LA BATTAGLIA DI SATICOLA (343 a.c.)




LA I GUERRA SANNITICA

Partito da Saticola, Aulo Cornelio Cosso Arvina, nominato console nel 343 a.c. assieme Marco Valerio Corvo, fu inviato al comando delle truppe romane nel Sannio, quando Roma dichiarò guerra ai Sanniti, per quella che sarebbe stata ricordata come la I Guerra Sannitica.

Purtroppo Aulo Cornelio ebbe l'incauta idea di portare il suo esercito in una valle incassata e gremita di nemici su entrambi i versanti, senza accorgersi della loro presenza sulle alture prima che i suoi uomini non potessero più mettersi al riparo in sicurezza.

Mentre i Sanniti aspettavano che l'intero esercito fosse sceso fino al fondo della valle, il tribuno dei soldati Publio Decio (... - 340 a.c.) individuò una vetta che dominava la gola sovrastando l'accampamento dei nemici, quasi impraticabile per un esercito impedito dall'equipaggiamento, ma senza difficoltà per fanti armati alla leggera.

I SANNITI


PUBLIO DECIO MURE

Perciò, rivolgendosi al console che era in preda alla paura, Decio gli disse: "Aulo Cornelio, vedi quella cima sopra il nemico? Può essere la nostra salvezza, se non indugiamo ad occuparla, visto che i Sanniti sono stati così ciechi da abbandonarla. Dammi solo la prima e la seconda linea di una legione. Quando avrò raggiunto la cima alla testa di quegli uomini, mettiti in marcia senza paura, preoccupandoti di te e dell'esercito. Il nemico, esposto come sarà a tutti i nostri colpi, non potrà muoversi senza gravi perdite. Quanto a noi, la buona sorte del popolo romano o il nostro valore ci metterà in salvo".

Il console lodò il piano e Decio, presi con sé gli uomini che aveva richiesto, si avviò senza farsi vedere e i nemici non lo individuarono prima che fosse riuscito a raggiungere il punto desiderato. Avendo quindi attirato su di sé l'attenzione di tutti i nemici che si erano voltati in preda a stupore e preoccupazione, Decio diede al console l'opportunità di portare l'esercito in un punto più favorevole e si andò a piazzare in cima all'altura.

I Sanniti non riuscirono né a inseguire il console, né a far salire gli uomini sulla cima che li sovrastava e che era stata occupata da Decio. A spronarli all'attacco era anche la vicinanza della cima e il numero esiguo di soldati che la stavano difendendo. Sulle prime Decio sperò di poter combattere da una posizione elevata mentre i Sanniti cercavano di salire sulla cima. Poi stupì che i nemici non attaccavano e che non tentassero neppure di accerchiare i Romani con una trincea e uno steccato. 

Decio, con un mantello da semplice soldato, accompagnato dai suoi centurioni anch'essi in tenuta da fanti ordinari andò in perlustrazione poi radunati gli uomini in silenzio disse:
 
"Soldati, dovete mantenere il silenzio e ascoltarmi senza reagire. Quando avrò finito, quelli che approveranno si metteranno alla mia destra, senza dir nulla. Il gruppo più numeroso imporrà la decisione. Con il coraggio che avete occupato questa posizione, e dev'essere il coraggio a darvi una via d'uscita. Salendo qui avete salvato un esercito formidabile: aprendo un varco salverete voi stessi. Se avete eluso il nemico mentre era sveglio e all'erta, ora che dorme potete beffarlo. La nostra speranza è aprirci un varco e fuggire. Avanzate in mezzo ai corpi assopiti, pronti a terrorizzarli con un urlo improvviso se dovessero sentirvi. Seguitemi come avete fatto in passato: vi guiderò con lo stesso successo che ci ha accompagnato fino qua. Quelli cui il mio piano sembra garantire la salvezza, facciano un passo sulla destra".

LA SORTITA NOTTURNA
Passarono tutti, seguendo Decio che avanzava tra gli spazi incustoditi. Avevano già attraversato metà dell'accampamento, quando un soldato, scavalcando i corpi dei nemici addormentati, urtò uno scudo e fece rumore, svegliando una sentinella. Decio, vedendo che erano stati scoperti, diede ordine ai suoi di urlare. Con i Sanniti in preda al panico , il manipolo di Romani massacrò le sentinelle che gli si paravano innanzi e riuscì a fare breccia arrivando fino all'accampamento del console.

Decio disse: "Onore al vostro coraggio, o Romani: la vostra azione per rientrare al campo sarà celebrata per sempre. Ma ora aspettiamo qui tranquilli che arrivi l'alba". 

I soldati obbedirono. Alle prime luci del giorno venne inviato un messaggero al console e l'accampamento esultò. Quando passò di bocca in bocca la notizia che erano tornati sani e salvi gli uomini che avevano rischiato la vita esponendosi a sicuri pericoli pur di garantire la salvezza comune, tutti si riversarono loro incontro per lodarli, ringraziarli levando grazie agli dei mentre esaltavano Decio. 

Questi convinse il console ad attaccare i nemici frastornati dallo spavento di quella notte e dispersi intorno alla cima in squadre separate. Usciti dall'accampamento, piombarono sul nemico con un attacco a sorpresa: i Sanniti si erano disseminati nella zona, per lo più privi di armi e i Romani prima li costrinsero a rifugiarsi terrorizzati nell'accampamento, poi lo espugnarono seminando il panico tra i corpi di guardia. 

Gran parte dei Sanniti riuscì a fuggire senza venire a contatto con il nemico. Quelli che invece si erano rifugiati all'interno dell'accampamento - circa trentamila uomini - furono uccisi dal primo all'ultimo, mentre l'accampamento venne distrutto.



CONCLUSIONI

Poi il console convocò l'adunata, durante la quale esaltò Publio Decio, aggiungendo alle congratulazioni dovute alle gesta passate quelle legate ai fatti del giorno, e gli fece dono - in aggiunta ad altri riconoscimenti militari - di una corona d'oro e di cento buoi, cui ne aggiunse uno bianco e con corna dorate. Ai soldati del suo drappello concesse invece una doppia razione di frumento per il resto della vita, e un bue e due tuniche per il presente. 

Dopo i riconoscimenti dati dal console, le legioni posero sul capo di Decio la corona di gramigna riservata a quanti liberano da un assedio. Un'altra corona, di analogo onore, gli venne imposta dagli uomini del suo drappello. Decio immolò a Marte il bue più grosso, regalando invece gli altri cento ai soldati che avevano preso parte con lui alla spedizione. 

A quegli stessi uomini le truppe offrirono poi una libbra di farro e mezzo litro di vino. Tutte queste manifestazioni avvennero in un clima di entusiasmo collettivo, a testimonianza dell'approvazione generale.



IL SEGUITO

Publio Decio Mure sarà colui che si immolerà nel rito della "Devotio" lo scatenamento delle Forze Infere contro l’esercito nemico, che si manifestava sotto forma di Panico e Caos, mentre invece infondeva Coraggio e Forza all’Esercito Romano. Un Rito, un Sacrificio umano, volontario e rituale usato solo in casi estremi.


BIBLIO

- Diodoro Siculo - Bibliotheca historica - XIX -
- Tito Livio - Ab Urbe condita libri - IX -
- M. Di Fazio - Il Lazio Meridionale Costiero tra Romani e Sanniti - Archeologia Classica - 2008 -
- Gaetano De Sanctis - Storia dei Romani - La conquista del primato in Italia - Ed. La Nuova Italia - Firenze - 1988 -
- Aurelio Vittore - De Viris Illustribus Romae - XXVI -


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