I PORTI ROMANI SUL FIUME



L'ISOLA TIBERINA IN EPOCA ROMANA

LA LOCAZIONE DEI PORTI

I primi porti nacquero in assoluto vicino alle città per soddisfare i bisogni commerciali, oppure presso santuari famosi meta di molti pellegrinaggi, dove per la frequenza turistica si formavano dei pagus o una cittàdina dove ospitare i pellegrini, o lo scalo commerciale per raccogliere i prodotti agricoli, oppure i porti sorgevano accanto alle miniere o alle cave di roccia o di marmi, in grado di dare lavoro a un piccolo entro abitato.

Per ragioni di sicurezza spesso la città non sorgeva direttamente sul mare dove si poteva essere attaccati da ogni lato, ma, come Roma, su un fiume che sboccava non troppo lontano sul mare, molto più ristretto e facile da difendere. Il porto diventava parte della città, però contemplava mura, torri e distaccamenti militari a sè stanti.

Dal V-IV sec. a.c. con l'estendersi dell'agricoltura e dell'artigianato, la popolazione crebbe e così i centri abitati, di conseguenza si ampliarono i porti dotandoli di un emporio pieno di prodotti utili per il commercio sia per l'uso personale di militari, di marinai e di passeggeri, ma soprattutto si dotarono di un l’arsenale per la costruzione, il ricovero e la manutenzione delle navi, e in special modo da guerra. Così i porti divennero vere fortezze, chiusi dentro le mura della città stessa.

Conosciamo gli antichi porti romani attraverso le fonti iconografiche, le monete celebrative, i bassorilievi, i mosaici, gli affreschi, gli itinerari marittimi dell'epoca e pure in ambito funerario, ma qui la struttura è simbolica e stereotipata, in quanto sinonimo di approdo sicuro, tema poi copiato dalla Chiesa Cattolica, non per simboleggiare la morte, ma il paradiso delle anime beate che prometteva in cambio di obbedienza alle regole.



I FIUMI COME STRADE

Uno dei criteri principali sulla scelta del sito dove fondare una città era la presenza di un fiume. Essendo le vie di terra poco praticabili a causa dei folti boschi, se non addirittura foreste, con la necessità di trascinare dietro alla gente, sia militare che di commercio, i vettovagliamenti, nonchè i carri, e gli animali da traino con relativo vettovagliamento, sia le merci ecc. ecc., risultava molto più pratico spostarsi via fiume.

Non solo risultava più veloce ed economico ma anche meno rischioso, essendo boschi e foreste piene di animali predatori che potevano assalire le carovane, per non parlare della laboriosa manutenzione dei carri. 

Inoltre le strade nella boscaglia non si mantenevano tali a lungo, perchè finchè i romani non costruirono strade di basolato, la foresta si riguadagnava in breve il sentiero liberato dalla vegetazione e dalle rocce.

Se una città sorgeva su un fiume non solo godeva di acqua in quantità per le necessità dei cittadini, onde bere, lavarsi e scaricare i rifiuti delle fogne, ma aveva una via di comunicazione con il mare e i vari porti con cui commerciare. Tutte le grandi città, antiche moderne, sono per questo sorte sui fiumi.

Veniva denominato PORTUS (Svetonio e Vitruvio) una struttura presso un ampio bacino, difeso da due moli con banchine, magazzini, scivoli e altri locali di servizio, mentre il termine PLAGIA indicava un approdo naturale. 

Tuttavia un porto, artificiale o naturale che fosse, posto sul litorale marittimo, sulla riva di un lago o di un corso d'acqua, per l'approdo, l'ormeggio e la protezione dalle tempeste, aveva soprattutto pure la funzione di carico e scarico di merci, nonchè l'imbarco e lo sbarco di uomini, soprattutto di militari.

La fluitazione, cioè il trasporto lungo i fiumi di legname o di merci trasportate su zattere è più antica del trasporto navale via mare, perché riguarda acque interne e quindi più sicure.. Del resto lo stesso trasporto marittimo, in epoche passate, avveniva solo costa a costa, perchè più sicuro per l'orientamento e per le tempeste.

A 900 mt più a valle rispetto alla frazione di Stifone, in località Le Mole (Umbria), si trova il sito archeologico del cantiere navale dove un tempo i romani costruivano le loro navi che venivano condotte, attraverso il fiume Nera, fino Roma e gli altri porti.
Qui a fianco una ricostruzione esemplificata di un cantiere navale romano, che spiega così l'immagine del cantiere navale di Stifone.

CANTIERE NAVALE ROMANO DI STIFONE


TECNICHE COSTRUTTIVE 

Porti, ville marittime e peschiere sono monumenti costieri. Il numero di questi monumenti ritrovati è bassissimo; la sopravvivenza di queste strutture, ove presenti sono a rischio, a causa sia di elementi naturali sia degli interventi umani: dagli interramenti (avvenuti anche in passato, ed erano una pratica più che abituale per distruggere i porti di località conquistate) sia per l'odierna crescente richiesta di nuovi porti turistici.

Dove esistenti, queste strutture sono state scarsamente studiate. Come spesso accade in Italia, non c’è stato uno studio sistematico per la mancanza di fondi e il volontariato e le segnalazioni a volte grossolane hanno portato spesso alla confusione e a indicazioni sommarie sotto lo voce generica di “rovine archeologiche”
 
Le tecniche costruttive ci vengono narrate da Vitruvio; le infrastrutture portuali, potevano essere costruite in tre “modi” fondamentali. Egli descrive la tecnica dell’impasto delle malte idrauliche, ottenute mediante l’impiego della calce mescolata con la pozzolana invece che con la sabbia. La qualità dell’impasto era dovuta all’utilizzo della pozzolana, pulvis puteolanus, d’origine vulcanica tipico sia dei Campi flegrei che dell'area tra Cuma e Sorrento.

Ma come costruivano i Romani in ambiente sommerso?

Abbiamo una fonte diretta fornita da Vitruvio che in un passo della sua opera De architectura (V, XII) ci illustra le modalità costruttive di opere portuali. Per completezza dobbiamo anche constare le descrizioni fornite da altri due autori, anche se più generiche, che sono quella di Flavio Giuseppe per la costruzione di Sebastos, il porto di Caesarea Maritima, e quella di Procopio di Cesarea.

Vitruvio descrive le tre metodologie fondamentali per costruire in acqua. Logicamente le maestranze si scontravano con problemi di natura diverse a seconda dei luoghi in cui si trovavano ad operare; si adattavano un po’ al contesto, logicamente.

I Romani costruirono porti ovunque occorreva, rielaborarono e mischiando tutte le tecniche costruttive conosciute, ma soprattutto inventando una strabiliante tecnica di costruzione subacquea attraverso l’opus caementicium, che permise la costruzione di dighe di ogni forma, diritta o curvilinea, a difesa di porti totalmente esterni.

Vitruvuio ci ha trasmesso la tecnica dell’impasto delle malte idrauliche, ottenute con la calce mescolata alla pozzolana anzichè alla sabbia. Le malte idrauliche romane furono strabilianti perchè in alcuni acquedotti tengono ancora oggi dopo 2000 anni!

La qualità dell’impasto era dovuta all’utilizzo della pozzolana, pulvis puteolanus, d’origine vulcanica tipico dei Campi flegrei e dell'area tra Cuma e Sorrento.
 

1) Cassaforma inondata

''Deinde tunc in eo loco, qui definitus erit, arcae stipitibus robusteis et catenis inclusae in aquam demittendue destinandueque firmiter; deinde inter ea extrastilis inferior pars sub aqua exaequanda et purganda, et coementis ex mortario materia mixta, quemadmodum supra scriptum est, ibi congerendum, denique compleatur strurtura spatium, quod fuerit inter arcas"

(TRAD. "Quindi, in quel punto stabilito, si debbono affondare e bloccare con sicurezza delle casseforme tenute insieme da montanti di quercia e tiranti trasversali; poi, nel vano interno, [lavorando] dalle traversine si deve livellare e pulire il fondale e gettare la malta, preparata come è spiegato sopra, mischiata al pezzame di pietra, fino a che lo spazio tra le paratie non sia riempito di calcestruzzo.")

Un primo tipo di cassaforma per malta idraulica veniva costruita direttamente in acqua: si iniziava col conficcare sul fondale dei pali verticali (destinae) che dovevano sostenere e ancorare la struttura al fondo fluviale. A questi pali verticali venivano collegate travi trasversali (catenae), per contenere le spinte esercitate dall’interno all’esterno dalla cassaforma mentre il cemento era ancora fresco.

Quindi, lungo il perimetro esterno di questi travi verticali e orizzontali, venivano serrati i tavolati che costituivano le pareti della cassaforma (arca), collegati alle catenae. All'esterno dei tavolati venivano posti altri travi, questa volta di quercia e obliqui, conficcati nel fondale (stipites), che fungevano da speroni per ulteriore contenimento delle spinte interno-esterno.

A questo punto, il cemento misto a pietre, calce e pozzolana, veniva gettato in acqua dentro la cassaforma, come confermano le impronte delle assi di legno nei resti archeologici. Si procedeva poi per casseforme accostate.


2) Cassaforma stagnata 

''In quibus autem locis puivis non nascitur, his rationibus erit faciendum, uti arcae duplices relatis tabulis et catenis conligatae in eo loco, qui finitus erit, constituantur, et inter destinas creta in eronibus ex uiva palustri factis calcetur. Cum ita bene calcatum et quam densissime fuerit, tunc cocleis, rotis, tympanis coniocatis locus, qui ea septione finitus fuerit, exinaniatur sicceturque, et ibi inter settiones fundamenta fodiantur.''

(TRAD: "In quei luoghi invece, in cui non si trova la pozzolana, si dovrà seguire questo procedimento: nel punto che si sarà delimitato si impiantino delle paratie a doppia parete, tenute insieme da tavole riportate e traverse, e tra i montanti si incalchi dell'argilla in panieri fatti d'alga di palude. Quando l'argilla sarà compressa al massimo, allora con pompe a vite, ruote e tamburi acquari installati si svuoti e asciughi lo spazio circoscritto con questo recinto stagno, e tra le paratie si scavino le fondazioni").

In assenza di pozzolana, Vitruvio suggerisce la cassa-forma stagnata, realizzata da pareti a doppia paratia con l’intercapedine riempita di argilla mista ad alghe di palude. Prima di introdurre il composto, la cassaforma doveva essere svuotata dall’acqua mediante una coclea (vite di Archimede) e ruote acquarie, poi si lasciava asciugare per quanto possibile. Si procedeva poi allo scavo delle fondazioni e si riempiva il tutto con un conglomerato di sabbia e calce. Questo metodo sostituiva le lunghe murature dei moli, con la costruzione di pilae.


3) - Blocchi prefabbricati

''Sin autem propter fluctus aut impetus aperti pelagi destinae arcas non potuerint continere, tunc ab ipsa terra sive crepidine puivinus quam firmissime struatur, isque puivinus exaequata strnatur planitia minus quam dimidiae partis, reliquum, quod est proxime litus, proclinatum latus habeat. 
Deinde ab ipsam aquam et latera puivino circiter sesquipedales margines strnantur aequilibres ex planitia, quae est su pra scritta; tunc proclinatio ea impleatur harena et exaequetur cum margine et planitia puivini. Deinde insuper eam exaequationem pila, quam magna constituta faerit, ibi strnatur; eaque cum erit extrurta, relinquatur ne minus duos menses, ut siccescat. Tunc autem succidatur margo, qune sustinet harenam; ita harena fluctibus subruta efficiet in mare pilue praecipitationem. Hac ratione, quotienscumque opus fuerit, in aquam poterit esse progressus.''

(TRAD: "Qualora invece, per via delle onde e della forza del mare aperto, le palificate non avessero potuto trattenere le casseforme, allora dalla terraferma o dalla banchina si costruisca quanto più solidamente possibile un basamento; questo basamento si costruisca in modo che abbia una superficie, per meno della metà in piano, e il resto, la parte verso la spiaggia, inclinata. 
Quindi, sul fronte a mare e sui lati si costruiscano al basamento degli argini, allo stesso livello della superficie in piano descritta sopra, larghi circa un piede e mezzo; poi l'inclinazione sia riportata con della sabbia alla quota dell'argine e del piano del basamento. Quindi sopra questo piano si costruisca un blocco, grande quanto si sarà stabilito; quando sarà pronto, lo si lasci a tirare per almeno due mesi. Allora si demolisca l'argine che contiene la sabbia; in questo modo la sabbia, dilavata dalle onde, provocherà la caduta in mare del blocco. Con questo sistema, ogni volta che servirà si potrà ottenere un avanzamento in mare").

Vitruvio suggeriva in opzione la costruzione di un blocco prefabbricato da far cadere in mare direttamente dalla terraferma o dal limitare delle banchine, per determinarne l’avanzamento in acqua. Non sappiamo però se fu mai messo in opera.

RIPA - AVENTINO

3) Altri metodi

Naturalmente le tecniche si mescolarono tra loro a seconda dei materiali disponibili e delle opportunità. Accanto all’opus caementicium si posero strutture in blocchi di pietra tipiche delle opere portuali greche; tali strutture rafforzate con la malta, come nel porto di Leptis Magna in Libia. 

Oppure si eseguivano casseforme in blocchi di pietra riempite con gettate cementizie, come da restauri romani in strutture portuali greche. Oppure gli impianti portuali venivano scavati direttamente in banchi rocciosi, in quanto lo consentiva la natura del terreno, come il porto di Ventotene.

Talune strutture erano costruite totalmente in legno, ma su fiumi e laghi. dove la salsedine era molto inferiore; e le casseforme lignee venivano qui riempite di terra e detriti, come dagli scavi del porto di Marsiglia in Francia. Le opere in cementizio furono comunque le più utilizzate fruttando spesso strutture già solide, cosicchè si potevano adoperare casseforme con solo tre o due lati, e talvolta anche uno solo con grande risparmio di fatica, mezzi e tempo.

Le opere in cementizio furono comunque le più utilizzate grazie alla facilità di assemblaggio delle casseforme lignee che, appoggiandosi a strutture già solide, si potevano adoperare casseforme con solo tre o due lati, a volte anche con una sola parete; praticamente una costruzione di moli a moduli.




LE STRUTTURE DEI PORTI


I MOLI

Il Molo è una costruzione situata su un oceano, un mare, un lago, o un fiume, che si protende dalla terraferma verso lo specchio acqueo, la cui principale funzione è quella di fungere da ormeggio alle imbarcazioni per consentire la discesa sulla terraferma dei passeggeri e lo scarico delle merci al riparo del moto ondoso.

C'erano moli esterni, protetti da blocchi di cemento o da grandi pietre frangiflutti sul lato del mare, per proteggere l'interno dalle onde. Oppure vere e proprie dighe che salvassero da mareggiate o piene. C'erano poi i moli interni e le banchine per attraccare le navi e consentire di salire e scendere o caricare e scaricare.



LE BANCHINE

La Banchina portuale è quella parte del porto o della rada prospiciente all'acqua che permette di accostare in sicurezza alla terraferma navi o natanti e fissarli per l'imbarco e lo sbarco delle persone o delle merci al riparo del moto ondoso e delle correnti. Può essere realizzata in cemento armato o in legno. Per consentire l'ormeggio, la banchina è attrezzata con anelli di ormeggio.

Poteva essere in cemento armato o in legno, sia fissato coi pali che galleggiante tipo zattera ancorata. Sulla banchina venivano fissati anelli di ormeggio spesso molto decorativi con teste di leone, o di grifo, o di lupo, o a serpente ecc.



IL FARO

Il Faro era una torre che forniva al suo apice un segnale luminoso visibile da lontano che impedisse alle navi di incagliarsi sulle sabbie o sugli scogli quando mancava la visibilità, soprattutto di notte. Il primo faro dell'antichità fu quello dell'isola di Pharos, di fronte ad Alessandria d'Egitto, del III secolo ac., un'alta torre con un falò in cima costantemente tenuto vivo dagli appositi guardiani. In seguito i falò vennero corredati di specchi e poi di lenti atti ad ampliarne la luminosità e quindi la visibilità.



IL FIUME TEVERE

Basilare per la fondazione e l'edificazione di Roma fu il Tevere, navigabile fin dal IV secolo a.c. con navi mercantili e barche di varie dimensioni. Sembra che dal quartiere della Magliana fino al centro dell'antica Roma vi fosse un lunghissimo porto fluviale attrezzato con banchine per l'attracco munite di rampe, nonchè di pietre forate per gli ormeggi, magazzini e accessi ai palazzi retrostanti di smistamento delle merci.

Il Lanciani segnalò la scoperta di due magazzini che conservavano zanne di avorio e un deposito di cereali. Numerose sono le testimonianze archeologiche della navigabilità del Tevere utilizzato come via di navigazione, sia ne tratto urbano che verso il mare e verso l'alto Lazio. I proprietari di barche sul fiume erano chiamati navicularis, che esercitavano il commercio sia per conto proprio che per conto dello Stato.

L'ISOLA TIBERINA

NELLA MONARCHIA 

Nell'antica Roma il clima era più freddo e umido e con maggiori nevicate, per cui il Tevere era continuamente navigabile, ma le piene erano frequenti soprattutto in primavera mentre in inverno imperversavano forti venti.

Per questo i romani crearono un approdo nell'ansa dell'Isola Tiberina, con un Emporio commerciale.
Il re Anco Marzio costruì un ponte di legno per occupare anche la riva destra del Tevere, e vicino al Porto sul Tevere venne creato il Porticus Aemilia, un grande magazzino per le merci.



NELLA REPUBBLICA 

Il Navalia era il porto militare sul Tevere dell'età Repubblicana, ma in età imperiale si decise di spostare la flotta militare da Roma e quindi sia il Cantiere navale, sia il Porto militare andò in disuso. esisteva anche un altro porto: il Molo in Tor di Nona, ma venne distrutto per alzare gli argini del Tevere.

Ma già dall'età Repubblicana, il porto di Ostia perse lo scopo difensivo e divenne esclusivamente uno scalo commerciale e indispensabile per l'approvvigionamento di Roma, che dal Porto di Pozzuoli, in cui arrivavano le grandi navi cariche di frumento africano e olio (la costa dell'Africa settentrionale era al tempo molto più fertile e prospera con abbondanza d'acqua), per poi smaltire il carico in tante piccole navette cargo con lo scafo piatto che giungevano ad Ostia.

Da Ostia il Grano veniva trasportato con i carri o risalendo il fiume con delle imbarcazioni; via terra da Roma a ostia ci volevano ben 3 giorni di cammino.

COSTRUZIONE DELLE NAVI

IN ETA' IMPERIALE

Augusto e in particolare Tiberio, si impegnarono per pulire gli argini dai detriti e impedire che si costruisse sulle rive del Tevere per evitare danni quando il fiume si innalzava; in pratica venne istituito un piano regolatore che impediva ai privati di costruire vicino agli argini e tutte le case costruite abusivamente venivano distrutte.

Traiano costruì un Porto alla foce del Tevere. Il Porto principale si trovava a Pozzuoli che inaugurato da Nerone nel 64 dc. (i lavori iniziarono nel 42 dc.) L'Imperatore Traiano finì e migliorò il porto creato da Claudio(sempre ad ostia) e ampliò il porto di Ostia rendendolo più profondo e largo. Costantino darà ad Ostia lo Status di Città autonoma Il Porto di Ostia funzionò fino al IX secolo d.C.

Il continuo interessamento degli Imperatori a migliorare il funzionamento del Porto di Ostia perchè era di vitale importanza per l'approvvigionamento della Capitale; non era possibile avere intoppi, altrimenti gli abitanti di Roma sarebbero morti di fame, creando scompigli e malessere. Ostia era in centro abitato che si era sviluppato intorno al Castrum presso la foce del Tevere e qui fu edificato il primo porto di Roma che proteggeva sia la foce, sia gli scali commerciali, ed era costruito in grandi blocchi di tufo le cui cave si reperivano in zona PORTO (Portus)

L'imperatore Claudio fece costruire un altro sito portuale a circa 4 km (o 2,5 miglia) a nord di Ostia, detto appunto Portus, su di un'area di circa 70 ettari, dotato di due lunghi moli aggettanti sul mar Tirreno, con un'isola artificiale ed un faro.

La costruzione di questo faro si attuò con il riempimento di una grossa nave che aveva trasportato dall'Egitto un grande obelisco utilizzato per decorare il Circo di Nerone o circo vaticano Terminato sotto l'imperatore Nerone, Porto aveva diversi vantaggi rispetto ad Ostia: era collegato a Roma dal Tevere ed era protetto rispetto ai venti di sud-ovest. Fu sempre l'Imperatore Claudio a far costruire la via Portuense che collegava Porto con Roma; via lunga circa 15 miglia (24 km).

Il nuovo porto era troppo esposto alle insidie delle tempeste, Tacito riporta che già nel 62, prima quindi che i lavori fossero portati a compimento, una tempesta affondò 200 navi. Inoltre il suo mantenimento era estremamente costoso. Quindi l'imperatore Traiano fece costruire da Apollodoro di Damasco un nuovo porto, il porto di Traiano, più funzionale e più arretrato rispetto a quello di Claudio.

I lavori durarono dal 100 al 112, con la creazione di un bacino di forma esagonale con lati di 358 m e profondo 5 m, con una superficie di 32 ettari e 2000 metri di banchina. Fu costruito un ulteriore canale, ed il collegamento ad Ostia fu assicurato da una strada a due corsie.

Al Portus Traiani furono costruiti magazzini e depositi per permettere la miglior conservazione delle derrate alimentari. Per lungo tempo considerato un sobborgo, ricevette lo status di Municipium, solo sotto Costantino I. Da allora Porto, precedentemente detta Portus Ostiae e Portus Augusti, prese il nome di Civitas Flavia Costantiniana Portuensis, in onore dell’imperatore e più comunemente indicata come Portus Romae a discapito di Ostia che iniziò a decadere.

Nello stesso periodo il porto fu protetto da un cinta di mura. Il complesso di Claudio si insabbiò nel IV secolo. Subì distruzioni negli attacchi di Alarico I nel 408 Vandali Genserico, ma si riprese Cassiodoro la descrive con molte navi ormeggiate alle banchine ed anche Procopio di Cesarea, nel VI secolo>, la descrive come una città fiorente. L'invasione dei Goti del 537 le diede il colpo finale.



PORTO TIBERINO

Posto sull'Isola Tiberina, fu il primo e più importante complesso portuale e commerciale di Roma, si trovava all'altezza dell'attuale palazzo dell'Anagrafe e la chiesa di santa Maria in Cosmedin, ne occupava tutta l'area, in un'ansa del Tevere oggi scomparsa, era praticamente di fronte alla punta meridionale dell'Isola Tiberina, nei pressi dei Templi del Foro Olitorio e del Tempio di Portunus, che era la divinità a tutela del porto.

Il bacino probabilmente era delimitato a valle dal ponte Emilio e a monte dal ponte Fabricio, occupando quindi uno spazio di circa 8000 mq. Alle spalle del porto verso l’interno si estendeva la zona paludosa del Velabrum, che si insinuava nella valle compresa tra il Palatino e il Campidoglio fino a raggiungere la valle del Foro Romano.

Durante gli scavi eseguiti dal Lanciani si rinvennero ampi resti di argini di opera quadrata di tufo di Grottascura del 179 a.c. collegati con le strutture terminali della Cloaca Maxima. Probabilmente l'opera si deve a Servio Tullio, da reperti rinvenuti recanti la data del VI secolo a.c.

Il censore Marco Fulvio Nobiliore nel 179 a.c. fece dei lavori di sistemazione del porto Tiberino, ma con la realizzazione del porto fluviale dell'Emporium sotto l'Aventino, nella attuale zona di Testaccio, anche questo porto venne progressivamente abbandonato, e cadde definitivamente in disuso dopo le inondazioni del 98 d.c. e del 105 d.c. fino a scomparire definitivamente.

Il porto Tiberino aveva una banchina lunga quasi 500 metri e larga 90 metri, vi era un molo pavimentato ed attrezzato. vi attraccavano le navi provenienti dal mare, ed un edificio a ridosso del molo consentiva l'immagazzinamento e la vendita dei prodotti.

Il Portus Tiberinus, era situato nella zona compresa tra i tre templi sotto la chiesa di San Nicola in Carcere ed il Tempio di Portunus. 

Il culto di Ercole presso l’ara maxima nel foro Boario fu uno dei primissimi culti stranieri introdotti a Roma, e lo stesso Romolo incluse il santuario di Ercole (che ora è sotto la chiesa di santa Maria in Cosmedin) nel solco primigenio della città. Il santuario di Ercole sotto Santa Maria in Cosmedin inizialmente non era altro che un luogo di ritrovo dei mercanti greci, in seguito consacrato alla divinità.

A Servio Tullio, alla metà del VI secolo a.c., si deve la sistemazione del portus Tiberinus, accanto al quale vennero come già detto costruiti i santuari di Fortuna, e di Portunus. Lo stesso Servio Tullio recinse questa parte di Roma con la sua cinta muraria serviana, lasciandone fuori solo la zona del porto.

Portunus era il Dio dei porti e delle porte, il tempio a lui dedicato è nell'area del Foro Boario, sul lato meridionale del bacino fluviale. Il tempio di Portunus era subito dopo la porta Flumentana che faceva parte delle mura repubblicane ed era separato dal porto dal vicus Lucceius, una strada che portava all'antico ponte Emilio, oggi, ponte Rotto, che fungeva da collegamento tra la città e la sponda etrusca, anche il tempio di Portunus venne danneggiato dalle inondazioni del Tevere che devastarono anche la zona portuale tra il III e il II secolo a.c.

In età imperiale avvenne lo smantellamento del porto fluviale in favore del porto di Ostia. La costruzione dell’emporio di Marmorata e soprattutto i grandi rifacimenti del porto ostiense ad opera di Claudio e Traiano svuotarono di ogni importanza commerciale la zona del foro Boario e del foro Olitorio.

Durante i lavori per la costruzione del palazzo dell'Anagrafe, tra il 1936 e il 1937 di fronte alla punta meridionale dell'Isola Tiberina, furono ritrovati numerosi horrea, magazzini costruiti in laterizio e travertino, costruiti da Traiano che reimpiegò l'area dove precedentemente c'era l'antico porto fluviale Tiberino.

PORTO DI RIPETTA DI HUBERT ROBERT - 1767

PORTO DI RIPETTA

Era situato sulla riva sinistra del Tevere, nel rione Campo Marzio, ed era così chiamato in contrapposizione al porto Ripa Grande, che era più a valle. Il porto esisteva già dall'anno 300 ma venne riadattato da papa Clemente XI, Albani, che nel 1705 gli fece costruire una splendida gradinata che dalla riva Schiavonia degradava verso il fiume Tevere, usando il travertino di una delle arcate del Colosseo, che era caduto durante il terremoto del 1703 (SIG!).

Venne poi demolito dopo l'unità d'Italia, per l'edificazione dei muraglioni, dei lungotevere e dei ponti, infatti era sull'odierno lungotevere in Augusta e lungotevere Marzio, presso piazza di Ripetta e ponte Cavour.

Il porto aveva un dislivello tra la riva del fiume ed il piano stradale di 7 metri e mezzo, che veniva superato con delle scalinate. L'antico porto è ricordato dalla piazza di Ripetta, la piazza si raggiunge da via di Ripetta e dal lungotevere Campo Marzio.

L'approdo del porto di Ripetta serviva per lo scarico delle merci provenienti dal nord Italia, in particolare dall'Umbria e dalla Toscana, mentre l'altro porto di Ripa Grande era preposto allo scarico di merci provenienti dal mare e dal sud Italia.

PORTO DI RIPA GRANDE IN EPOCA MEDIEVALE

PORTO DI RIPA GRANDE

Scomparso in quanto demolito dopo l'Unità d'Italia, il porto era in zona Aventino davanti all'attuale complesso del San Michele e davanti al nuovo ponte Sublicio del porto oggi è rimasta la via che si chiama "Porto di Ripa Grande", questa strada va dal Ponte Sublicio al Lungotevere Ripa, e fa parte del Rione Trastevere, era il più grande porto di Roma.

A guardia del porto c'erano due torri, anche queste scomparse, una per la costruzione dell'Ospizio di San Michele, e l'altra per la costruzione del lungotevere, il porto è ricordato da due scalinate sotto la banchina del San Michele.

PORTO DI RIPA GRANDE NEL 1748 (PIRANESI)

Il porto Ripa Grande, già presente in epoca romana, era un piccolo porto formato da piccole banchine nella zona di Testaccio. Nel Medio Evo, però la zona si spopolò, Testaccio era troppo lontano dal centro della città, tra la fine dell'Impero e l'alto Medio Evo, ci fu anche la decadenza dei porti di Ostia e di Porto, assunse così maggiore importanza il porto nella zona di Trastevere, sul lato ed all'interno delle mura Aureliane, vicino alla Porta Portese, che si trovava più a valle rispetto all'attuale; sui due lati del Tevere, sorgevano le due Torri di guardia, alle quali si attaccavano le catene per sbarrare il fiume in caso di scorrerie saracene.

Con lo spostamento di porta Portese, nel '600, anche lo scalo si ritirò più a monte, e le preesistenti strutture vennero usate come magazzini ed arsenale. Il Tevere poteva essere risalito solo da velieri di medio tonnellaggio, mentre le navi più grandi potevano scaricare le merci al porto di Fiumicino, che poi venivano portate a Ripa Grande per mezzo di bastimenti più piccoli, tirati verso la riva destra del Tevere mediante funi robuste, tirate o da uomini robusti o da bufali, per i quali c'era un apposito recinto subito dopo la porta Portese detto "la bufalara".

Dell'antico porto oggi rimangono solo delle moderne rampe di accesso al fiume alle quali si accede scendendo dalla riva destra del Ponte Sublicio, all'altezza del San Michele.

PORTO DI TESTACCIO (EMPORIUM)


PORTO DELL'EMPORIO

Nel II secolo a.c. l'Urbe si era decisamente arricchita e ingrandita, si che il vecchio porto fluviale del Foro Boario non era più sufficiente. Venne quindi edificato il Porto dell'Emporio, sotto il colle Aventino, nella zona del lungotevere Testaccio e accanto al nuovo ponte Sublicio, per volere dei consoli Marco Emilio Lepido e Lucio Emilio Paolo nel 193 a.c., per l'insufficienza del porto Tiberino, e per le nuove esigenze dovute all'espansione e allo sviluppo della città di Roma.

Il porto fluviale dell'Emporium aveva una semplice copertura in legno, lastricato in pietra e dotato di un grande magazzino, chiamato Porticus Aemilia, utilizzato per contenere le derrate alimentari. I resti di questo porto, detto dell' Emporio, sono visibili sul lato sinistro del nuovo Ponte Sublicio venendo da piazza dell'Emporio, a rione Testaccio.

MONTE DEI COCCI (ROMA)
Nel 174 a.c. l'Emporium venne lastricato in pietra e fu suddiviso da barriere con scalinate che scendevano al Tevere. Qui approdavano le merci, soprattutto marmi, grano, vino, olio, che, arrivate via mare dal porto di Ostia, risalivano il Tevere su chiatte rimorchiate dai bufali (alaggio).

Il porto lavorò a così alto ritmo che i cocci di anfore che si rompevano nello stoccaggio, erano talmente tanti da venir accumulati a collina, formando il Mons Testaceum, il "Monte dei cocci". Il numero delle anfore accatastate è stimato attorno ai 25 milioni e la collina è alta 54 metri.

Sotto Traiano le strutture furono rifatte in opera mista. Il porto era principalmente costituito da banchine con piani inclinati, scale, anelli per ormeggio. Trattavasi di "ripae" costruite lungo gli argini del fiume. In correlazione ad esse si trovavano i magazzini ("horrea", "cellae") per lo stoccaggio delle merci, soprattutto nella pianura del Testaccio. Sorsero così i magazzini annonari, per le distribuzioni gratuite di grano e altri generi alimentari alla popolazione cittadina, con l'Horrea Sempronia, Galbana, Lolliana, Seiana, e Aniciana.
 
Reperti archeologici vennero rinvenuti tra il 1868 e il 1870, in occasione della edificazione degli argini del Tevere, e dei muraglioni, interrati, vennero di nuovo riportati alla luce nel 1952 e poi dal 1974 e a tutt'oggi proseguono i lavori di scavo.

I resti dell'Emporium si possono vedere, affacciandosi da ponte Sublicio, da qui si vede un edificio con file di ambienti, ed una banchina lunga circa 500 metri, e profonda 90 metri. Era un molo piuttosto esteso, con pavimento a grandi lastre in travertino, utilizzato probabilmente come piazzale per lo scarico e lo smistamento delle merci.


RESTI  DEL PORTICUS AEMILIA

Tutto il complesso è addossato ad un muraglione più antico che delimitava verso il fiume un'altra serie di magazzini coperti a volta chiamati horrea, che davano verso Testaccio, che era all'epoca la zona commerciale di Roma. L'attività dell'Emporio rimase in funzione fino alla creazione dei grandi porti di Claudio e Traiano di Ostia, e divenne solo un semplice deposito di materiali, specie di marmi, da cui il nome della via Marmorata.

Il porto fu scavato nel 1868-1870 durante i lavori di riarginatura e di nuovo per la costruzione del Palazzo dell’Anagrafe negli anni 1936-1937, che rivelarono un quartiere di magazzini di età traianea, costruiti interamente in laterizio e travertino. Resti simili sono stati scoperti sull’altro lato della strada (ancora visibili nei cortili degli edifici moderni).
 
Tutto questo complesso riguarderebbe un rifacimento imperiale degli Horrea Aemiliana, magazzino annonario edificato da Scipione Emiliano nel 142 a.c., che dovette servire soprattutto come deposito del grano destinato alle distribuzioni gratuite alla plebe romana.

Altri scavi risalgono al 1952, poi, stranamente, più nulla. Dei resti del porto sopravvivono il "Monte dei Cocci" e alcuni tratti visibili incassati nel muraglione del Lungotevere Testaccio: una banchina lunga circa 500 metri e profonda 90 con gradinate e rampe verso il fiume, con blocchi di travertino sporgenti per fori dove ormeggiare le navi.

MOLO DI PONTE ELIO

MOLO DI PONTE ELIO

A monte di Ponte Elio, fu messo in luce negli anni 1890-91 un molo databile alla fine del II secolo a.c. Esso era posto in posizione leggermente obliqua rispetto alla corrente del fiume, era lungo m. 50, largo 13,30, alto 6,50 ed era costruito in opera quadrata di tufo di Grottaoscura e dell’Aniene. La testata era, invece, in lastre di travertino. A oriente rimanevano i resti di un largo marciapiede e di
una palizzata.



AD CICONIAS NIXAS 

Nel Campo Marzio nord-occidentale, tra ponte Elio e Ripetta, era la località detta "ad Ciconias nixas", dove avveniva lo sbarco del vino che veniva trasferito nei portici (forse criptoportici) del tempio del Sole di Aureliano. Rougé suppone che siano da cercare in questa zona il Portus Vinarius e il Forum Vinarium.

Qui erano anche dislocate le officine dei marmorari, testimoniate dal rinvenimento di marmi grezzi o in corso di lavorazione e i porti collegati alla produzione di laterizi, quali il Portus Corneli, il Portus Licini, il Portus Parrae e il Portus Neap(olitanus).



BANCHINE SOTTO L'AVENTINO

Dalla Forma Severiana (lastra 27) si rilevano sistemazioni della riva, forse anche in funzione portuale, nella zona a valle del Foro Boario lungo la stretta fascia che si trova alla base dell’Aventino.
Qui dovevano trovarsi, fin da età molto antica, i magazzini del sale ("Salinae") e, alle pendici del colle, sono avanzi di età imperiale che potrebbero forse appartenere a edifici di stoccaggio.


MAGAZZINI ANNONARII

MAGAZZINI ANNONARI

Tutta la pianura del Testaccio, man mano che crescevano i bisogni della città, si andò colmando di edifici, in particolare di magazzini annonari. Quando a partire dai Gracchi, ebbero inizio le distribuzioni gratuite di grano e di altri generi alimentari alla popolazione della città, fu necessario costruire nuovi magazzini: sorsero così gli Horrea Sempronia, Galbana, Lolliana, Seiana, Aniciana.

I meglio conosciuti sono gli Horrea Galbana (il nome repubblicano era Horrea Sulpicia), una parte dei quali è rappresentata negli stessi frammenti della pianta Severiana in cui appare la Porticus Aemilia, dietro di questa con orientamento diverso. L’edificio costruito interamente in reticolato di tufo era organizzato attorno a tre grandi cortili rettangolari porticati, sui quali si aprivano lunghi ambienti.

Recentemente, è stato dimostrato che questa era solo una parte dell’edificio, quella destinata ad abitazione degli schiavi ("ergastula"). I magazzini veri e propri erano più a est, tra gli "ergastula" e la collina di Testaccio.

La collina artificiale detta Testaccio, cioè Mons Testaceus "monte dei cocci", è alta circa 54 metri sul livello del mare (30 al di sopra della zona circostante), con una circonferenza di 1 chilometro e una superficie di circa 20.000 mq. Essa è di forma grosso modo triangolare ed occupa parte dell’angolo compreso tra le Mura Aureliane e il fiume, all’estremo sud della città. La collina si andò formando con gli scarichi delle anfore, che contenevano i prodotti importati nel porto di Roma.

ISOLA TIBERINA

ARGINATURE PRESSO LA BASILICA DI S. PAOLO

Presso la Basilica di S. Paolo, prima e dopo il Ponte Marconi, vennero alla luce i resti di grandi arginature per una lunghezza di oltre 22 m., ovvero di un grosso muraglione in opera reticolata di tufo fatto a scarpa con pendenza rilevante verso il Tevere.


PORTO DEL VICUS ALEXANDRI

Poco più a sud, si trovava l’antico porto del Vicus Alexandri dove approdavano le navi di grande portata le quali risalendo il Tevere non potevano raggiungere gli scali urbani. Qui fu sbarcato nel 357 l’obelisco fatto trasportare dall’imperatore Costanzo da Tebe e collocato nella spina del Circo Massimo (ora al Laterano).

In questo punto sono stati rinvenuti in vari periodi resti di banchine, magazzini ed edifici. La località è ricordata nella cartografia del XVII-XIX secolo, come "porto della pozzolana" e, in effetti, nelle immediate vicinanze è attestata la presenza di estesi banchi di tufo friabile. A valle della villa della Farnesina sono venute alla luce le rovine delle "cellae vinariae Nova et Arruntiana Caesaris nostri", come indicato da un’iscrizione del 102 d.c.



TRASTEVERE

La zona di Trastevere a valle del Ponte Emilio nella Forma Severiana (lastre 27-28-33-34) appare in gran parte occupata da magazzini: possiamo collegare questa situazione allo sviluppo stesso del quartiere e al suo carattere artigiano.

In questa zona possiamo individuare la Cella Civiciana in via del Porto di Ripa Grande e la Cella Saeniana testimoniata da epigrafi trovate subito a monte della ferrovia. Recentemente, scavi della Soprintendenza archeologica di Roma nel deposito dei tram a Porta Portese hanno portato alla luce i resti di magazzini e abitazioni databili tra il II e il IV secolo d.c.


Presso il Ponte del Mattatoio
I resti di una banchina sono stati ritrovati presso il Ponte del Mattatoio.


Zona di Pietra Papa, a monte del Ponte Marconi
Nel tratto a monte dell’odierno Ponte Marconi è testimoniata una notevole variazione del corso del fiume, che ha insabbiato la riva destra erodendo e sorpassando le opere di difesa della riva sinistra.

In questa zona durante gli scavi condotti negli anni 1939-40, lo Iacopi ha individuato un importante ed articolato complesso di edifici delimitato verso il fiume da un lungo argine in opera mista munito di pietre d’ormeggio in travertino. Nella zona immediatamente di fronte, i resti della banchina di sinistra restano parzialmente visibili durante i periodi di magra del fiume.

Altri tratti di fondazione e di murature, si individuano lungo le due rive procedendo verso valle, in zone che non sono state ancora interessate da lavori di sistemazione golenale, ma che certamente celano importanti resti. Inoltre, vi sono anche altri resti nel centro dell’attuale letto del fiume.



BANCHINE DI S. PASSERA

Il fenomeno di erosione della riva destra, ha messo in evidenza un lungo tratto di fondazione in opera cementizia relativa a banchine di attracco. In questo luogo, si sono individuate pietre d’ormeggio in travertino, strutture con rivestimenti in tufo di banchine.
Nelle aree golenali sottostanti la chiesa di Santa Passera, si intuisce la presenza di murature pertinenti forse a magazzini. Tutte queste strutture erano in stretto collegamento con la via Campana.



I NAVICULARIS

In epoca romana i proprietari di barche, chiamati navicularis, esercitavano il commercio sia per conto proprio che per conto dello Stato, usando:

- i lenunculi, imbarcazioni di medie dimensioni, veloci, con la prora a punta e munite di un gran numero di remi, trasportavano persone e carichi non pesanti.

- le scaphae erano invece delle piccole imbarcazioni a fondo piatto che servivano per i traghetti e per il trasporto da sponda a sponda del fiume.

- le lintres, avevano lo scafo allungato stretto e poco profondo, con la prua sollevata e le sponde basse, e potevano trasportare fino a 12 persone più il timoniere chiamato gubernator ed erano particolarmente adatte alla navigazione in acque poco profonde e con le rapide.

- le naves caudicariaeer erano adibite il trasporto delle merci, ed erano imbarcazioni a due alberi, senza vela, trainate lungo la riva destra del Tevere da pariglie di buoi o di uomini con un sistema di rimorchio detto alaggio, i battelli scorrevano contro corrente con corde tirate dagli animali o dagli uomini che procedevano su strade appositamente aperte per questo "tiro".

Questo tipo di navigazione controcorrente riguardava le imbarcazioni che da Fiumicino dovevano arrivare a Ripa Grande, e poiché di notte la navigazione si fermava, dovevano esistere delle stazioni fluviali, per la sosta delle imbarcazioni dotate di un corpo di polizia e di vigili del fuoco che controllavano le navi dal pericolo di incendi e dalle incursioni dei ladri.
Questo tipo di navigazione ed i porti sul Tevere, rimasero attivi fino all'epoca medioevale e moderna e tutto finì dopo l'Unità d'Italia, con l'edificazione dei muraglioni e dei lungotevere.

RICOSTRUZIONE DEL PORTO ROMANO DI AQUILEIA

IL PORTO DI AQUILEIA

Subito dopo la fondazione della colonia romana nel 181 a.c. di Aquileia, il suo porto svolse un ruolo fondamentale nei commerci marittimi dell’area del nord Adriatico, soprattutto grazie alla sua posizione geografica che lo collocava come naturale apertura al mare. La presenza di un fiume navigabile è stato un elemento determinante per la scelta del luogo in cui fondare la colonia di Aquileia; infatti la costruzione di punti di approdo fu pressoché contemporanea alla creazione della città.

Il canale Anfora, chiamato così dal Medioevo per le anfore ritrovatevi, era collegato alla portualità di Aquileia poiché congiungeva la sua zona occidentale con il mare, rendendo possibile la risalita delle barche tramite l'alaggio: le imbarcazioni erano trascinate con funi lungo tragitti costruiti appositamente, le viae helciariae, qualora non fosse possibile sfruttare la forza del vento e le maree.

Il bacino del porto era formato dalla confluenza di due corsi d’acqua, e la rete di canali artificiali unita ai corsi fluviali presenti rese facile nell'antichità il collegamento con il mare e probabilmente consentì la circumnavigazione della città.

RIVA ORIENTALE DEL PORTO DI AQUILEIA

Durante gli scavi Giovanni Brusin ha scoperto delle strutture probabilmente databili all’età repubblicana, coperte dalle costruzioni del porto monumentale: due fasce di lastricato e tre gradini che risalgono verso il fiume, la prima sistemazione delle rive, e delle tavole sostenute da pali di legno, i primi tentativi di arginare il fiume.

Si giunge al porto fluviale percorrendo la via Sacra, posta nell’alveo del fiume e lunga circa un km, creata con la terra di risulta degli scavi e lungo la quale sono stati collocati resti architettonici e monumentali. Il porto, scoperto nella parte orientale della città, ha un bacino largo 48 m e dista dal mare circa 10 km.

La sistemazione del porto monumentale risale probabilmente alla fine del I sec. d.c. Giovanni Brusin l'aveva ipotizzato studiando i moduli dei mattoni, riferibili all'età di Claudio per la struttura e anche per la fama di questo imperatore in campo di impianti portuali. La banchina della sponda occidentale del porto è lunga 380 m ed è costituita da lastre verticali in pietra d’Istria.

Vi è un primo piano di carico sovrapposto a questi lastroni e composto da blocchi con grandi anelli di ormeggio a foro passante verticale; il secondo piano di carico, 2 m più in basso, è costituito da un marciapiede lastricato largo circa 2 m e fornito di anelli di ormeggio a foro passante orizzontale.

RESTI DEL PORTO ROMANO DI AQUILEIA

Due diversi piani di carico rendevano possibile accogliere imbarcazioni di stazza grande o piccola, e l'utilizzo anche nei periodi di bassa marea. Dalla banchina partono tre vie di accesso alla città che conducono ognuna ad un diverso decumano.

La riva orientale del porto La riva orientale è stata scavata per un breve periodo negli anni Trenta e ne sono stati riportati alla luce poco più di 150 m, anche perché ad un certo punto la struttura si interrompe. La banchina è molto stretta e composta da parallelepipedi di pietra, vi si notano solo quattro scalinate inserite nel muro e alcune pietre di ormeggio; dietro sono situati degli edifici, possibili magazzini o uffici.

Probabilmente nel 361, quando la città si schierò con Costanzo II e fu assediata da Giuliano l’Apostata, il fiume fu deviato per motivi strategici e di conseguenza la portata d’acqua diminuì.
Queste opere provocarono poi un’alluvione, che fu la causa dell’abbandono del quartiere orientale.In epoca tardo-antica, verso la fine del IV secolo, furono realizzate altre opere difensive e di queste mura è stato ritrovato il lato orientale sulla banchina, costruite in grande fretta, con materiali di recupero.

IL PORTO FLUVIALE
Nel periodo che va dal IV al VI secolo d.c.., Aquileia era il porto principale dell'alto Adriatico all'inizio, mentre sembra essere del tutto scomparso alla fine di quest'epoca.

Il complesso ha forma quadrata, con il lato di circa 150 m, composto da due parti collegate tra loro con ambienti porticati, corridoi e absidi disposti intorno ad un cortile in lastre di arenaria, quadrato nella parte settentrionale, rettangolare nell’altro; si può ipotizzare che alcuni di questi ambienti fossero usati come magazzini o come uffici.

I magazzini sono situati a sud della Basilica e sono horrea, cioè magazzini di grano, in seguito al ritrovamento di alcuni strati di grano bruciato. L’edificio è rettangolare, di circa 90 m per 66, ed è costituito da due spazi allungati separati da un cortile centrale. Probabilmente la copertura del magazzino era sorretta da pilastri.

Nella parte settentrionale si trovavano gli accessi dal cortile centrale e la comunicazione tra le due ali del magazzino, mentre nella parte meridionale si trovava un corridoio trasversale. Questo edificio sottolinea anche le grandi capacità dei costruttori romani verso la fine del III secolo d.c. poiché aveva spessi muri perimetrali che raggiungevano i 2 m e profonde fondamenta, di almeno 5 metri profonde.


BIBLIO

- Chester G. Starr - The Roman Imperial Navy: 31 B.C. - A.D. 324 - Cornell University Press - 1960 -
- Lionel Casson - Ships and Seamanship in the Ancient World - The Johns Hopkins University Press - 1995 -
- Michael Reddé - Mare nostrum, les infrastructures, le dispositif et l'histoire de la marine militaire sous l'empire romain - Parigi - Ecole Française de Rome - 1986 -



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