TRIOPIO DI ERODE ATTICO - PARCO DELLA CAFFARELLA



NINFEO DI EGERIA
RODOLFO LANCIANI

Triopium Herodis Attici

"Ricordo di scavi al terzo miglio dell'Appia, in territorio di Capo di Bove, dai quali vennero in luce le due colonne che decoravano l'ingresso del Triopio. Rimasero sul posto per molti anni. Il card. Alessandro le fece trasportare alla Farnesina."



ERODE ATTICO SENIOR

Si sa che il padre di Erode Attico divenne improvvisamente ricchissimo trovando per caso nella sua proprietà un immenso tesoro sepolto, in qualità di uomo fidatissimo di Nerva, ne dette comunicazione all'imperatore che lo invitò a tenerselo. Non tranquillizzato Erode avvertì l'imperatore dell'immensa consistenza del tesoro che andava molto più in là dei suoi bisogni e l'imperatore rispose: "Allora dissipa".

ERODE ATTICO

ERODE ATTICO IUNIOR

Ma Erode non fece in tempo a dissiparlo perchè lo ereditò Erode Attico figlio, che diventò famoso costruendo grandiose opere pubbliche, soprattutto in Asia minore e ad Atene, dove ancora oggi si ammirano lo stadio delle Olimpiadi e l'Odeon sotto l'Acropoli; ma si debbono a lui lavori a Canosa di Puglia e pure a Roma.

Questi sposò Annia Regilla, discendente dall'antica famiglia del famoso Attilio Regolo morto durante la I guerra punica, che gli portò in dote al marito un vasto fondo lungo il III miglio della via Appia. Quando la moglie morì, nel 160, Erode fu accusato dal cognato di averla uccisa, e subì per questo un processo. Ne uscì assolto, soprattutto per intercessione dell'imperatore, ma l'opinione pubblica ritenne che avesse corrotto i giudici.

PARCO DELLA CAFFARELLA (INGRANDIBILE)
Così Erode per smentire l'accusa si mostrò addolorato fuori misura della perdita della moglie. Erode  fece dipingere di nero la casa, regalò i gioielli della moglie ai templi, e ristrutturò tutto il fondo della moglie, che chiamò Triopio in ricordo del famoso santuario di Demetra a Cnido in Asia minore.

Il Triopio comprende: la villa di Erode, il pago Tropio, la cisterna piccola, la cisterna grande, il pago triopio, il colombario ipogeo, Chiesa di S. Urbano, Ninfeo di Egeria. Esso fu poi inglobato nella residenza suburbana dell’imperatore Massenzio costruita nel IV sec. d.c..

La valle, pur suddivisa in diversi appezzamenti, continuò ad essere coltivata fino agli inizi del XV secolo, quando l'insalubrità del fondovalle, il timore di briganti e di invasori, ed il generale progressivo spopolamento della campagna romana, determinarono l'abbandono delle attività agricole.

NUMA POMPILIO E LA NINFA EGERIA

LA VILLA DI ERODE

Questa sorge sulla base della collina verso via dell'Almone; dove resta un angolo di stanza coperto con una volta a botte, costruito in calcestruzzo e scaglie di selce; il paramento, vagamente in opus incertum e la volta sono restauri medievali.

La struttura sosteneva un ampio terrazzamento, su cui probabilmente sorgeva il grande palazzo di Erode Attico. In cima alla collina si vedono invece solo due costruzioni rettangolari, costruite l'una da muri di grosse scaglie di selce e l'altra da muri di scaglie di tufo, entrambi con poca malta, sicuramente costruzioni successive e abbandonate all'incuria.

Tutt'intorno giace abbandonato un vasto materiale archeologico: blocchetti di tufo a rombo, mattoni triangolari, tegole, basoli, selci, blocchi di travertino, lastrine di opus sectile marmoreum, tessere di mosaico, frammenti di intonaco colorato di rosso, azzurro o bianco, tutti resti del sontuoso palazzo ormai scomparso.

CISTERNA ROMANA

IL PAGO TRIOPIO

Il "Pago Triopio" occupava l'area compresa tra la chiesa del Quo Vadis e via dell'Almone e vi sono state rinvenute cinque cariatidi (4 intere e una con la sola testa), al tempo di papa Sisto V, che formavano un breve portico alla villa di Erode. Oggi le cariatidi sono una ai Musei Vaticani (nel Braccio Nuovo), una al British Museum e le altre a villa Albani.

Ma qui sono emerse anche le interessantissime "iscrizioni triopee".
Le prime due iscrizioni sono scolpite su grandi colonne di marmo cipollino (ora al Museo Nazionale di Napoli) e citano: 
"Non è permesso ad alcuno di portarle via dal Triopio, che è situato al III [miglio] della via Appia, nel possedimento di Erode. Chi le rimuoverà non ne riceverà certo vantaggio. Ne è testimone la dea infernale (Hecate) e le colonne che sono dono a Cerere e a Proserpina e agli dei Mani e [a Regilla]."
Altre due iscrizioni (oggi al Louvre), scolpite su cippi di marmo pentelico, citano un lungo panegirico in versi, composto dal poeta e amico di Erode Marcello Sideta; una copia delle due colonne si trova a villa Borghese.

Nella quinta iscrizione, su una colonna di marmo collocata originariamente all'ingresso del Triopio e ora ai Musei Capitolini, è scritto, in latino e in greco: "Annia Regilla, moglie di Erode Attico, luce della casa, alla quale appartennero questi beni".
Le iscrizioni citano campi di grano, olivi, vigne, prati, una stazione di polizia, il campo sacro a Nemesi e Minerva, il parco, il villaggio colonico (presso la tomba di Cecilia Metella) e, nel luogo in cui successivamente fu costruito il Palazzo di Massenzio, la villa residenziale. 

Viene citato poi un tempio dedicato a Cerere e a Faustina (moglie dell'imperatore Antonino Pio, da poco morta e divinizzata), al cui interno Erode collocò la statua della moglie; il tempio, tuttora esistente, venne trasformato in chiesa dedicato a Sant'Urbano, posta stranamente in un luogo totalmente isolato.



LA CISTERNA  - di fronte al Circo di Massenzio allora non ancora esistente

Al di là di via Appia Pignatelli si incontra la parete di una cisterna, costruita in calcestruzzo e scaglie di tufo; il lato esterno è senza paramento, mentre il lato interno è rivestito in laterizio giallo su cui aderisce, al posto del solito intonaco, un grosso strato di coccio pesto.

LA CISTERNA GRANDE
LA GRANDE CISTERNA di fronte a S. Urbano


Di fronte alla chiesa di S.Urbano si incontra una grossa cisterna per l'irrigazione del fondovalle, stranamente rettangolare all'esterno, di 21,4 x 8,6 m, mentre all'interno ha le pareti corte a forma di semicerchio; ha la volta, gettata su una cèntina di tavole (l'armatura in legno che si fa per montare archi o volte), con due spioventi che formano un angolo quasi retto; sopra la volta il tetto era piano, ma vi fu costruito in un secondo tempo un muro perimetrale eseguito in modo imperfetto.

Il pavimento della cisterna è in cocciopesto, a malta e frammenti di mattoni, che costituiva uno strato impermeabile. Inoltre la muratura era in opus signinum con scaglie di selce e priva di paramento (muro di rivestimento esterno) con uno spessore di 60 cm, segno che la cisterna era incassata nel suolo. La sua datazione va dal 44 a.c. al 40 d.c., in epoca imperiale.



IL COLOMBARIO IPOGEO

La piccola valle che dalla cisterna scende verso l'Almone comprende un piccolo colombario in opera listata, con nicchie per le olle cinerarie e loculi per piccoli sarcofagi, tutti decorati con motivi floreali. Questo colombario, ora ricoperto, è stato scavato abusivamente nel dicembre 1990, ma già setacciato per secoli dai contadini della zona, che andavano a rivendere ai pellegrini gli oggetti più disparati, spacciando il più delle volte le ossa pagane come reliquie di qualche santo.
Il colombario era di 2,08 x 2,95 m; sono visibili tre pareti, di altezza 1,30 m; le pareti laterali presentano al centro un loculo per sarcofago, e su entrambi i lati due nicchie sovrapposte per le urne cinerarie; nella parete di fondo vi è un nicchione centrale; le nicchie e i loculi sono coperti da uno strato di intonaco di 1 cm di spessore, su cui sono dipinti dei fiori.

TEMPIO DI CERERE E FAUSTINA (S.URBANO)

CHIESA DI S. URBANO

Si tratta in realtà di un tempio romano, costruito intorno al 160 d.c., perfettamente conservato fin nelle tegole del tetto. L'eccezionale stato di conservazione si deve alla trasformazione in chiesa, per cui venne restaurato più volte, ma trovandosi fuori dalle Mura Aureliane, venne più volte profanata. L'acquisizione da parte del Comune di Roma è avvenuta finalmente nel 2001.

Gli studi più recenti vi riconoscono il tempio di Cerere e Faustina, che sorgeva all'interno del Triopio di Erode Attico; in origine su un podio di sette gradini, al centro di un grande terrazzamento rettangolare che costituiva, sopra la collinetta boscosa, una platea cinta di portici con varie costruzioni.

L'edificio, compresa la decorazione della parte alta della facciata (mensole, cornici, dentelli e ovoli), è tutto in laterizio, secondo l'uso tipico della metà del II sec. d.c., quando questo materiale andò di moda con vari virtuosismi.

Superati pochi gradini si entra in un piccolo atrio, utilizzato fino a pochi anni fa come abitazione del guardiano, che era un bene perchè evitava i vandalismi. Qui vi era collocata su un piedistallo una statua femminile (forse la dea Cerere), che però è stata rubata all'inizio degli anni '80.

Attraversato il sottoportico (in alto si riconosce lo stemma dei Barberini con le tre api) si entra in una grande stanza (la cella del tempio) che, contrariamente alle camere dei sepolcri a tempietto, è molto luminosa.

Qui, al posto dell'altare cristiano dovevano esserci le immagini delle due Dee a cui il tempio era dedicato, e probabilmente anche una statua di Annia Regilla. Questo luogo sacro era riservato al sacerdote, mentre i fedeli rimanevano fuori, davanti alla gradinata del tempio, dove c'era l'altare su cui venivano offerti i doni, animali o frutti della terra. Oggi la gradinata e i resti dell'altare non sono più visibili perché interrati.

Il tempio ha quattro colonne sul davanti con capitelli corinzi e architrave, tutto in marmo pentelico, un marmo bianco che proveniva dalla Grecia, e le cui miniere appartenevano allo stesso Erode Attico. Il muro fra le colonne è dovuto al restauro del 1634 quando nella facciata si era aperta una crepa, visibile ancor oggi, che minacciava di far crollare il tempio; dobbiamo quindi ricostruire con l'immaginazione lo spazio libero fra le colonne, e il sottoportico aperto.

Le decorazioni architettoniche della trabeazione sono anch'esse in cotto; la cornice sopra l'architrave è così composta: dentello-astragalo-ovolo-astragalo-dentello-listello; la cornice del timpano è così composta: dentello-astragalo-ovolo-dentello-astragalo-dentello-mensole-ovolo-dentello-astragalo-ovolo-astragalo-dentello-ovolo-listello. 

TEMPIO DI CERERE E FAUSTINA (S.URBANO)
La struttura architettonica interna appare ben conservata: le pareti sono divise in tre fasce orizzontali, di cui quella mediana presenta una serie di riquadri separati da pilastrini con capitelli corinzi in peperino; la fascia inferiore è liscia. Qui è ancora conservato un piccolo altare rotondo di marmo, rinvenuto nel giardino adiacente nel 1616, nel quale si legge un'iscrizione in greco dedicata a Dioniso (il dio Bacco); ciò fece supporre ad alcuni che il tempio fosse a lui dedicato.

L'interno presenta tre ordini: il primo è liscio; il centrale (su un poggiolo aggettante di archetti a piatta banda di pedali tra mense trapezoidali di tufo o travertino) è dato da riquadri chiusi da pilastrini con sopra capitelli corinzi in peperino; l'ordine superiore ha una fascia su una cornice di piattebande, con stucchi di trofei barbarici; la volta, a tutto sesto, ha tracce di stucchi ottagonali, e parte di una scena di sacrificio.

Il tetto, con volta a botte, era decorato da una serie di stucchi ottagonali e quadrati, contemporanei a quelli delle tombe dei Valeri e dei Pancrazi, con scenette e motivi floreali scolpiti a mano, a imitazione dei cassettoni in muratura.

Degli stucchi ottagonali è rimasto quello centrale, con due persone in rilievo, una delle quali, ben conservata, è una donna nobilmente vestita di un ampio "himation" (mantello drappeggiato che partendo da una spalla girava sulla schiena per tornare davanti) e da un chitone a cintura alta, nell'atto di compiere un sacrificio; si pensa fosse l'apoteosi di Annia Regilla, che dopo la morte ascende al cielo divinizzata.
Alla base della volta, sopra le pareti, si vede inoltre un fregio in stucco con armi, corazze e scudi, che esaltano il potere di Roma.

L'edificio, trasformato in luogo di culto cristiano forse già nel VI sec. d.c., fu dedicato al vescovo Sant'Urbano, il cui corpo era sepolto al quarto miglio della via Appia Antica, dove ancora oggi c'è un grosso rudere. 

Attraverso una piccola scala si scende nella cripta, costruita ad uso "Confessione", cioè il luogo sotto l'altare in cui si conservano le reliquie del santo (un buco indica il posto in cui esse erano custodite). Le pareti, che mostrano ancora i segni delle picconate, sono abbellite con pitture che imitano delle lastre di marmo.

NINFEO DI EGERIA

NINFEO DI EGERIA

Ai piedi della collina c'è il ninfeo di Egeria, una delle ninfe o Dee "Camene", legate alle acque e alle sorgenti, che ricambiavano le offerte di acqua e latte concedendo profezie; in genere esse accompagnavano eroi o personaggi importantissimi, così Egeria si legò a Roma unendosi a Numa Pompilio, il re sabino successore di Romolo.

Si narra che si incontrassero in questo luogo per parlare e fare l'amore; qui la ninfa ispirava il re nelle leggi e l'ordinamento religioso di Roma. La sorgente di Egeria era al primo miglio fuori le Mura Repubblicane, dove oggi inizia la Passeggiata Archeologica, alle pendici del Celio; lì infatti vi erano il laghetto e il bosco sacro alle Camene, con una grotta ancora esistente in età imperiale.

Ma gli studiosi del '600-'700 confondevano le Mura Repubblicane con le Mura Aureliane; così, calcolando un miglio a partire da porta S. Sebastiano, essi giunsero a questo ninfeo, al quale diedero erroneamente il nome di Egeria. Ma in realtà su questo ninfeo c'era anche una leggenda che la riconduceva alla ninfa, e nulla toglie che in questo secondo ninfeo venisse adorata anche Egeria.

L'edificio, restaurato del 1999, consta di una grande stanza rettangolare, con una nicchia nel fondo e tre nicchie più piccole in entrambe le pareti laterali, il tutto in "opus mixtum" di opera reticolata e laterizio, il che riporta la costruzione alla metà del II sec. d.c..

L'interno del ninfeo era coperto di marmi molto pregiati: le pareti erano di "verde antico" della Tessaglia (alcune tracce se ne vedono nell'angolo in fondo a sinistra), mentre il pavimento era di "serpentino", un porfido verde intenso proveniente sempre dalla Grecia (vicino Sparta).

Le nicchie (come si intravede nell'ultima nicchia a sinistra) erano di marmo bianco e, infine, tra le nicchie e la volta vi era una fascia decorata con mosaici. L'ambiente centrale ha la volta a botte, sulla quale aderiva uno strato di pietra pomice, per far attecchire il capelvenere e simulare una grotta naturale.

NINFEO DI EGERIA
Dalla nicchia di fondo, dove vi è una statua maschile coricata, probabilmente il Dio Almone, e da qui sgorga l'acqua della fontana, acqua proveniente da una sorgente acidula sotto via Appia Pignatelli, condotta fin qui tramite un acquedotto sotterraneo.

L'acqua, incanalata in tubature di terracotta lungo le pareti, formava giochi d'acqua nelle nicchie laterali in cui giacevano altre statue; inoltre l'umidità, condensando nella volta, creava uno stillicidio che, insieme alla ricca vegetazione che scendeva dall'alto, rendeva l'ambiente un antro mitico.

Ma spesso i ninfei delle ville romane presentavano giochi d'acqua, pareti di pomice e fontane molto basse dove ci si potevano bagnare solo i piedi, con fontane interne più alte che a volte scendevano come cascate.

All'esterno della grotta, l'acqua scorre creando una prima vasca rettangolare, forse un tempo circondata da un portico oggi scomparso. Poi l'acqua formava forse un altro grande bacino, per poi gettarsi nell'Almone. Questo laghetto, che le ricerche del 1998-1999 non hanno però ritrovato, si può forse identificare nel "lacus salutaris" che le fonti antiche ricordano a sinistra della via Appia Antica.

Nel '700 e '800 il ninfeo di Egeria fu meta ricercata per i viaggiatori del Grand Tour: Chateaubriand, Verri, Goethe, Andersen e Piranesi che hanno lasciato descrizioni e disegni della grotta. Anche i Romani frequentavano questo luogo dove c'era una tipica osteria fuori porta, come da alcune stampe d'epoca.

Tre lecci residui facevano parte del cosiddetto Bosco Sacro,  confusi col bosco sacro alle Camene; ma il boschetto, facente parte del Triopio di Erode Attico, sicuramente era dedicato a qualche divinità romana.

Nel novembre 1998 il Comitato per il Parco della Caffarella ha piantato alcuni lecci, nati dalle stesse ghiande del leccio più anziano, per ricostituire il boschetto originale: l'unico bosco sacro di cui la tradizione ci dia ininterrottamente notizia sin dal tempo degli antichi Romani. L'anno successivo il Comune di Roma ha ricostituito l'aspetto del boschetto aggiungendo numerosi lecci di vivaio.

CISTERNA ROMANA

I DIVERSI TEMPLI

Nella Caffarella, tra l'altro, sappiamo che il Dio Redicolus aveva un proprio bosco sacro, e che vicino al Triopio vi era addirittura un santuario dedicato al Dio dei boschi Silvano. Inoltre Demetra e Proserpina, Minerva, Nemesi, Iside e Serapide erano venerate all'interno del Triopio.

Lungo la via Appia Antica c'era poi il culto di Marte, della Magna Mater, del Dio Almone e di Bacco Sabazio, e lo stesso ninfeo di Egeria doveva avere un proprio culto acquatico e silvestre, testimoniato dalla statua nella nicchia di fondo e dai frammenti di statua di un fauno ritrovati nel passato.



BIBLIO

- K. Noreen - Sant’Urbano alla Caffarella - Rome: the reconstruction of an ancient memorial’- MAAR 47 -2002 -
- H. Kammerer-Grothaus - ‘Der Deus Rediculus in Triopion des Herodes Atticus’ - RM 81 - 1974 -
- W. Peek - ‘Zu den Gedichten des Marcellus von Side auf Regilla und das Triopion des Herodes Atticus’- ZPE 33 - 1979 -
- Percival 1976 - J. Percival - The Roman villa. An historical introduction - London - 1976 -
- Quilici 1968 - L. Quilici - La Valle della Caffarella e il Triopio di Erode Attico - Capitolium 43 - 1968 -




1 comment:

Anonimo ha detto...

"Egeria! sweet creation of some heart
⁠Which found no mortal resting-place so fair
⁠As thine ideal breast; whate'er thou art
⁠Or wert,—a young Aurora of the air,
⁠The nympholepsy of some fond despair
⁠Or—it might be—a Beauty of the earth,
⁠Who found a more than common Votary there
⁠Too much adoring—whatsoe'er thy birth,
Thou wert a beautiful Thought, and softly bodied forth.

The mosses of thy Fountain still are sprinkled
⁠With thine Elysian water-drops; the face
⁠Of thy cave-guarded Spring, with years unwrinkled,
⁠Reflects the meek-eyed Genius of the place,
⁠Whose green, wild margin now no more erase
⁠Art's works; nor must the delicate waters sleep
⁠Prisoned in marble—bubbling from the base
⁠Of the cleft statue, with a gentle leap
The rill runs o'er—and round, fern, flowers, and ivy, creep

Fantastically tangled: the green hills
⁠Are clothed with early blossoms—through the grass
⁠The quick-eyed lizard rustles—and the bills
⁠Of summer-birds sing welcome as ye pass;
⁠Flowers fresh in hue, and many in their class,
⁠Implore the pausing step, and with their dyes
⁠Dance in the soft breeze in a fairy mass;
⁠The sweetness of the Violet's deep blue eyes,
Kissed by the breath of heaven, seems coloured by its skies.

Here didst thou dwell, in this enchanted cover
⁠Egeria! thy all heavenly bosom beating
⁠For the far footsteps of thy mortal lover;
⁠The purple Midnight veiled that mystic meeting
⁠With her most starry canopy —and seating
⁠Thyself by thine adorer, what befel?
⁠This cave was surely shaped out for the greeting
⁠Of an enamoured Goddess, and the cell
Haunted by holy Love—the earliest Oracle!

And didst thou not, thy breast to his replying,
⁠Blend a celestial with a human heart;
⁠And Love, which dies as it was born, in sighing,
⁠Share with immortal transports? could thine art
⁠Make them indeed immortal, and impart
⁠The purity of Heaven to earthly joys,
⁠Expel the venom and not blunt the dart—
⁠The dull satiety which all destroys—
And root from out the soul the deadly weed which cloys?"

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