CULTO DI PRIAPO



STATUA DI PRIAPO CHE MOSTRA GLI ATTRIBUTI

INNO A PRIAPO (Anonimo Vaticano)

"Salve Priapo, Padre fecondo, di orti custode, violatore.
Ti invoco, rubizzo, dissipatore, spermatico
Tu che semini la vita.
Defloratore, sgomento di vergini, igneo, fallopodo,
fugatore di ladri e di uccelli, signore del fico, magmatico.
Vieni a noi, possiedici col calore del tuo fuoco, dacci l’ardore
che ti pervade, o comburente.
Svela i misteri del fallo nascosti dal ricurvo falcetto,
ambidestro, flagello di cinedi. Irrumatore,
rostro marino, muto, ematico, signore dell’asino,
vieni ai nostri santi spasmi.
Signore dell’Orgia, sacrifica i nostri atti, vivifica le nostre menti
Osceno, Itifallo, Iectatore, Salvatore!"



IL PRIAPO GRECO

Priapo è un personaggio della mitologia greca, figlio di Dioniso e di Afrodite, per altri di Afrodite ed Ermes, o Ares, o Adone o Zeus. Hera, gelosa del marito, si sarebbe vendicata dando al bimbo un aspetto grottesco ed un enorme fallo.

Il culto di Priapo risale ai tempi di Alessandro Magno, proveniente dall'Ellesponto o dalla Propontide, simbolo della forza sessuale maschile e la fertilità della natura. Fu cacciato dall'Olimpo perchè incontenibile. Da ubriaco infatti tentò di stuprare la Dea Vesta. Anche l'asino, simbolo di lussuria, gli ragliò contro per farlo scappare.

Capirai, di abusi con le Dee ce n'erano diversi, da Efesto che tentò di farsi Athena, Plutone che si fece Persefone, Zeus su Meti ecc. Ma allora qual'era la causa vera? Forse perchè Priapo rappresentava l'eros selvaggio, istintivo, quello che la mente razionale aveva fatto tanta fatica a dominare, non solo come sesso indiscriminato, ma pure come libertà di percepire i propri sentimenti, come quello verso la donna che fu un istinto fortemente represso sia in Grecia che a Roma, soprattutto in età repubblicana.

Non dimentichiamo che pure il saggio Aristotele sosteneva che il principio generativo risiedesse esclusivamente nell'uomo. Le donne erano secondo lui sterili, accoglievano il seme maschile ma non partecipavano alla fecondazione.

«Ritiratevi, fate posto
al dio! Perché egli vuole
enorme, retto, turgido,
procedere nel mezzo


(Falloforie)

Il suo animale era l'asino, per l'importanza che aveva nella vita contadina, e per l'analogia dei membri smisurati. Narra il mito che Priapo insidiasse la ninfa Lotide dormiente, ma il ragliare di un asino svegliò la ninfa impedendo l'accoppiamento. Difficile che la ninfa avesse un sonno così pesante da non accorgersi dell'amplesso.

Ma il mito sostiene che il Dio, per vendetta, pretendesse il sacrificio annuale di un asino. In realtà l'animale sacrificato rappresentava un aspetto della stessa divinità nei tempi più antichi. Insomma era un Dio molto orgoglioso del suo sesso:

"La massima piacevolezza del mio pisello,
è che nessuna donna gli è mai troppo larga."

Pertanto Priapo è istinto ma un po' distorto da una ebbrezza di potenza virile: l'ipervalutazione del fallo. In questa euforia il culto fu ricollegato ai riti e alle orge dionisiache, che erano ebbrezza della natura non del sesso, o non nel potere del sesso, ma in quanto espressione della natura, quindi un potere impersonale. Il fatto però che il Dio fosse così brutto e deforme riduceva il lato sacrale riportandolo a livello terreno e non più aulico.

Il suo culto era associato al mondo agricolo ed alla protezione delle greggi, dei pesci, delle api, degli orti. Spesso infatti, cippi di forma fallica venivano usati a delimitare gli agri di terra coltivabile. Tradizione proseguita nonostante il cristianesimo. Ancora oggi troviamo cippi fallici in Italia, nelle campagne di Sardegna, Puglia e Basilicata o nelle zone interne di Spagna, Grecia e Macedonia.

Amato dalle donne come propiziatore di fertilità, il Dio fu poi per questo esiliato da Lampsasco, sua città natale, per volere dei mariti gelosi. Gli Dei intervennero rendendo impotenti i maschi della città, così Priapo venne richiamato e venerato come Dio dei giardini, per allontanare ladri e malocchio, e propiziare la fecondità dell'orto.

Nelle Falloforie, feste in onore di Dioniso e poi di Priapo, fu collegato ai riti e alle orge dionisiache.

« Ritiratevi, fate posto
al dio! perché egli vuole
enorme, retto, turgido,
procedere nel mezzo. »


Nelle falloforie propiziatorie del raccolto, molto diffuse nel mondo agricolo dell'antica Grecia e poi in Italia e nei territori dominati dai Romani, le processioni con il fallo terminavano con una pioggia di acqua mista a miele e succo d'uva, indirizzata verso i campi, che rappresentava l'eiaculazione del seme origine della vita e quindi propiziava l'abbondanza del raccolto.



Plutarco (De cupiditate divitiarum) ne descrive una processione in campagna:

« in testa venivano portati un'anfora piena di vino misto a miele e un ramo di vite, poi c'era un uomo che trascinava un caprone per il sacrificio, seguito da uno con un cesto di fichi e infine le vergini portavano un fallo con cui venivano irrigati i campi. »

Ma il caprone venne sostituito con l'asino, che veniva sacrificato ogni anno, per volere dello stesso Priapo. Il Dio stava insidiando la ninfa Lotide dormiente, ma il ragliare di un asino svegliò la ninfa impedendo il fatto. Caspita, altrimenti non se ne sarebbe accorta? Ma si sa che i culti antichi sacrificavano proprio l'animale totem, il più sacro.

Il Dio della sessualità vede solo quella e tutto il mondo è traducibile da quella, compresi i poemi:


L'Iliade (carmina priapea)

"E che? Se la minchia troiana non fosse piaciuta
alla fica del Tenaro,
cosa si reciterebbe?
non ci sarebbe il poema.

Se la minchia del Tantalide non fosse stata così famosa

il vecchio Crise non avrebbe avuto di che lamentarsi.
Fu la minchia sua stessa che privò il collega
della tenera amica,
lei che apparteneva all’Eacide,
e che volle per sè.
Lui declamò il triste carme
sulla cetra pelethronia,
egli più teso della sua stessa cetra.
Fu da questa sua smania che prese le mosse
la nobile Iliade,
essa fu l’origine del sacro poema."


L'Odissea

"L’altro motivo fu il peregrinare dell’ingannevole Ulisse,
ma, a dire il vero, anche lui si mosse a causa del sesso.

Vi si legge di quella radice che fa fiori d’oro:

la chiama moly ma è sempre la minchia.
Vi si legge che Circe e l’atlantide Calipso

si disputassero i grossi coglioni del maschio di Dulichio.

Anche la figlia di Alcinoo sbalordì che un ramo pendente

potesse da solo coprire il membro di lui.

Tuttavia lui pensava solo alla sua vecchietta,

ed ogni pensiero era fisso alla tua sorca, o Penelope,

tu che sei rimasta tanto casta,
pur partecipando ai banchetti,

e la tua casa fosse piena di fottitori.

Per sapere quale fosse tra loro il più prestante,

queste furono le parole che rivolgesti ai proci arrapati:

“Nessuno tendeva il nervo meglio del mio Ulisse,
sia che fosse merito dei suoi lombi o della sua perizia.

Ora siccome è morto, siate voi a tendere,
io saprò quale
Maschio scegliere
in colui che saprà essere come lui”.

A queste condizioni, Penelope,
penso che ti sarei
Potuto piacere,
ma a quel tempo non ero ancora …cresciuto!"




PRIAPO ROMANO

Il culto di Priapo si diffuse in Italia intorno al III secolo a.c. come augurale per la fertilità dei campi, mescolandosi a Pan, Dioniso, Luperco e Fauno. Inuo-Priapo si manifestava benigno ogni anno, intorno al 10 di Agosto, con una pioggia del suo seme fecondatore dal cielo, a garanzia di un ricco raccolto per l'anno successivo. Questo sciame meteorico annuale, è oggi noto come "lacrime di San Lorenzo".

Curiosamente i luoghi connessi con il culto arcaico di Inuo, Priapo, Pan e Fauno, presentano anche una prossimità con il toponimo "Lorenzo" e con una antica chiesa dedicata a San Lorenzo. Forse l'associazione è arcaica, infatti la divinità etrusca, poi acquisita dai Romani, Acca Larentia, un tempo Madre Terra, poi sacra prostituta protettrice dei plebei e della fertilità dei campi, era assimilata proprio a Fauno e Lupesco, quasi a costituirne la controparte femminile.

Da Larentia a s. Lorenzo il passo è breve. accolto dai pastori che nel gran fallo del piccolo Dio vedevano auspici per la fertilità dei campi. Nell'arte romana fu spesso raffigurato in affreschi e mosaici, soprattutto all'entrata delle abitazioni patrizie. Il suo membro era un amuleto contro invidia e malocchio, e in più portava fertilità alle donne.

Il fallo priapeo era per questo un monile da portare al collo o al braccio. Le patrizie romane, prima del matrimonio, facevano una preghiera a Priapo, perchè rendesse piacevole la prima notte di nozze.

I Romani erano soliti collocare in orti e campi simulacri della divinità, cui riconoscevano doti apotropaiche e di protezione contro gli uccelli. Alla base della connessione tra la festa di Piedigrotta e il culto pagano vi è la pratica di festini erotici settembrini che si ritenevano svolti anticamente nella grotta romana, al ritmo di canti e danze oscene intorno al simulacro del Dio.

Nel 'Satyricon', Petronio riferisce di una grotta con un’ara dedicata a Priapo: la 'Neapolitana ubi sacellum Priapi et sacra abdita'. Qui il giovane Eucolpio, perseguitato dal Dio che lo aveva privato della virilità, si ritrova coinvolto in un avventuroso viaggio in Italia meridionale, con unl’incontro orgiastico e salvifico con la sacerdotessa Quartilla, che lo libera dalla maledizione.

E Priapo è capace di cogliere tutto lo splendore di una natura vivificata dalla fecondazione e dalla fioritura:
«Per me le corolle di fiori in primavera,
per me le bionde spighe nel sole dell’estate,
per me i dolci grappoli dell’uva che matura,
per me la glauca oliva formatasi nel freddo».


Ma si pasticciò non poco col quotidiano contadino, con la protezione delle greggi, dei pesci, delle api, degli orti, ripescando anche il Dio Termine. Spesso infatti, cippi di forma fallica venivano usati a delimitare gli agri di terra coltivabile.

1019. Erma priapica marmorea, col capo mozzo e col fallo martellato, scoperta il giorno 4 agosto sulla sponda tiberina, presso il ponte Sisto. È alta m. 0,60, larga 0,30. 
CVITVEFFld 
VNT-PASSV 
MILLE EEDeJ 
(S)patia co. in ci{r)cuitu efjic(i)unt passu(s) miUe, pede{s ) 

A Roma Priapo si confuse con il Dio locale Mutinus Tutunus, Dio fallico latino, protettore di orti e giardini, della navigazione, della pesca e delle api, nonché degli amori licenziosi e innaturali, ma pure con Pan, Luperco e pure Faunus.
Dunque la licenziosità la ispira Priapo (carmina priapea):

"Possa crepare, o Priapo, se è vero che non
mi vergogno di comportamenti osceni e arditi.

Ma quando tu, un Dio, bandito ogni pudore,

ti mostri coi coglioni di fuori, allora posso ben chiamare
fica la fica e minchia la minchia."


“Finché sei in vita ti è lecito avere speranza: tu guardiano di campagna, proteggimi e accresci la mia forza, Tu Priapo, cazzo dritto.”

Priapo-Fauno-Luperco veniva infatti a volte raffigurato come bisessuale, vedi il Priapo Maripara, conservato, seppure evirato, nerl museo civico di Formello. La statua offre dal lato femminile i frutti della natura, con un seno prosperoso e il chitone, la veste delle donne romane, e dal lato maschile offre l'enorme fallo. Un tempo troneggiava nella piazza principale di Formello finchè la pruderie cattolica non gli moncò l'uccello facendolo sparire dalla vista del popolo:


(carmina priapea)

"Mi domandi perché abbia le parti oscene scoperte?
Ed io ti chiedo: perché gli altri Dei non coprono le loro armi?
Il signore del mondo tiene in mano il fulmine, apertamente;
né si vede il dio del mare coprire il tridente.
Neanche Marte nasconde quella spada che lo distingue
E nemmeno Pallade nasconde la lancia nel tiepido suo seno.
Vediamo Febo vergognarsi di reggere delle frecce d’oro?
Diana tiene la faretra nascosta?
L’Alcide cela agli sguardi la potenza della nodosa clava?
Forse che il Dio alato tiene il caduceo sotto il mantello?
Chi mai ha visto Bacco coprire il tirso delicato sotto la veste?
Chi vide te, Amore, con la fiaccola nascosta?
Non mi si incolpi quindi se tengo la minchia sempre di fuori:
se mi si abbassa l’arma, sono spacciato!"

In effetti è un Dio sguaiatello, forse in avversione al moralismo che vede demoniaco il sesso e il corpo:

"O tu, che stai per leggere le sfrontatezze di versi scherzosi e sguaiati,
Rilassa quel sopracciglio così tipico del Lazio.
In questa "cappella" non troverai la sorella di Apollo, nè Vesta,
Nè quella Dea sorta dalla "punta" di suo padre.
Ma il rosso custode degli orti, il superdotato,
Che ostenta gli inguini scoperti.
Quindi, o abbassi la veste su quelle parti scoperte,
Oppure, con quegli stessi occhi con cui le guardi, mettiti a leggere."

"Quella roba umida che vedete su di me,
e che mi fa quello che sono, cioè un Priapo,
non è rugiada, credetemi, né brina,
ma ciò che spontaneamente geme,
quando penso a quella puttana di fanciulla."

Priapo non era dunque un Dio raffinato nè aulico, era Dio dei contadini, dei pastori, insomma dei semplici, e non richiedeva abluzioni nè astinenze rituali per avvicinarsi al suo tempio, come avveniva per tutti gli altri Dei:

"Qui, qui, chiunque tu sia, non temere
di sostare presso il sacello di un Dio sfacciato,
E se hai passato la notte con una ragazza
Non temere di far cosa sbagliata.
Ciò pertiene ai severi dei del cielo:
Noi siamo numi da poco, di culto campagnolo.
Bandito ogni pudore, stiamo all’aperto coi coglioni di fuori.
Pertanto qui chiunque sarà libero di sostare
Sporco della fuliggine di un fumoso bordello."

Di lui comunque si occupano i poeti, come Catullo, Virglilio, Orazio e Tibullo, mentre degli 80 Carmina Priapee ignoriamo l'autore, oggi ritenuto unico.
Ma soprattutto era guardiano degli orti, dei campi, delle fattorie e dei ladri, che ai tempi non mancavano neppure nelle campagne: (carmina priapea)

"La prima volta, o ladro, ti inchiappetterò;
ma se ti acciuffo un’altra volta ti verrò in bocca;
se ci riproverai una terza volta,
per infliggerti entrambe le pene,
in culo e in bocca lo prenderai."

"Oscene pitture al turgido Dio
tratte dai libretti di Elefantide
offre Làlage in dono e prega che provi
se le figure dipinte rendano l’idea…
Che sono un Priapo di legno, lo vedi,
E lignea è la falce e ligneo il pisello,
tuttavia ti acchiapperò e ti terrò stretto
e tutto dentro senza barare, per lungo che sia,
più rigido delle corde di una cetra,
te lo ficcherò fino alla settima costola."

"Il villano m'ha messo qui a guardare
il giardino e i suoi frutti, e m'ha ordinato
di far bene la guardia"


"La prima sillaba di PE-nelope sia seguita dalla prima di DI-done
E ancora la prima di CA-dmo e la prima di RE-mo.
Ciò che si ricava dalla loro somma, tu, ladro, catturato nell’orto,
mi darai: tale pena sarà espiazione della tua colpa.
La somma delle iniziali dà in latino “pedicare” cioè sodomizzare.
E’ forse l’unico caso in cui la regina Didone
viene tirata in ballo in una così scomoda situazione….
Scusami se da bifolco ho detto qualcosa di sgraziato:
io non raccolgo libri, raccolgo frutti.
Ma anche se villano talvolta udendo il padrone che legge
Mi capita di imparare qualche nota omerica.
Lui dice in greco “psolòenta keraunòn” (folgore fumante)
Quella che per noi è la minchia e chiama “kouleon” (fodero)
quello che per noi è il buco del culo.
Merdalèon (orrido) è detto di quella schifezza...
E la minchia degli inchiappettatori è spesso merdeggiante!"

"Chiunque, con pessime intenzioni
varchi il confine del mio campicello
s'accorgerà che io non sono castrato."

"Occhio, ragazzo, che ti rompo il culo; ragazza ti fotto;
Al ladro con la barba riservo la terza punizione."

"Questo scettro che, una volta tagliato dall’albero,
non può più verdeggiare di fronde,
scettro che le sgualdrinelle reclamano,
che certi re bramano impugnare,
che baciano famosi culattoni,
lo ficcherò al ladro nell’imo dei visceri
fino al pube e al manico dei coglioni."

"Finchè non allungherai la mano per rubare,
Stai sicura che rimarrai intatta più della stessa Vesta.
In caso contrario, questa mia arma ti aprirà talmente
Che tu stessa potrai andartene passando dal culo."

"Se una donna mi ruba qualcosa,
oppure un uomo o un bambino,
prenderò da lei la fica,
da quello la testa
e da questo le chiappe."

"Quando pregusterai la dolcezza dei fichi
già tendendo la mano per coglierli,
vòltati verso di me, ladro, e considera che
razza di minchia dovrai poi cacare!"

Fa eccezione però se il ladro ci prova gusto:

"Un tale più molle del culo di un’oca
Vien qui a rubare per desiderio di venir scoperto:
rubi fin che gli pare, io non lo vedrò…
Priapo si rifiuta di sodomizzare chi viene a rubare
per godere di quella punizione ma non sa
offrire al Dio la necessaria resistenza."

In qualità di Dio della sessualità maschile, Priapo è anche Dio delle prostitute, che pregano affinchè il Dio infiammi le voglie dei maschi:

"Teletusa, ragazza famosa tra le ragazze della Suburra
Che, come credo, si è liberata col mercimonio,
ti cinge il cazzo con una corona dorata, o santo:
questo infatti è per le puttane il Dio principale."

"Volendo celebrare una festa in onore del Dio sfacciato,
si è fatta venire per pochi soldi una ragazza,
allo scopo di soddisfare tutti quanti i partecipanti,
e lei per quanti maschi si è fatta in una notte
tanti cazzi di salice ora ti dedica!"

Pur essendo un Dio esagerato però a volte critica gli esagerati:

"Che gli Dei e le Dee ti neghino l’esca dei denti,
o lecchìno della mia amica più intima,
a causa di te la ragazza prima forte e sincera,
solita venire a me con celere passo,
ora straziata nella clitoride giura di potere appena
camminare sulle chiappe."

Secondo la tradizione, la devozione alla Madonna di Piedigrotta e, ancor prima, a S. Maria dell’Idria, si collegano al culto di Priapo o Pan, venerato in un tempio presso la Crypta Neapolitana e poi raso al suolo da seguaci dell’Apostolo Pietro.
In effetti nel 'Satyricon' Petronio riferisce l’esistenza nella grotta di un’ara dedicata a Priapo: la Neapolitana ubi sacellum Priapi et sacra abdita. Qui il giovane Eucolpio, perseguitato dal Dio che lo aveva privato della virilità, si ritrova coinvolto in un avventuroso viaggio in Italia meridionale, con l’incontro orgiastico con la sacerdotessa Quartilla che lo guarisce dal male.
Dunque è questo che accadeva nei suoi templi?

"Qui una ragazza. ti posso anche dire come si chiama,
Viene spesso con il suo fottitore,
che per quante posizioni sono descritte nel libro di Filenide,
altrettante ne inventa di nuove, e se ne va via ancora vogliosa."

"Potevo dirti diplomaticamente: ‘dammi ciò
Che ti piace dare di continuo e che mai vien meno’.
Dammi ciò che forse un giorno vorrai dare invano,
quando una barba invisa ti affollerà le guance,
ciò che già aveva dato a Giove chi rapito dal sacro volatile
mesce ora al suo amante in gradite coppe,
ciò che la vergine dà al marito voglioso la prima notte,
temendo inesperta la ferita nell’altro posto’.
Molto più semplicemente ti dico in latino ‘fatti inculare’:
che ci posso fare? Volgare è la mia Minerva."

"Una putrida cornacchia vecchia come una tomba,
resa fetente dalla moltitudine dei secoli,
che forse fu anche nutrice di Titone, Priamo e Nestore,
ammesso che non sia stata la loro nonna,
per non privarsi, mi prega di trovargli un fottitore.
Che faccio se adesso mi prega anche di farla tornare ragazza?
Se però ha dei soldi, allora faccio il miracolo!"

"Così la fanciulla che, prostrata dal piacere,
spossata dagli uomini ma non ancora sazia
di notte viene qui portando appresso il suo larvale pallore»

"le ragazze che sbirciano con sguardi furtivi,
il fallo del Dio, di lato gettano vogliose occhiate».


“Perché ridi fanciulla insulsa?
Non mi effigiò ne Prassitele né Scopa,
né mi diede gli ultimi ritocchi Fidia ma,
in modo rozzo, un contadino lavorò questo legno
con l’ascia e mi disse “Tu sarai Priapo”.
Tuttavia tu mi guardi e subito ti metti a ridere.
Forse ti sembrerà una cosa spiritosa
la colonna che sta in mezzo alle mie gambe”.


"Caste signore, andate via di qua.
Non sta bene che voi leggiate parole impudiche.
Ma esse se ne infischiano e vanno dritte.
Non c'è da stupirsene; anche le signore
gustano e guardano volentieri un bel cazzo."


"Presto, infatti chi sarebbe da tanto?, o Quiriti,
o mi tagliate il membro eiaculatore,
che tutte le notti, senza sosta,
le vicine pruriginose tormentano,
più sfacciate dei passeri in primavera,
o mi spezzerò, e addio Priapo!

Lo vedete da voi come sia spompato,
finito, esangue e pallido,
chi una volta rosso e duro era solito
fottere anche i ladri più robusti.
Ora mi difettano i lombi e tossendo, haimè!,
sputo fuori una brutta saliva."

A volte rimpiange i bei tempi andati:

"I Priapi di una volta godevano di Naiadi e Driadi,
e dove il nervo teso del dio poteva ficcarsi, si ficcava.
Adesso invece, più niente, adesso che la mia foia è al colmo
Sembra che tutte le ninfe siano state sterminate.
Per squallido che sia, ma per non spegnere la voglia,
appoggiata la falce, mi farò una sega."

Per la parte maschile era originariamente evidenziata da un grande fallo eretto, messo in evidenza dalla tunica alzata e svolazzante, andato perduto nel 1889 quando il Consiglio Comunale di Formello ordinò la rimozione della statua cosiddetta del Maripara, posta fin allora nella piazza principale del paese.
Oggi si può ammirare ciò che rimane di Priapo/Maripara nel Museo Civico di Formello.


IL CRISTIANESIMO

Il cristianesimo seppellì Priapo e la sessualità. Tutto ciò che era attinente alla carne e ai sensi era peccato. Tertulliano (150-220 d.c.) disse che durante l'orgasmo l'uomo perde, udite udite, una parte dell'anima, insomma fare sesso conduce all'inferno.

Con il cattolicesimo il fallo da divinità diventa demone: il pene, per Anselmo d'Aosta è la "verga del diavolo". Nessun organo, diceva sant'Agostino, è più corrotto del pene. Così nel Rinascimento papa Paolo IV fece coprire gli attributi maschili a eletti e dannati nella Cappella Sistina di Michelangelo. Perchè spesso le religioni esprimono la follia del mondo.

LA CERIMONIA DI PRIAPO

I TEMPLI

Tempio di Montecerignone

Da anni la Valle di Teva e in particolare la sorgente di Monte Cerignone è meta di “pellegrinaggi”. Vi si trova infatti la Fonte di Priapo, pare che questa acqua “miracolosa” abbia virtù virilizzanti già scoperte dagli antichi romani.

Il segreto di queste acque è stato custodito da ben 2000 anni dagli abitanti di Montecerignone ed è venuto alla luce grazie alla scoperta del professore Angelo Chiaretti di Mondaino.
Gli antichi romani lo sapevano bene perché vi costruirono un tempio votato a Priapo, Dio della fertilità.


Tempio di Piedigrotta

Secondo una lunga tradizione, la devozione popolare alla Madonna di Piedigrotta e, ancor prima, a S. Maria dell’Itria, si collegano al culto di Priapo, venerato in antico in un tempio nei pressi della ''Crypta Neapolitana'', poi raso al suolo da seguaci dell’Apostolo Pietro.


Il portafortuna

A Pompei, nella domus dei Vettii, all'ingresso è raffigurato un Priapo itifallico, apportatore di benessere e fecondità. Il Dio è ritratto intanto che pesa su una bilancia il suo enorme fallo mentre come contrappeso vi è una borsa carica di denaro. Come dire che il suo fallo vale tanto oro quanto pesa.

Ma in ogni strada, ad ogni crocicchio e pure nelle case erano pitturate o scolpite immagini del fallo di Priapo come portafortuna. La gente poneva dei tintinnaboli a forma di falli che si toccavano all'entrata o all'uscita come buon augurio. Un equivalente dello scaccia-demoni.

I negozianti toccavano al mattino l'immagine sulla strada per avere la buona giornata, e così chi andava a lavorare, sia nei Fori, o nelle officine, o nei postriboli, Priapo era autore per tutti di buona fortuna e allontanamento dai mali.

Vedi anche: LISTA DELLE DIVINITA' ROMANE


BIBLIO

- Renato Del Ponte - Dei e miti italici. Archetipi e forme della sacralità romano-italica - ECIG - Genova - 1985 -
- De cupiditate divitiarum - VIII -
- J. Eckhel - Doctrina numorum veterum - IV - Vienna - 1794 -
- Alison E.Cooley - "History and Inscriptions, Rome" - in The Oxford History of Historical Writing - eds. A. Feldherr & G. Hardy - Oxford University Press - Oxford - 2011 -
- Robert Turcan - The Gods of Ancient Rome - Routledge - 1998, 2001 -
- Michael Lipka - Roman Gods: A Conceptual Approach - Brill - 2009 -


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