ceculo per un difetto agli occhi. Datosi al brigantaggio, fonda poi Preneste, popolandola con gente raccolta dalla campagna. A Caeculus rimandava la sua origine la gens romana dei Cecili. Qui sembra invece accennare alla popolazione latina trasferita nella zona.




PALESTRINA PREROMANA

Strabone definisce implicitamente Palestrina città greca appellandola polystephanos, dalle molte corone, con riferimento alla formidabile cinta muraria e ai terrazzamenti della città.
Infatti l’attuale paese di Castel San Pietro costituì anticamente l’acropoli della città, come si evince dall’imponente circuito di mura poligonali che, seguendo la morfologica del terreno, circondava Palestrina per un perimetro di circa 4 km.

MURA POLIGONALI
Le mura risalgono almeno al VII-VI sec. a.c., ma con diverse fasi e diversi stili. Le mura mancano totalmente dove l'altura è ripida e scoscesa, mentre sono molto accurate nel resto. Non sono invece conservate le mura sul versante meridionale della città.

Sono dette anche mura ciclopiche o pelasgiche perché secondo Euripide, Strabone e Pausania sarebbero state costruite dai ciclopi ed erano state attribuite ai mitici popoli pelasgi, preellenici, che avrebbero costruito le mura simili delle città micenee ma pure del Lazio, Toscana, Umbria e Abruzzo. 

Sui Pelasagi si sono dette molte cose, ma è evidente che provenivano da un'epoca molto più antica (in molte zone le mura poligonali sono state retrodatate) con vari strascichi preistorici e matriarcali. Non a caso le tombe trovate nei pressi risalgono all'VIII sec. a.c.

Nel VI sec. ci sono opere di terrazzamento e mura più interne e non più poligonali. La stessa cosa avvenne a Micene dove la città aveva tre ordini mura di cui le più esterne poligonali, poi più piccole e poco squadrate, poi più piccole e perfettamente squadrate.
Infatti nel II sec. a.c., nella zona sud, venne costruito un muro in opera quadrata di tufo con nucleo di cementizio. Cippi di delimitazione, squisitamente romani e rinvenuti lungo l’allineamento del muro, hanno fatto supporre che la struttura ricalchi l’antica linea del pomerio. Ecco il romano inserito sul pelasgico.

Pensare che vi fosse un intento di salvaguardarsi dai terremoti nell'esecuzione delle mura pelasgiche, come sostengono alcuni studiosi, è ammissibile, ma che l'esecuzione poligonale derivasse da questo non è ammissibile, basta guardare gli architravi delle mura che giungono in alcune località (Alatri) al peso di tre tonnellate.

E' evidente che come cambiò l'architettura cambiò la mente dei costruttori. La grande razionalità dei Romani li portò automaticamente a rimpiccolire le pietre e a squadrarle per facilitarne il trasporto e la costruzione.

Là dove i monumenti sono giganteschi, vedi Stonehenge, le Piramidi, le Mura poligonali, i Megaliti ecc. vi è un'inflazione dell'incoscio (vale a dire un'esaltazione profonda e non arginata dalla mente) che può essere provocata tanto da un'esaltazione narcisistica personale, quanto da una spinta ideale verso un mito, cioè una speranza di grande e positivo cambiamento che scaturisce da una consapevolezza dell'anima. 

Si suppone che i blocchi per la costruzione delle mura fossero cavati sul versante orientale dell’acropoli, dove si notano tagli nella roccia, e di qui fatti scivolare in basso. La cima del monte, era luogo di avvistamento ma anche di pratiche religiose di augurium e di auspicium, probabilmente nel santuario di Iuppiter Arcanus, culto noto da fonti epigrafiche, il cui epiteto deriverebbe quindi dal termine arx. La zona compresa tra l’acropoli e l’abitato si usava solo come pascolo, che in caso di assedio garantiva il nutrimento del bestiame in un’area libera, però difesa dal circuito murario.

E' evidente che Palestrina non nacque greca e neppure latina. Prima di essere romana deve aver subito molti influssi dalla Grecia, ma comunque fu originariamente pelasgica. 

RICOSTRUZIONE DELLA FONTE CECILIANA

PALESTRINA ROMANA

La città venne conquistata da Roma con i suoi alleati della Lega Latina, nel 338 a.c., dopo aver opposto strenua resistenza durante la quale aveva stabilito un'alleanza con i Galli in funzione antiromana. La sua romanizzazione con i nuovo traffici commerciali, favoriti dalla sua posizione strategica, dominante la Valle del Sacco, un passaggio obbligato nei collegamenti tra il Lazio e l'Italia meridionale, ne favorì la fioritura.

Da qui partono la costruzione di un foro e dalla monumentalizzazione del santuario oracolare dedicato alla Fortuna Primigenia, datati entrambi alla fine del II secolo a.c., e nel 90 a.c. Palestrina ottiene la cittadinanza romana.

Questa lunga fase di sviluppo venne interrotta bruscamente nel 82 a.c., durante la guerra civile, la città parteggiò per Gaio Mario e Lucio Cornelio Silla, per ritorsione ne sterminò tutti i cittadini maschi confiscando per giunta le loro proprietà. Silla fu un esempio di rara ed efferata crudeltà tra i romani, per giunta una crudeltà che resterà per sempre impunita, perchè la stella di Cesare sorgerà dopo la morte del dittatore.

Silla assegnò le proprietà confiscate ai suoi veterani e fondò una colonia sulla pianura ai piedi della collina dove sorgeva Praeneste. In età imperiale la città recuperò lo status di colonia, divenendo meta di soggiorno degli aristocratici romani, che qui fecero realizzare lussuose ville suburbane. Divenne anzi uno dei luoghi di villeggiatura preferiti da Augusto, oltre a Lanuvium, Tibur, le coste e le isole della Campania.

Durante la seconda guerra mondiale Palestrina è stata bombardata e questo ha portato a scovare alcune delle strutture della città fondata da Silla all'interno di edifici medioevali e alcuni muri antichissimi nella parte alta della città.





ANTICHE MURA (Roberto Lanciani)

Avanzi di antiche costruzioni scoperti entro l'abiltato.

1. "In via di Porta del Sole, demolendosi una scala con terrapieno, addossata alla proprietà del sig. Felice Faceiotti, mentre eseguivasi lo sterro per l'allargamento della via, alla distanza di circa m. 10 dal principio di detta via, si incontrò un antico muro dello spessore di m. 3, sporgente m. 2 dalla strada, alto dal piano stradale m. 1,80, composto di vari ordini di blocchi squadrati di tufo. Quattro filari sono tuttora visibili perchè superiori al livello stradale. Addossato al detto muro, dalla parte interna, si trovò un antico muro laterizio dello spessore di m. 0,70."

2. "Nel via del Borijo eseguendosi l'abbattimento di una vecchia casa, costruita sull'antico recinto del tempio della Fortuna Primigenia, di opera poligona o ciclopica, sono stati rinvenuti, al loro posto, varii poligoni che per la apertura e prolungamento della detta via dal lato sud-est della città dovrebbero essere rimossi, dovendosi portare la strada alla sezione normale di m. 5,20."

3. "Nella piazza Garibaldi, posta di fronta alla cattedrale, cavandosi le terre per la livellazione e successiva costruzione di un podio a forma di piazzetta semicircolare, con due rampe laterali di discesa verso il piano inferiore della piazza, precisamente nel posto ove erasi dal Comune progettato di erigere il muro del podio, al quale poi doveva addossarsi una fontana o beveratoio, si è rinvenuto un grosso muro meglio una larga platea a più ordini di pietre quadre, la quale copre un'area di circa 30 mq e si eleva di m. 1 sul nuovo livello della piazza. Detta platea ha una fronte di m. 5, ed uno spessore di m. 5,50. Lateralmente, sulla destra, si è pure rinvenuto un muro di opera quadrata, simile, con paramento integro e ben conservato, che intestando alla platea, forma con essa un angolo di 180".

All'interno del Museo, ospitato nel Palazzo Barberini-Colonna, si può ammirare un plastico ricostruttivo del complesso.

Dalle numerose iscrizioni rinvenute, tombali e non, si trae l'avvicendamento nelle epigrafi delle varie gentis prenestine. In località Ceciliano, lungo l'asse della Prenestina Antica, sgorga da una galleria artificiale l´acqua Ceciliana. Essa viene raccolta, per stillicidio, in un cunicolo di epoca romana, scavato nel tufo per oltre 200 metri. All´uscita del canale, l´acqua è erogata da otto bocche distribuite in un ampio odeon marmoreo.

Il centro storico venne distrutto dai bombardamenti nel 1944, ma proprio la distruzione delle costruzioni che vi si erano insediate dopo l'abbandono, permise di rimettere in luce l'antico santuario repubblicano. Da lì iniziò l'attività archeologica di riscoperta.





I MONUMENTI

Il prestigio che Praeneste ebbe in tutto il mondo antico è dovuto al grandioso santuario oracolare della Fortuna Primigenia, uno dei più importanti complessi sacri di età medio repubblicana.

Ai piedi del santuario si trovava una serie di edifici di varie epoche disposti attorno all'attuale piazza Regina Margherita e sotto la cattedrale di Sant'Agapito. Adiacente al tempio della Fortuna Primigenia, era locato il Foro civile di Praeneste, a lungo ed erroneamente ritenuto parte del santuario stesso.

FORTUNA PRIMIGANIA
L'Aula Absidata, attualmente inglobata nell’ex Seminario Vescovile, è una sala romana a pianta rettangolare sulla cui parete di fondo si apre una grande abside, celebre perchè originariamente pavimentata dal famoso mosaico a soggetto nilotico.

Adiacente all'Aula Absidata si trova la Basilica, precedentemente interpretata come area sacra, invece di uso civile come tutte le basiliche pagane, divisa in quattro navate da colonne con capitelli in stile corinzio-italico.
Sul lato occidentale di essa è il cosiddetto “Antro delle Sorti”, una grotta ricavata artificialmente, ornata da tre nicchioni e pavimentata da un mosaico policromo a soggetto marino.

Lo spazio antistante è pavimentato con un finissimo mosaico bianco, molto simile a quello dell’Aula Absidata, che fa supporre che questa zona in origine fosse coperta.

Il luogo è stato interpretato come Serapeo, dedicato cioè al culto di Serapide, un culto egizio che risale al II sec. a.c.

RICOSTRUZIONE


IL SANTUARIO DELLA FORTUNA PRIMIGENIA

Nel prezioso monumento sono evidenti, insieme alla perfetta assialità e gli aspetti scenografici legati ai portici e agli ordini, caratteristici della Grecia, l'inserimento del complesso nell'ambiente uniti alle tecniche costruttive romane. 
Vi compaiono infatti, oltre al cementizio che comincia all'inizio del II sec. a.c. gli opus incertum e reticolatum e un primo rudimentale impiego di forme arrotondate che si instaureranno soprattutto nelle terme di età imperiale.

NINFEO SULLA PRIMA TERRAZZA
" La chiave dell’architettura romana è il concetto di organismo che deriva dai principi di unità e proporzione umana dell’architettura greca ma non si esaurisce in essi. Dall’unità plastica l’architettura romana giunge all’unità spaziale: l’organismo non è più un oggetto posto in rapporto con la scena naturale e con altre entità volumetriche: diventa anzitutto una forma cava, un contenitore di funzioni, anche molto complesse, organizzate secondo il principio della chiarezza dell’ordine gerarchico. Organismo non è più solo l’edificio ma la sequenza di edifici o la piazza che spesso si chiude, si pensi ai fori imperiali, rifiutando ogni connessione con l’ambiente circostante e definendosi come un organismo architettonico autonomo.
L’organismo è il risultato della fedeltà a leggi predeterminate, a leggi di aggregazione delle parti, basate sull’istituzione di un rapporto di dipendenza le une dalle altre, leggi di equilibrio basate sul valore riassuntivo delle vedute generali e sulla simmetria che accentua la composizine gerarchica traducendo in termini di masse e cavità la struttura articolata e accentrata della organizzazione sociale ed amministrativa dello stato " (G. Picard, Architettura romana).

Il santuario è uno dei più grandi capolavori dell'architettura romana di epoca repubblicana, influenzato, nella scenografica disposizione a terrazze, da realizzazioni ellenistiche, sia pure usando la tecnica costruttiva del cementizio che è del tutto romana.

IL POZZO ORACOLARE
Il santuario fu famoso anzitutto perchè oracolare, il che comportò una grandiosa realizzazione architettonica databile verso la fine del II sec. a.c. anche se l'origine del luogo di culto risale ad epoca più antica. Lo stesso appellativo di primigenia ne fa comprendere il culto preromano.

Il tempio si articola in una serie di terrazze artificiali disposte sul pendio roccioso. con balaustre, piedistalli, statue, giardini, vasche e fontane, in un susseguirsi scenografico di grande vastità ed effetto.

Sulla "terrazza degli emicicli", davanti all'esedra di destra, si conserva un pozzo, identificato con quello in cui, secondo Cicerone, il nobile prenestino Numerio Sufficio avrebbe rinvenuto le sorti, ovvero delle tavolette di legno da cui si traevano auspici sul futuro.
Si è pensato che gli oracoli venissero redatti all'interno dello stesso pozzo da una figura (probabilmente femminile) che si manteneva però nell'ombra.

Per ricevere i responsi invece si calava all'interno del pozzo un fanciullo che poi consegnava le tavolette a coloro che avevano posto le domande e che avevano fornito un degno contributo.

Tutto questo però è frutto di menti archeologiche un po' troppo fantascientifiche. Non c'è traccia nel suolo italico di sacerdoti o sacerdotesse infilati in un pozzo per i responsi. Il fatto che le tavolette delle Sorti fossero state nascoste in fondo a un pozzo è perchè.. le avevano nascoste.

Perfino gli etruschi nascondevano in taluni casi le merci o gli oggetti preziosi nei pozzi, dei condotti verticali a sezione rettangolare per discesa e salita mediante tacche incise lungo una parete, chiamate 'pedarole'; lo scopo di questi pozzi era di attingere acque da vena, ma anche come fori di collegamento dalla superficie a silos e cisterne sottostanti oppure a cunicoli sotterranei o a nascondere oggetti.

Comunque la presenza dell'oracolo, testimoniata da Cicerone, viene ricordata dalle fonti fino al III sec. d.c., finchè nel IV sec. l'editto di Teodosio, insensibile all'altrui libertà, ne obbligò la definitiva chiusura.




La Dea Primigenia

La Dea Madre Fortuna era la primordiale generatrice del Cosmo, rappresentata in età romana (su specchio prenestino) come madre nell'atto di allattare Giove e Giunone fanciulli. Viene riferita come protettrice della maternità, della fecondità per i campi e fertilità per gli uomini e gli animali.

Ma non solo. Dato che il suo aspetto era, come riferisce Plinio il Vecchio, di guerriera, si presuppone che ella avesse i tre classici volti: di colei che dà la vita, che nutre, e che dà la morte. In quest'ultimo aspetto era anche Dea della guerra.

L'aspetto generativo della Dea comportava come si è detto che la si invocasse per la fertilità delle donne, dei campi e degli animali. Come aspetto di colei che nutre e fa crescere rientrava l'aspetto curativo dei malati, e come colei che dà la morte rientrava il suo aspetto oracolare, di colei che sa della vita e della morte. Non c'è possibilità predittiva se non contemplando la possibilità della morte, altrimenti la mente blocca la visione del futuro con un muro invalicabile.


Il Santuario

"Le sorti più famose erano quelle di Preneste e di Anzio, due piccole città dell'Italia. In Preneste vi era la Fortuna ed in Anzio le Fortune. Cicerone racconta l'origine delle sorti di Preneste. Leggesi nelle memorie del Prenestini. dic'egli che un certo Numerio Sufficio uomo dabbene e disceso da una famiglia nobile era stato spesse volte avvertito in sogno ed anche con minaccie di portarsi in un certo luogo e tagliare una pietra in due parti, si che atterrito quest'uomo da codeste visioni continue, si pose in istato di ubbidire a vista di tutti i suoi concittadini i quali se ne ridevano e che quando la pietra fu tagliata vi trovarono le sorti incise in caratteri antichi sopra una tavola di quercia. Questo luogo continua il medesimo autore è oggigiorno rinchiuso e diligentemente custodito a motivo di Giove fanciullo il quale vi si vede rappresentato insieme con Giunone ambidue nel seno della Fortuna che gli allatta e tutte le madri vi hanno una gran divozione. In questo luogo conservano le sorti e le cavano allora quando piace alla Fortuna 
Alessandro Severo essendo ancora privato nel tempo che l'imperator Eliogabalo non lo amava molto ricevette per risposta nel tempio di Preneste quel passo di Virgilio nel sesto dell Eneide Si qua fata aspera rumpas tu Marcellus eris Se tu puoi superare i destini contrari sarai Marcello."
(G.J. Monchablon  - 1832)

Il santuario è costituito da un complesso monumentale disposto su sei terrazze artificiali che guardano a sud, collegate da rampe e scale che conducevano al tempio e alla miracolosa statua della Dea. Questo edificio sacro e monumentale, realizzato lungo la via principale di accesso alla città, si arrampica sulla collina grazie ai terrazzamenti.

Esso è diviso in due nuclei: quello a valle più di tipo religioso col vecchio santuario latino e il complesso a monte che culmina con una cavea.

In basso c'è il complesso maggiore, diviso in quattro navate coperto da tetto ligneo con a valle un porticato con due ordini, dorico e corinzio, e a monte delle aperture rettangolari.

A monte ci sono tre livelli in cui l'ultimo presenta una scalinata che porta a due rampe coperte che salgono alla terrazza delle esedre con un portico dorico interrotto da esedre ioniche. 

Si sale un altro piano e si arriva alla terrazza dei fornici con aperture alternativamente arcuate e piatte. Con un'altra rampa si arriva all'ultima terrazza molto più grande delle altre, con porticato corinzio su tre lati con un emiciclo a cavea nella parte più alta sormontata da un altro portico semicircolare e da una rotonda.

La prima terrazza, sorretta da un imponente muro in opera poligonale e arricchita da vasche lustrali ai due lati; sosteneva una doppia rampa simmetrica, con doppio passaggio, uno esterno coperto con volta e sostenuto da colonne doriche, l'altro scoperto e lastricato.

L'opera poligonale conferma l'antichità del luogo di culto che è molto più arcaico del II sec. a.c., un culto che si perde nella notte dei tempi. Le vasche lustrali fanno pensare alle acque benedette e curative che non mancavano mia nei santuari della Grande Madre.

Le rampe conducevano sulla terrazza detta “degli emicicli”, che presentava un fronte porticato in stile ionico, su cui si aprivano due grandi esedre simmetriche con volte a cassettoni. Una scalinata centrale portava poi alla terrazza superiore, detta dei “fornici a semicolonne”, che ospitava forse luoghi di ristoro per i pellegrini e botteghe con statuine, oggetti sacri e souvenir.

I TERRAZZAMENTI
Dalla scalinata posta al centro si poteva salire alla terrazza più estesa, oggi detta piazza della Cortina, porticata su tre lati con colonne corinzie. Sul fondo un'altra rampa conduceva ad una grandiosa esedra gradinata, ombreggiata da un doppio portico con colonne in stile corinzio. 

Dorico, ionico e corinzio erano i tre stili di colonne, stili originari della Grecia, con cui i Romani ornavano i monumenti più importanti, vedi il Colosseo.

Sulla sommità del colle terrazzato si ergeva finalmente il tempio, a pianta circolare, quindi di stile piuttosto arcaico, tutto chiuso, come usava all'epoca, dove era conservata una statua in bronzo dorato (Plinio il Vecchio) della Dea Fortuna tutta armata, che veniva portata fuori dal tempio solo in occasione delle feste religiose.
Sicuramente però non era l'unica statua del tempio, perchè almeno un'altra doveva trovarsi presso la parte bassa del santuario, posta all'esterno di modo che i pellegrini potessero individuarla anche da lontano.

Il grandioso santuario ha interessato ed ispirato architetti ed artisti di tutti i tempi. Diverse ipotesi ricostruttive del santuario furono proposte da architetti come Andrea Palladio, Pietro da Cortona, Domenico Castelli, Luigi Canina, Heinz Kähler e Fausto Zevi.

La struttura di terrazzamenti ed i volumi del Santuario hanno ispirato la composizione architettonica di numerosi edifici. Tra questi

- il Belvedere Vaticano (1504) progettato da Bramante,
- villa Sacchetti del Pigneto (1635) di Pietro da Cortona,
- il progetto per il palazzo imperiale di Schönbrunn (1690) di Fischer von Erlach,
- il Vittoriano (1884-1911) di Giuseppe Sacconi,
- il progetto per il Pocono Art Center (1972) di Louis Kahn,
- the Mississauga City Hall Complex (1982-6) di Jones and Kirkland Architects.




I PROPILEI

A Largo San Rocco sul lato sinistro c'è la chiesa di S.Lucia, alle cui spalle, percorrendo per via degli Arcioni, sul lato sinistro, resti di cisterne romane del II sec. a.c. usate per conservare l'acqua e alimentare la città.
Proseguendo per via degli Arcioni,  troviamo il cosiddetto "Propileo"; antico ingresso al Tempio. Poco più avanti sempre sulla sinistra, la "porta del Sole"  dei Pricipi Barberini, che sostituisce l'antica porta sulle mura poligonali.
Accanto, i massi di mura ciclopiche che anticamente racchiudevano la città. I massi sono grandi, pesanti e uniti a secco, senza malta, tanto che gli antichi credettero fossero state costruite da ciclopi.



IL FORO CIVILE

L'antico Foro di Praeneste comprendeva una serie di edifici di varie epoche in corrispondenza dell'attuale piazza Regina Margherita e sotto la cattedrale di Sant'Agapito martire. Collegato al soprastante Santuario della Fortuna Primigenia, venne a lungo ritenuto una sorta di "santuario inferiore" e solo più tardi riconosciuto come foro.

Sotto il fianco orientale della Chiesa, sul lato ovest della piazza, sono visibili il basamento dell’antico tempio in opera quadrata di tufo, un tratto di strada basolata e una porzione dell’antica pavimentazione del Foro che ancora sussiste.

La fioritura economica di Praeneste alla fine del II sec. a.c. consentì poi una splendida e costosa ristrutturazione urbanistica e monumentale della città nel suo complesso, che interessò, oltre al Santuario della Fortuna Primigenia, gran parte degli edifici pubblici sia di carattere civile che sacro.

A quell’epoca venne costruito un grande complesso sul lato settentrionale della piazza, alle spalle del tempio di Giove. Gli edifici principali si trovavano ad un livello superiore, raccordato al piano pavimentale della piazza attraverso un colonnato a due piani.

Il Foro comprendeva fra gli edifici più rilevanti:


LA BASILICA

La basilica aveva l'interno diviso in quattro navate, quasi certamente coperte. Sulla parete di fondo, separata da un'intercapedine del muro di terrazzamento retrostante, resta la decorazione con semicolonne che inquadrano finte finestre. Il lato anteriore era preceduto da un portico a due ordini, con colonne doriche sotto e corinzie sopra, in parte inglobate nella facciata del successivo palazzo del Seminario.

LA BASILICA ROMANA
Sui lati corti si aprono sulla basilica due ambienti: a sinistra l' "antro delle sorti", una grotta naturale, organizzata a ninfeo e pavimentata da un bel mosaico con pesci di epoca ellenistica.

L'ambiente di destra era una sala con abside, con un podio decorato da fregio dorico sormontato da semicolonne. Non è chiara la funzione di questo secondo ambiente, forse un ninfeo gemello o forse un edificio religioso legato al santuario. In ogni caso è qui che è stato ritrovato il famoso mosaico del Nilo, oggi conservato presso il Museo archeologico nazionale prenestino, che raffigura una cartografia dell'Egitto, dalle sorgenti del fiume in Etiopia fino al delta.

Nelle vicinanze sono emersi i frammenti di un obelisco egiziano, anch'essi conservati attualmente nel museo, per cui si è pensato che si trattasse di un iseo, cioè di un luogo di culto dedicato alla Dea egizia Iside.

Il complesso civile era collegato al soprastante santuario della Fortuna Primigenia tramite una serie di scalinate laterali. L'intero complesso della basilica e delle aule di culto con i mosaici è stato datato al II sec. a.c.



IL TEMPIO

Un grande tempio etrusco-italico del IV secolo a.c., il cui basamento è in parte conservato sotto la piazza, presso l'attuale chiesa, faceva da sfondo al complesso. La cattedrale, dedicata a S. Agapito, insiste infatti sulle strutture di un tempio, probabilmente dedicato a Giove Imperatore, risalente alla fine del IV-inizi del III sec. a.c.

L'AULA ABSIDATA


AULA ABSIDATA

Adiacente al tempio della Fortuna Primigenia, era locato il Foro civile di Praeneste, a lungo ed erroneamente ritenuto parte del santuario stesso. Del Foro faceva parte l'Aula Absidata, attualmente inglobata nell’ex Seminario Vescovile, sul cui uso si sono fatte diverse ipotesi: una biblioteca, un santuario di Iside, un archivio.

Trattavasi comunque di una sala romana a pianta rettangolare sulla cui parete di fondo si apre una grande abside, celebre perchè originariamente pavimentata dal famoso mosaico a soggetto nilotico.

Detta pavimentazione è stata spostata su una parete del museo per diventare godibile a tutti, anche perchè trattasi di un grandissimo, bellissimo e interessantissimo lavoro, dotato di uno spirito curioso ed allegro, anche se il mosaico non manca di scene drammatiche.


ANTRO DELLE SORTI

L'Antro delle Sorti è una grotta naturale, allargata appositamente, posta sul lato occidentale della Basilica. Essa presenta tre nicchie, che evidentemente accoglievano tre divinità, forse i tre aspetti della Dea Fortuna, ed era decorata da finte stalattiti.

ANTRO DELLE SORTI
L’ingresso alla grotta è monumentalizzato da un arco in blocchi di tufo Lo spazio antistante è pavimentato con un finissimo mosaico bianco, che fa supporre che questa zona in origine fosse coperta. Il pavimento della grotta è costituito da un raffinato mosaico policromo a piccole tessere, fortemente lacunoso nella parte centrale, poiché nel secolo scorso l’ambiente fu purtroppo utilizzato come piano di cottura per la calce.

Vi si distingue comunque un fondo marino con una grande varietà di pesci, crostacei e molluschi. E’ visibile anche una parte della riva, lungo la quale si infrangono le onde, mentre il colore del mare è più chiaro nei pressi della costa e si fa più scuro e blu verso il fondo della grotta, dove si vuole rappresentare il mare più profondo. I pesci sono rappresentati in prospettiva inversa, quelli più distanti dall’osservatore sono di dimensioni maggiori.

Sulla destra si conserva l’immagine di un piccolo santuario, di cui non si conosce la dedica. Esso mostra una piattaforma su cui è un altare di porfido, che fronteggia un’alta colonna corinzia sormontata da un vaso metallico, entro un’esedra, con scudi appesi ed accanto un timone ed un tridente.

Davanti ad essa resta parte di una figura maschile nuda, rivolta indietro, con un drappo in mano. L’opera è uno dei più notevoli mosaici ellenistici conosciuti, che trova confronto con altri esempi di Roma e Pompei, sempre a soggetto marino, ed anch’esso, come quello del Nilo, è attribuibile ad artisti alessandrini che lo realizzarono sul posto nella stessa epoca (fine II secolo a.c.).

CUNICOLO SOTTERRANEO
Nell’Antro delle Sorti gli studiosi hanno ravvisato di tutto: un tempio, un ninfeo, un santuario di Serapide o di Iside. Però sulla "terrazza degli emicicli", davanti all'esedra di destra, si conserva un pozzo che è stato identificato con quello in cui, secondo Cicerone, il nobile prenestino Numerio Sufficio avrebbe rinvenuto le sorti, ovvero delle tavolette di legno da cui si traevano auspici per il futuro. Visto che dietro le tradizioni ci sono generalmente ricordi tramandati oralmente, non sembra azzardato pensare che forse quelle "sorti" si giocavano ad opera delle sacerdotesse della Dea proprio in quell'antro.

Pensare che le sorti si giocassero in un pozzo è la "fantasiosa" supposizione di archeologi distratti, sia perchè non esistono precedenti in tal senso, sia perchè le sibille oracolavano negli antri. E' evidente che anche qui vi fosse un antro dove oracolassero i sacerdoti.

I rinvenimenti degli oracoli nel pozzo significano solo che temendo una profanazione questi siano stati occultati in un posto da cui era difficile reperirli. Comunque qualcuno sapeva o una leggenda permaneva altrimenti non si comprende come mai un nobile si cali in un pozzo.

VILLA DI ADRIANO SOSTRUZIONI PIANO INFERIORE

VILLA DI ADRIANO

La villa di Adriano, sempre a Palestrina, sorge a meno di due km dal Tempio della Fortuna Primigenia, e si raggiunge percorrendo viale Pio XII, la principale via commerciale della città. Fu una delle diverse case imperiali di villeggiatura che l'imperatore si fece costruire.
Da un punto di vista panoramico la villa è collocata in un punto privilegiato dal quale è possibile godere di tutta la visuale sia di Palestrina che della facciata del Tempio della Fortuna Primigenia.

L’attribuzione all’imperatore Adriano è dovuta ad un elemento importante, e cioè il ritrovamento, nel 1793, della statua di Antinoo, il giovane e bellissimo amante di Adriano, rappresentato in veste di Bacco. La statua è oggi conservata nella Sala Rotonda dei Musei Vaticani.

Oltre alla statua di Antinoo tuttavia vennero rinvenuti dei bolli laterizi risalenti all’epoca repubblicana, per cui Adriano avrebbe arricchito una vecchia villa o ne avrebbe impiantato una nuova sulla vecchia.

Resta anche il fatto che le fonti riferiscono della presenza di Augusto, Tiberio e Marco Aurelio a Palestrina, ma non parlano della visita di Adriano. Pertanto l'attribuzione è piuttosto controversa.

La villa si trova all’interno di un complesso monumentale più ampio che si articola in due spazi: uno è la villa stessa, l'altro è collocato all’interno del cimitero costruito intorno alla meta dell’ottocento.

Percorrendo il piano inferiore è possibile individuare una serie di ambienti paralleli, di diverse dimensioni, in tutto una ventina, a forma rettangolare e tutti comunicanti con un lungo corridoio.

Il soffitto è costellato di volte a botte. Tutti gli ambienti sono rifiniti a cocciopesto sui pavimenti, e di corduli di cocciopesto agli angoli delle pareti, che non è il massimo per una villa romana ma forse questa parte aveva attribuzioni molto umili, tipo magazzini per attrezzi e derrate, oppure cisterne.

Queste stanze comunicavano tutte fra loro con porte alte e strette, coperte da ghiere di laterizi ad arco,
Nel piano superiore sono stati reperiti i resti di un convento, che è stata la parte più utilizzata nel corso dei secoli. Le strutture rinvenute nella zona intorno al cimitero sono difficilmente identificabili a causa di un cattivo stato di conservazione.

A tutt'oggi sono visitabili gli ambienti del piano inferiore che si presentano come sostegno dei piani superiori di cui sono rimaste soltanto le mura della chiesa di Santa Maria in Villa. Questa imponente sostruzione era funzionale ad un innalzamento del livello della villa per sottolinearne la maestosità.

Qualcuno ha pensato che sia stato Augusto a farsi costruire la villa per le sue vacanze prenestine, ed effettivamente come date ci starebbe, per poi in seguito essere subentrato Adriano che avrebbe ampliato la villa, e questo ci starebbe sicuramente col carattere di Adriano che amava il grandioso.



MUSEO NAZIONALE ARCHEOLOGICO PRENESTINO

Il Museo è ospitato dal 1956 all'interno del Palazzo Barberini, costruito sulla sommità del santuario della Fortuna Primigenia. Ospita numerosi reperti: cippi, busti, basi funerarie, statue e oggetti di uso quotidiano provenienti dalle necropoli della città. Particolarissimo il grande Mosaico nilotico dell' 80 a.c., di dimensioni 5,85 x 4,31 m, proveniente da un aula del Foro repubblicano della città e raffigurante il paesaggio esotico del Nilo, uno dei pochi esempi conservati di mosaico di epoca repubblicana.

Il museo ospita inoltre il gruppo scultoreo della Triade capitolina, uno degli esemplari meglio conservati tra quelli che raffigurano insieme Giove, Giunone e Minerva, conservato nella quasi totale interezza.

La Chiesa annoverò una Santa Fortunata vissuta a Preneste e martirizzata a Roma nel 200 a.c. Spesso dove si venerava un Dio pagano sorgeva un santo con nome identico o simile, da Fortuna a Fortunata il passo è breve.

IL MOSAICO NILOTICO

IL MOSAICO NILOTICO

Questo è il gigantesco mosaico nel suo complesso ed è esposto appunto al museo di Palestrina. Fu scoperto tra fine '500 e inizi '600 nell'aula absidata del Foro Civile dell’Antica Praeneste, all'epoca adibita a cantina del vecchio Palazzo Vescovile.

Nel 1625 il Vescovo di Palestrina, Cardinale Andrea Baroni Peretti Montalto, apprezzata la bellezza del mosaico, lo fece staccare dal pavimento, poi lo fece dividere in pezzi quadri, e infine diede ordine di trasportarlo a Roma. In cambio del Mosaico del Nilo, il Cardinale donò alcuni paramenti alla sagrestia della Cattedrale di Sant’Agapito, che sorse su un antico edificio romano.

Quando il feudo di Palestrina fu acquistato dalla Famiglia Barberini nel 1630, il Cardinale Francesco Barberini, grande collezionista di opere d’arte, riuscì ad entrare in possesso del Mosaico nel 1635 e lo fece restaurare.

Nel 1640 l’opera restaurata fu riportata a Palestrina e collocata nella sua posizione originale, in quell’aula absidata che intanto era stata fatta restaurare dal Principe Taddeo Barberini. Tuttavia l'umidità dell'aula non fece bene al mosaico che dovette essere nuovamente restaurato.

PARTICOLARI DEL MOSAICO
Così nel 1853 il Principe Francesco Barberini affidò l’incarico all'architetto di casa Barberini, il Mosaico venne diviso in 27 lastre di varia grandezza e riportato a Roma per il restauro.

Tornato a Palestrina dovette essere di nuovo inviato a Roma nel 1943, affinchè non fosse colpito dai bombardamenti. Tornate di nuovo a Palestrina, le lastre furono ricomposte su un piano leggermente inclinato in una delle sale del Palazzo Colonna Barberini.


Palazzo Barberini

Il palazzo fu eretto verso la metà del'XI sec. dalla famiglia Colonna, riutilizzando le strutture superiori del santuario della Fortuna Primigenia. Nel 1298 venne distrutto, insieme alla città dopo l'assedio di papa Bonifacio VIII, poichè i Colonna che si erano opposti alla sua elezione.

Nel 1630 il palazzo e la città furono ceduti dai Colonna ai Barberini che modificarono il palazzo nella forma che ha oggi, collocandovi il mosaico. Venne nuovamente distrutto nel 1437 per ordine di papa Eugenio IV.


PARTICOLARI DEL MOSAICO - ROMANI MACEDONI
Col permesso del suo successore, papa Niccolò V, il palazzo venne nuovamente ricostruito da Francesco Colonna, al quale si deve il pozzo antistante la facciata e la chiusura del colonnato sulll'antico teatro.Dopo la II guerra mondiale il palazzo venne acquistato dallo Stato e utilizzato come sede del Museo archeologico nazionale prenestino, che vi fu allestito nel 1956.

Ma per ammirare la bellezza del mosaico era necessario collocarlo in posizione verticale, e nel 1952 fu la società cinematografica Ponti-De Laurentis, che propose un documentario a colori sul mosaico di Palestrina, accettando di sostenerne tutte le spese del restauro. Nel 1956, ormai restaurato, il mosaico fu definitivamente collocato nel Museo Archeologico Nazionale di Palestrina.



Il Significato
Il cardinale francese Melchior de Polignac, il primo a capire che il Mosaico rappresentava l’Egitto, lo interpretò col viaggio di Alessandro Magno al Tempio di Giove Ammone, per cui la parte superiore del quadro, con i cacciatori neri e le belve, rappresenta l’alto Egitto.

Dove invece il Nilo scorre verso la pianura e forma il delta sono rappresentate Eliopoli e Menfi. Nella scena in basso a destra, dove sotto un padiglione sono raffigurati un condottiero con dei guerrieri e una figura femminile, Polignac vedeva Alessandro Magno incoronato dalla Vittoria. L’uomo che sulla prua di una nave da guerra stende la mano ad Alessandro, come a chiedere la pace, sarebbe Astace, governatore di Menfi.

- Il filosofo e storico francese Jean Baptiste Dubos credeva si trattasse di una carta geografica dell’Egitto, con varie vignette di abbellimento di uomini, animali, edifici, battute di caccia e cerimonie legate all’antico Egitto.

- Il padre gesuita Giuseppe Rocco Volpi, dopo aver detto che il mosaico rappresentava l’Egitto, si soffermava sulla scena del padiglione con il condottiero e i soldati, confutando la tesi di Polignac: non si trattava di Alessandro Magno e i suoi soldati, ma di romani armati.

- Secondo l’archeologo francese Jean Jacques Barthelemy il Mosaico apparteneva ai primi secoli dell’Impero, e rappresentava Adriano in Egitto.
Secondo lui questo viaggio influì sull'abbellimento della la sua villa di Tivoli con statue egizie, e il Mosaico del Nilo a Praeneste, l’altra città che ospitava una delle sue ville fuori Roma: la Villa di Adriano.

FIBULA PRENESTINA
- L’archeologo italiano Carlo Fea ci vedeva invece la conquista dell’Egitto da parte di Augusto. Sarebbe lui il condottiero che con i suoi ufficiali sta sotto il padiglione in basso a destra del Mosaico. (COMMENTO: veramente gli elmi sono macedoni e pure gli scudi)

- L’archeologo italiano Orazio Marucchi vi scorgeva il Nilo raffigurato durante un’inondazione, momento sacro per gli Egizi che dipendevano dal quel fiume, e inoltre un omaggio a Iside, la Dea egiziana con cui si identificherebbe la Fortuna Primigenia di Praeneste perchè, secondo Marucchi, il culto della Dea Fortuna e l’arte della divinazione prenestina avrebbero avuto origine in Egitto. ( COMMENTO: Ma se proveniva dall'Egitto forse non si sarebbe chiamata Primigenia)

- Recentemente il mosaico Palestrina è stato interpretato come una mappa topografica del Nilo: la parte superiore del mosaico rappresenta l'Etiopia, la zona superiore della parte inferiore l'Egitto, e il primo piano rappresenta il Delta, dall'alto in basso inteso come sud a nord, la convenzione standard per le mappe antiche.

- Per altri rappresenta lo straripamento del Nilo nella stagione delle piogge,

- per altri ancora un mondo vagheggiato e idealizzato, per giunta venuto di moda soprattutto con Cleopatra, un po' come lo fu l'Arcadia nel Rinascimento.

- Noi diremmo una via di mezzo tra un mondo vagheggiato e una molto approssimativa mappa del Nilo.
A tutt'oggi il mosaico è conservato dal 1956 nel Museo Archeologico Nazionale di Palestrina.
Il vasto mosaico nilotico è la prova evidente di quanto i dipinti trionfali romani potessero somigliare alle convenzioni topografiche e quindi essere scambiate per tali. Ma pure di quanto sia a volte arzigogolata la fantasia degli archeologi che a volte vagheggiano le interpretazioni più azzardate.

Il mosaico policromo misura 21.3 x 17.3 m, e vi sono rappresentati infiniti personaggi ed infiniti animali. I dettagli sono spiegati in greco, a testimoniare la provenienza del mosaico, che è appunto di origine alessandrina.



LA TRIADE CAPITOLINA

La Triade Capitolina, anch' essa conservata nel Museo di Palestrina, è una scultura in marmo lunense raffigurante le tre divinità Giove, Giunone e Minerva seduti sul trono, risalente al periodo tardo antoniniano (160-180 d.c.), esemplare praticamente unico di Triade pressochè integra e ben conservata.

Come si vede le statue erano pitturate secondo l'usanza romana e le divinità avevano ai loro piedi i simboli che le contraddistinguevano: Minerva la civetta, Giove l'aquila e Giunone il pavone.


BIBLIO

- Pierantonio Petrini - Memorie Prenestine disposte in forma di annali - Roma - Stamperia Pagliarini - 1795 -
- Leonardo Cecconi - Ricostruzione degli eventi in Storia di Palestrina Città del Prisco Lazio - Ascoli - 1726 -
- F. Coarelli - I santuari del Lazio in età repubblicana - Roma - 1987 -
- Margherita Guarducci - La cosiddetta fibula prenestina. Antiquari, eruditi e falsari nella Roma dell'Ottocento - Atti della Accademia Nazionale dei Lincei - Memorie - Classe di scienze morali - 1980 -
- Fibula Prenestina - giallo risolto. Spazzati i dubbi: "È autentica" - La Repubblica - 6 giugno 2011 -






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