BATTAGLIA DI VEIO (475 a.c.)



IL TRIONFO DI PUBLICOLA

La seconda battaglia di Veio si svolse nel 475 a.c. tra l'esercito romano guidato dal console Publio Valerio Publicola e quello degli etruschi di Veio e dei loro alleati Sabini. Grazie ad un attacco notturno, i Romani ebbero la meglio sul campo dei Sabini, ed, in rapida successione riuscirono ad aver la meglio anche sui loro alleati etruschi, svegliati dal clamore delle armi capitoline. 

Ritiratesi in città dopo questa sconfitta, i Veienti poterono contare sulla solidità delle loro mura quale ultima linea di difesa. Quando si resero conto di non poter attaccare le mura fortificate di Veio, nonostante la vittoria campale, i Romani decisero di razziare le campagne Sabine ottenendo il trionfo; quindi fecero ritorno a Roma. 


L'ASSALTO ALL'ACCAMPAMENTO

L'armata Romana sotto gli auspici del console Publio Valerio Publicola marciò contro i Tirreni, perocché si era di bel nuovo levata in arme la città di Vejo, unendosi ai Sabini e aspettando le ausiliarie degli altri Tirreni per marciare su Roma col più dell'esercito, espugnandola con l'assalto o con la fame.

Valerio era uno splendido generale ed aveva addestrato il suo esercito ad ogni imprevisto, compreso il dover viaggiare o combattere di notte, che a quell'epoca i combattenti non facevano. Così Publio Valerio era uscito da Roma col suo esercito sul far della sera, e valicato il Tevere, si accampò non lontano dalla città. 

Poi verso la mezzanotte si levò con l'esercito e assalì uno dei campi nemici. Erano due campi disgiunti, ma non lontani, l'uno de' Tirreni, l' altro de' Sabini. Giunto sul campo Sabino, lo assalì e lo conquistò; ciò non sarebbe mai accaduto in un campo romano dove le guardie erano all'erta ovunque e le tende poste con la solita precisione e simmetria, per cui un romano vi poteva girare anche al buio.

Ma nel campo nemico le attenzioni erano minime, le guardie poche e poco attente, l'accampamento disordinato e poco curato nelle difese. Il campo venne preso immediatamente, Publicola faceva molto affidamento sul fattore sorpresa per cui i suoi uomini sapevano muoversi in silenzio e in velocità.

Invaso il campo, alcuni furono uccisi nel sonno, alcuni appena svegli o mentre si armavano, altri già armati, ma incapaci di organizzare una resistenza, disordinati e dispersi: la maggior parte perì, altri fuggirono verso l'altro campo, inseguiti dalla cavalleria. 

Valerio, dopo aver invaso il campo Sabino, marciò su l'altro dei Vejenti, postisi in luogo non abbastanza sicuro: ma gli assalitori non potevano più giungervi di nascosto, per essere già sorto il giorno, e perchè i fuggitivi avevano già dato l'avviso della strage Sabina, e di quella imminente ai Tirreni. 

PIAZZA DEL CAMPIDOGLIO

LA BATTAGLIA 

La battaglia contro i Tirreni, già parati per la battaglia, fu per lungo tempo incerta, finché i Tirreni, sospinti dalla cavalleria Romana, vennero ricacciati tra le trincee. Il console, approssimatosi alle trincee le assali da più parti fino a notte. Infine I Tirreni all'alba abbandonano il campo, fuggendo in città o nei boschi vicini.
 
Il console, invaso il campo, per quel giorno fece riposare l'esercito. il giorno seguente spartì il bottino dei due accampamenti tra le sue milizie, premiando chi si era più distinto nel combattimento. Servilio, il console dell'anno precedente, ora luogotenente di Valerio, fra tutti si era fatto più onore, e sospinto i Vejenti alla fuga; per cui suo fu il primo e più grande premio. 

Fatti quindi spogliare i cadaveri nemici, e sepolti i suoi, il console rimise l'esercito in marcia fino agli accampamenti prossimi a Vejo e li sfidò alla battaglia. Nessuno raccolse la sfida, e sapendo quando fosse difficile assaltarne le mura saccheggiò per più giorni il territorio intorno, e carico di bottino se ne tornò in patria. 

Il popolo, avvertito  dai messaggeri, uscì dalla città per acclamarlo, con ghirlande e con profumi d'incenso, e accolse l' armata con crateri di vino dolcificato col miele. Il Senato decretò loro il trionfo.
Cajo Nauzio, l'altro console, a cui era toccata la difesa dei Latini e degli Ernici, aspettò l'esito della guerra co' Vejenti, perchè in caso di pericolo, ci fosse un'armata pronta in città, qualora i nemici tentassero come prima fortificarsi presso di Roma. 

Terminò intanto la guerra degli Equi e de' Volsci contro i Latini, essendo stati ormai sconfitti dai Romani e avendo pertanto solo bisogno di abbandonare la guerra e chiedere la pace. Pertanto i Latini non avevano più bisogno degli alleati Romani.



IL SEGUITO

Publio Valerio Publicola fu eletto al secondo consolato nel 460 a.c. con il collega Gaio Claudio Crasso Inregillense Sabino. Una notte il Campidoglio e la rocca furono occupati da 2500 fra esuli e schiavi comandati da Appio Erdonio, si asserragliarono fra i templi della Triade Capitolina. Quelli che non vollero aderire alla lotta furono massacrati; ma qualcuno riuscì a fuggire e si precipitò nel Foro e lanciò l'allarme.

Due anni prima il tribuno della plebe Gaio Terentilio Arsa aveva proposto la Lex Terentilia per migliorare le condizioni politiche della plebe, ostacolata dai patrizi, per ritorsione i tribuni della plebe minacciavano di non combattere per la Patria. Appio Erdonio continuava asserendo che avrebbe preferito che l'iniziativa fosse partita dal popolo romano ma che, visto che non c'era nessuna speranza che questo avvenisse, non avrebbe esitato a ricorrere a mezzi estremi, fino alla richiesta di aiuto di Volsci ed Equi, un vero tradimento. 

Soprattutto si temeva la rivolta degli schiavi magari dentro le pareti domestiche. I tribuni della plebe ostacolavano le leve militari ritenendolo un espediente per bloccare la Lex Terentilia e il console Publio Valerio lasciò la seduta del senato e si precipitò dai tribuni: 
« Cosa sta accadendo, tribuni? volete proprio rovesciare lo Stato sotto gli ordini e gli auspici di Appio Erdonio? È stato così abile a corrompere voi, lui che non è riuscito a sollevare gli schiavi? ».

La legge non fu approvata e i rivoltosi riuscirono a resistere ma la notizia giunse a Tusculum, città alleata di Roma e il dittatore tuscolano Lucio Mamilio partì per l'Urbe con il suo esercito. I Tuscolani si unirono a Publio Valerio, si scagliarono sul Campidoglio e i ribelli si rifugiarono all'interno dei templi.
Sui ribelli si abbatté l'assalto dei Romani e degli alleati. 

Nell'atrio del tempio Publio Valerio Publicola rimase ucciso, ma «Molti esuli profanarono col loro sangue il tempio: molti furono presi vivi; Erdonio rimase ucciso». La punizione dei ribelli fu che gli uomini liberi furono decapitati e gli schiavi, crocefissi. Così morì un grande generale romano, non per mano dei nemici della sua patria ma per colpa di una sollevazione popolare.


BIBLIO

- Floro - Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC - I -
- Plutarco - Vita di Romolo - XXV -
- Eutropio - Breviarium ab Urbe condita - I -
- Livio - Ab Urbe condita libri -
- Polibio - Storie - Milano - Rizzoli - 2001 -
- Andrea Carandini - Roma il primo giorno - Roma-Bari - Laterza - 2007 -
- A. M. Liberati, F. Bourbon - Roma antica: storia di una civiltà che conquistò il mondo - Vercelli - White star - 1996 -


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