PROPERZIO - SESTUS PROPERTIUS




Nome: Sesto Aurelio Properzio, Sestus Aurelius Propertius
Nascita: Assisi o Urvinum Hortense (Collemancio), 47 o 50 a.c. 
Morte: Roma, dopo il 15 o 16 a.c. 
Professione: Poeta romano

«Cynthia prima suis miserum me cepit ocellis,
contactum nullis ante Cupidinibus

«Cinzia per prima con i cari occhi mi prese, misero,
prima nessuna passione mi aveva sfiorato.»

(Sesto Properzio, Elegiae, I 1, vv. 1-2)

Sesto Aurelio Properzio nacque nel 47- 49 a.c. ad Assisi, come lui stesso dichiara nell'elegia che fa da proemio al IV libro e come testimoniano recenti acquisizioni epigrafiche recanti il nome di Publius Passennus Blaesus, che Plinio il Vecchio dichiara parente di Properzio, e l'indicazione della tribù Sergia a cui Assisi era l'unico municipio umbro a esserne iscritto.

Alcuni archeologi ritengono di aver rintracciato la casa del poeta, una lussuosa villa con affreschi mitologici ed iscrizioni in greco, sotto la basilica di Santa Maria Maggiore. Si è anche ipotizzato che Properzio fosse nato presso Collemancio (Urvinum Hortense).

Dagli elementi forniti da alcuni scavi eseguiti sul posto e dalle poche iscrizioni rinvenute,  provenienti da Collemancio, si sa che presso questo comune sorgeva un municipium romano, iscritto alla tribù Stellatina che durò fino al III sec. d.c. Secondo altri si tratta invece di un antico centro italico non romanizzato. La tesi più accredita lo fa comunque nativo di Assisi.

Properzio nacque da un'agiata famiglia di rango equestre, ma tosto ebbe un'infanzia segnata da varie difficoltà, per gli sconvolgimenti dovuti alle guerre civili. In seguito alla rivolta dei proprietari italici, repressa da Augusto nel 41–40 a.c.; dopo la guerra di Perugia del 41, tra Ottaviano e Lucio Antonio (fratello di Marco Antonio) perse buona parte dei suoi averi per essersi battuta contro Ottaviano che gli sequestrò beni e terre. 

Properzio subì lutti e confische di terre. Inoltre il padre gli morì in tenera età, il che influì molto sui suoi futuri componimenti, velandoli di grande tristezza e nostalgia per la terra natia. Non a caso ricorrono nei suoi componimenti immagini sepolcrali, che ricordano evidentemente questo triste periodo della sua fanciullezza. 

PROPERZIO


VIAGGIO A ROMA

Ormai in condizioni disagiate, si trasferì insieme alla madre a Roma, la città che dava spazio a tutte le attitudini più o meno ambiziose e, come usava nelle buone famiglie, venne avviato alla carriera forense. Ma Properzio non era tagliato per quella attività e immediatamente si dedicò invece alla sua attitudine preferita, quella di poeta. 

Properzio rivelò precoce attitudine per la poesia: già al 28 a.c. risale la pubblicazione del suo I libro di elegie, il cosiddetto "monobiblos" ("libro unico"), intitolato al nome di Cynthia il grande amore della sua vita, secondo la tradizione dei poeti alessandrini.

A Roma comunque entrò in contatto con il circolo di poeti neoterici suoi coetanei, tra cui il giovane Tullo, nipote di L.V. Tullo che fu Console con Ottaviano nel 33 a.c. e con il quale entrò in stretta amicizia.

A Roma ebbe la sua prima esperienza sessuale con la schiava Licinna, presto travolta, nel 29 a.c., dalla grande passione per Cinzia, secondo alcuni una liberta, padrona di Licinna. Properzio ebbe un'intensa esperienza amorosa con Cinzia a cui seguì una rottura a causa di un'infedeltà del poeta. Tuttavia, dopo qualche tempo, i due ricominciarono a frequentarsi, ma l'amore di Properzio non era a sua volta corrisposto dalla fedeltà di Cinzia: dopo cinque anni di tormenti, la rottura fu definitiva.

Properzio: "Di te, Cinzia, sarò vivo, di te morrò!"

Come riferisce Apuleio, il vero nome della donna era Hostia: il nome Cinzia si collegherebbe a Cinto, nome del monte su cui sorgeva Delo, dove nacquero Apollo e Diana; d'altronde anche la Delia di Tibullo si riferiva a Delo. 

Sembra comunque che Sparta fosse molto devota a Diana, che l' come Dea Luna assumeva il nome di Cynthia. L'affascinante donna di Properzio, forse più grande di lui, dagli occhi neri e dai capelli fulvi, colta e mondana, elegante, amante della danza, della poesia, ma anche di facili avventure d'amore (come del resto Properzio), fu regina dell'anima del poeta, nonostante i tormenti e l'infelicità. 


CIRCOLO DI MECENATE

IL CIRCOLO DI MECENATE

Il suo primo libro di elegie nacque nel 29 a.c. e fu pubblicato nel 28 a.c.. Il libro ottenne un tale successo in tutta Roma che Mecenate lo fece entrare nel suo circolo poetico, accanto ad altri grandi poeti come Orazio e Virgilio.

La letteratura augustea fu un periodo della letteratura latina il cui inizio è convenzionalmente fissato nel 31 a.c., con la battaglia di Azio e la fine della Repubblica, periodo floridissimo di risorse artistiche ed economiche che terminò con la morte di Augusto, nel 14 d.c.. Faceva parte del cosiddetto periodo aureo, chiamato anche classico o di transizione, uno dei migliori periodi dell'intera storia della letteratura mondiale, grazie alla molteplicità di ingegni che fiorirono contemporaneamente.

L'avvicinamento di Properzio a Mecenate e al suo famoso circolo avvenne si dice dopo la pubblicazione del primo libro di poesie. Il poeta divenne amico di Virgilio e, soprattutto, di Ovidio. Ebbe invece, i rapporti difficili con Orazio, forse per i diversi ideali poetici. Tibullo e Properzio poi si ignorarono reciprocamente.

Raggiunto il successo ma privo di amore, il poeta si dedicò poi a uno studio impegnativo per cantare il passato di Roma, con i fatti e i personaggi che avevano formato lo spirito della romanità. Forse, Properzio è il seccatore a cui si accenna nella IX Satira di Orazio, che sembra lo avesse in grande antipatia.


IL CIRCOLO DI MESSALLA

A Roma vi era poi un altro circolo, quello "di Messalla", che ruotava attorno alla figura aristocratica di Marco Valerio Messalla Corvino, e che raccoglieva poeti di ispirazione bucolica ed elegiaca, in antitesi con gli interessi civili dei poeti di Mecenate. Di questo secondo circolo facevano parte Tibullo, Ligdamo (ma che poteva essere un altro nome di Tibullo) e la poetessa Sulpicia. 

Messalla a suo tempo era stato un valoroso generale e collaboratore di Ottaviano, che si ritirò a vita privata dopo il 27 a.c.. Questo suo circolo, in antitesi con quello di Mecenate, rinunciò all'impegno morale e civico, a favore di un'ispirazione idilliaca, agreste ed elegiaca. Fu a contatto di questo circolo che Properzio strinse amicizia con Tibullo e scrisse le Elegie, scritte in quattro libri e novantadue componimenti, tutti in distici elegiaci.

Lo stesso Augusto fu un letterato piuttosto versatile: scrisse in prosa e in versi, dalle tragedie agli epigrammi e alle opere storiche. Coltivò l'eloquenza fin dalla prima giovinezza, con grande passione e impegno non disdegnando le letture in lingua greca.

ME IUVAT IN GREMIO DOCTAE LEGISSE PUELLAE

CYNTHIA - HOSTIA

Se ella volesse concedermi talvolta di tali notti, anche un anno di vita sarà lungo.
Se poi me ne concederà molte, allora in esse diverrò immortale:
chiunque in una sola notte può trasformarsi in un Dio
”.
(Elegia XV)

Come riferisce Apuleio (Apologia, 10), e conferma Giovenale, il vero nome della donna era Hostia: il nome Cinzia si collegherebbe a Cinto, nome del monte su cui sorgeva Delo, dove nacquero Apollo e Diana; d'altronde anche la Delia di Tibullo si riferiva a Delo. 

Sembra comunque che Sparta fosse molto devota a Diana, che come Dea Luna assumeva il nome di Cynthia. L'affascinante donna di Properzio, forse più grande di lui, dagli occhi neri e dai capelli fulvi, colta e mondana, elegante, amante della danza, della poesia, ma anche di facili avventure d'amore (come del resto Properzio), fu regina dell'anima del poeta, nonostante i tormenti e l'infelicità. 

Properzio accenna alla presenza di un antenato poeta nella famiglia della donna, che potrebbe essere un certo Hostius, autore di un poema epico-storico sul Bellum Histricum, che celebrava la vittoria del 129 a.c. ottenuta da Gaio Sempronio Tuditano contro gli Illiri. Il che confermerebbe il nome di Hostia.

Si amarono comunque per quasi cinque anni, finchè Cinzia morì intorno al 20 a.c., ma ciò non placò nel poeta il desiderio di lei e il suo rimpianto, e nonostante le due ultime elegie del III libro, quelle che dovrebbero segnare la separazione definitiva, il dolore non si placò mai.


LA SEPARAZIONE

Properzio compie infine “L’integrazione difficile” di cui parla il critico letterario Antonio La Penna. Trascinato dall'amore furente verso Cinzia Properzio era molto distante dalla ideologia celebrativa augustea, ma svanito l'amore, all'autore non resta alla fine che separarsi dalla dominante donna dei suoi sogni per accettare i valori tradizionali del mos maiorum e così essere integrato nella ideologia della restaurazione di Ottaviano.

Diciamo che dal circolo di Messalla Properzio passa più dalla parte del circolo di Mecenate, tra l'altro grande amico di Augusto, e cessando di essere elegiaco e bucolico, diventa epico e celebrativo della gloria dell'immortale Città Eterna. Contemporaneamente diventa notevolmente più ricco, perchè Augusto è un imperatore generoso.



IL SUCCESSO DELLE ELEGIE

La poetica di Properzio tese volutamente all'imitazione di due poeti alessandrini: Callimaco e Fileta, soprattutto Callimaco perché Properzio vuole essere il callimaco romano e di callimaco accoglie il rifiuto per le composizioni lunghe, l'argomento amoroso e quello eziologico (che esamina le causali).

Il successo della poetica di Properzio fu immediato e influenzò la poetica nei secoli successivi. Nell'oscuro medioevo fu quasi dimenticato come del resto quasi tutta la letteratura e l'arte romana. Fu invece rivalutato dalla poesia umanistica, precursore del Rinascimento, e il suo successo proseguì nei secoli successivi soprattutto nel Settecento, ma ebbe poi una sempre più grande diffusione, in particolare amatissima da Goethe.


LA MORTE

La sua vita fu breve (come quella di Catullo e di Tibullo), Non è conosciuta la data certa della sua morte, anche se, da alcuni riferimenti, si può dedurre che morì poco dopo il 15 a.c., a circa 35 anni.



LE ELEGIE


LIBRO I

Il primo libro (Monobiblos, "libro unico") rappresenta la prima raccolta di elegie pubblicata nel 28 a.c. e dedicata alla donna amata, Cynthia, alla moda dei poeti alessandrini. Costituito da ventidue elegie, è noto anche sotto il titolo di Cynthia (nei manoscritti). Vi si canta prevalentemente l'amore impossibile e travolgente per Cinzia ampiamente corredato da figure mitologiche. La donna si mostrava verso il poeta, a volte corrispondente, e, a volte indifferente (Levitas: volubile incostanza).


LIBRO II


CINZIA E PROPERZIO
Anche nel secondo libro, in trentaquattro componimenti, si tratta a lungo dell'amore per Cinzia. La passione del poeta diventa tormento e sofferenza, e la sua trattazione si avvale anche di materiale erudito. 

Nella Elegia numero 34 del secondo libro, annunziò, per primo, la composizione dell’Eneide di Virgilio. Il poeta pubblicò il secondo libro di elegie nel 25 a.c., dopo la morte di Cornelio Gallo, anche lui poeta elegiaco, avvenuta nel 26 a.c.


LIBRO III

Si avvale di venticinque componimenti, che trattano d'amore ma pure di argomenti politici e civili. Alla fine di questo inoltre avviene il distacco dolorosissimo ma liberatorio dalla servitù d’amore nei confronti di Cinzia. 

Pubblicò il terzo libro di elegie nel 22 a.c., dopo la morte del nipote di Augusto, Marcello, avvenuta l’anno prima nel 23 a.c.


LIBRO IV

Nel quarto libro, di undici componimenti, i temi civili e la propaganda augustea diventano preponderanti, in particolare nelle Elegie romane dove Properzio si ispira a Callimaco, riprendendo in particolare gli "Aitia" (Le Cause), in cui si illustravano le origini di miti e culti religiosi. Egli stesso si definisce qui il "Callimaco Romano" . 

Cinzia morì nel 20 a.c.; Il poeta scrive, così, l’epigrafe sopra la tomba di Cinzia:
“QUI, IN TERRA TIBURTINA, GIACE LA SPLENDIDA CINZIA;
GLORIA, O ANIENE, SI E’ AGGIUNTA ALLE TUE RIVE”.

L’ultima elegia del quarto libro è dedicata ad una nobil donna romana Cornelia, che morì nel 16 a.c, sposa di Lucio Emilio Paolo. In questa ultima elegia Properzio fa un grande elogio di Cornelia considerata una matrona romana piena di virtù e moglie fedele di suo marito. 

L’elegia termina con l’augurio di Cornelia a suo marito:
Ho finito di perorare la mia causa. Testimoni in pianto per me,
alzatevi, mentre la terra benigna mi ripaga del sacrificio della vita.
Il cielo si apre alle caste indoli: possa con i miei meriti
essere degna che le mie ossa siano portate tra gli illustri avi
”.
Properzio pubblicò il quarto ed ultimo libro di elegie nel 16 a.c.

CASA DI SESTO PROPERZIO

CYNTHIA


LIBRO I

Cinzia per prima m’irretì, sventurato, con i suoi dolci occhi,
quand'ero ancora intatto dai desideri della passione.
Allora Amore abbassò il consueto orgoglio del mio sguardo
e mi oppresse il capo sottoponendolo al dominio dei suoi passi,
finché m’insegnò crudele a odiare le fanciulle caste
e a condurre una vita priva di qualsiasi saggezza.
E ormai da un anno intero questa follia non mi abbandona
mentre sono costretto ad avere gli dèi avversi.
Milanione, o Tullo, disposto a non fuggire nessun travaglio,
infranse la crudeltà della dura figlia di Iasio.
Egli infatti errava talora, folle, per gli anfratti
del Partenio, e andava a scovare le irsute fiere;
e anche, percosso da un colpo di clava dal centauro Ileo,
giacque ferito e gemente sulle rupi d’Arcadia.
Dunque poté così domare la veloce fanciulla:
tanto in amore valgono le preghiere e i benefizi.
Per me Amore impigrito non escogita alcun espediente,
né ricorda di percorrere, come prima, le note vie.
Ma voi che traete giù dal cielo con ingannevoli arti
la luna, e compite riti propiziatorii sui magici fuochi,
orsù mutate l’animo di colei che mi signoreggia,
e fate che il suo volto divenga più pallido del mio!
Allora crederò che voi potete guidare il corso
degli astri e dei fiumi con gli incantesimi della donna di Cytaia.
E voi amici, che tardaste troppo a sollevare il caduto,
cercate aiuti per un cuore ormai infermo.
Sopporterò con saldezza le torture del ferro e del fuoco,
purché sia libero di dire ciò che l’ira mi detta.
Portatemi in mezzo a popoli e a mari remoti,
dove nessuna donna possa conoscere il mio cammino:
voi, il cui dio accondiscende con favorevole orecchio,
rimanete, e l’amore vi sia sempre sicuro e reciproco.
Quanto, a me, la mia Venere mi travaglia con amare notti,
e Amore non mi abbandona mai lasciandomi libero.
Vi ammonisco, evitate questo male: ognuno indugi
nella propria passione, né si stacchi da un sentimento consueto.
Ché se alcuno tarderà ad ascoltare i miei ammonimenti,
ahi, con quanto dolore ricorderà le mie parole!


Elegia XIX

Adorata Cinzia, non temo i tristi Mani,
né voglio ritardare i fati dovuti all’estremo rogo;
ma che una volta spirato, per caso rimanga privo del tuo amore,
ciò temo, più duro della stessa morte.
Non così lievemente il dio fanciullo s’impresse
sui miei occhi al punto che la mia polvere ne sia priva,
smemorata d’affetto. Laggiù, nei tenebrosi recessi,
l’eroe filàcide non poté dimenticare l’amata sposa,
ma desiderosa di stringere in un vano abbraccio la sua fonte di gioia,
il Tessalo, ormai ombra, raggiunse l’antica dimora.
Laggiù, comunque sarò, sia pure soltanto fantasma,
sarò detto tuo: un grande amore varca anche le rive fatali.
Laggiù vengano in coro le belle eroine,
parte del bottino dardanio agli eroi argivi,
nessuna di loro, o Cinzia, mi sarà più gradita
della tua bellezza e (ciò mi conceda la giusta Terra)
anche se ti trattenga una sorte di lunga vecchiezza,
le tue ossa saranno sempre care al mio pianto.
Possa tu, viva, sentire ciò sul rogo che mi arde.
Allora la morte non mi sarebbe amara dovunque.
Ma come temo, o Cinzia, che spregiato il sepolcro,
Amore crudele ti distolga dalle mie ceneri e t’induca
ad asciugare malvolentieri le fluenti lagrime! Una fanciulla,
per quanto fedele, si piega ad assidue minacce.
Perciò noi amanti, finché si può, godiamo:
mai nessuno tempo l’amore è lungo abbastanza.


LIBRO II

Elegia XV

Oh me felice, o notte per me splendida,
e dolce letto reso beato dalla mia delizia!
Quante parole ci siamo detti distesi accanto alla lucerna,
e quante battaglie d’amore abbiamo ingaggiato,
allontanato il lume. Infatti ella ora lottava con me
a seni nudi, ora indugiava a lungo coperta dalla tunica.
Ella con le labbra mi aprì gli occhi assonnati,
e disse: “Così, insensibile, giaci?”.
Come abbiamo intrecciato le braccia in diverse forme d’amplesso!
Quanti lunghi baci ho impresso sulle tue labbra!
Non giova guastare i piaceri di Venere con movimenti ciechi;
se non lo sai, gli occhi sono la guida dell’amore.
Si dice che lo stesso Paride si consunse vedendo nuda la Spartana,
mentre si alzava dal talamo di Menelao;
nudo anche Endimione, narrano, conquistò la sorella di Febo,
e giacque a sua volta insieme con la dea nuda.
Se invece tu con animo ostinato ti adagerai vestita,
ti strapperò la veste e proverai la forza delle mie mani;
e anzi se l’ira da te provocata mi spingerà a trascendere,
dovrai mostrare a tua madre le braccia ferite.
Non ancora dei seni cadenti ti impediscono tali giochi:
badi a queste cose colei che si vergogna di avere già partorito.
Finché i fati ce lo permettono, saziamoci gli occhi di amore:
viene per te una lunga notte, e il giorno non tornerà. 
Oh volessi che una catena ci avvincesse
così che nessun giorno ci potesse più separare.
Ti siano d’esempio le colombe congiunte in amore,
il maschio e la femmina stretti in un connubio totale.
Erra colui che cerca la fine di un folle amore:
un amore vero non conosce alcun limite né misura.
La terra ingannerà con false messi gli aratori,
e più presto il sole spingerà i cavalli neri,
e i fiumi cominceranno a far rifluire le acque alla sorgente,
e i pesci saranno asciutti nei gorghi disseccati,
che io possa rivolgere altrove i miei affanni d’amore;
di lei sarò vivo, di lei morrò!
Se ella volesse concedermi talvolta di tali notti,
anche un anno di vita sarà lungo.
Se poi me ne concederà molte, allora in esse diverrò immortale:
chiunque in una sola notte può trasformarsi in un dio.
Se tutti desiderassero trascorrere una tale vita,
e giacere con le membra oppresse da molto vino,
non vi sarebbe il crudele ferro né una nave da guerra,
e il mare di Azio non travolgerebbe le nostre ossa,
né Roma espugnata tante volte dai propri trionfi,
sarebbe stanca di sciogliere i suoi capelli.
Questo certo potranno elogiare di me i miei discendenti:
le mie coppe non hanno mai offeso alcuno degli dèi.
Tu ora, mentre il giorno splende, non lasciare i frutti della vita:
se mi darai tutti i tuoi baci, me ne darai pochi.
E come i petali si distaccano dai serti avvizziti,
e li vedi galleggiare sparsi nelle coppe,
così per noi, che ora amanti nutriamo un vasto sentimento,
forse il domani concluderà i fati.

CASA DI PROPERZIO

IL NUOVO CALLIMACO

LIBRO III

Elegia I

Spirito di Callimaco, e sacri riti del coo Filita,
vi prego, permettetemi di entrare nel vostro bosco,
per primo io, sacerdote, mi accingo a guidare dalla pura fonte
tra i misteri italici la schiera greca.
Ditemi, in quale antro entrambe modulaste i carmi?
Con quale piede entraste? Quale acqua beveste?
Ah, lontano da me chiunque trattiene Febo tra le armi!
Scorra levigato con sottile pomice il verso
per cui la sublime Gloria mi solleva da terra,
e la Musa nata da me trionfa sui cavalli inghirlandati,
e sul cocchio gli Amori fanciulli sono trasportati con me,
e una folla di scrittori fa da corteggio alle mie ruote …
Perché contendete con me inutilmente a briglia sciolta?
Non è dato correre alle Muse per un’ampia via.
Molti, o Roma, aggiungeranno agli annali la tua gloria,
e molti canteranno che Bactra sarà il confine dell’impero:
ma un’opera che tu possa leggere in tempo di pace,
la mia pagina l’ha tratta giù dal monte delle Sorelle
per una via sinora non percorsa. Date, o Pegasidi, molli corone
al vostro poeta; non si confà al mio capo un duro serto.
Ma ciò che a me vivo ha sottratto l’invida turba,
dopo la morte me lo renderà l’Onore in misura raddoppiata.
Il tempo dopo il trapasso fa divenire tutte le cose più grandi,
dopo le esequie, la rinomanza corre più vasta sulle bocche.
Infatti chi saprebbe che una rocca fu abbattuta da un cavallo di abete,
e che i fiumi contrastarono l’eroe emonio,
l’idèo Simoenta e lo Scamandro, prole di Giove?
E che Ettore insanguinò tre volte le ruote che lo trascinavano sui campi?
A stento Deifobo ed Eleno e Polidamante e Paride,
qualunque ne fosse il valore nelle armi, sarebbero noti alla loro terra.
Ora si parlerebbe appena di te, Ilio, e di te,
Troia, abbattuta due volte dalla potenza del dio etèo.
E quell’illustre Omero, cantore della tua fine,
sentì accrescersi la fama dalla sua opera tra i posteri.
Me Roma loderà fra i suoi tardi nipoti.
Io stesso prevedo quel giorno, quando sarò cenere.
A una pietra che indichi le mie ossa in un sepolcro non spregiato,
ho provveduto io, se il dio licio esaudisce i miei voti.


Elegia II

Intanto ritorniamo nel cerchio della nostra poesia;
si compiaccia la fanciulla emozionata dal consueto canto.
Tramandano che Orfeo con la sua lira tracia trattenesse le fiere
e arrestasse i fiumi resi impetuosi dalla piena.
E narrano che le rocce del Citerone mosse per virtù di magìa
si unirono spontaneamente per formare le mura di Tebe,
e anzi, o Polifemo, alle pendici del selvaggio Etna,
Galatea piegò al tuo canto i madidi cavalli:
e ci stupiremo dunque se con il favore di Bacco e di Apollo
lo stuolo delle fanciulle venera le mie parole?
Certo la mia casa non poggia su colonne di marmo tenario,
né possiede soffitti dorati fra eburnee travi,
né i miei giardini eguagliano quelli dei Feaci,
l’acquedotto marcio non irriga le mie grotte istoriate;
ma mi tengono compagnia le Muse, e i carmi cari al lettore,
e v’è Calliope, ormai sazia dei miei ritmi.
Fortunata colei chiunque sia, se la celebrano i miei versi!
I miei carmi saranno durevole testimonianza della tua bellezza.
Infatti né il fasto delle piramidi elevate fino alle stelle,
né il tempio di Giove elèo che emula il cielo,
né il tesoro sontuoso del sepolcro di Mausolo,
possono scampare alla estrema condizione della morte.
Le fiamme o le piogge cancelleranno ogni sorta di pregio,
o cadranno vinti dal peso degli anni, sotto i loro colpi.
Ma la fama conquistata con l’ingegno non sarà annullata dal tempo:
l’ingegno ha una sua gloria immune dalla morte.


Elegia XXV

Ero divenuto oggetto di riso tra i convitati nei banchetti
e chiunque poteva divertirsi a sparlare di me.
Ho potuto servirti fedelmente per cinque anni:
rimpiangerai spesso la mia fedeltà mordendoti le unghie.
Non mi lascio commuovere dalle lacrime: conosco già l’inganno della tua arte;
il tuo pianto, o Cinzia, scaturisce sempre da una insidia.
Piangerò, allontanandomi, ma l’offesa è più forte delle lacrime:
tu non vuoi che il nostro legame proceda felice, conveniente ad entrambi.
Ora addio, soglia lacrimante per le mie parole,
addio porta, malgrado tutto, non infranta dalla mia mano irata.
Ma te incalzi la tarda età, se pur celerai gli anni,
e sopraggiungano le squallide rughe della tua bellezza!
Allora possa tu desiderare di svellere dalla radice i capelli bianchi,
mentre lo specchio, ahimè, rimprovererà il tuo volto grinzoso,
e a tua volta respinta, sopportare l’altero disprezzo,
e vecchia lamentarti di subire ciò che un tempo infliggesti.
La mia pagina ti predice tale funesta sorte:
apprendi a temere il destino della tua bellezza.

CASA DI PROPERZIO

LIBRO IV

Elegia VII (Ultima parte)
(L’altezzosa Cinzia parla al poeta ubbidiente).

“Così con le lagrime della morte saniamo gli amori della vita,
ed io nascondo le molte colpe della tua perfidia.
Ma ora ti affido le mie volontà, se per caso ti lasci commuovere,
e se l’erba magica di Clori non ti possiede tutto.
La nutrice Partenie non manchi di nulla nei suoi tremuli anni:
non è mai stata avida con te, e lo avrebbe potuto.
La mia dolce Latri, che trae il nome dal suo lavoro,
non debba porgere lo specchio alla nuova padrona.
E tutti i versi che hai composto nel mio nome,
bruciali per me: cessa di tenere con te le mie lodi!
Strappa dal sepolcro l’edera che nei suoi pugnaci corimbi
si lega alle mie tenere ossa con implicate chiome.
Dove l’Aniene fecondo di frutti si distende nei campi alberati,
e mai sbiadisce l’avorio per la protezione di Ercole,
scrivi su una colonna un’epigrafe degna di me,
ma breve, che possa leggerla il viandante che proviene frettoloso dalla città:
-Qui in terra tiburtina giace la splendida Cinzia;
gloria, o Aniene, s’è aggiunta alle tue rive-.
E tu non disprezzare i sogni che giungono dalle porte dei beati:
se vengono, tali sacri sogni, devono avere un senso.
Di notte vaghiamo, la notte rende libere le ombre rinchiuse;
tolte le sbarre, anche Cerbero erra.
All’alba l’inferna legge c’impone di tornare agli stagni del Lete:
c’imbarchiamo, e il nocchiero soppesa il carico.
Ora ti possiedano altre; ben ti avrò io sola:
sarai con me, e consumerò le tue ossa con le mie ad esse mischiate”.
Dopo che finì di parlarmi con tono di dolente rimprovero,
l’ombra si dileguò nel mezzo del mio abbraccio.


Elegia XI (Ultima parte)

(Parla Cornelia rivolgendosi al marito Paolo).

Se poi egli memore si appagherà di restare fedele alla mia ombra,
e stimerà che tanto valgono le mie ceneri,
sin da ora imparate a preoccuparvi della sua futura vecchiaia,
e nulla tralasciate per lenire i suoi affanni di vedovo.
Il tempo che è stato sottratto a me, si aggiunga ai vostri anni:
così, grazie alla mia prole, Paolo si consoli di essere vecchio.
E’ bene così: io madre non ho mai vestito a lutto:
e tutta la schiera dei congiunti venne alle mie esequie.
Ho finito di perorare la mia causa. Testimoni in pianto per me,
alzatevi, mentre la terra benigna mi ripaga del sacrificio della vita.
Il cielo si apre alle caste indoli: possa con i miei meriti
essere degna che le mie ossa siano portate tra gli illustri avi.


BIBLIO

- Properzio - Elegie - a cura di E. Oddone - Editore Bompiani - Milano - 1990 -
- Properzio - Il libro di Cinzia - a cura di Paolo Fedeli, Rosalba Dimundo - Traduttore: Angelo Tonelli - Collana: Letteratura universale. Il convivio - Marsilio - 1999 -
- Antonio La Penna - Introduzione a Sesto Properzio, Elegie - Einaudi - Torino - 1970 -
- A. La Penna - L'integrazione difficile. Un profilo di Properzio - Torino - 1977 -
- AA.VV. - Atti dei Colloquia Propertiana - Assisi - I, 1977 - II, 1981 - III, 1983 -
- AA.VV. - Atti del convegno internazionale per il bimillenario della morte - Assisi - 1986 -
- S. Properzio - Elegie - traduzione di Luca Canali, commento di Riccardo Scarcia - Rizzoli - Milano - 2016 -
- Laurence Richardson - Propertius - Elegies I-IV : Ed., with introd. and commentary. Norman OK - University of Oklahoma Press - 1977 -


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