BATTAGLIA DI SATRICO (386 a.c.)



FURIO CAMILLO LIBERA ROMA

Quando Anzio riprese le armi contro Roma, sostenuta anche da Latini ed Ernici, il Senato richiamò per quanto anziano, il leggendario Furio Camillo, che volle con sé il collega Publio Valerio. I Romani si scontrarono con l'esercito di Volsci, Latini ed Ernici, numericamente superiore a loro, nelle campagne intorno a Satrico.



MARCO FURIO CAMILLO (Marcus Furius Camillus - 446 a.c. - 365 a.c.)

- Nel 403 a.c. venne eletto censore.

- fu eletto console nel 401 a.c. e nel 398 a.c., 

- nel 397 a.c. divenne tribuno militare, 

- nel 396 a.c. venne nominato dittatore e pose fine al lunghissimo assedio di Veio invadendo la città attraverso un cunicolo sotterraneo. Veio venne distrutta, il dittatore ottenne il trionfo. Il territorio romano, da meno di 1000 kmq., giunse a 1600 kmq., lo stato più esteso del Lazio e dell'Italia Centrale. 

Secondo il voto fatto da all'Apollo Delfico, che aveva predetto la vittoria dei Romani, Camillo col decimo del bottino fece forgiare un cratere d'oro che inviò a Delfi, più tardi fuso durante la III guerra sacra dai Focesi, ma la base di bronzo rimase. Camillo, evocata ritualmente la Iuno Regina di Veio, le dedicò un tempio sull'Aventino. 

- Nel 394 a.c. Camillo venne eletto tribuno militare consolare per la terza volta, per battersi contro Capena e Falerii. Vinse Capena ma con Falerii ottenne la pace conquistandoli con la sua lealtà di Camillo, avendo ricondotto in città i figli dei principali cittadini condotti a lui da un pedagogo traditore, legato e spinto fino in città dai suoi allievi. (Livio, V, 27; Plutarco, Camillo, 10 ecc.). 

DECORO DA SATRICO

- Nel 392 a.c. Camillo fu ancora interrex. 

- Nel 391 a.c., secondo la tradizione ci fu il processo e la condanna di Camillo. Da Diodoro, XIV, 117, secondo alcuni il processo sarebbe avvenuto invece 389, ma spostato al 391 per rendere Camillo già esule all'arrivo dei Galli. 

Sulla natura del processo, la versione più antica parlerebbe di peculato: "iniqua distribuzione o sottrazione della preda di Veio". Per altri offese agli Dei, per aver indossato nel trionfo l'abbigliamento di Giove e fatto tirare il suo cocchio da quattro cavalli bianchi. 

Camillo andò in esilio ad Ardea ancora prima che fosse pronunciata la condanna per cui la multa (da 15.000 a 500.000 assi a seconda delle fonti) gli fu inflitta in contumacia rifacendosi sui suoi beni e i suoi parenti.

Alcuni moderni ritengono il processo e l'esilio siano inventati per giustificare l'assenza di Camillo da Roma durante l'invasione gallica. In effetti Camillo non figura nella presa di Roma, e Polibio narra che i Galli, pattuito coi Romani l'oro che gli dovevano consegnare, se n'andarono con la preda, ma per cancellare l'onta del riscatto si inventò che, mentre si consegnavano ai Galli le 1000 libbre d'oro, Camillo, richiamato dall'esilio ed eletto dittatore dai Romani rifugiatisi in Veio, sarebbe apparso con un esercito, gridando che col ferro e non con l'oro si salvava la patria, sgominando i Galli. 


Di certo se lo avevano dichiarato dittatore dovevano stimarlo molto e non dovevano considerarlo un truffatore, per cui la condanna sembra una storiella, In effetti Camillo fu ancora interrex nel 389, ciò che presuppone il suo richiamo dall'esilio per la salvezza della patria dopo la Catastrofe gallica, dalla ribellione dei Latini e dei suoi nemici tradizionali. 

- Camillo, eletto dittatore nello stesso 389 a.c., soccorse l'esercito romano ridotto a mal partito dai Volsci, che vinse a Maecium presso Lanuvio; vinse poi gli Equi, e infine a nord gli Etruschi che avevano preso Sutri. Con il bottino furono fatte "tres paterae aureae... quas cum titulo nominis Camilli aute Capitolium incensum in Iovis cella constat ante pedes Iunonis positas fuisse" (Livio, VI, 4, 2). Alcuni moderni ritengono questa vittoria inventata per bilanciare la sconfitta avuta dai Galli, ma non ve n'è ragione perchè Camillo vinceva davvero ovunque. 

- L'anno dopo, nel 388 a.c. seguì un interregno a cui seguì la nomina dei tribuni consolari che si preoccuparono di lavori di ricostruzione della città martoriata e saccheggiata.

- Ma due anni più tardi, nel 386 a.c., i Volsci, che volevano abbattere Roma prima che tornasse di nuovo fiorente e forte, stavano già riarmandosi; ma come loro anche gli Equi  e alcuni mercanti provenienti dal nord riferivano che al tempio di Volturnia i rappresentanti degli Stati etruschi avevano compatti deciso di muovere guerra ai Romani. Ma si vociferava che anche i Latini e gli Ernici, fino allora fedeli alleati, ma sempre insofferenti della supremazia romana, si preparassero a muover guerra contro Roma.

FURIO CAMILLO
 
ROMA IN PERICOLO

Di fronte a così gravi pericoli, i Romani cercarono ancora Furio Camillo, il sempiterno salvatore della patria e lo elessero nuovamente dittatore il quale elesse Servilio Ala maestro della cavalleria, chiamò alle armi la gioventù romana e riunì in centurie pure gli anziani ancora validi, non per combattere ma per migliorare e curare le difese.

Costituito l'esercito Camillo lo divise in tre parti:
- uno sotto il comando del tribuno Lucio Emilio, fu inviato contro gli Etruschi, al di là dal territorio di Vejo; 
- il secondo, al comando di Aulo Manlio, fu lasciato presso Roma come presidio della città e come eventuale riserva per gli altri corpi; 
- il terzo, che era il più efficiente, fu messo alle dipendenze di Camillo, marciando immediatamente contro i Volsci.

I Romani si scontrarono con l'esercito di Volsci, Latini ed Ernici, numericamente superiore a loro, nelle campagne intorno a Satrico; è a questa campagna che si riferisce l'episodio leggendario di Furio Camillo, che lancia il vessillo romano oltre le schiere nemiche, per spronare i Romani al combattimento:
«Dopo aver quindi suonato la carica, scese da cavallo e prendendo per mano l'alfiere più vicino lo trascinò con sé verso il nemico gridando: «Avanti l'insegna, o soldato!». Quando gli uomini videro Camillo in persona, ormai inabile alle fatiche per l'età avanzata, procedere verso il nemico levarono l'urlo di guerra e si buttarono all'assalto tutti insieme, ciascuno gridando per proprio conto «Seguite il generale!». 
(Tito Livio, "Ab Urbe Condita", VI, 8.)

I Volsci, appreso che duce dei Romani era Marco Furio Camillo, n'ebbero tale spavento che si chiusero nel loro campo di Amezio (presso Lanuvio) e affannosamente lo fortificarono circondandolo con una robusta palizzata.

Il dittatore ordinò allora che fosse appiccato il fuoco alla palizzata e, siccome il vento era favorevole,  l'incendio divampò immediatamente verso l'interno; a quel punto Camillo lanciò le schiere all'assalto che travolsero i Volsci che si dettero alla fuga mentre i Romani presero il campo.

Nello scontro campale i Romani ebbero la meglio, e i Volsci a malapena riuscirono a rifugiarsi entro le mura di Satrico, grazie anche a un violento temporale che impantanò le strade rallentando i cavalli. Nel 385 a.c., per volere del Senato, venne fondata a Satrico una colonia romana con l’insediamento di duemila cittadini romani cui vennero assegnati due iugeri e mezzo di terra.

Il ricco bottino venne concesso da Furio ai suoi soldati; comportamento gradito e inaspettato visto che Camillo non era mai stato generoso coi bottini. Dopo la vittoria di Admezio, Camillo saccheggiò tutto il territorio dei Volsci finchè i nemici non si arresero; indi fulmineamente entrò nelle terre degli Equi, sorprese il loro esercito a Bola, lo attaccò, lo sconfisse e, preso il campo, si rivolse contro la città che fu costretta alla resa al primo assalto. Roma era salva.


BIBLIO

- Giuseppe Papi - I Volsci questi sconosciuti, guida alla mostra - Palazzo Massimo - Roccasecca dei Volsci - 2013 -
- Tito Livio - Ab Urbe condita libri VI e VII -
- Diodoro Siculo - Bibliotheca historica VII -
- Coarelli, Filippo - Roma, i Volsci e il Lazio antico - Crise et transformation des sociétés archaïques de l'Italie antique au Ve siècle av. JC. In: Actes de la table ronde de Rome (19-21 novembre 1987) - Rome: École Française de Rome - 1990 -


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