LA PROSTITUZIONE NELL'ANTICA ROMA




IERODULIA E PROSTITUZIONE

Nella Roma antica la prostituzione era un’attività fiorente e non scandalosa: si stima che nel I secolo le donne dedite al mestiere, regolarmente registrate e che quindi pagavano le tasse, fossero parecchie migliaia, ma un numero molto inferiore alla realtà, visto che anche all'epoca impazzava il lavoro in nero per eludere il fisco.

La maggioranza delle prostitute erano schiave o liberte, anche se non mancavano donne libere ridotte in miseria, magari in quanto vedove, o aristocratiche, chiamate "famosae", che esercitavano per voglia di trasgressione, o per fare soldi, o come sfida ai benpensanti o per cocenti delusioni d'amore.

La più antica prostituzione è detta "ierodulia", cioè la prostituzione sacra, pertinente a quasi tutte se non a tutte le civiltà antiche, sia in Oriente che in Occidente. Essa richiamava ai riti legati alla Dea Madre, alla fertilità e alla ciclicità, mentre l’accezione negativa della sessualità appartiene solo al Cristianesimo.

La ierodulia è la sacralizzazione dell’atto sessuale di alcune sacerdotesse legate ad un santuario della Dea, in cui spesso risiedevano e a cui offrivano i proventi delle proprie attività. Anche per questo i luoghi sacri in cui veniva svolta la ierodulia, godevano di un erario abbondante. In Etruria, nel santuario di Pyrgi, è stato rinvenuto un edificio detto “20 celle” come sede delle “scorta pyrgensia” (meretrici sacre) di cui parla il poeta latino Lucilio. 


È per questo che, durante l'invasione persiana della Grecia, si domanda alle ieredule dell'Afrodite corinzia di fare preghiere pubbliche e di offrire un sacrificio per la salvezza della Grecia. A quanto pare le loro preghiere furono efficaci, perché infine l'esercito e la Flotta di Serse furono sconfitti dalla coalizione delle città greche; i Corinzi posero allora nel tempio di Afrodite diverse statue della Dea con un'epigrafe che elenca di tutte le prostitute che avevano collaborato alla vittoria. 

Una struttura rettangolare parallela al Tempio B di Uni-Astarte, di fronte allo stesso tempio, è formato da venti celle che hanno davanti un piccolo altare. Sul tetto delle antefisse fittili rappresentavano divinità e personificazioni delle fasi del giorno, poste da Est ad Ovest, come il ciclo solare.

Astarte, “regina” degli dei fenici, nel santuario di Pyrgi, viene identificata con Uni, “regina” del pantheon etrusco,  identificata anche con Hera/Giunone ma pure con Afrodite/Venere. Come il santuario di Erice, in Sicilia, il Tempio di Venere Erycina, che andò a sostituire quello più antico di Astarte, qui adorata dal popolo italico degli Elimi.

La pratica della ierodulia etrusca, nata in Oriente, fu esportata poi in Occidente soprattutto grazie al popolo fenicio, uno dei motivi per cui troviamo la prostituzione sacra soprattutto nei santuari delle città portuali. Ler sacerdotesse erano di norma di buona famiglia, tanto che uscite dal servizio religioso facevano in genere un matrimonio di grado superiore al ruolo della sua famiglia, proprio perchè avevano professato un incarico di valore.

Per il Cristianesimo invece l’atto sessuale, assolutamente vietato per gli uomini e le donne di chiesa, era un atto orribile che pertanto si doveva compiere solo al fine della procreazione, provare piacere era tentazione diabolica, il corpo doveva essere mortificato, anestetizzato e punito.

LUPANARE DI POMPEI

I LUPANARE


Tutti i miti sono un rimaneggiamento nonchè occultamento di un culto più arcaico, quello della Dea Lupa, la Potnia Theron, ovvero la Signora delle Belve, ovvero la Grande Madre Natura che nutriva uomini e bestie, e presso i cui templi si esercitava la ierodulia, o prostituzione sacra. Il rito italico era molto sentito nei Castelli Romani e a Roma stessa, quando era ancora agli albori.

Le sacerdotesse della Dea Lupa venivano chiamate Lupe, nome che passerà poi alle prostitute profane di Roma. Nel passaggio dal matriarcato al patriarcato molte cose cambiarono, nei costumi, nelle religioni e nei miti. Fu proprio studiando la storia e la mitologia romana che Bachofen comprese la derivazione del patriarcato da un matriarcato precedente, in cui il potere femminile era più sacro e sacerdotale che civile.

Poichè i templi avevano locali annessi per la prostituzione, questi locali presero il nome di Lupanare, nome usato nell'antica Roma e a tutt'oggi per indicare il postribolo. Poichè la Dea aveva sovente il tempio nei trivii, incroci fra tre vie, in onore della sua triplicità, o trinità poi ripresa dalla religione cattolica, essa era chiamata Trivia, come Diana Trivia e Ecate Trivia, ma poichè vi si esercitava la ierolulia, ne derivò in epoca patriarcale l'aggettivo di "triviale" con un certo disprezzo.

La lupa in questione fu per alcuni una contadina e per altri, in memoria della sacra prostituzione, una prostituta, però profana: ACCA LARENTIA, una benefattrice che aveva regalato terre ai romani, e per questo era venerata, aveva una statua nel foro e a lei erano dedicate le feste Larentalia. Ma davvero si può credere alla storia di una prostituta venerata nei secoli?

Per un approfondimento: I  LUPANARE


I LUPERCALIA

Secondo Ovidio, al tempo di re Romolo vi sarebbe stato un prolungato periodo di sterilità nelle donne. Donne e uomini si recarono perciò in processione fino al bosco sacro di Giunone, ai piedi dell'Esquilino, e qui supplicarono. Attraverso lo stormire delle fronde, la Dea rispose che le donne dovevano essere penetrate da un sacro caprone sgomentando le donne, ma un augure etrusco interpretò l'oracolo nel giusto senso sacrificando un capro e tagliando dalla sua pelle delle strisce con cui colpì la schiena delle donne e dopo dieci mesi lunari le donne partorirono.

Così la lupa, o Dea Lupa, quella italica per cui negli antichi Lupercali, nella zona dei Castelli Romani, le sacerdotesse, vestite di sola pelle di lupo, ululavano nei templi e praticavano la prostituzione sacra, venne dimenticata. Eppure le prostitute romane, quelle profane, perchè quelle sacre erano state abolite, ancora facevano il verso del lupo per attirare i passanti, e i postriboli si chiamavano, guarda caso, "lupanare", termine conservato a tutt'oggi. 

Inoltre la Grande Dea, che era trina, aveva i suoi lupanare nei trivii, cioè all'incrocio tra tre strade, da non confondere con i templi di Ecate, cioè il lato mortifero della Dea, che stava nei quadrivii, dove operavano le streghe.

Ma non dimentichiamoci di Giunone Caprotina, l'antica Dea conservata nei musei capitolini con la testa e la pelle di capra sul capo, anch'essa assimilazione di un'antica Dea Italica, la Dea Capra, fertile e lussuriosa, che sicuramente amava il sesso e l'accoppiamento e non la fustigazione delle donne.

Il rito dei lupercali passò quindi a una divinità maschile, non capro nè lupo, il Dio Luperco, ma guarda caso mezzo lupo e mezzo capro, un Dio che secondo alcuni difendeva le greggi dai lupi. Poco credibile perchè un lupo azzannerebbe il gregge e un caprone non era in grado di difendersi dai lupi, che operavano sempre in branco.

Guarda caso occorreva purificare le donne, da cosa? Forse dalla prostituzione sacra che veniva praticata per un periodo, dopodichè tornavano e si sposavano, senza l'odioso obbligo della verginità, già persa nel tempio.


La prostituzione nell'antica Roma era legale e pure gli uomini romani di più alto status sociale erano liberi d'impegnarsi in incontri con persone che esercitavano la prostituzione, sia femmine sia maschi, senza alcun pericolo d'incorrere nella disapprovazione morale. Tutto questo purché avessero dimostrato autocontrollo e moderazione nella ricerca del piacere sessuale perchè il più alto valore di un romano era la "Continenza".

Allo stesso però le prostitute cadevano nella vergogna sociale; la maggior parte di loro erano schiave o ex schiave (liberte) o, se di nascita libera come cittadini romani erano stati relegati alla condizione di infamia, prive di posizione sociale e della maggior parte delle protezioni concesse a chi possedeva la cittadinanza romana; status condiviso dai gladiatori e dagli attori di teatro.

Tuttavia alcuni storici, come Tito Livio e Tacito menzionano certe prostitute che erano riuscite ad acquisire una certa rispettabilità attraverso atti patriottici o la pratica dell' evergetismo, per cui un privato donava alla collettività alcuni beni, ristrutturava strade, edifici pubblici, e così via.

L'arte erotica a Pompei e Ercolano, proveniente soprattutto dagli scavi archeologici di Pompei, comprende anche la vita nel bordello e provando che erano sia le donne sia gli uomini a praticare la prostituzione, anche se la prostituzione femminile era più ampia. Una prostituta poteva in certi casi essere autonoma e affittare una camera per il lavoro.

Una "ragazza" (puella) poteva convivere con una Lena, o Lenona, e anche mettersi in affari sotto la gestione della mater che in genere era una Lena. Il ricorso alla prostituzione da parte di donne nate libere nasceva da disperato bisogno finanziario, ed erano in genere le più famose e ricercate.

Solitamente si presumeva che anche gli attori e i ballerini fossero disponibili per fornire prestazioni sessuali a pagamento, e le cortigiane i cui nomi sono sopravvissuti nel ricordo storico a volte erano del tutto indistinguibili dalle attrici e da altri tipi di artisti. Al tempo di Marco Tullio Cicerone la cortigiana Citeride era un'ospite assai gradita per le cene al più alto livello della società romana: affascinanti, con spiccate doti artistiche ed istruite.


L'ABBIGLIAMENTO

L'ABBIGLIAMENTO

Le prostitute erano le uniche donne romane che portavano la toga, concessa peraltro solo ai cittadini di sesso maschile. Era l'antica usanza che garantiva l'inviolabilità, dovuta un tempo alle antiche ierodule, sacre in quanto sacerdotesse. Le cortigiane in privato indossavano poi costosi abiti sgargianti di seta trasparente. Sembra che le prostitute di più bassa estrazione si mostrassero per lo più nude al cliente di turno. 

Lucio Anneo Seneca descrive la condizione di prostituta come quella di una schiava pronta per la vendita: "Nuda si trovava sulla riva, a piacere dell'acquirente; ogni parte del suo corpo è stato esaminato e soppesato. Vuoi ascoltare il risultato della vendita? Il pirata ha venduto; il protettore acquistato, che lui la possa utilizzare come una prostituta."

Giovenale descrive invece una prostituta eretta in piedi e nuda "con capezzoli dorati" all'ingresso della sua camera. Le pitture murali erotiche di Pompei ed Ercolano mostrano donne e presunte prostitute che stranamente indossano un reggiseno, mentre è in corso il rapporto sessuale.



PROSTITUZIONE FORZATA

La maggior parte delle prostitute erano schiave o liberte e sebbene lo stupro fosse un crimine, la legge puniva la violenza sessuale su una schiava solo se ciò avesse "danneggiato la merce", dal momento che uno schiavo non aveva la legittimazione ad agire come una persona. La pena serviva solo a compensare il proprietario per il "danno" subito dalla sua proprietà.

Sembra che le prostitute schiave ricavassero dei guadagni dal proprio lavoro; un po' come tutti gli schiavi che potevano trarre profitto dalla conduzione degli affari del loro proprietario. Del resto lo schiavo che guadagnava qualcosa dal proprio lavoro sicuramente lavorava di più e meglio. A volte il venditore di una schiava stabiliva una clausola nei documenti di proprietà per impedirle di venire prostituita per se veniva usata per meretricio ella diventava libera d'ufficio, cioè liberta.

Le prostitute dovevano registrarsi presso l'ufficio dell'edile dando il proprio vero nome, l'età, il luogo di nascita e lo pseudonimo di esercizio. Se la ragazza era giovane e rispettabile, il funzionario poteva tentare di farle cambiare idea; se non riusciva le rilasciava la licenza (licentia stupri), accertava il prezzo a cui vendeva i suoi favori, e faceva entrare il suo nome nella lista delle professioniste.
 


LA GESTIONE

I bordelli di proprietà e gestiti da un lenone o da una lenona (in genere una exprostituta) tenevano un segretario (villicus puellarum) che in genere fungeva pure da sorvegliante per le ragazze che dava loro un nome d'arte, ne fissava il prezzo, ne riscuoteva il denaro, la riforniva di abbigliamento ed altre necessità, faceva da cassiere, e ne adattava la tassa dovuta. Alcuni di questi segretari erano solo degli agenti che riscuotevano l'affitto delle camere messe a disposizione oltre ad agire come fornitori per gli affittuari.

Le decorazioni murali avevano uno scopo esplicativo. Sopra la porta di ogni cella si trovava un titulus con il nome della risiedente e il prezzo; un cartello con la parola "occupata" veniva girato durante i periodi di servizio.

Nella stanza c'era una lampada in bronzo o, più economica, in argilla e un lettino con una trapunta e talvolta un tendaggio. Le tasse registrate a Pompei andavano dai 2 ai 20 assi, moneta di rame o bronzo di valore relativamente basso.



MERETRICI PER STRADA

Avevano molti disagi ma evitavano le tasse. Gli Archi sotto il circo erano una delle loro mete preferite per l'incontro con i clienti. Questi rifugi venivano chiamati fornix, da cui deriva la parola "fornicazione". Chi cercava sesso a pagamento a basso poteva andare in cerca delle postribulae, le più povere tra le tante donne costrette a vendersi per denaro.

Tra loro, le ambulatae appartenevano a una delle categorie più infime, donne che esercitavano il mestiere per strada, aspettando i clienti nei pressi dei più costosi bordelli, vicino ai circhi e alle arene dei gladiatori.

Peggio di loro, nella considerazione sociale, c’erano solo le bustuariae, che esercitavano di notte all’interno dei cimiteri. Solitamente il primo approccio con i clienti avveniva durante un funerale, visto che la maggioranza di esse di giorno lavorava come prefica e piangeva per morti sconosciuti. Secondo il poeta romano Marziale erano i vedovi recenti ad essere attratti dalle "bustuariae", per quel loro modo lugubre e lamentoso di gemere durante l’amplesso.



LE FESTE

Nel mese di aprile, esattamente al primo del mese le donne onoravano la "Fortuna virilis"; era il giorno della Veneralia, una festa dedicata a Venere. Secondo Publio Ovidio Nasone in questo giorno le prostitute si univano alle donne sposate, ovvero le matronae, per la purificazione rituale e per porre nuove vesti alla statua di culto della "Fortuna virile".

Di solito la demarcazione tra donne rispettabili ed infames era accuratamente segnata: quando una sacerdotessa si metteva in viaggio, era accompagnata da servitori che spostavano di lato le prostitute, o gli animali per non inquinare il suo percorso.

Il 23 di aprile le prostitute mandavano offerte al Tempio di Venere Ericina (Campidoglio) come al secondo tempio a Roma dedicato alla Venere di Erice (Eryx) in Sicilia, Dea strettamente associata alle prostitute. La data coincideva con il Vinalia, festa del vino e con i "lenonii pueri" celebrati il giorno 25, lo stesso giorno della Robigalia, una festa agricola arcaica volta a tutelare i raccolti del grano.

Il 27 di aprile infine si svolgeva la Floralia, una sagra in onore della Dea Flora ed introdotto all'incirca nel 238 a.c,; caratterizzato da un ballo erotico e da uno spogliarello delle prostitute, Decimo Giunio Giovenale si riferisce anche alla danza dello spogliarello in completa nudità. Nudo che fu molto criticato dallo scrittore cristiano Lattanzio "oltre alla libertà di parola che sgorga come oscenità le prostitute, a seguito delle insistenze della plebe, cominciano a togliersi i vestiti agendo come mimi in piena vista della folla, e tutto ciò continua fino alla completa sazietà degli spettatori senza alcuna vergogna".


BIBLIO

- Antonio Varone - L'erotismo a Pompei - Roma - L'Erma di Bretschneider - 2000 -
- Edwards Catharine - Unspeakable Professions: Public Performance and Prostitution in Ancient Rome - Princeton University Press - 1997 -
- Luciana Jacobelli - Le pitture erotiche delle Terme Suburbane di Pompei - Roma - L'Erma di Bretschneider -1995 -
- McGinn, Thomas A. - Prostitution, Sexuality and the Law in Ancient Rome - Oxford University Press - 1998 -
- McGinn, Thomas A. - The Economy of Prostitution in the Roman World: A Study of Social History and the Brothel - University of Michigan Press - 2004 -
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