PUTEOLI - POZZUOLI (Campania)





Il nome del centro di Pozzuoli, “Rione Terra”, risale al medioevo, ma non se ne è spiegata la causa. Sullo stupendo sperone di tufo alto 33 m e circondato sui tre lati dal mare, sorgeva infatti l’acropoli della colonia romana.

Pozzuoli, anticamente Puteoli (o Puteolos), cioè pozzo, secondo altri che manda cattivo odore, a causa delle numerose sorgenti di acque termo-minerali e sulfuree, era in origine solo uno scalo commerciale della colonia ellenica di Cuma, o almeno così narra Strabone.

La città venne fondata nel 528 a.c. da un gruppo di esuli sami fuggiti dalla tirannide di Policrte, con il nome di Dicearchia, o "Dikaiarchia", vale a dire "giusto governo".

La storia di Pozzuoli però è più antica, perchè ci sono prove della sua frequentazione fin dal VII sec. a.c. Inoltre nel 421 a.c. passò in mano ai Sanniti.

Miseno era stata distrutta nel 214 a.c. da Annibale per rappresaglia contro Cuma, che aveva funzionato da roccaforte della legione di Sempronio Gracco, bloccando l'attacco dei Cartaginesi, ingannati poi dalla Prima Legione di Fabio Massimo, che conquistò l'altura dominante, cioè il Rione Terra, della futura Puteoli, fortificandola e rendendola inespugnabile.



PUTEOLI ROMANA

Divenuta colonia romana nel 194 a.c., fu un importante centro portuale per il commercio del grano destinato all'Urbe. Alla caduta dell'Impero, a causa della mancanza di valide fortificazioni e dei fenomeni di bradisismo lungo la costa, la città si restrinse sul promontorio del rione Terra, che divenne una rocca fortificata. Dopo la conquista romana della Campania nel 228 a.c.,  divenne luogo di villeggiatura per i patrizi romani e il suo porto divenne fondamentale per gli scambi commerciali di Roma.

I Romani infatti le crearono un'ottimo collegamento stradale con l'Urbe e le città della Campania, con centri commerciali che vi stabilirono le città marittime d'Oriente ed Occidente. In quest'epoca fiorirono splendidi monumenti come l'Anfiteatro Flavio, il Tempio di Serapide, lo Stadio di Antonino Pio, l'Anfiteatro Minore e il Tempio di Augusto.

Il declino della città iniziò nel 70 d.c. circa, con l'apertura del porto di Ostia, voluto da Claudio e terminato da Nerone.

Inoltre il  graduale sprofondamento del litorale spopolò, verso la fine del V sec., la parte bassa della città che andò a vivere nel Rione Terra, fortificandola e facendone il castro puteolano. Agli inizi del XVI sec, Pozzuoli subì pesanti fenomeni tellurici e di bradisismo, per cui i cittadini si stabilirono fuori delle mura, fondando presso il mare un piccolo borgo di pescatori.

La storia recente di Pozzuoli è segnata profondamente dalle due crisi del bradisismo, 1970 e 1983, che hanno costretto la città ad un ulteriore esodo forzato. Da ormai molti anni è in fase di restauro, per cui sono ora visitabili possibile visitare gran parte dei sotterranei e una parte in superficie.



I MONUMENTI

I più importanti monumenti sono: il Tempio di Serapide (Macellum), il Tempio di Augusto, l'Anfiteatro Flavio, l'Anfieatro Minore, il Circo Massimo, le Terme di Nettuno e il Rione Terra, uno dei centri storici meglio conservati della Campania, sviluppato sull'area della primitiva colonia romana.

Risalente all'epoca romana (I - II secolo d.c.), Il Macellum, impropriamente chiamato "Tempio di Serapide" (per il rinvenimento di una statua del dio egizio) era il mercato pubblico della città romana.



ACROPOLI

Il centro della colonia romana del 194 a.c. sorse sul promontorio dell'insediamento samio, o sannita secondo altri, del quale però non si hanno ancora tracce, a meno che non si considerino alcuni resti di grossi blocchi di tufo reimpiegati sul fianco nord della collina.

Probabilmente l'acropoli scendeva a valle tramite una scalinata a gradoni e il suo decumanus maximus, che iniziava presso la porta della colonia repubblicana, corrisponde al tracciato dell'odierna via del Duomo, sotto cui, a circa m. 3 sotto è stata rinvenuta parte del basolato antico.

Questo tratto del decumano, oggi ancora percorribile, era fiancheggiato da una serie di tabernae; presso l'incrocio col cardo maximus (attualmente murato), si trova una fontana marmorea ornata da due maschere di sileno. Il cardo maximus è invece individuato nel tracciato di via del Vescovado.

In piazza San Liborio è ancora parzialmente visibile il basolato di un altro cardine che probabilmente si collegava con la via che correva tra l'acropoli e la città bassa, nell'area dell'Emporium, la parte riferita alle strutture marittime di Puteoli.



TEMPIO DI AUGUSTO

Tutti sapevano che la cattedrale di Pozzuoli sorgesse sull’area del Tempio di Augusto, quel che si ignorava era che il tempio esistesse ancora, inglobato nelle spesse mura seicentesche, anche se alcuni capitelli di ordine corinzio al di sopra della porta secondaria dell’edificio ed altri frammenti marmorei dell’architrave opposto potevano farlo sospettare.

Fu un incendio che nel 1964 che, distrutta la navata centrale, costrinse a dei saggi che scoprirono sotto la muratura moderna le colonne, l’architrave, le pareti della cella dell’antico tempio.

Già nel 1634, per volere del vescovo Martino de Léon alcune colonne furono assottigliate o tolte per permettere la costruzione di cappelle laterali, mentre la parete posteriore della cella fu abbattuta per permettere il passaggio tra la navata e l’abside della basilica. Forse parte delle colonne servirono alla chiesa sovrastante, visto che appaiono diverse tra loro e di epoca molto antica.

Il tempio di Augusto, sorto sull’area di un tempio più antico di età greca o sannitica, ed eretto in seguito all'istituzione della colonia, fu ricostruito dal ricco mercante Calpurnio in onore dell’imperatore Augusto, come riferisce un’iscrizione con dedica:
L. Calpurnius L.f. templum Augusto cumornamentis d.s.f. (Lucio Calpurnio, figlio di Lucio, dedicò a sue spese questo tempio ed il suo arredo ad Augusto).

Un’altra iscrizione, più piccola, su una tavola di marmo a destra dell’ingresso secondario, fornisce il nome dell’architetto: Lucio Cocceio Aucvto, liberto di Caio Postumio, che si crede lo stesso architetto della Crypta Neapolitana e della galleria tra il lago d'Averno e Cuma.

Il tempio di Augusto fu costruito interamente in marmo bianco, con blocchi a secco, cioè perfettamente connessi tra loro senza  malta, con scala laterale e con le pareti in finta opera quadrata. Presentava nove colonne corinzie sui lati lunghi e sei sulle fronti, di cui circa la metà incassate nella cella di forma quadrata. Ne fanno testimonianza i disegni che l’architetto Giuliano da Sangallo eseguìti prima che il tempio fosse restaurato nel 1538 per i danni  di un terremoto e dell’eruzione del Monte Nuovo.

L’edificio pagano fu quindi trasformato in tempio cristiano e dedicato al martire S. Procolo quando i cittadini di Puteoli si asserragliarono sulla rocca per difendersi dai barbari; col decadimento dell'impero, i romani anziché combattere si raccomandavano a Dio.

 Attualmente il Tempio di Augusto è in fase di scavo e di restauro e si attende la pubblicazione dell’eccezionale monumento.

Secondo alcuni però l'attribuzione al culto di Augusto sarebbe un’errata interpretazione dell’iscrizione, esistente fino al XVI sec. sulla fronte dell’edificio.

La parola Aug. sarebbe riferita a Lucio Calpurnio, il magistrato della colonia finanziatore dell’opera, col significato di Augustale e non di Augusto, e l’edificio potrebbe essere il Capitolium anzichè il tempio.

Ora l'augustale era l'addetto al culto dell'imperatore Augusto, come venerazione dei lares Augusti e del genius dell'imperatore.

Nulla di strano dunque che un augustale faccia costruire un tempio ad Augusto, che faccia costruire il Capitolium sembra meno inerente, ma secondo altri ancora il tempio avrebbe riguardato Apollo. Stazio riferisce che Apollo fosse il nume tutelare della città e alcuni frammenti marmorei potrebbero essere riferibili a una sua statua.



LA CITTA' SOTTERRANEA

La città sotterranea, a dieci - quindici m al di sotto delle strutture seicentesche, stupisce e affascina con nuove scoperte. Gli ambienti scavati pongono in evidenza le varie e successive trasformazioni, nelle varie epoche sia in età imperiale e sia in età neroniana.

DECUMANO
Lungo il percorso di un secondo decumano, dietro il tempio di Augusto, sono infatti venuti alla luce numerosi edifici, fra cui diversi horrea (depositi di grano) e tabernae (magazzini), percorsi da un imponente porticato con pilastri in opera laterizia, su dadi con base in piperno, realizzato in epoca neroniana su di una precedente e analoga struttura in opera reticolata di età augustea.

Notevole il pistrinum (panificio), con più ambienti destinati alla lavorazione del grano e alla produzione del pane; qui sono state rinvenute cinque macine in pietra lavica, perfetta, per resistenza e porosità, a macinare il grano.

Ad un livello più basso si aprono gli "ergastula", gli alloggi per gli schiavi, una serie di celle distribuite lungo un corridoio a quattro bracci, arieggiati solo da un canale di terracotta e caratterizzati dalla presenza di banconi in muratura utilizzati come giaciglio.

MACINA
Negli scavi è emersa una cucina di età tardo-repubblicana dotata di camino e di due banconi, statue di finissima fattura ellenistica, materiale ceramico ed l'arredo completo di una taberna, composto da lucerne, anfore, statuette di terracotta e vasellame vario.

Il complesso dei cinque criptoportici: a pianta rettangolare coperti con volte a botte, venne restaurato in età agustea e raccordato al decumanus maximus; in età imperiale tutti gli ambienti o cambiano destinazione o vengono sottoposti a trasformazione.

Tutto il complesso dei criptoportici è stato liberato, nel corso degli scavi, dal materiale di risulta che copriva letteralmente l'area, frutto principalmente dei lavori eseguiti, nel XVII secolo, per la costruzione del Vescovado e di altri edifici dell'epoca. Qui sono state rinvenute le splendide statue di Kore-Persefone e quella panneggiata di tipo Syon-House.



ANFITEATRO FLAVIO

L’Anfiteatro Flavio è una delle maggiori attrazioni turistiche di tutti i Campi Flegrei e fu edificato proprio a Pozzuoli, sotto Tito Flavio Vespasiano, sostituire l’anfiteatro costruito in precedenza, per riconoscenza agli abitanti di Pozzuoli che nella guerra civile si erano schierati a favore dell’imperatore- insieme agli uomini della base navale di Miseno, dove stazionava la potente “classis Misenensis”.

Vespasiano non riuscì probabilmente a vederne la conclusione, in quanto pare sia stato inaugurato dal figlio Tito.

Il luogo su cui venne edificato fu strategico, all'incrocio delle strade provenienti da Napoli, Capua e Cuma.

Attraverso le numerose iscrizioni ritrovate nelle sue gallerie sotto l’ambulacro esterno, si sa che l’Anfiteatro ospitava anche molte tabernae con commercianti ed artigiani, nonchè luoghi di culto.

Secondo la leggenda, qui si compirono i primi martirii dei cristiani e si decise il supplizio, poi inflitto alla Solfatara, di San Gennaro e dei suoi compagni nel 305 d.c.

Successivamente l'anfiteatro  fu abbandonato e semisepolto dal terreno alluvionale e dall’eruzione della Solfatara.

Nel Medioevo, quando ogni luogo pagano era divenuto indegno di rispetto, nè si aveva più il concetto di ciò che fosse arte, il monumento fu spogliato, privato di tutte le decorazioni marmoree e dei blocchi delle gradinate, utilizzandolo per giunta come magazzino agricolo.

Questa semisepoltura ha però salvato dalla totale distruzione e dal saccheggio i sotterranei dell’edificio, che sono arrivati intatti non solo nell'architettura ma nella foggia e nel funzionamento dei meccanismi degli spettacoli, soprattutto per ciò che riguarda il sollevamento al piano dell’arena delle gabbie delle fiere da combattimento.

Esplorato tra il 1839 ed il 1845, e ancora tra il 1880 ed il 1882, fu completamente liberato dai terreni che lo obliteravano solo nel 1947.


Descrizione

Secondo solo al Colosseo stesso ed all'anfiteatro di Capua, l'anfiteatro, a pianta ellittica, misura 147 x 117 m, mentre l’arena ha i due semiassi di 72,22 e 42,33 m. Nella sua cavea accoglie tre ordini di posti, divisi in cunei, capaci di ospitare fino a 20.000 persone.

Colpisce anzitutto l'eleganza e la leggerezza del susseguirsi incessante di arcate, che ingentilendone l'aspetto massiccio ne snellivano soprattutto il peso della pietra.

Scavando sono emersi anche snelle colonne scanalate, capitelli corinzi e alcuni fregi in marmo, scampati grazie ai cataclismi.

Gli spettacoli che vi si svolgevano erano principalmente lotte di gladiatori, per i quali, nei sotterranei della struttura, sono tuttora visibili gli ingranaggi per sollevare le gabbie con le belve sull'arena.

Non mancavano però le parate militari, gli eventi politici, militari e celebrativi.



PISCINA LUSCIANO

Nella Villa Avellino, polmone verde di Pozzuoli e parco archeologico di gran pregio, accoglie un complesso edilizio settecentesco nelle cui fondamenta è inglobata una cisterna romana, la cosiddetta «piscina Lusciano», il cui nome deriva da una famiglia patrizia.

La cisterna, della II metà del I secolo d.c., era un bacino di smistamento delle acque per gli edifici della zona.

Gli eredi Lusciano la vendettero nel 1836 all'archeologo Francesco Maria Avellino e nel 1980 il giardino è passato di proprietà del Comune di Pozzuoli.

“Le Centocamerelle” è anch'essa una grande cisterna (50x20m), organizzata in una serie di piccoli ambienti tra loro comunicanti, realizzati in opera reticolata e rivestiti di cocciopesto.

Oggi l'accesso agli interni della «piscina» e alle sue «Cento camerelle» (sullo stile di quelle della più nota cisterna che si trova a Bacoli) è purtroppo interdetto e il degrado regna sovrano.



I REPERTI

Gli scavi a Pozzuoli hanno riportato alla luce dodici sculture: teste, busti e frammenti, tutti di età romana, probabilmente dell´età giulio-claudia. Tra gli oggetti più preziosi, la testa dell´imperatore Tito cinta di alloro e la Gorgone, tutti nell'area compresa fra i due decumani.

L´imperatore Tito ha il capo cinto d´alloro. Il naso, la fronte ed il mento sono danneggiati, ma i tratti del viso sono ben riconoscibili. E' stato ritrovato a Rione Terra in un cunicolo idrico. Accanto un´amazzone, la Gorgone, e altri due patrizi romani. Dodici sculture in tutto, teste maschili e femminili, busti panneggiati e frammenti decorativi di strutture architettoniche.

I materiali ritrovati provengono, con ogni probabilità, da più di un edificio monumentale, da un insieme archtettonico, in parte d´età repubblicana, cui vennero almeno parzialmente sottratti  zoccolature, cornici, colonne, lastre di rivestimento, capitelli, pavimenti ed antefisse, una delle quali rappresenta la Gorgone. 

E poi iscrizioni, altorilievi, frammenti di statue equestri e gruppi. Se una delle teste maschili è di età tardo repubblicana, quelle femminili sono un´amazzone e di un´imperatrice di tarda età giulio-claudia.

Il contesto dei ritrovamenti comprende, sul lato Nord del decumano di via Villanova, un ambiente quadrato con varie ristrutturazioni da cui parte una rampa con gradini rivestiti di cocciopesto che conduce a cunicoli ipogei destinati a raccogliere le acque che giungevano dalla piazza del foro. Poi cancellati con una colmata di macerie, frammenti architettonici e sculture mischiati alla terra, gli ipogei ora scavati stanno restituendo reperti e fregi preziosi.



SUL FONDO DEL MARE

Le immersioni nel Parco Archeologico di Baia sono fantastiche. In pochi metri d'acqua si  scoprono strutture romane sommerse costituite da colonne, perimetrali di mura, anfore, splendidi mosaici e tutto quanto potete immaginare costituiva una villa all'epoca dei romani, ma pure massi crollati e navi affondate col loro prezioso carico.

NAVE ROMANA
I resti di un’opera muraria, rilevati nei fondali della collina del Castello Aragonese, emergono con una particolare struttura dalla forma geometrica a semicerchio, che richiamano lun antico teatro romano d’età imperiale.

La struttura, che si trova a pochi metri di profondità, è rivolta in direzione sud-est ed era capace di ospitare fino a 5.000 spettatori. Gli spalti, sfruttando la naturale conformazione del terreno, degradavano dolcemente dalla collina verso il mare. Stilisticamente il manufatto mostra una perfetta ed inalterata forma semicircolare interrotta da una murazione, forse utlizzata come fondale.

Si pensa trattarsi del famoso Teatro di Cesare, parte di un più ampio complesso residenziale definito Villa di Cesare (a conferma di quanto sostiene Tacito secondo il quale la villa di Cesare era posta su di un’altura dominante il golfo di Baia) successivamente inglobato nell’attuale fortezza Aragonese.

Un grandiosa villa romana dunque i cui resti e il suo teatro si conservano inalterati ancora nelle profondità del mare.



BAIA E BACOLI

Sul versante occidentale del Golfo di Pozzuoli si trovano i resti di due importanti insediamenti antichi, Baia e Bacoli, località di villeggiatura dei patrizi romani che qui costruirono splendide ville costiere. Nel Parco Archeologico di Baia sono visibili strutture che si riferiscono alle costruzioni terrazzate della collina e della prima fascia costiera, mentre la rimanente parte dell'antica città si trova sotto il livello del mare, essendo sprofondata a causa di fenomeni bradisismici.

Accanto all'architettura della prima età augustea del cosiddetto tempio di Mercurio si trovano la volta a padiglione, tipica dell'età adrianea, del cosiddetto tempio di Venere e le ultime costruzioni di Alessandro Severo. Dal Castello di Baia, eretto nel '400 dagli aragonesi sui resti di una villa romana, si gode un fantastico panorama sul golfo. Oggi è sede del Museo Archeologico dei Campi Flegrei.

Dell'antica Bacoli sono visibili oggi i resti delle Cento Camerelle, della Piscina Mirabile e del cosiddetto Sepolcro di Agrippina. Nell'età augustea Bacoli diventò addirittura il principale avamposto militare e capitale elettiva della politica, della cultura e della mondanità insieme alla vicina Baia.



NECROPOLI ROMANA

La necropoli di Pozzuoli, per la quantità e lo stato di conservazione delle sue tombe, è una delle più importanti, anche se poco conosciuta nel mondo romano.

Alle porte dell’antica Puteoli, sorgono i resti grandiosi dei monumenti sepolcrali che si snodano anche per notevole lunghezza.

I complessi più grandiosi si incontrano in via Celle, via Campana e S. Vito.


PORTO DI PUTEOLI

Oggi non resta praticamente più nulla del molo antico, poichè le strutture sono state coperte da quelle moderne.

Tuttavia ce lo mostrano diverse raffigurazioni come quelle delle fiaschette tardo-antiche sulle quali il molo è ben riconoscibile, sostenuto da una serie di arcate e monumentalizzato da colonne onorarie ed un arco trionfale con quadrighe trainate da Tritoni e Ippocampi.

Alle due estremità della banchina erano archi onorari, uno dei quali dedicato ad Antonino Pio per i restauri dalla mareggiata che aveva danneggiato il porto. Sempre sul molo si trovavano le colonne coronate dalle statue dei Dioscuri, protettori dei naviganti. L'antica Ripa (ovest rispetto al molo), è sommersa dal mare a causa del bradisismo con l'area uburbana compresa tra il Porto Giulio e la zona commerciale, di cui ora si conserva il solo Macellum.

DESCRIZIONE

Ai piedi dell’attuale Rione Terra il porto si divideva in due parti: a sud, i bacini, dove ancora oggi con mare calmo e limpido si intravedono i resti sommersi di una doppia fila di pilae che dovevano servire da strutture frangiflutti e, a nord, lo scalo vero e proprio, l’emporium (costituito da magazzini per lo stoccaggio, i mercati e le taverne), delimitato dal mare aperto e protetto contro i venti di scirocco dal cosiddetto molo “caligoliano”.

Lo scalo comprendeva quindici pilastri (pilae) in opera a getto cementata con la pozzolana di mattoni e tufelli, o solo tufo e cementizio collegati da arcate con gli archivolti di mattoni grandi; la larghezza del molo era di circa 15 metri e la lunghezza di 372 metri. Sul mare un arco di trionfo e forse un faro, o almeno così era rappresentato nelle immagini antiche.


TERME DI NETTUNO

Da via Nicola Terracciano, vicino all’Anfiteatro, un viottolo porta alla proprietà privata nella quale si trovano i resti monumentali del Tempio di Nettuno, in realtà un grandioso complesso termale del II sec. d.c., utilizzato e restaurato fino al IV secolo. Oggi è visibile la parte alta del complesso, disposto su più livelli, ed in particolare sono perfettamente visibili gli ambienti del frigidarium.

Le "Terme di Nettuno" erano conosciute erroneamente come "Tempio di Nettuno". In realtà i magnifici resti riguardano un grandioso complesso termale, il più grande e monumentale dell'antica Puteoli.

Disposte su più livelli lungo il pendìo piuttosto ripido della collina, le terme hanno il fronte rivolto al porto, in modo che il viaggiatore che veniva dal mare veniva quasi accecato da questa smagliante e abbagliante snodarsi di marmi lungo la collina.

L'impianto, eretto nella prima metà del II sec. d.c., come dimostrano i bolli adrianei rinvenuti in loco,  in epoche successivevenne ripetutamente restaurato fino al IV sec. d.c., il che ne dimostra l'uso continuato.

La pianta delle terme era la consueta, con la successione calidarium-tepidarium-frigidarium-natatio. Attualmente sono per la maggior parte interrate; i resti, in proprietà Lubrano, riguardano  i livelli superiori e la parte posteriore dell'edificio, relativa all'area del frigidarium. Le due massicce cortine murarie, lunghe m. 60 e alte m. 16 ca., appartengono alla parete di fondo di questo.

La sala era chiusa al centro da una grande abside, con ai lati numerose nicchie, che sicuramente accoglievano statue e vasi, oltre a fregi e archi di passaggio.
Entrati nell'area del frigidarium, si scorgono i resti di una serie di ambienti disposti sui due lati dell'abside, con volte alternate a botte e a crociera e con preziose decorazioni musive.

Dall'attuale livello di calpestio, lungo i muri, sporgono le sommità di arcate e volte degli ambienti sottostanti. Le strutture a valle, relative agli ambienti caldi, non sono visitabili in quanto coperte da strutture moderne o danneggiate da crolli.
L'ignoranza e spesso l'ingordigia distruggono molto più dei millenni.

All'interno del civico 102 di via Pergolesi si possono ancora osservare, in discreto stato di conservazione, ma difficili da visitare, i praefurnia. Il forte dislivello tra questi resti e quelli di via Terracciano fa comprendere l'estensione delle terme e dei salti di quota esistenti fra le terrazze su cui si snodavano.

La pianta e i percorsi interni si ispirano al modello romano dele terme di Tito e anche alle Terme di Traiano, rispettandone i canoni dell'architettura termale di II-III secolo, ma pure l'impatto scenografico.



TEMPIO DI SERAPIDE

E' uno dei più noti monumenti di tutto il mondo antico, impropriamente ritenuto tempio di Serapide, essendo in realtà un macellum, cioè un mercato.

Invaso e sommerso dalle acque termominerali che scaturiscono dal sottosuolo presso il litorale, poi utilizzate in epoca medievale a fini terapeutici, e chiamate Balneum Cantarellus', ha costituto per alcuni secoli l'indice metrico più preciso che si aveva a disposizione per misurare il fenomeno del bradisismo.

Tre delle quattro grandi colonne di marmo cipollino che ancora fronteggiano, ancora erette sulle loro basi, la sala absidata al centro della parete di fondo, servivano come strumento di misurazione a causa di un particolare fenomeno.

Sul loro fusto, i fori dei litodomi, piccoli molluschi che vivono a pelo d'acqua, detti volgarmente "datteri di mare", segnano il livello più alto a cui è giunta in passato l'acqua del mare (m. 6,50 ca.).

Grazie al fenomeno si sa che la sua massima sommersione marina avvenne in epoca medievale, quando, nel X sec., il monumento era superiormente sommerso dalle acque solo parzialmente. Dalla seconda crisi bradisismica e dell'intensa attività sismica del 1983, attualmente esso risulta ad una quota superiore rispetto al livello del mare, per cui non è più sommerso e non più utilizzabile per misurare il bradisismo. Ovviamente oggi vi sono metodi più innovativi per questo.


Descrizione

L' edificio è stato ritenuto impropriamente un "Tempio di Serapide" per il rinvenimento di una statua del Dio egizio all'epoca dei primi scavi. Invece trattavasi di un Macellum, cioè il mercato pubblico della città romana. E' un cortile a pianta quadrata circondato da un porticato sul quale si affacciano le botteghe che si aprono alternativamente ora verso l'interno ora verso l'esterno; due latrine pubbliche sono dislocate ai lati dell'abside di fondo, mentre resti di scale che conducevano al piano superiore del porticato si conservano ai lati dell'ingresso monumentale che si apriva verso il porto.

Al centro del cortile vi sono i resti di una costruzione circolare sopraelevata,  completamente circondata all'epoca da colonne, e sicuramente coperta da una cupola o da un tetto conico. Le colonne rimaste in piedi testimoniano che l'edificio doveva avere una notevole altezza. S podio si poteva salire con quattro scalinate disposte a croce. Al centro del podio sono stati rinvenuti resti di condutture per una fontana, e si ipotizza che fosse destinato al mercato del pesce.

L'edificio è simile ad altri mercati di epoca romana che ancora si conservano in tutta l'area mediterranea (Pompei, Morgantina, ecc.), ma quello di Pozzuoli è il più ricco e monumentale.

Tutto l'edificio ricorda nella pianta altri mercati di città antiche, come quelli di Roma, Timgrad, Djemila, Perge e Cremna, ma il Macellum di Pozzuoli resta uno dei più grandiosi ed integri, grazie appunto alla sommersione bradisismica che nei secoli passati lo ha preservato dal saccheggio. La presenza della statua di Serapide al suo interno, fa pensare che il Macellum gli fosse stato dedicato, magari anche ad Iside, con cui il dio era solitamente connesso.



NINFEO DI DIANA

Di fronte alle Terme di Nettuno, alle spalle del n. civico 21 di via Terracciano, sono visibili gli imponenti ruderi del Ninfeo detto di Diana per il ritrovamento in questo luogo di una statua della Dea.
Il ninfeo è probabilmente connesso alle vicine Terme, del II-III secolo d.c., con ll'interno circolare e la parte esterna rettangolare. Oggi si conserva poco dell’originaria struttura e gli elementi decorativi si trovano nel Lapidario.

Rimasto sempre in vista, costituì uno degli elementi caratteristici del paesaggio puteolano, oggetto di numerose raffigurazioni di incisori e vedutisti, dalle quali risulta la sua precoce rovina e l'incuria indifferente dei governanti.
Il ninfeo, costruito in opera laterizia, presentava il perimetro esterno rettangolare con il lato breve, in cui si apriva l'ingresso, concavo. La sala interna, a pianta circolare, era illuminata da ampi finestroni. Ben conservati risultano oggi solo il basamento circolare e parte dell'alzato con evidenti restauri moderni.

Nel 1922, uno scavo condotto nei pressi portò alla luce i resti di un tempietto prostilo, a quattro colonne, della stessa epoca del ninfeo. Parte della ricca decorazione architettonica (architrave, capitelli ecc. ) è visibile nel lapidario dell'Anfiteatro Maggiore.



CISTERNE

Sono giunte fino ai nostri giorni alcune grandi cisterne dell’antica Puteoli, a testimonianza del sistema di approvvigionamento idrico, che partiva dal collegamento con l’acquedotto del Serino, realizzato sotto Augusto.



PISCINA CARDITO

All’inizio di via Vecchia San Gennaro, in una proprietà privata, si trova la Piscina Cardito, così chiamata dal nome del principe nel cui terreno si trovava.

La cisterna faceva parte del  rifornimento idrico nell’area dei Campi Flegrei e serviva per l’approvvigionamento degli edifici pubblici vicini (gli Anfiteatri, il Foro, le Terme, ecc.).

La Piscina è una grande vasca rettangolare del II secolo d.c., divisa da 30 pilastri a sostegno delle volte. Dalle descrizioni, ancora nel secolo scorso, quest’ultima era collegata ad una serie di 14 vasconi oggi non conservati. L’interno della cisterna è diviso da banconi che, inglobando la parte bassa dei pilastri, suddividono l’ambiente in tre spazi minori; tra i pilastri della fila centrale è, inoltre, visibile un allineamento di pozzi, successivamente allargati.



STADIO DI PUTEOLI

Lo stadio si trovava fuori dell’abitato, sull’antica Via Domitiana, su un terrazzamento in vista del mare: la struttura, molto grande, fu costruita per lo svolgimento degli Eusebeia, giochi quinquennali istituiti dall’imperatore Antonino Pio in memoria di Adriano. Dell’antico monumento rimane visibile ben poco, tratti di murature inglobati in proprietà private e resti di gradinate, ma una serie di indagini archeologiche sono attualmente in corso.



VILLA DI CICERONE

Nell’odierna via Luciano (corrispondente ad un tratto della via Domitiana), sull’ampia terrazza naturale rivolta verso il Golfo, giacciono diversi resti di strutture antiche. Due sono i complessi edilizi di appartenenza, uno termale, datato al II secolo d.c. e posto a quota inferiore, mentre l’altro residenziale della fine del I.
Vicino allo stadio si trovano una serie di ambienti voltati, riconosciuti come basis villae di un complesso residenziale, collegato a sua volta con un grande mausoleo dalla volta a crociera. Comunemente queste strutture sono nominate villa di Cicerone per la notizia, tratta dalle fonti letterarie, di una sua proprietà, vicina allo stadio, ereditata dall’amico Cluvio nel 45 a.c. e lasciata poi a sua volta al liberto Marco Tullio Tirone. Nella villa appartenuta a Cicerone sappiamo che era stato temporaneamente sepolto l’imperatore Adriano, morto a Baia nel 138 d.c. (per i giochi in suo onore venne realizzato lo Stadio).


Affreschi scoperti presso la Villa di Cicerone

Nelle vicinanze dei ruderi conosciuti col nome di villa di Cicerone, alquanto più lontano da Pozzuoli, quasi in cima alla collina, sistemandosi il fronte della rupe, che minacciava franare sulla sottoposta ferrovia cumana, sonosi scoperte alcune fabbriche di epoca romana, delle quali rilevai pure la pianta. La muratura in generale è ridotta in pessimo stato per forti pressioni avute dalle terre che la coprivano da tutti i lati ed anche da sopra; e la parte che corrispondeva verso l'esterno ora già da gran tempo caduta, trascinata dal franamento continuo del terreno. Volgendo le spalle al mare e guardando le stanze antiche, esse si presentano nel modo seguente.

La I, a destra, larga m. 1,30, era bislunga, nell'angolo di fronte; a destra è una tubulatura di argilla; le mura, di opera reticolata, sono attualmente prive di intonaco, ed il pavimento è formato da un battuto di mattone pesto. La II camera è lunga m. 4,G5, lunga 3,05, e sul lato a destra ha un'ampia nicchia quasi circolare. Il pavimento era di quadrelli rettangolari di marmo bianco, di m. 0,25 X 0,35, chiusi entro piccole zone di rosso antico; e poggiava su pilastrini laterizi. Le mura, sulle quali scorgonsi pochi avanzi di stucco a fondo bianco, erano mischiate di opera laterizia e reticolata, e nel piede di esse restano ancora le tracce dello zoccolo di marmo bianco. Finalmente la parte dei muri che corrisponde all'altezza delle suspensuraé, era rivestita da intonaco di mattoni pesti e calce.

La III camera è larga m. 6,50, lunga oltre m. 7. Sul muro di fronte, apresi un vano con arco a sesto depresso, formato da cunei di pezzetti di tufo. Sul muro a sinistra è una nicchia rettangolare, larga m. 1,80, profonda m. 0,80, coperta da una piattabanda in mattoni. Avanti a questa nicchia è im'altra camera, che era unita alla prima, e che probabilmente nel lato di ingresso, invece di muro, doveva avere delle colonne, una delle quali, di marmo bianco, del diametro di m. 0,45, e ra. 2,95 di altezza, si è rinvenuta rovesciata sul suolo. Questa ipotesi è confermata da un pilastro in mattoni che scorgesi risaltato lateralmente all'ingresso; inoltre dal fatto che si rinvenne, in linea del detto risalto, una base marmorea, che per le dimensioni può ritenersi avere appartenuto alla colonna suddetta. Le mura sono, o interamente laterizie o di tufo, in opera reticolata od isodoma. Il pavimento è di musaici, senza speciali disegni, ed era sorretto da sospensurae. Le mura erano rivestite di stucco, attualmente quasi tutto caduto, ma che al momento della scoperta conservavasi ancora; per cui posso darne un'esatta descrizione.

Il fondo della decorazione di entrambe le camere, era bianco e diviso in riquadri per mezzo di fascioline di fiori e foglie graziosamente  intrecciati. La parete, ove esiste il vano arcuato, era divisa in cinque rettangoli, dei quali i due angolari erano di minore larghezza, perchè i riquadri si completavano dopo aver girato sui muri adiacenti. Nel rattangolo centrale era dipinto un albero con poche figure umane in vari atteggiamenti, al piede di esso. In ciascuno dei due immediatamente vicini, era una coppia di uccelli che beccavano; nel riquadro a sin. delle ciliegie, ed in quello a destra delle more. Nei due angolari, alcuni pochi fiori. Nel fondo della nicchia rettangolare era un quadro, abbastanza sciupato dal tempo che si è potuto distaccare. È lungo m. 1,32, alto 0,83, cinto da fascioline rosse, e rappresenta una marina.

Il cielo è diviso dall'acqua per tutta la lunghezza del quadro per mezzo di una fascia rossiccia. Sul lato, a sin. è un tempio circolare, il cui tetto è sostenuto da sei colonne. Nel mezzo del tempio è la statua della divinità, coperta da lunga veste, con l'elmo sul capo, e stringente nella destra una lunga asta. Delle ghirlande pendono in alto, fra le colonne, ed a ridosso di una di esse è sospeso uno scudo ed una spada. Esternamente, a sin. è una figura virile in piedi, che porta sul capo un oggetto rotondo (forse uno scudo) sostenendolo con una mano, mentre con l'altra impugna un' asta corta (forse una spada).
Un giardino occupa lo spazio che resta tra il tempio e la cornice che chiude il quadro. Dalla destra del tempio, diagonalmente al quadro, parte una bassa costruzione coperta da tetto pensile, sul mare, e sotto veggonsi due archi, forse pel passaggio delle barche. Di queste se ne veggono due a vari remi, una più innanzi, con parecchie persone sedute e con la prua alta e graziosamente ripiegata dalla parte interna. L'altra, più lontana, quasi simile alla prima. Sul davanti che rappresenta il lido, restano tracce di personaggi in vari atteggiamenti.

Tanto la soffitta che i laterali della nicchia, sono decorati con pitture puramente ornamentali. Accanto a questa camera havvi un forzo compreso con vari usci corrispondenti a camere ancora sepolte, nel quale sono pilastri isolati, che ne distaccano una specie di portico. Il pavimento è di mattoni pesti, leggermente inclinato verso l'esterno, e farebbe supporre un atrio. Le fabbriche descritte, che certamente appartenevano ad una ferma, sono sovrapposte ad altre tutte coperte da volte a botte, apparenti sul fronte della rupe; e di esse, quella che regge la camera più grande, con le sospensurae è sorretta nel mezzo da un muro trasversale per sgravare la volta del forte peso di sopraccarico.



Dì un'epigrafe dedicatoria ad Adriano.

Nello scorso mese di decembre (cf. Nolisie 1889, p. 403) in Pozzuoli, presso il gazometro dello stabilimento Armstrong, venne estratto dal mare, alla distanza di circa m. 25 dall'attuale lido, un piedistallo marmoreo, alto m. 1,50, largo m. 0,78, e grosso m. 0,08, danneggiato dall'azione dell'acqua marina che ne ha corroso assai la superficie. Esso reca la seguente epigrafe inquadrata da cornice :
NEPOT- TRAIANO
HADRIANO • AVG
FON TIF • MAXIMO
TRIB • FOT • V • COS • III
INQ_yiLINI • VICI
LA R T I D I A N I
Nello zoccolo, scudi e loriche a bassorilievo. Tutta la importanza di questa epigrafe sta nel dato topografico [inqiuilni vici Lartidiani), pel quale essa forma gruppo con le altre due puteolane, poste a Mavorzio l'una dalla Regio Portae Trionfalis {C. I. L. X, n. 1695) e l'altra della Regio Clivi Viiriari sive vici Tiirari {Notizie 1885, p. 393 sg.). Il Mommsen attribuisce a Puteoli e non a Neapolis l'iscrizione posta all'imperatore Domiziano dalla Regio vici Vestoriani et Calpurniani, parendogli poco probabile Neajtolitaaos sub Flaviis Latino sermone mas esse: ora tale opinione, che io già dissi rafforzata dal confronto con la indicazione topografica della più recente epigrafe di Mavorzio {Notizie cit. p. 394), vien ribadita dalla menzione di un vicum Lartulianm nel titolo ora scoperto.
Se non che, mentre la regio portae thriumphalis e la clivi vilriari sive vici turari accennano al costume di adottare nelle colonie le indicazioni topografiche della capitale (cfr. Notizie 1. e), la regio vici Vestoriani et Calpitniiani ed il nostro vicus Lartidianus desumono la loro denominazione da nomi di famiglie. Ma, se i Vestorii e i Calpiirnii sono famiglie puteolane ben note (cfr. Beloch, 1. e), non può dirsi lo stesso dei Lartidii. Una Lartidia ricorre in un cippo marmoreo, rotto in pezzi, già esistente in Bacoli e trasportato, or son tre anni, nella raccolta epigrafica di questo Museo Nazionale.
E poiché il Mommsen al n. 2949 dichiara che dcscripsit imperfeclo festinam, e sotto il n. 819o ne dà un sol frammento sulla copia di C. Stornaiuolo, giova qui ripubblicare l'epigrafe, che per la grande corrosione del marmo è di non facile lezione.
D • M ■ S
L-SePTIMIO FÉ
LARIO QVI • VIXi7
ANNIS ■ LXX M II
D-XII- LARTIDIA
CONIV///X FELU-
FILIVS F///////////
LIA-ETLARTIVS
FILI • BENEMER
ENTI FECIT
Nondimeno la Lartidia fu una cospicua famiglia campana, probabilmente di Nola, e un M. Vareno Difilo, liberto di M. Lartidio, dedicò ad Ercole in Tivoli una mensa ponderarla (cfr. Notizie 1883. p. 86).

Che per vicus Lartidiamis debba intendersi non un borgo, ma una delle regioni, nelle quali era divisa l'antica Puleoli, lo dimostra il confronto della Regio vici larari nella più recente epigrafe di Mavorzio, e lo conferma il fatto materiale della distanza del sito, ove la nostra iscrizione fu rinvenuta, dal così detto tempio di Serapidc, dal quale è lontano, seguendo l'attuale strada provinciale, lu. 740 all'incirca. Dunque il vicus Lari Ulianus doveva trovarsi nella parte bassa dell'antica Puteoli, nell'emporium propriamente detto, frequentato ed abitato da gente di ogni paese: così si spiega il perchè la iscrizione parli non di municìpes nè di vcolae, ma di inquilini vici Lartidiani. Che poi il nostro piedistallo, al pari di altre scritte già note, sia stato estratto dal mare, ciò si deve esclusivamente al fenomeno tellurico, del quale il Serapeo offre l'esempio tipico.



SOLFATARA DI POZZUOLI

Conosciutissima durante l'epoca imperiale romana, come misteriosa porta degli inferi, è descritta da Strabone, nel suo Strabonis geographica, come la dimora del Dio Vulcano, appunto ingresso per gli Inferi, o Forum Vulcani.

Ne parla anche Plinio il Vecchio come Fontes Leucogei per le acque alluminose e biancastre che sgorgano ancora tutt'oggi.

All'epoca era utilizzata per l'estrazione del prezioso bianchetto, utilizzato come stucco, che poteva essere estratto dietro un pagamento di 20.000 sesterzi.

Recenti scavi hanno riportato alla luce una strada basolata romana a valle della Solfatara, la via Puteolis-Neapolim, che hanno messo in luce una necropoli del I sec.


BIBLIO

- P. A. Paoli, Antiquitatum Puteolis, Cumis, Baiis existentium reliquiae, Napoli 1768
- Raimondo Annecchino, Storia di Pozzuoli e della zona flegrea, a cura di comune di Pozzuoli, Pozzuoli, Arti Grafiche D. Conte, 1960
- V. Spinazzola, La base puteolana di Pozzuoli, in Atti Accad. Napoli, 1903
- Ch. Dubois, Pouzzoles antique; histoire et topographie, Parigi 1907
- O. Baldacci - I termini della regione nel corso della storia - in «Storia e civiltà della Campania. L'Evo antico» - Napoli - 1991 -



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