TEMPIO DELLE NINFE



Al centro del portico Minucio a Campo Marzio sorgeva il Tempio delle Ninfe, i cui resti sono visibili oggi nella odierna via delle Botteghe Oscure, venuto alla luce nel cuore archeologico della città nel 1938, durante le demolizioni per l’allargamento appunto di Via delle Botteghe Oscure.

Le demolizioni, che prevedevano un consistente arretramento del fronte stradale variabile dagli 8 ai 12 metri circa, portarono alla scoperta del tempio, identificato in un primo momento con quello di Bellona. In seguito all'eccezionale rinvenimento fu revocata l’edificabilità dell’area, ma gli eventi bellici e le lungaggini amministrative ritardarono la ricomposizione delle colonne e la sistemazione dell’area fino agli anni Cinquanta. Due delle colonne vennero rialzate però solo nel 1954. 

La denominazione del tempio è certa essendosi trovate su di esso diverse testimonianze delle antiche fonti: nei Fasti degli Arvali, in Marco Tullio Cicerone, Pro Caelio, e Pro Milone.
I resti permettono di individuare diverse fasi dell'edificio: il nucleo di opera cementizia all'interno del podio risale al III o II secolo a.c.. 


Invece le basi delle colonne e le modanature del podio attualmente visibili risalgono al II secolo a.c., o alla metà del I sec. a.c. quando dovette subire un incendio e alcuni elementi architettonici in marmo, tuttora conservati nell'area, tra cui un fregio-architrave con strumenti sacrificali, sono dell'epoca di Domiziano, testimonianza forse di un restauro a seguito dell'incendio dell'anno 80.

Il Tempio, di cui si conservano parte del podio e due colonne con capitelli corinzi, aveva in origine un portico con otto colonne sulla fronte e due colonnati di 6 colonne ciascuno sui lati lunghi. Il muro della cella in laterizi, visibile insieme al basamento della statua di culto nelle cantine del palazzo su Via Celsa, appartiene ad un restauro dell’epoca di Domiziano.


Il tempio venne costruito nella fine III sec. secondo alcuni e nella seconda metà del II secolo a.c., per altri, un grande tempio periptero dedicato alle Ninfe, in cui dovevano essere custodite le liste degli aventi diritto alle distribuzioni gratuite di grano.

L'edificio subì due gravi incendi, nel 57-56 a.c. e nell’80 d.c., seguiti da altrettanti restauri e rifacimenti.

L'incendio dell’80 d.c. avvenne durante il regno di Tito, un terribile incendio, descritto da Cassio Dione, che devastò il Campo Marzio centro-meridionale. 

Domiziano, salito al trono l’anno dopo, restaurò e ricostruì i numerosi edifici pubblici danneggiati dal fuoco e ne edificò di nuovi, ridisegnando l’impianto urbano della zona, con la costruzione della Porticus Minucia frumentaria, un grande quadriportico che racchiudeva l’antico tempio e che era destinato a ospitare le distribuzioni gratuite di frumento.

Fu certamente interessato da questi interventi anche il quadriportico che circondava il grande tempio repubblicano, di cui rimangono solo alcuni tratti dei muri perimetrali sotto gli edifici moderni, mentre nell’area archeologica di via delle Botteghe Oscure sono visibili i resti del colonnato meridionale del tempio, di una fontana e di parte del lastricato della piazza.

Il grande monumento pubblico, molto amato dai Romani che rispettavano la tradizione ma soprattutto quella delle campagne, continuò a svolgere la sua funzione per tutta l’età imperiale romana, a tutti gradita e senza soluzione di continuità.

Secondo alcuni studiosi il tempio di via delle Botteghe Oscure deve essere invece identificato con il tempio dei Lari Permarini (normalmente ritenuto essere il tempio D dell'area sacra di Largo Argentina) e il quadriportico che lo circondava con la porticus Minucia vetus. Ma l'ipotesi non è molto accreditata.



DESCRIZIONE

L’edificio era periptero ed ottastilo, cioè circondato su tutti i lati da colonne di cui otto erano allineate sulla fronte, e vi si accedeva tramite una lunga scalinata. Il podio era rivestito di travertino e su di esso sono state rialzate due colonne di peperino, ricoperto di stucco, con capitelli corinzi in travertino. Dietro è visibile il muro della cella in mattoni, attribuibile al restauro di Domiziano, che intervenne pesantemente anche sui colonnati.

All’interno delle cantine moderne, sotto il palazzo di via Celsa 3-5, si conservano invece il muro meridionale e quello orientale della cella. Addossato a quest’ultimo è visibile una sezione del grande basamento in opera laterizia per i simulacri di culto. 

Anch’esso di età flavia, come la cella, era di forma rettangolare con una sporgenza al centro e doveva essere affiancato da due piccoli ambienti ciechi, probabilmente occupati dalle scale che permettevano di salire sulla sommità del basamento stesso. All’interno della cella vi dovevano essere due file di colonne poste a poca distanza dai muri laterali, come è possibile desumere da un frammento della pianta marmorea severiana, la Forma Urbis, che raffigura una sezione del complesso.


E' giunta a noi in buono stato anche una sezione del portico orientale del tempio, di cui sono visibili quattro basi di colonne di età repubblicana e le grandi lastre di travertino che costituiscono il rifacimento domizianeo della pavimentazione. 

Questo fu l’ultimo grande intervento sul quadriportico e sul tempio e scavando al di sotto di esso è stato rinvenuto un imponente rialzamento artificiale, databile tra il 25 e il 50 d.c.. Il sottostate pavimento di tufo, emerso in tempi diversi in più punti dell’area, è invece di età tardo-repubblicana.

L'ANTICA VIA DEL TEMPIO

L'ABBANDONO

Una moneta di Valentiniano III rinvenuta tra gli stucchi crollati dalle pareti della cella, consente di datare l’abbandono dell’edificio antico a partire dal 425 d.c., data a cui seguirà una fase di spoliazione e di trasformazione che, tra il VI e VII secolo d.c., riempirà l’area del tempio con strutture non ben definite. 

Poche le testimonianze di vita di epoca medievale e rinascimentale. Il primo intervento significativo documentato dagli scavi è rappresentato infatti, dalla realizzazione, tra il XVI e il XVII secolo, delle cantine, che raggiunsero in più punti le strutture antiche e ne rasarono i muri ad una quota omogenea. Il loro uso è documentato fino ai primi decenni del secolo scorso.

All’interno delle cantine moderne, sotto il palazzo di via Celsa 3-5, si conservano invece il muro meridionale e quello orientale della cella. Addossato a quest’ultimo è visibile una sezione del grande basamento in opera laterizia per i simulacri di culto. 

Anch’esso di età flavia, come la cella, era di forma rettangolare con una sporgenza al centro e doveva essere affiancato da due piccoli ambienti ciechi, probabilmente occupati dalle scale che permettevano di salire sulla sommità del basamento stesso.

Al di sotto di esso è stato rinvenuto un imponente rialzamento artificiale, databile tra il 25 e il 50 d.c.. 

Il sottostate pavimento di tufo, emerso in tempi diversi in più punti dell’area, è invece di età tardorepubblicana.

Una moneta di Valentiniano III rinvenuta in loco, consente di datare l’abbandono dell’edificio a partire dal 425 d.c.. 

Seguirà una fase di spoliazione e trasformazione che, tra il VI e VII secolo d.c., vedrà l’area occupata da strutture indefinite.

I primi scavi avvennero per la realizzazione, tra il XVI e il XVII secolo, di alcune cantine, che raggiunsero in più punti le strutture antiche e ne rasarono i muri ad una certa quota. 
Il loro uso è documentato fino ai primi decenni del secolo scorso.


BIBLIO

- Larson, J. Lynn - Greek Nymphs: Myth, Cult, Lore - New York - Oxford University Press - 2001 -
- Nonno di Panopoli - Dionisiache - XV -
- Claudia Dal Pan - Le anguane, magia, appartenenza e identità nell'Oltrechiusa Ladina - Borca di Cadore - Istituto ladin de la Dolomites - 2011 -
- Cicerone - De natura deorum - I -
- Livio - Periochae - ab Urbe condita libri - V -
- Sant'Agostino d'Ippona - De Civitate Dei - VI -
- Publio Ovidio Nasone - Le metamorfosi - I -



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