I GUERRA SANNITICA (343-341 a.c.)



SANNITI
Le guerre sannitiche furono tre grandi conflitti combattuti dalla giovane Repubblica romana contro la popolazione italica dei Sanniti e i numerosi loro alleati tra la metà del IV secolo a.c. e l'inizio del III.

Le tre guerre, terminate tutte con la vittoria dei Romani, derivarono dai desideri espansionistici delle due civiltà che a quell'epoca si equivalevano grossomodo militarmente. I Romani dominavano già su Lazio, Campania settentrionale, sulla città etrusca di Veio ed avevano stretto alleanze con diverse altre città e popolazioni minori.

I Sanniti dominavano quasi tutto il resto della Campania e del Molise, e cercavano di espandersi ulteriormente lungo la costa a discapito delle colonie della Magna Grecia e verso l'entroterra della Lucania.

Nel 354 a.c. Romani e Sanniti, temendo un duro conflitto, pattuirono di non scontrarsi e di non interferire con l'altro cercando domini in direzioni diverse, ma la supremazia nell'Italia meridionale era sempre in gioco. Una delle due potenze doveva vincere e l'altra morire. Lo sapevano i Romani e i Sanniti. Lo scontro era solo rimandato.



I SANNITI

Un tempo l’esercito dei Sanniti era formato da gruppi di uomini guidati da un condottiero, ma, come narrano i romani, nelle guerre sannitiche le cose cambiarono:

TERRITORI DURANTE LA I GUERRA SANNITICA (INGRANDIBILE)
«...lo scudo sannitico oblungo (scutum) non faceva parte del nostro equipaggiamento nazionale [romano], né avevamo ancora i giavellotti (pilum), ma si combatteva con scudi rotondi e lance.... Ma quando ci siamo trovati in guerra con i Sanniti, ci siamo armati come loro con gli scudi oblunghi e i giavellotti e copiando le armi nemiche siamo diventati padroni di tutti quelli che avevano una così alta opinione di se stessi. »
(Ineditum Vaticanum)

Dunque i Sanniti usavano sia il giavellotto (pilum) sia il lungo scudo rigato (scutum) e i Romani appresero da essi l’uso di tali armi, oppure, e più probabile, i Romani adottarono la tattica manipolare e tali armi in contemporanea ai Sanniti, all’inizio del IV secolo.

Livio infatti scrisse che l'esercito sannita era organizzato in coorti di 400 uomini, divisi in manipoli, e tra gli ufficiali avevano pure i tribuni militari. La cavalleria sannita era molto considerata e temuta.
I Sanniti avevano inoltre un gruppo scelto di guerrieri. Era la Legio Linteata, che Livio descrive come una specie di "legione sacra tebana", candida nelle vesti e nelle armi. Livio scrive pure che le armi della linteata fossero ricoperte d'oro e argento.

Alcuni non lo credono perchè il costo sarebbe stato altissimo, ma non dimentichiamo che pure Cesare fece guarnire le armi dei suoi con oro e argento, pensando che dato l'alto costo i militari non avrebbero facilmente rinunciato alle loro armi.

SANNITI

LA LEGIO LINTEATA

La Legio Linteata rappresentava un corpo speciale dell’esercito Sannita formato da guerrieri che si erano dimostrati valorosi e capaci in battaglia che formavano una Devotio alle divinità protettrici sannite. Con una cerimonia sacra si votavano al sacrificio estremo pur di difendere il proprio popolo. Questa legione partecipò a tutte le Guerre sannitiche.

La Devotio la troviamo a Roma nel 340 a.c. quando il milite Publio Decio Mure si immola per salvare la patria. Ecco la formula della sua Devotio (non doveva essere molto diversa quella sannita):

« Oh Giano, Giove, Marte padre, Quirino, Bellona, Lari, Divi Novensili, Dei Indigeti, Dei che avete potestà su noi e i nemici, Dei Mani, vi prego, vi supplico, vi chiedo e mi riprometto la grazia che voi accordiate propizi al popolo romano dei Quiriti potenza e vittoria, e rechiate terrore, spavento e morte ai nemici del popolo romano dei Quiriti. Così come ho espressamente dichiarato, io immolo insieme con me agli Dei Mani e alla Terra, per la Repubblica del popolo romano dei Quiriti, per l'esercito per le legioni, per le milizie ausiliarie del popolo romano dei Quiriti, le legioni e le milizie ausiliarie dei nemici. »
(Tito Livio, Ab Urbe condita)



IL GIURAMENTO

L’iniziazione nella Legione avveniva anzitutto col giuramento di fedeltà alla Legione Linteata, quindi si consacravano, con l'opera dei sacerdoti, la propria spada e la propria vita alla battaglia. Questo giuramento avveniva sui candidi panni di lino che ricoprivano il recinto in cui era stata consacrata la nobiltà: da qui il nome "Linteata". Dopo questo giuramento i soldati venivano consacrati come guerrieri votati fino al sacrificio estremo per difendere il proprio popolo.

« Compiuto il sacrificio, il comandante faceva chiamare da un messo, i più nobili per famiglia e per imprese. Essi venivano introdotti ad uno ad uno. Oltre ad altri apparati sacri, che infondevano nell'animo il timore religioso, vi erano al centro del recinto, coperto tutto intorno, are e vittime uccise, ed erano schierati dei centurioni con le spade sguainate. 
Il giovane veniva condotto davanti agli altari più come una vittima che come un iniziato, ed egli giurava che non avrebbe rivelato ciò che vedeva o sentiva in quel luogo. 
Lo costringevano a giurare secondo una formula fatta appositamente per invocare una maledizione su questi, sulla sua famiglia e stirpe, se si fosse rifiutato di combattere dove i suoi generali volevano, o se fosse scappato dal campo di battaglia, o avesse osservato un altro fuggire e non avesse fatto nulla per ucciderlo. 
Alcuni che si erano rifiutati di giurare in quel modo, furono uccisi in modo barbaro davanti agli altari. I loro cadaveri abbandonati in mezzo alle altre vittime, erano di esempio agli altri perché non si rifiutassero di giurare. »
(Livio, Ab Urbe condita)

EVOLUZIONE DEL SOLDATO ROMANO

I GUERRA SANNITICA

La Prima guerra sannitica fu combattuta tra Romani e Sanniti, dal 343 a.c. al 341 a.c., e si svolse in Campania e nel Sannio.
Alcuni storici, come Marta Sordi ritengono che la guerra sia iniziata 331 a.c. e finita nel 321 a.c., quando i Romani vennero sconfitti alle Forche caudine, per cui:

- nel 354 a.c. il patto di alleanza tra Romani e Sanniti (foedus);
- nel 349 a.c. l'inizio della "grande guerra latina" che finì nel 347 a.c., con Romani e Sanniti da una parte e Latini e Campani dall'altra.
- nel 348 a.c. durante la guerra latina il trattato tra Roma e Cartagine, contro anche gli stessi Latini;
- nel 331 a.c. l'inizio della I guerra sannitica con la rottura del foedus tra Romani e Sanniti (fino ad allora rispettato), terminata nel 321 a.c. con la sconfitta romana, che costrinse Roma a rinunciare a difendere i Sidicini e ad abbandonare le colonie di Fregellae e Cales.



LA DEDITIO

Quando i Sanniti posero Capua sotto assedio, la città inviò ambasciatori a Roma chiedendone la protezione. Il Senato romano non accolse la richiesta per non rompere il trattato coi Sanniti (354 a.c.), allora gli ambasciatori consegnarono a Roma la loro città, a mezzo della "deditio".

«Visto che rifiutate di far ricorso a un legittimo uso della forza per opporvi alla violenza e all'ingiustizia perpetrate nei confronti di ciò che ci appartiene, proteggerete almeno quanto appartiene a voi. Di conseguenza noi affidiamo alla vostra autorità e a quella del popolo romano il popolo della Campania e la città di Capua, le campagne, i santuari degli dèi e tutte le cose sacre e profane: qualunque cosa affronteremo da questo momento in poi, la affronteremo come vostri sudditi». Pronunciando queste parole, con le mani tese verso il console e il volto rigato dalle lacrime, si prostrarono a terra nel vestibolo della curia

(Livio, Ab Urbe condita libri, VII, 31.)

Di fronte a una tale offerta Roma non poteva ritirarsi e accettò, così mandò ambasciatori ai sanniti per chiedere che l'assedio fosse interrotto. Naturalmente i Sanniti rifiutarono e Roma dichiarò loro guerra. Era il 343 a.c. La campagna militare fu affidata ai due consoli patrizi Marco Valerio Corvo e Aulo Cornelio Cosso Arvina: Marco Valerio in Campania e Aulo Cornelio nel Sannio.

Secondo il racconto di Tito Livio, Marco Valerio vinse in Campania nella battaglia del Monte Gauro:

«I Sanniti vennero catturati, uccisi (e non ne sarebbero sopravvissuti molti, se la notte non avesse interrotto quella che era una vittoria più che una battaglia). 
I Romani ammettevano di non aver mai combattuto con un nemico più tenace, mentre i Sanniti, essendo loro stato domandato che cosa li avesse spinti, nella loro determinazione, alla fuga, dicevano di aver visto il fuoco negli occhi dei Romani, e un folle furore nei loro sguardi

(Livio, Ab Urbe condita libri, VII, 33.)


Invece Aulo Cornelio si trovò intrappolato con le sue truppe in una stretta valle del Sannio, osservato dall'alto dai Sanniti, pronti alla battaglia. Solo la prontezza del tribuno militare Publio Decio Mure, riuscì ad evitare il peggio ai romani, permettendogli di guadagnare, senza perdite, una posizione più favorevole:

«Quando passò di bocca in bocca la notizia che erano tornati sani e salvi gli uomini che avevano rischiato la vita esponendosi a sicuri pericoli pur di garantire la salvezza comune, tutti si riversarono loro incontro per lodarli, ringraziarli, invocarli uno per uno con il nome di salvatori, levando grazie e lodi agli dèi mentre esaltavano Decio. A questi fu concesso il trionfo all'interno dell'accampamento

(Livio, Ab Urbe condita libri, VII, 34-36.)

Dopodichè i Romani li attaccarono in campo aperto, vincendo la battaglia. Ci fu poi un terzo scontro nei pressi di Suessula, vinta dai romani guidati da Marco Valerio, che, dopo aver preso il campo nemico lasciato sguarnito per le necessità dell'approvvigionamento, fece strage dei nemici, che si erano avventurati nelle campagne vicine per approvvigionare il campo di cibo. Ai due consoli fu concesso il trionfo, cui partecipò anche Decio Mure, e Cartagine inviò ambasciatori a Roma, per congratularsi della vittoria.

L'anno dopo, il console Gaio Marcio Rutilo inviato a prendere il comando delle truppe vicino Capua a sua difesa, dovette affrontare comportamenti sediziosi dei soldati, che volevano prendere con la forza Capua, per impadronirsi delle sue ricchezze.

Riuscì ad allontanare dagli accampamenti militari gli elementi più pericolosi, fino a quando gli insubordinati ne capirono le mosse, uscendo allo scoperto, e muovendo armati alla volta di Roma. Marco Valerio Corvo, nominato dittatore, riuscì ad evitare lo scontro tra truppe romane, promuovendo un accordo con i rivoltosi. Qui i soldati romani non ci fecero una bella figura.

La guerra si concluse nel 341 a.c., quando il console Lucio Emilio Mamercino Privernate, entrato in territorio nemico, ne devastò le campagne, finché i Sanniti non inviarono ambasciatori a Roma per chiedere la pace.

La pace fu ottenuta, Roma prese Capua e i territori dei Sidicini passarono sotto l'influenza dei Sanniti. Con questo trattato terminò la I guerra sannitica, anche se durante lo stesso anno, i Sanniti dovettero subire gli attacchi dei Latini, alleati di Roma.



BIBLIO

- Tito Livio - Ab Urbe condita libri - IX -
- Florio - Epitome de Tito Livio Bellorum Omnium Annorum DCC - XXXIII -
- Eutropio - Breviarium historiae romanae -
- Tacito - Annales - IV - Frediani, Prossomariti - Nony - 1988 -
- Strabone -  Della Geografia - trad. Francesco Ambrosoli - Milano - 1832 -
- Plinio il Vecchio - Storia Naturale - XVI - Einaudi - 1982 -
- Adriano La Regina - I Sanniti - in Carmine Ampolo (a cura di) - Italia omnium terrarum parens - Milano - Scheiwiller-Credito Italiano - 1989 -
- Edward T. Salmon - Il Sannio e i Sanniti - Torino - Einaudi - 1995 -
- Sopraintendenza archeologica di Roma - L'Italia dei Sanniti - Milano - Electa - 2000 -



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