SOTTO VILLA SCIARRA



VILLA SCIARRA

Villa Sciarra è una delle ville urbane di Roma con un'estensione di sette ettari e mezzo (75.000 mq) situata sulle pendici del colle Gianicolo tra i quartieri di Trastevere e Monteverde Vecchio, addossata alle Mura gianicolensi, dotata di due ingressi: uno su piazzale Wurts, e uno su largo Filippo Minutilli. 

George Washington Wurts, un facoltosissimo americano appassionato di giardini, che fu l'ultimo proprietario della villa, stabilì la disposizione del giardino e dei monumenti di Villa Sciarra. 

La villa prende il nome dalla famiglia nobile pontificia degli Sciarra, discendente da Giulio Cesare Colonna di Sciarra, principe di Carbognano e di Bassanello (1702- 1787). Dopo le sue nozze con Cornelia Barberini, unica erede dei Barberini, nel 1728, assunse il nome Barberini-Colonna.

IL SANTUARIO SIRIACO


BOSCO E FONTE DELLA NINFA FURRINA

La storia di Villa Sciarra è antecedente a quella romana, perchè nella zona era situato un santuario italico consacrato alla ninfa Furrina, e a lei era dedicato un Flamen Furrinalis la cui istituzione è attribuita al re Numa. Ma le era stato dedicato un boschetto sacro, il Lucus Furrinae, posto ai piedi del Gianicolo, presso il Pons Sublicius, il più antico ponte di Roma, dove si dovevano tenere i culti. 

VILLA SCIARRA
Oggi vi sorge sull'area il giardino di Villa Sciarra, dove si trovava anche una fonte a lei dedicata, ma non un'iscrizione o un'immagine rammenta al pubblico la preziosità archeologico di questo italico e mitologico passato. 

« Se consideri Latona una Dea come puoi non fare altrettanto per Ecate che è figlia di Asteria, una sorella di Latona? È dunque una Dea anche costei? Si direbbe di sì, dal momento che in Grecia abbiamo visto altari e templi a lei consacrati. E se costei è una Dea, perché non dovrebbero esserlo anche le Eumenidi? E se lo sono le Eumenidi, che in Atene hanno un tempio ad esse consacrato e qui da noi - per quanto io penso di poter ritenere - il bosco di Furina, sono Dee anche le Furie, osservatrici e punitrici dei delitti e delle scelleratezze. »

(Cicerone nel suo De Natura Deorum - Libro III, XLVI) 

Furrina era in realtà un'antica Dea declassata poi a ninfa, la triplice Dea, o Grande Madre che dava la vita, il nutrimento e la morte. La Dea-ninfa, come Ecate, venne associata:

- Ai crocevia, essendo le sacerdotesse deputate alle direzioni e ai punti cardinali da loro creati e scoperti onde favorire i viaggi ma soprattutto la navigazione.
- Ai portali di ingresso, alle case, alle strade agli edifici, perchè la Dea presiedeva ai passaggi, soprattutto quelli della vita e della morte.
- Al fuoco, per il focolare familiare, per le torce che illuminano la notte e per il fuoco sacro trasformatore. Ma soprattutto fu la Dea delle due torce, quella in alto accesa che annuncia la vita, e quella in basso spenta che annuncia la morte.
- Alla magia, consumata nell'ombre dei boschi o nella notte rischiarata dalla luna.
- Alle pozioni curative, estratte dalle erbe e dai minerali, poichè nelle campagne erano le donne a conoscere e utilizzare le erbe medicinali.
- All'interrogazione dei morti per ottenere responsi.

Un bosco, un santuario, una fonte con relativo ruscello costituivano un vasto spazio sacro che dominò a lungo l'area di Villa Sciarra.

NINFE FURRINE

GLI HORTI DI CESARE

Più tardi in questa area sorsero i famosi "Orti di Cesare", che, scendendo da Monteverde, declinavano fino al Tevere, Regio VI Alta Semita e XIV Transtiberim. Posti aldifuori delle mura urbane, sono localizzabili tra le propaggini ovest del Trans Tiberim (il Gianicolo) e la Piana di Pietra Papa, insomma appena girata l'ansa del fiume in direzione di Ostia. Di certo gli "Horti Cesaris" occuparono gran parte dell'odierna Villa Sciarra.

Verso il 49 a.c. il console Caio Giulio Cesare acquistò la proprietà fondiaria, per mettervi al pascolo allo stato brado la mandria ormai sacra dei cavalli con cui aveva attraversato il fiume Rubicone. Poi ospitò negli Horti, lontano da occhi indiscreti, la regina Cleopatra, sua preda di guerra e sua amante.

STATUA DAGLI HORTI DI CESARE
Tra il 46 e il 44 a.c. la regina Cleopatra trasformò gli Horti di Cesare in una corte reale, sul modello della Corte egiziana di Alessandria. Della breve vita della Corte portuense, caratterizzata da ingenti opere edilizie, grande sfarzo e bellezza, rimangono oggi solo i racconti degli artisti e delle personalità che vi soggiornarono.

Le opere edilizie si concentrarono sulla villa alle pendici del Gianicolo, ampliata e trasformata in Palatium. Vennero innalzate colonne, marmi, vennero stesi mosaici e dipinti affreschi con episodi mitologici. Infine venne innalzata la statua colossale di un guerriero gallico, il nemico di sempre vinto da Cesare.

Nei campi portuensi passavano due strade: la Via Campana che taglia dritto verso le terme (oggi Pozzo Pantaleo), e la Via Alzaria che segue la riva del Tevere. I campi divennero giardini di delizia, con il barcone di Cleopatra all’àncora nelle darsene (presso l’odierno Ponte Marconi). 

Cesare seguì i lavori di persona, tanto che gli oppositori lo accusarono di trascurare gli impegni pubblici. Dopo l’arrivo di Cleopatra il Palatium venne ampliato, per adeguarsi al rango di una regina. vi si aggiunse un peristilio, sontuosi affreschi e la statua colossale di un guerriero gallico.

La struttura edilizia degli Horti è nota solo attraverso la descrizione degli storici. Plutarco attesta che verso le pendici del Gianicolo sorgeva il Palatium, un edificio di medie dimensioni che però non è stato mai oggetto di ritrovamenti o scavi archeologici. Esso si collocava in posizione elevata ed era circondato da alti pini.

TORSO DI APOLLO VANDALIZZATO NEGLI HORTI DI CESARE

Nella piccola reggia si parlava greco, si discorreva di filosofia e si declamavano poesie. Cleopatra, al contrario delle romane, era molto istruita, sapeva ben parlare ed aveva una voce suadente. Dal canto suo anche Cesare era istruito e parlava il greco correntemente. Tra i poeti vi comparvero spesso Sallustio, Asinio Pollione, Lucio Apuleio e i due giovanissimi Virgilio e Orazio. Partecipava a volte anche il giovane Ottaviano, dall’indole severa e assai critico nei confronti dei lussi e della regina.

Nei rigogliosi giardini c'erano il tempio di Iside e un tempietto dedicato alla Dea Fortuna, voluto da Cesare per ringraziare la Sorte favorevole in occasione della nomina a dictator perpetuus (dittatore a vita). I giardini si aprivano sul Tevere con ormeggi e darsene portuali, in cui era alla fonda il barcone egizio di Cleopatra.

Alla morte di Cesare, nel 44, gli Horti dovevano diventare di proprietà pubblica, attraverso una donazione al Popolo di Roma contenuta nel suo testamento. In realtà gli Horti passarono a Sallustio ma alla sua morte tornarono al demanio imperiale e in parte al popolo.



PASQUINO

PASQUINO E LE PASQUINATE -
REPERITO NEGLI HORTI DI CESARE 

« Mi ricordo che fuori della porta Portese lontano circa mezzo miglio (HORTI CESARIS), dove è la vigna di Antonio Velli, vi fu trovato un Pasquino sopra un piedistallo di tufo ma perchè detto Pasquino avanzava dalla cintura in su sopra il piano della vigna, dando noia a piantare lo viti, si crede che i villani con zappe e ravanare lo rompessero, ma il gladiatore che gli muore in braccio vi era ancora tutto. Quando venne a Roma il gran duca Cosimo vedendo il suddetto Pasquino lo comprò per 500 scudi e lo condusse a Fiorenza, accompagnandolo con l'altro che ebbe da Paolo Antonio Sederino, trovato nel mausoleo d Augusto » 
(Flaminio Vacca, Memorie 97)

La statua è un frammento di un'opera in stile ellenistico, probabilmente del III secolo a.c., danneggiata nel volto e mutilata degli arti, probabilmente Menelao che sostiene il corpo di Patroclo morente, del quale esistono numerose repliche, tra cui una pressoché completa in marmo conservata nella Loggia dei Lanzi a Firenze. 

Ma quella che oggi sta in Piazza Pasquino, annoverata tra le statue parlanti, venne ritrovata negli Orti di Cesare e fu usata, ieri come oggi, per affiggervi le proteste ironiche e i motteggi del popolo contro lo strapotere dei governanti.



SUCCESSIVAMENTE

- Nel 1549, il terreno venne acquistato da privati e su di esso venne edificato un primo edificio.

- Nel 1575, l'area in cui si trova la villa fu acquistata dal monsignor Innocenzo Malvasia, che vi edificò il Casino Malvasia, un edificio a due piani con loggia.

- Nel 1614 la proprietà fu acquistata da Gaspare Rivaldi, appaltatore delle Dogane Pontificie.

VILLA SCIARRA
- Nel 1647 la villa fu acquistata dal cardinale Antonio Barberini.
 
- Nel 1710 fu venduta al cardinale Pietro Ottoboni.

- Nel 1800 la proprietà passò a Maffeo Sciarra, da cui deriva l’attuale nome della villa, che decise di ingrandirla e abbellirla, ma purtroppo tutti i suoi sforzi furono vanificati dal primo conflitto mondiale che portò ingenti danni alla dimora.

- Nel 1811 tornò proprietà dei Barberini, che la ingrandirono fino ad occupare tutta l'area del Gianicolo e di Monteverde compresa tra le antiche Mura aureliane e le nuove Mura gianicolensi, e dell'Orto Crescenzi.

- Nel 1849, durante la II Repubblica Romana il Casino Barberini e il Casino Malvasia vennero danneggiati dai combattimenti tra le truppe di Giuseppe Garibaldi e quelle francesi di Victor Oudinot.
I Barberini restituirono al Casino la forma originaria, ma la proprietà fu poi persa e il terreno intorno a Villa Sciarra venne lottizzato diventando area edificabile.

- Nel 1896 venne ceduta alla Società di Credito ed Industria Fondiaria Edilizia.
   
- Nel 1902 gli ultimi proprietari: George Wurts, un americano appassionato di giardini, e sua moglie Henriette Tower, ricca ereditiera di Filadelfia, che fecero ristrutturare completamente la palazzina in stile neo rinascimentale e ridisegnare il giardino con statue settecentesche in arenaria provenienti dal Palazzo Visconti di Brignano Gera d'Adda, in provincia di Bergamo.

- Nel 1908-1910 venne edificato il Castelletto in stile neogotico e gli ingressi di via Calandrelli.

- Nel 1932 la vedova di George Wurts, morto nel 1928. donò la villa a Benito Mussolini, a condizione che fosse destinata a parco pubblico. A sua volta, Mussolini ne fece dono ai romani: esiste ancora la targa sulla villa, da cui però è stato cancellato il nome di Mussolini.



LA DESCRIZIONE

Entrati dal cancello di via Calandrelli ci si immette in un piccolo slargo sulla cui sinistra si trova una bella fontana con motivi rupestri, la fontana belvedere progettata da Enrico Gennari ed Ugo Gennari nel 1910-12.

Dallo slargo si dipartono tre viali. Se si va a destra, percorrendo viale Klitsche, si incontra una grande uccelliera in ferro fatta costruire da G. Wurts per essere adibita all'allevamento dei pavoni bianchi. Proprio di fronte ad essa c'è la Fontana dei Satiri: anche questa fontana proviene da Palazzo Visconti di Brignano Gera d'Adda, e dopo il trasporto venne ricostruita nella sua interezza a Villa Sciarra. 

È composta da un articolato gruppo di satiri e satirelli che sorreggono una grande conchiglia, ed è coronata da un putto che esce dalle fauci di un biscione, allusivo allo stemma araldico della famiglia Visconti.

Viale Wern, invece, costeggia la Fontana di Diana ed Endimione. La fontana a laghetto è decorata con un gruppo scultoreo raffigurante Diana, la dea della caccia, il caratteristico pastore-cacciatore Endimione, e un cane, loro fedele compagno.


Alla confluenza dei due viali si incontra l'Esedra Arborea, un angolo di villa molto scenografico. Si tratta di una siepe di lauro disposta a semicerchio (esedra) in cui sono state ricavate delle nicchie nelle quali sono state collocate dodici statue in arenaria, raffiguranti i mesi dell'anno. Di fronte alle statue si trovano siepi di bosso potate in forme fantasiose secondo la raffinata tecnica dell'arte topiaria.

Dopo la confluenza tra viale Wern e viale Adolfo Leducq si apre uno slargo dove è sito il Casino Barberini, l'edificio principale della villa sede dell'Istituto italiano di studi germanici. Dalla torretta del terrazzo, rimasta immutata rispetto al disegno originario, si può vedere tutta la città fino ai Colli Albani. Sul davanzale sono collocate cinque statue settecentesche in arenaria.

Di fronte al Casino si trovano la Fontana delle Sfingi, che presenta, all'interno di una vasca ovoidale in muratura, quattro sfingi rappresentanti le passioni umane, e la Fontana dei Putti. Alle spalle del Casino sorge la cosiddetta montagnola. 

Molto caratteristico è il chioschetto dei glicini collocato proprio in cima alla montagnola vicino al tempietto circolare con una caratteristica cupola in ferro battuto. Il villino detto "il Castelletto", sito presso l'entrata della villa, ospita il Museo della matematica.


BIBLIO

- A. Pacia, R. Piccininni -Villa Sciarra. Interpretazione romana di una villa lombarda - Roma - 1992 -
- C. Benocci, Le ville storiche della Via Aurelia Antica e sud-occidentale della città - in "Bollettino dei Musei Comunali di Roma" - ns, XII - 1998 -
- A. Campitelli - Villa Sciarra - in V. Cazzato (a cura), La memoria, il tempo, la storia nel giardino italiano fra '800 e' 900 , Roma 2000, .
- Samuel Platner - La voce Lucus Furrinae del Dizionario Topografico dell'Antica Roma - Londra - 1929 -
- George Dumezil - La religione romana arcaica - a cura di Furio Jesi - Rizzoli Editore - Milano - 1977 -



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