LUCIO GIUNIO BRUTO - IUNIUS BRUTUS





Nome originale: Lucius Iunius Brutus
Nascita: 545 a.c. circa
Morte: 509 a.c.
Incarico politico: 509 a.c.


IL FONDATORE DELLA REPUBBLICA

Lucio Giunio Bruto, o Lucius Iunius Brutus, detto anche Bruto Maggiore, nacque nel 545 a.c. circa e morì nel 509 a.c.. Fu il nipote del re Tarquinio il Superbo, in quanto figlio della sorella, e uno dei primi consoli nel 509 a.c., nonchè il fondatore della Repubblica romana.

Rimase nella storia come esempio della fierezza della Repubblica, tanto che mandò a morte persino i suoi due figli, colpevoli di aver complottato contro Roma. Su questo esaltato filiicidio ci sarebbe però qualcosa da dire. Inoltre depose ed esiliò da Roma il collega Lucio Tarquinio Collatino.

Subito dopo egli cadde in combattimento uccidendo a sua volta il nemico, dopo aver fatto uccidere in precedenza non solo i figli ma pure i fratelli della moglie, perché aveva scoperto che congiuravano per ristabilire Tarquinio.

Virgilio:
"Un padre per l'amata libertà condannerà a morte i figli che preparavano nuove guerre; Vincono l'amore della patria e l'immensa passione della gloria."
Bisogna tener conto che la paternità è un concetto emotivo relativamente moderno.


LA STORIA

Livio nella sua Ab Urbe Condita, narra che Bruto guidò la sommossa che scacciò l'ultimo re, Tarquinio il Superbo, poiché suo figlio, Sesto Tarquinio, aveva violentato una parente di Bruto, Lucrezia.

Secondo Livio, Bruto ce l'aveva con Tarquinio che aveva disposto l'omicidio del fratello, un potente senatore, che si era opposto all'assunzione del trono da parte di Tarquinio. Bruto allora si infiltrò nella famiglia di Tarquinio impersonando la parte dello sciocco.

Poi Tarquinio si preoccupò di un sogno, o una visione, in cui aveva visto un serpente che sbucava da una colonna di legno e allora Bruto accompagnò i figli del re, Arunte e Tito, perchè Sesto era rimasto a Roma, in un viaggio fino all'oracolo di Delfi.

Questi chiesero all'oracolo chi sarebbe stato il successivo sovrano a Roma. L'oracolo rispose che la prossima persona che avrebbe baciato sua madre sarebbe diventato re. Bruto interpretò la madre nel significato di terra, così tornato in patria finse di inciampare e baciò la terra.
(Il che fa pensare che una brama di potere l'avesse esattamente come Tarquinio).



SESTO TARQUINIO E LUCREZIA

Durante l'assedio di Ardea, i figli del re assieme ai nobili, per controllare le proprie mogli durante la loro assenza, tornavano ogni tanto di nascosto a Roma. Collatino, sicuro di sua moglie, portò con sé gli altri nobili, tra cui Sesto Tarquinio, per vederla di notte, e poterono constatare che Lucrezia stava tessendo la lana, con le sue ancelle, mentre le nuore del re si divertivano in banchetti.

Portò i suoi amici per guardare sua moglie mentre dormiva. Che mancanza di rispetto, e se era discinta? Inoltre: tesseva di notte a lume di torcia? Non era meglio farlo con la luce del giorno? E poi lavorava di notte, e di giorno che faceva, dormiva? Sembra davvero poco credibile.

LA MORTE DI LUCREZIA
Sesto Tarquinio, il cattivo della situazione, ne restò affascinato e la volle possedere. Così tornò a Collazia con un solo uomo di scorta e venne accolto con grande ospitalità.

Ma dopo cena, quando la casa era addormentata, si introdusse nella camera da letto di Lucrezia che stavolta non tesseva, e che venne minacciata con la spada.

Ora una buona romana avrebbe dovuto farsi uccidere anzichè cedere, questa era la morale maschilista dell'epoca, ma Sesto la minacciò di ucciderla e di porle accanto il corpo mutilato di uno schiavo, sostenendo così di averla colta in flagrante adulterio.

Di fronte al disonore che avrebbe recato alla famiglia Lucrezia, perchè quello contava mentre la sua vita non contava, dovette cedere al figlio del re. Poi però inviò un messaggero a Roma dal padre e uno ad Ardea dal marito supplicandoli di correre da lei perchè era accaduta una sciagura. Appena giunti spiegò l'accaduto e si trafisse con un pugnale per togliersi di torno.

"Alla vista dei congiunti, scoppia a piangere. Il marito allora le chiede: "Tutto bene?" Lei gli risponde: "Come fa ad andare tutto bene a una donna che ha perduto l'onore? Nel tuo letto, Collatino, ci son le tracce di un altro uomo: solo il mio corpo è stato violato, il mio cuore è puro e te lo proverò con la mia morte. Ma giuratemi che l'adultero non rimarrà impunito. Si tratta di Sesto Tarquinio: è lui che ieri notte è venuto qui e, restituendo ostilità in cambio di ospitalità, armato e con la forza ha abusato di me. Se siete uomini veri, fate sì che quel rapporto non sia fatale solo a me ma anche a lui." 

Uno dopo l'altro giurano tutti. Cercano quindi di consolarla con questi argomenti: in primo luogo la colpa ricadeva solo sull'autore di quell'azione abominevole e non su di lei che ne era stata la vittima; poi non è il corpo che pecca ma la mente e quindi, se manca l'intenzione, non si può parlare di colpa. 

Ma lei replica: "Sta a voi stabilire quel che si merita. Quanto a me, anche se mi assolvo dalla colpa, non significa che non avrò una punizione. E da oggi in poi, più nessuna donna, dopo l'esempio di Lucrezia, vivrà nel disonore!" Afferrato il coltello che teneva nascosto sotto la veste, se lo piantò nel cuore e, piegandosi sulla ferita, cadde a terra esanime tra le urla del marito e del padre"

Questo evento sdegnò talmente Bruto, che stringendo il coltello con cui Lucrezia si era uccisa, pronunciò un giuramento contro Lucio Tarquinio il Superbo e tutta la sua famiglia e si impegnò solennemente non solo a travolgere la monarchia ma a cacciarla per sempre.

Poi, raccogliendo attorno a sé il popolo, andò a Roma e nel Foro accusò il re di superbia e di essere oppressore della plebe; commemorò la fine di Servio Tullio ed il gesto nefando di sua figlia e moglie del re, passata col carro sul cadavere del padre.

Istigando così la rivolta popolare contro la monarchia, obbligò Tarquinio a rientrare a Roma. Qui giunto, lui e la sua famiglia furono cacciati in esilio e Bruto mise il potere nelle mani del Senato.
Secondo la tradizione ebbe il suo consolato assieme a Lucio Tarquinio Collatino, il vedovo di Lucrezia. Il potere diveniva così diviso tra i due praetores divenuti consoles, al riparo dai pericoli ai quali portava un governo totalitario.



IL FIGLIO TULLIO

Suo figlio Tullio complottò con Tarquinio il Superbo per farlo tornare al trono di Roma, ma fu scoperto da uno schiavo e smascherato. Incatenato, chiese pietà e la gente, impietosita, chiedeva la sua liberazione. Ma Bruto fu irremovibile, e lo fece uccidere senza versare una lacrima per la morte del suo caro figlio.

Ma davvero gli era caro? Sembrò più caro alla folla che non a lui, visto che questa si commosse e lui no. Per altre fonti i figli congiurati furono due e il padre li fece giustiziare ambedue, forse la paternità non era la sua massima virtù, ma molti autori romani lo lodarono per questo.



LA MORTE

Il suo consolato terminò durante una battaglia con gli Etruschi, che si erano alleati con i Tarquini per restaurare il loro potere a Roma, combattendo contro Arrunte Tarquinio, altro figlio di Tarquinio il Superbo. I due, spronati i loro cavalli al galoppo, si trafissero vicendevolmente con le loro lance perdendo la vita ambedue.



INCONGRUENZE

Bruto fa il finto tonto con la famiglia dei Tarquinii, ma non si sa a quale fine, non poteva sapere dell'oracolo dall'inizio. Nell'oracolo di Delfo inoltre Bruto bacia la terra pensando che se l'avesse fatto sarebbe diventato re, una bella incongruenza per un amante della repubblica. Bruto è addoloratissimo per la morte del fratello, ma è lui stesso a provocare la morte del figlio, secondo altre fonti di figli ne ha ammazzati due, non c'è che dire: un uomo di pii sentimenti.



BRUTO MINORE

Marco Giunio Bruto, il cesaricida, si vantava di essere un suo discendente. Nel 54 a.c., dieci anni prima delle Idi di marzo, emise un denario con al diritto la testa di Lucio Giunio Bruto, il fondatore della repubblica e la scritta "Brutus" ed al rovescio la testa di Gaio Servilio Strutto Ahala e la scritta "Ahala". Secondo Michael Crawford invece il denario fu emesso quando a Roma corse la voce che Pompeo volesse diventare dittatore.


BIBLIO

- Tito Livio - Ab Urbe condita libri - I -
 Eutropio - Breviarium ab Urbe condita - I -
- Andrea Carandini, Res publica - Come Bruto cacciò l'ultimo re di Roma - Milano - RCS Libri - S.p.A. - 2011 -
- Edward Gibbon - On the Character of Brutus - 1765-66 -
- Dionigi racconta che furono due i figli accusati ed uccisi da Bruto - Antichità romane - Libro VIII -


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