CALMAZZO (Marche)



ANTICA VIA FLAMINIA

Calmazzo è un piccolo villaggio ed è frazione di Fossombrone, l'antica Forum Sempronii, in provincia di Pesaro e Urbino. Si trova sull'importante nodo stradale dell'antica via Flaminia poco prima della gola del Furlo, dove si dipartiva la strada per Urbino (Urvinum Metaurensis), alla confluenza dei fiumi Candigliano e Metauro.

Calmazzo fu in età romana un piccolo nucleo abitato (vicus), sorto in connessione con il diverticulum già allora esistente fra la via Flaminia e la strada che risaliva l'alta valle del Metauro in direzione di Urbino (Urvinum Mataurense), dopo aver superato il ponte sul Metauro fatto erigere da Traiano nel 115 d.c., 

E' scarsa la documentazione archeologica relativa ai suoi edifici che comunque ne attesta una massima fioritura tra il I secolo a.c. e il III secolo d.c.. Sono da ricordare i materiali venuti in luce alla fine dell’Ottocento durante la costruzione della casa del medico, ora adibita a scuola elementare, e le epigrafi e i reperti architettonici un tempo conservati nella distrutta Chiesa di Santa Maria di Pontemoro.

IL PONTE ROMANO

IL PONTE ROMANO

Il ponte fu restaurato da Diocleziano e Massimiano, distrutto nella II guerra mondiale (1944) e poi ricostruito nel 1947 riutilizzando per quanto più possibile la forma antica e il materiale antico, che presentava solo due pile centrali e le testate laterali costruite in opera quadrata.

Nel paese sono state rinvenute delle iscrizioni onorarie con dediche a Claudio e ad Agrippina, oltre a decorazioni architettoniche, grossi blocchi di pietra squadrati che, se non provengono da altra area archeologica, inducono a supporre per Calmazzo una notevole presenza di importanti monumenti. 


RECINTO FUNERARIO

SEPOLCRETO DEL SODALICIUM APOLLINENSE

A poco più di un chilometro ad Est del paese, in località Ponterotto, è stata inoltre individuata e parzialmente scavata una ricca area sepolcrale, che un'iscrizione ivi rinvenuta dice donata da Cavius Rufius Bassus ai membri di un sodalicium Apollinense Sattianense. 

Si tratta evidentemente di uno dei tanti "collegia" che, in età imperiale, non solo provvedevano a tenere vivo come in origine il culto di una divinità, che in questo caso era Apollo, ma che si adoperavano anche per assicurare una degna sepoltura ai soci defunti dell'associazione. 

Inoltre tale epigrafe assume particolare interesse per l'aggettivo Sattianense che rimanda chiaramente ad un toponimo, Sattianum, di cui non è rimasta traccia nella toponomastica locale. E' possibile però che tale epigrafe possa aver conservato la memoria del nome del vicus, sorto in un punto nodale delle vie di comunicazione locali. 

Così si è ipotizzato che in età romana Calmazzo si chiamasse Sattianum, un toponimo che rimanda al gentilizio Sattius, secondo la diffusa tipologia dei prediali. Una delle are funerarie rinvenute nel recinto. Magari un giorno questo centro potrà vedere la luce.

RICOSTRUZIONE DEL RECINTO FUNERARIO


SEPOLCRO DEI CISSONII

Un'altra area a sepolcreto è quella posta a Ovest del tratto dell'antica Flaminia che va dal ponte di Traiano al paese attuale. Alle tombe e alle iscrizioni sepolcrali ivi rinvenute in passato si è aggiunta l'individuazione di un interessante recinto funerario con monumenti sepolcrali e due cippi posti a ricordo della famiglia Cissonia. 

CIPPO DELLA FAMIGLIA CISSONIA
Si tratta di una vera e propria “tomba di famiglia” di età romana imperiale venuta alla luce nel 1989 per uno scavo effettuato nella zona dall'Università di Urbino che ha disseppellito il recinto sepolcrale della famiglia Cissonia. Un recinto di circa 136 mq, di forma rettangolare, originariamente edificato con blocchi di pietra ben squadrati e lisciati, che formavano la base per l'alzato in lastroni di pietra calcarea del Furlo.

Le lastre di pietra erano rette a intervalli regolari da cippetti con cima arrotondata, decorati da bugne. Ancora oggi sono visibili questi cippetti all'interno e all'esterno del recinto. dato che Cissonius era il nome di una divinità gallica corrispondente al Mercurio romano, non si esclude che questa famiglia potesse avere origini galliche. 

Il sepolcreto monumentale, individuato grazie ai saggi effettuati per la costruzione della chiesa parrocchiale, aveva una porta di ingresso posta sul lato orientale, a breve distanza dall'angolo Sud-Est, di cui resta solo oggi la soglia consunta con la sede del cardine della porta d'ingresso.

All'interno del recinto giacevano tre sepolture marmoree e due altari, anch'essi in marmo, con iscrizioni ancora in loco. Le sepolture erano poste in origine su di un basamento a due gradini, di cui oggi resta poco grazie agli asporti e ai vandalismi. 

Le due are, attualmente prive della modanatura superiore, sono dedicate la prima a Caius Cisso Festus, la seconda a Caius Cisso Zosymus e alla moglie Cissonia Festa, membri di una famiglia sicuramente dotata di buone possibilità economiche. La prima reca, scolpiti nelle facce laterali del dado, l'umbone, simbolo del sole. del maschile e del fuoco, e la brocca, simbolo dell'acqua e del femminile: due simboli sacri comuni a tutti i cippi funerari.

Nello spazio fra le are ed il lato Nord del recinto erano collocate tre tombe, una a incinerazione e due ad inumazione. Quella posta all'angolo Nord-Est, costituita da una cassa in lastre di pietra corniola, era coperta da una lastra dello stesso materiale, fissata con grosse grappe di ferro e piombo. 

All'interno è stato rinvenuto uno scheletro forse femminile ed un corredo funerario costituito da cinque grossi balsamari vitrei e da una sottile collana d'oro. Le due restanti tombe, composte con tegoloni, in un caso formano una cassa e nell'atro una cappuccina, ambedue con un tubo libatorio in coppi che spuntava dalla terra per accogliere le libagioni e le offerte funebri per il defunto.

Nel recinto erano inoltre sepolti altri incinerati, in particolare presso l'angolo Nord-Ovest dove si sono rinvenute numerose olle ed anforette frantumate, frammiste a ceneri, ossa semicombuste e frammenti di balsamari vitrei o di altri oggetti di corredo, fra cui varie lucerne in terracotta. 

Sono state ritrovate anche suppellettili piuttosto raffinate come oggetti in vetro ed oro inseriti nel corredo funebre, ora al museo archeologico di Fossombrone, insieme alle suddette tombe lì conservate, unite ad alcune colonne lavorate.

FORRA DI SAN LAZZARO CON LE MARMITTE DEI GIGANTI


FORRA DI SAN LAZZARO

Si tratta di una stretta e profonda gola, scavata per erosione dal fiume Metauro nel tratto tra Calmazzo e Fossombrone. Lo straordinario di questa forra è dato dalle alte pareti verticali che in certi punti arrivano a toccare i 30 metri di altezza.

Altra caratteristica della forra sono le cosiddette “Marmitte dei Giganti” ovvero grandi pentoloni, alcuni dei quali raggiungono il diametro di tre metri, in cui, secondo la tradizione popolare, i giganti cucinavano zuppe a base di cinghiali.

Il fatto che la forra sia stata dedicata a un santo deriva dal fatto che in epoca romana era dedicato ad una divinità magari del luogo. In Italia e specie a Roma le vie, piazze, porte, ponti ecc. sono perlopiù dedicate a santi quasi sempre sconosciuti. 


BIBLIO

- Ivan Rainini - Antiqua Spolia. Reimpieghi di epoca romana nell'architettura sacra medievale del maceratese - Macerata editoria -
- Fossombrone - Encyclopædia Britannica - Cambridge University Press -
- Augusto Vernarecci - Fossombrone dai tempi antichissimi ai nostri - Fossombrone - 1903-1914 -

 


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