Visualizzazione post con etichetta Sotto le ville di Roma. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Sotto le ville di Roma. Mostra tutti i post

SOTTO VILLA SCIARRA


0 comment
VILLA SCIARRA

Villa Sciarra è una delle ville urbane di Roma con un'estensione di sette ettari e mezzo (75.000 mq) situata sulle pendici del colle Gianicolo tra i quartieri di Trastevere e Monteverde Vecchio, addossata alle Mura gianicolensi, dotata di due ingressi: uno su piazzale Wurts, e uno su largo Filippo Minutilli. 

George Washington Wurts, un facoltosissimo americano appassionato di giardini, che fu l'ultimo proprietario della villa, stabilì la disposizione del giardino e dei monumenti di Villa Sciarra. 

La villa prende il nome dalla famiglia nobile pontificia degli Sciarra, discendente da Giulio Cesare Colonna di Sciarra, principe di Carbognano e di Bassanello (1702- 1787). Dopo le sue nozze con Cornelia Barberini, unica erede dei Barberini, nel 1728, assunse il nome Barberini-Colonna.

IL SANTUARIO SIRIACO


BOSCO E FONTE DELLA NINFA FURRINA

La storia di Villa Sciarra è antecedente a quella romana, perchè nella zona era situato un santuario italico consacrato alla ninfa Furrina, e a lei era dedicato un Flamen Furrinalis la cui istituzione è attribuita al re Numa. Ma le era stato dedicato un boschetto sacro, il Lucus Furrinae, posto ai piedi del Gianicolo, presso il Pons Sublicius, il più antico ponte di Roma, dove si dovevano tenere i culti. 

VILLA SCIARRA
Oggi vi sorge sull'area il giardino di Villa Sciarra, dove si trovava anche una fonte a lei dedicata, ma non un'iscrizione o un'immagine rammenta al pubblico la preziosità archeologico di questo italico e mitologico passato. 

« Se consideri Latona una Dea come puoi non fare altrettanto per Ecate che è figlia di Asteria, una sorella di Latona? È dunque una Dea anche costei? Si direbbe di sì, dal momento che in Grecia abbiamo visto altari e templi a lei consacrati. E se costei è una Dea, perché non dovrebbero esserlo anche le Eumenidi? E se lo sono le Eumenidi, che in Atene hanno un tempio ad esse consacrato e qui da noi - per quanto io penso di poter ritenere - il bosco di Furina, sono Dee anche le Furie, osservatrici e punitrici dei delitti e delle scelleratezze. »

(Cicerone nel suo De Natura Deorum - Libro III, XLVI) 

Furrina era in realtà un'antica Dea declassata poi a ninfa, la triplice Dea, o Grande Madre che dava la vita, il nutrimento e la morte. La Dea-ninfa, come Ecate, venne associata:

- Ai crocevia, essendo le sacerdotesse deputate alle direzioni e ai punti cardinali da loro creati e scoperti onde favorire i viaggi ma soprattutto la navigazione.
- Ai portali di ingresso, alle case, alle strade agli edifici, perchè la Dea presiedeva ai passaggi, soprattutto quelli della vita e della morte.
- Al fuoco, per il focolare familiare, per le torce che illuminano la notte e per il fuoco sacro trasformatore. Ma soprattutto fu la Dea delle due torce, quella in alto accesa che annuncia la vita, e quella in basso spenta che annuncia la morte.
- Alla magia, consumata nell'ombre dei boschi o nella notte rischiarata dalla luna.
- Alle pozioni curative, estratte dalle erbe e dai minerali, poichè nelle campagne erano le donne a conoscere e utilizzare le erbe medicinali.
- All'interrogazione dei morti per ottenere responsi.

Un bosco, un santuario, una fonte con relativo ruscello costituivano un vasto spazio sacro che dominò a lungo l'area di Villa Sciarra.

NINFE FURRINE

GLI HORTI DI CESARE

Più tardi in questa area sorsero i famosi "Orti di Cesare", che, scendendo da Monteverde, declinavano fino al Tevere, Regio VI Alta Semita e XIV Transtiberim. Posti aldifuori delle mura urbane, sono localizzabili tra le propaggini ovest del Trans Tiberim (il Gianicolo) e la Piana di Pietra Papa, insomma appena girata l'ansa del fiume in direzione di Ostia. Di certo gli "Horti Cesaris" occuparono gran parte dell'odierna Villa Sciarra.

Verso il 49 a.c. il console Caio Giulio Cesare acquistò la proprietà fondiaria, per mettervi al pascolo allo stato brado la mandria ormai sacra dei cavalli con cui aveva attraversato il fiume Rubicone. Poi ospitò negli Horti, lontano da occhi indiscreti, la regina Cleopatra, sua preda di guerra e sua amante.

STATUA DAGLI HORTI DI CESARE
Tra il 46 e il 44 a.c. la regina Cleopatra trasformò gli Horti di Cesare in una corte reale, sul modello della Corte egiziana di Alessandria. Della breve vita della Corte portuense, caratterizzata da ingenti opere edilizie, grande sfarzo e bellezza, rimangono oggi solo i racconti degli artisti e delle personalità che vi soggiornarono.

Le opere edilizie si concentrarono sulla villa alle pendici del Gianicolo, ampliata e trasformata in Palatium. Vennero innalzate colonne, marmi, vennero stesi mosaici e dipinti affreschi con episodi mitologici. Infine venne innalzata la statua colossale di un guerriero gallico, il nemico di sempre vinto da Cesare.

Nei campi portuensi passavano due strade: la Via Campana che taglia dritto verso le terme (oggi Pozzo Pantaleo), e la Via Alzaria che segue la riva del Tevere. I campi divennero giardini di delizia, con il barcone di Cleopatra all’àncora nelle darsene (presso l’odierno Ponte Marconi). 

Cesare seguì i lavori di persona, tanto che gli oppositori lo accusarono di trascurare gli impegni pubblici. Dopo l’arrivo di Cleopatra il Palatium venne ampliato, per adeguarsi al rango di una regina. vi si aggiunse un peristilio, sontuosi affreschi e la statua colossale di un guerriero gallico.

La struttura edilizia degli Horti è nota solo attraverso la descrizione degli storici. Plutarco attesta che verso le pendici del Gianicolo sorgeva il Palatium, un edificio di medie dimensioni che però non è stato mai oggetto di ritrovamenti o scavi archeologici. Esso si collocava in posizione elevata ed era circondato da alti pini.

TORSO DI APOLLO VANDALIZZATO NEGLI HORTI DI CESARE

Nella piccola reggia si parlava greco, si discorreva di filosofia e si declamavano poesie. Cleopatra, al contrario delle romane, era molto istruita, sapeva ben parlare ed aveva una voce suadente. Dal canto suo anche Cesare era istruito e parlava il greco correntemente. Tra i poeti vi comparvero spesso Sallustio, Asinio Pollione, Lucio Apuleio e i due giovanissimi Virgilio e Orazio. Partecipava a volte anche il giovane Ottaviano, dall’indole severa e assai critico nei confronti dei lussi e della regina.

Nei rigogliosi giardini c'erano il tempio di Iside e un tempietto dedicato alla Dea Fortuna, voluto da Cesare per ringraziare la Sorte favorevole in occasione della nomina a dictator perpetuus (dittatore a vita). I giardini si aprivano sul Tevere con ormeggi e darsene portuali, in cui era alla fonda il barcone egizio di Cleopatra.

Alla morte di Cesare, nel 44, gli Horti dovevano diventare di proprietà pubblica, attraverso una donazione al Popolo di Roma contenuta nel suo testamento. In realtà gli Horti passarono a Sallustio ma alla sua morte tornarono al demanio imperiale e in parte al popolo.



PASQUINO

PASQUINO E LE PASQUINATE -
REPERITO NEGLI HORTI DI CESARE 

« Mi ricordo che fuori della porta Portese lontano circa mezzo miglio (HORTI CESARIS), dove è la vigna di Antonio Velli, vi fu trovato un Pasquino sopra un piedistallo di tufo ma perchè detto Pasquino avanzava dalla cintura in su sopra il piano della vigna, dando noia a piantare lo viti, si crede che i villani con zappe e ravanare lo rompessero, ma il gladiatore che gli muore in braccio vi era ancora tutto. Quando venne a Roma il gran duca Cosimo vedendo il suddetto Pasquino lo comprò per 500 scudi e lo condusse a Fiorenza, accompagnandolo con l'altro che ebbe da Paolo Antonio Sederino, trovato nel mausoleo d Augusto » 
(Flaminio Vacca, Memorie 97)

La statua è un frammento di un'opera in stile ellenistico, probabilmente del III secolo a.c., danneggiata nel volto e mutilata degli arti, probabilmente Menelao che sostiene il corpo di Patroclo morente, del quale esistono numerose repliche, tra cui una pressoché completa in marmo conservata nella Loggia dei Lanzi a Firenze. 

Ma quella che oggi sta in Piazza Pasquino, annoverata tra le statue parlanti, venne ritrovata negli Orti di Cesare e fu usata, ieri come oggi, per affiggervi le proteste ironiche e i motteggi del popolo contro lo strapotere dei governanti.



SUCCESSIVAMENTE

- Nel 1549, il terreno venne acquistato da privati e su di esso venne edificato un primo edificio.

- Nel 1575, l'area in cui si trova la villa fu acquistata dal monsignor Innocenzo Malvasia, che vi edificò il Casino Malvasia, un edificio a due piani con loggia.

- Nel 1614 la proprietà fu acquistata da Gaspare Rivaldi, appaltatore delle Dogane Pontificie.

VILLA SCIARRA
- Nel 1647 la villa fu acquistata dal cardinale Antonio Barberini.
 
- Nel 1710 fu venduta al cardinale Pietro Ottoboni.

- Nel 1800 la proprietà passò a Maffeo Sciarra, da cui deriva l’attuale nome della villa, che decise di ingrandirla e abbellirla, ma purtroppo tutti i suoi sforzi furono vanificati dal primo conflitto mondiale che portò ingenti danni alla dimora.

- Nel 1811 tornò proprietà dei Barberini, che la ingrandirono fino ad occupare tutta l'area del Gianicolo e di Monteverde compresa tra le antiche Mura aureliane e le nuove Mura gianicolensi, e dell'Orto Crescenzi.

- Nel 1849, durante la II Repubblica Romana il Casino Barberini e il Casino Malvasia vennero danneggiati dai combattimenti tra le truppe di Giuseppe Garibaldi e quelle francesi di Victor Oudinot.
I Barberini restituirono al Casino la forma originaria, ma la proprietà fu poi persa e il terreno intorno a Villa Sciarra venne lottizzato diventando area edificabile.

- Nel 1896 venne ceduta alla Società di Credito ed Industria Fondiaria Edilizia.
   
- Nel 1902 gli ultimi proprietari: George Wurts, un americano appassionato di giardini, e sua moglie Henriette Tower, ricca ereditiera di Filadelfia, che fecero ristrutturare completamente la palazzina in stile neo rinascimentale e ridisegnare il giardino con statue settecentesche in arenaria provenienti dal Palazzo Visconti di Brignano Gera d'Adda, in provincia di Bergamo.

- Nel 1908-1910 venne edificato il Castelletto in stile neogotico e gli ingressi di via Calandrelli.

- Nel 1932 la vedova di George Wurts, morto nel 1928. donò la villa a Benito Mussolini, a condizione che fosse destinata a parco pubblico. A sua volta, Mussolini ne fece dono ai romani: esiste ancora la targa sulla villa, da cui però è stato cancellato il nome di Mussolini.



LA DESCRIZIONE

Entrati dal cancello di via Calandrelli ci si immette in un piccolo slargo sulla cui sinistra si trova una bella fontana con motivi rupestri, la fontana belvedere progettata da Enrico Gennari ed Ugo Gennari nel 1910-12.

Dallo slargo si dipartono tre viali. Se si va a destra, percorrendo viale Klitsche, si incontra una grande uccelliera in ferro fatta costruire da G. Wurts per essere adibita all'allevamento dei pavoni bianchi. Proprio di fronte ad essa c'è la Fontana dei Satiri: anche questa fontana proviene da Palazzo Visconti di Brignano Gera d'Adda, e dopo il trasporto venne ricostruita nella sua interezza a Villa Sciarra. 

È composta da un articolato gruppo di satiri e satirelli che sorreggono una grande conchiglia, ed è coronata da un putto che esce dalle fauci di un biscione, allusivo allo stemma araldico della famiglia Visconti.

Viale Wern, invece, costeggia la Fontana di Diana ed Endimione. La fontana a laghetto è decorata con un gruppo scultoreo raffigurante Diana, la dea della caccia, il caratteristico pastore-cacciatore Endimione, e un cane, loro fedele compagno.


Alla confluenza dei due viali si incontra l'Esedra Arborea, un angolo di villa molto scenografico. Si tratta di una siepe di lauro disposta a semicerchio (esedra) in cui sono state ricavate delle nicchie nelle quali sono state collocate dodici statue in arenaria, raffiguranti i mesi dell'anno. Di fronte alle statue si trovano siepi di bosso potate in forme fantasiose secondo la raffinata tecnica dell'arte topiaria.

Dopo la confluenza tra viale Wern e viale Adolfo Leducq si apre uno slargo dove è sito il Casino Barberini, l'edificio principale della villa sede dell'Istituto italiano di studi germanici. Dalla torretta del terrazzo, rimasta immutata rispetto al disegno originario, si può vedere tutta la città fino ai Colli Albani. Sul davanzale sono collocate cinque statue settecentesche in arenaria.

Di fronte al Casino si trovano la Fontana delle Sfingi, che presenta, all'interno di una vasca ovoidale in muratura, quattro sfingi rappresentanti le passioni umane, e la Fontana dei Putti. Alle spalle del Casino sorge la cosiddetta montagnola. 

Molto caratteristico è il chioschetto dei glicini collocato proprio in cima alla montagnola vicino al tempietto circolare con una caratteristica cupola in ferro battuto. Il villino detto "il Castelletto", sito presso l'entrata della villa, ospita il Museo della matematica.


BIBLIO

- A. Pacia, R. Piccininni -Villa Sciarra. Interpretazione romana di una villa lombarda - Roma - 1992 -
- C. Benocci, Le ville storiche della Via Aurelia Antica e sud-occidentale della città - in "Bollettino dei Musei Comunali di Roma" - ns, XII - 1998 -
- A. Campitelli - Villa Sciarra - in V. Cazzato (a cura), La memoria, il tempo, la storia nel giardino italiano fra '800 e' 900 , Roma 2000, .
- Samuel Platner - La voce Lucus Furrinae del Dizionario Topografico dell'Antica Roma - Londra - 1929 -
- George Dumezil - La religione romana arcaica - a cura di Furio Jesi - Rizzoli Editore - Milano - 1977 -



SOTTO VILLA GIULIA


0 comment

 

LA VILLA

Villa Giulia, considerata, nella metà dell’Ottocento, “l’ottava meraviglia del mondo“ è un prezioso edificio di Roma che si trova lungo il viale delle Belle Arti, alle pendici dei monti Parioli, presso la via Flaminia. 

Costruita da Giovanni Maria Ciocchi del Monte, ovvero papa Giulio III (da cui il nome) tra il 1550 e il 1555, la villa è uno splendido esempio di rinascimentale, sorta come residenza suburbana, analoga ad altri complessi cinquecenteschi di Roma e dintorni.

Fu eretta infatti come residenza estiva al di là del Tevere, dove il papa arrivava in barca e dove amava passare allegramente un giorno di riposo alla settimana, in una zona di Roma detta la 'Vigna Vecchia', addossata all'esterno delle mura cittadine, rimanendo poi, alla morte del papa, proprietà della Curia romana. 

L'EMICICLO

Da lì passò allo Stato italiano con la presa di Roma del 1870 e venne adibita a sede del Museo nazionale etrusco, come resta ancora oggi. Essa è oggi il Museo nazionale etrusco di Villa Giulia, noto anche come ETRU, un museo statale italiano dedicato alle civiltà etrusca e falisca ospitato negli ambienti di villa Giulia e villa Poniatowski a Roma. 

I materiali provenienti dai centri dell'Umbria e del Latium Vetus sono conservati nella vicina Villa Poniatowski. Di proprietà del Ministero della cultura esso è annoverato dal 2016 tra gli istituti museali dotati di autonomia speciale.

TUTTO IL COMPLESSO

Villa Giulia era composta da tre “vigne” (come allora si chiamavano le ville):

- la prima, denominata “Vigna Vecchia”, era la proprietà più antica di famiglia ed era costituita da quella ancora esistente sulla Via Flaminia e trasformata da Pio IV (per questo motivo denominato Palazzina di Pio IV) che si estendeva fino al complesso di quella che divenne poi Villa Poniatowski.

- La seconda, scomparsa, era situata di fronte alla “Vigna Vecchia” ed era indicata come “Vigna del Porto”, perché arrivava alla riva del fiume.

- La terza, denominata “Vigna del Monte” o “Vigna di papa Giulio”, corrisponde all’edifico principale, ovvero l’attuale palazzo di Villa Giulia. Tutto il complesso era inserito in un immenso parco costituito da terreni che Giulio III aveva aggiunto a quelli ereditati dal fratello.


Pertanto la villa attuale è solo una piccola parte di una precedente proprietà, che conteneva tre vigne. Qui fu costruita una villa per papa Giulio III, colto umanista e grande amante delle arti. Trascorse gli ultimi anni della sua vita a Villa Giulia dove organizzò grandi celebrazioni e sontuosi ricevimenti.

Dal Tevere, ove era il porticciolo per la barca del papa, partiva il viale d’accesso al palazzo, la “via Julia Nova”, oggi Via di Villa Giulia dove, all’incrocio con la Via Flaminia, vi era la fontana dell’Ammannati, costituita da un portico ed un prospetto in stile corinzio, a cui la vasca era appoggiata.


Il disegno della Villa fu opera dello stesso papa, anche se poi venne corretto da Michelangelo ed ampliato dal Vignola e dall’Ammannati. Purtroppo alla morte di Giulio III, avvenuta nel 1555, ne segnò il decadimento e la spoliazione: nel 1556 morì anche il fratello ed erede di Giulio III, Baldovino del Monte, cosicché Papa Paolo IV, nel 1557, ne rivendicò la proprietà alla Santa Sede, in quanto a suo dire era stata acquistata con i soldi della Camera Apostolica.

Al progetto e alla realizzazione parteciparono i più grandi artisti dell’epoca: Giorgio Vasari, Jacopo Barozzi da Vignola e Bartolomeo Ammannati. Comunque il progetto iniziale, nel 1551–1553, si deve a Giacomo Barozzi da Vignola, mentre il ninfeo e le altre strutture del giardino, invece, furono progettate da Bartolomeo Ammanati.

IL MUSEO

IL MUSEO

Dal 1889 la villa accoglie il Museo di Villa Giulia che, nato come Museo delle Antichità preromane, in particolare falische, è oggi il più rappresentativo Museo Etrusco, ricco di testimonianze provenienti dall'Etruria Meridionale, ovvero dal territorio compreso tra il Tevere ed il mare Tirreno (alto Lazio). 

Il museo ospita alcune delle più importanti espressione artistiche etrusche insieme a creazioni greche di altissimo livello, importate in Etruria tra i secoli VIII e IV a.c.



Spesso, come testimonia il Vasari, i contatti tra il Papa ed il gruppo degli artisti furono tenuti da monsignor Pietro Giovanni Aliotti, vescovo di Forlì e Maestro di Camera di Giulio III. Giorgio vasari asserisce essere stato l'autore del disegno della Vigna Julia, a cui si deve effettivamente il progetto complessivo dei ogni invenzione e decorazione messe in opera dai vari artisti.

L'esposizione delle opere artistiche riguarda i grandi centri etruschi come Vulci, Cerveteri, Veio, ma pure alcuni siti minori dell’Italia preromana, come quello Agro falisco. 

L’esposizione vanta anche grandi raccolte del seicentesco museo Kircheriano, delle Collezioni Bermann e Gorga e della ricchissima collezione Castellani composta da ceramiche, bronzi e dalle celebri oreficerie antiche e moderne, queste ultime opera degli stessi Castellani, orafi tra i più noti a Roma nella seconda meta del XIX secolo. 



PAPA PAOLO IV CARAFA

Alla morte di papa Giulio, il nuovo papa Paolo IV Carafa, salito al soglio pontificio dopo 22 giorni di pontificato di Marcello II (membro dell'Inquisizione e morto di ictus cerebrale), confiscò tutte le proprietà di papa Giulio. 

La villa fu divisa, la costruzione principale e parte dei giardini divennero proprietà della Camera Apostolica, e la villa fu riservata per l'uso dei Borromeo, nipoti del successivo papa, Pio IV Medici di Marignano. Come tutte le ville suburbane, Villa Giulia aveva un'entrata urbana (sulla via Flaminia, l'antica via romana) e un giardino dietro. 

La villa Giulia, secondo il modello antico romano che le ville rinascimentali ricalcarono, fu dotata di una derivazione sotterranea dell'Acquedotto Vergine (lo stesso della Fontana di Trevi) dando luogo anche a due fontane-abbeveratoio a beneficio (tardivo) della popolazione, poste all'inizio della via di Villa Giulia sulla via Flaminia, dal cardinale Borromeo nel 1672, e da Filippo Colonna principe di Paliano nel 1701.

LE CARIATIDI

IL CASINO

Il casino venne costruito su progetto di Jacopo Barozzi da Vignola nel 1551 - 1553, con la collaborazione di Bartolomeo Ammannati, Giorgio Vasari e Michelangelo Buonarroti. La decorazione pittorica delle pareti fu di Prospero Fontana, Taddeo Zuccari, Pietro Venale e da vari aiutanti. Il papa spese un capitale per abbellire la villa, uno degli esempi più delicati dell'architettura manierista, cioè
dell'architettura europea che si sviluppò tra il 1530 ed il 1610, tra la fine del Rinascimento e l'avvento del Barocco.

Il fronte del casino, del Vignola, è costituito da una facciata a due piani di altezza identica. Ha al centro il uno splendido portale tra due colonne doriche bugnate e due nicchie laterali, con due ali simmetriche e una finestra ciascuna. Varcato il portale si accede prima ad un piccolo atrio e quindi nel portico ad emiciclo sostenuto da otto colonne ioniche di granito, con un grande arco centrale ed altri due alle estremità, affiancati da altri archi più piccoli e bassi.

La volta e le pareti dell’emiciclo conservano preziosi affreschi attribuibili a Prospero Fontana, Taddeo Zuccari e Pietro Venale da Imola: la volta presenta un graticcio con tralci di gelsomino e riquadri con putti; al centro è il Carro del Sole. Segue un pergolato con tralci di uva e viti in cui appaiono piccoli satiri all’interno di tondi e riquadri. 

IL MOSAICO MARINO

Tutta la volta è arricchita da una vegetazione su cui posano innumerevoli uccelli, pavoni, gufi, aironi, scoiattoli e farfalle. Nei pannelli delle pareti, decorati a grottesche su fondi rossi e gialli, sono raffigurati personaggi mitologici, tra cui Marte, Mercurio, Diana, Bacco, Venere ed Apollo

Dall’emiciclo si passa al piazzale, scandito sui due lati da sei colonne ioniche che delimitano cinque archi ciechi.

La facciata ha alle due estremità un pilastro di ordine dorico. Il pianterreno presenta quattro finestre bugnate con timpano triangolare, mentre quelle del piano superiore sono incorniciate e riccamente decorate.


Nella parte posteriore c'è la grande loggia di Ammanati che guarda sopra il primo dei tre cortili e dà accesso al giardino attraverso due fughe di scale in marmo che conducono al Ninfeo dove si può pranzare al fresco come usavano gli antichi romani.

Il livello più basso è dunque costituito dal ninfeo, un complesso scenografico creato da Giorgio Vasari e Bartolomeo Ammannati, al quale si accede tramite due strette scale a chiocciola: qui tutto concorre a creare un luogo impregnato di fascino e di mistero, come le quattro cariatidi che sostengono il balconcino ed il bellissimo pavimento romano a mosaico con Tritone, attorno al quale scorre l’Acqua Vergine che stilla dalle finte rocce emergenti dagli archi marmorei.

Vi sono così ben tre livelli di logge coperte e decorate con statue di marmo e balaustre, intorno ad una fontana centrale scolpita da Vasari e da Ammannati che rappresenta le divinità dei fiumi e le cariatidi.


Nell'arco a tre fornici inquadrati da quattro colonne ioniche, sull’ultima delle quali, a destra, vi è la firma dell’architetto: “BARTHOLOMEO AMANNATO ARCHITETTO FIORENTINO”. Il recinto del primo giardino diventa tutt'uno con il secondo edificio, che porta al cortile centrale,
mentre il terzo giardino, situato alla fine dell'asse principale, è all'italiana.  

Il Casino della Vigna, come a volte veniva chiamato, ed i suoi giardini erano posti al centro di vigne ben articolate. Gli ospiti papali sarebbero saliti su barche alle porte del Vaticano e trasportati sul Tevere al grande approdo riservato, per godere i piaceri e le magnificenze della villa, per passeggiare nei giardini e per mangiare i lussuosi pasti nel ninfeo.


La parete di fondo presenta una serliana che si apre verso il terzo cortile e dalla quale si scorge, con un notevole effetto scenico, la statua di Igea, la Dea della Salute e delle Guarigioni, copia romana di un originale attico.

Dalla loggia due rampe curvilinee conducono al secondo livello, caratterizzato da una parete a paraste doriche tra le quali si aprono due nicchie che un tempo ospitavano statue; oggi rimangono soltanto due statue raffiguranti divinità fluviali poste nei vani che si aprono ai lati del motivo centrale.

L’edifico della “Vigna Vecchia” fu concesso da Pio IV ai nipoti Borromeo come residenza, mentre l’edificio principale fu utilizzato saltuariamente come luogo di accoglienza per sovrani e grandi personalità in attesa di fare il loro ingresso a Roma attraverso la vicina “Porta Flaminia“: tra gli altri, nel 1565 vi fu ospitata la Regina Cristina di Svezia.


L'edificio fu restaurato nel 1769 su iniziativa di papa Clemente XIV e destinato ad uso dell'esercito (per acquartieramento, magazzinaggio e anche lazzaretto; vi ebbe sede anche la Scuola di veterinaria, per la cui comodità venne realizzato l'accesso a cordonata alla fontana bassa del ninfeo, utilizzata per abbeverare i cavalli).

Nel 1870 l'edificio divenne proprietà del Regno d'Italia, come sede di raccolta e poi di esposizione dei materiali rinvenuti nel territorio tra i monti Cimini e il Tevere, nel quadro di un ampio programma di esplorazioni archeologiche condotto sull'antico territorio di Falerii (1888-89). 

Iniziò così la destinazione museale della villa, alla quale negli anni trenta furono aggiunte due ali esterne per ospitare le collezioni e i servizi. Nel cortile destro così ottenuto è stata costruita la riproduzione di un tempio etrusco.


Nel 1889 fu destinato ad accogliere materiale archeologico sulle antichità preromane di popoli come Etruschi ed Italici. Nel 1939 il museo venne interamente dedicato alla civiltà etrusca: oggi, Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, noto anche come ETRU, è riconosciuto come uno dei musei etruschi più importanti al mondo, ricco di capolavori come il Sarcofago degli Sposi, l’Apollo di Veio e numerosi reperti della famosa Raccolta Castellani di oreficeria antica.

IL SARCOFAGO DEGLI SPOSI DI CERVETRI

I GIOIELLI DI VALLE GIULIA

I capolavori di valle Giulia, del resto famosi nel mondo, sono:

- il Sarcofago degli Sposi da Cerveteri (VI a.c.), una coppia di coniugi a grandezza quasi naturale che si adagiano felicemente come se fossero ad un pranzo, Il Sarcofago risale al 530-520 a.c. e fu scoperto nel 1881 in 400 frammenti, nella necropoli della Banditaccia a Cerveteri. L’opera, un’urna destinata ad accogliere i resti materiali dei defunti, raffigura una coppia di coniugi distesi su un letto (kline) con il busto sollevato frontalmente nella tipica posizione del banchetto.        
                                                        
L’uomo cinge con il braccio destro le spalle della donna, così che i loro volti risultano molto vicini, mentre la disposizione delle mani e delle dita suggerisce l’originaria presenza di oggetti perduti, come una coppa per bere vino o un piccolo vaso da cui versare profumo.

CISTA FICORONI
- la statua di Apollo. una scultura in terracotta dipinta da Veio (VI sec. a.c.): la statua risalente al 510-500 a.c. ornava, insieme ad altre statue, la sommità del tetto del Tempio di Portonaccio a Veio, dedicato alla Dea etrusca Menervea (Atena). Ritrovata in vari frammenti nel 1916, la scultura in terracotta policroma era collocata di fronte a quella di Eracle (Ercole) nella raffigurazione della contesa per il possesso della cerva sacra di Delfi dalle corna d’oro. Le statue sono state attribuite al Maestro dell’Apollo, un artista ignoto di Veio appartenente all’officina del famoso scultore etrusco Vulca.
 
- l’altorilievo frontale ricostruito da Pyrgi con Tideo, uno dei Sette contro Tebe, che divora il cranio di Melanippo già morto, nell'episodio della Tebaide, poema epico perduto del Ciclo Tebano.

- Le lamine d’oro scolpite in lingua etrusca e fenicia da Pyrgi (V sec. a.c.),
 
- l’Apollo dello Scasato da Falerii (IV sec. a.c.),
 
- il Centauro in nenfro da Vulci (sec. VI a.c.).

- I resti di un tempio rinvenuto nei pressi di Alatri

- Le collezioni Barberini, Castellani e Pesciotti

- la Cista Ficoroni, cofanetto cilindrico portagioielli di rame e impropriamente detto in bronzo, finemente cesellato e sormontato da un coperchio con tre sculture, h di 77 cm. Il migliore reperto conosciuto, per dimensioni, qualità, decorazione e conservazione, di cista etrusco-italica.

- l'Olpe Chigi, una ceramica greca policroma (h 26 cm) realizzata a Corinto da un anonimo artista intorno al 640 a.c. e trovata in Etruria, presso Veio.


Nel 2012, il Museo nazionale etrusco di Villa Giulia ha aperto alcuni ambienti anche all'interno della vicina villa Poniatowski, storica dépendance papale. Il 31 marzo 2013 il museo ha subito un furto che ha colpito parte della collezione Castellani.

C'è nella villa Giulia un giardino quadrangolare al centro del quale è posta una fontana in porfido rosso, ed è il luogo dove si svolge dal 1953 la serata conclusiva del famoso “Premio Strega”. Come già detto, all’angolo di Via Flaminia con Via di Villa Giulia è situata la grande fontana, un tempo isolata, che Papa Giulio III fece erigere nel 1552 da Bartolomeo Ammannati. 

Per i giochi d’acqua del suo ninfeo, il Papa si servì dell’Acqua Vergine, il cui condotto passava vicino a piazza di Spagna, facendo costruire dal Vignola una deviazione sotterranea che, rifornendo la fontana sulla Via Flaminia, arrivava fino alla villa.
SEZIONI DEL MUSEO


BIBLIO

- Anna Maria Moretti Sgubini - Il Museo Nazionale etrusco di Villa Giulia, guida breve - 1999 -
- R. B. Bandinelli, E. Paribeni - L'arte dell'antichità classica. Grecia - Torino - UTET Libr. - 1986 - 
- Lucos Cozza - La grande pianta di Falerii esposta nel Museo di Villa Giulia - OpRom 15 - 1985 -
- Matteo D'Acunto - Il mondo del vaso Chigi Pittura, guerra e società a Corinto alla metà del VII secolo a.c. -  Berlin - De Gruyter - 2013 -
- R. B. Bandinelli, A. Giuliano - Etruschi e Italici prima del dominio di Roma - Milano - Rizzoli -1976 -
- Caere. Scavi di R. Mengarelli - a cura di B. Pace, R. Vighi, G. Ricci, M. Moretti - in Mon. Ant. Lincei - XLII - 1955 -



SOTTO PALAZZO BARBERINI


0 comment

 

Palazzo Barberini è un antico palazzo di Roma che ospita parte della Galleria Nazionale d'Arte Antica dal 1949, quando il palazzo fu acquistato dallo Stato, e l'Istituto Italiano di Numismatica. E' situato in via Quattro Fontane, nel centro storico, a circa 200 metri da Piazza Barberini, è stato nel settecento modello di ispirazione per il Palazzo Barberini di Potsdam, in Germania. 

Il palazzo fu costruito tra il 1625 e  il 1633 ampliando il precedente edificio della famiglia Sforza con una struttura ad acca, caratterizzata da un atrio a ninfeo, posto fra il portico d'ingresso e il giardino retrostante. Autore del progetto è l'anziano Carlo Maderno, con l'aiuto di Francesco Borromini. 

Alla morte di Maderno il cantiere passò sotto la direzione di Bernini sempre con la collaborazione di Francesco Borromini, cui si deve l'elegante scala elicoidale nell'ala ovest del palazzo, che raffronta lo scalone berniniano a pianta quadrata nell'ala est. L'ingresso si apre sulla via delle Quattro Fontane mediante una cancellata progettata dall'architetto Azzurri nel 1848 e realizzata nel 1865, con i grandi telamoni scolpiti da Adamo Tadolini. 

La facciata è formata da sette campate che si ripetono su tre piani con arcate sostenute da colonne dei tre ordini: doriche, ioniche e corinzie. Dalle arcate più basse si accede al piano terra entrando in un grande atrio ellittico fiancheggiato da due scale, mentre una scala centrale porta ai giardini, posti più in alto del piano terra.

NARCISO DEL CARAVAGGIO

URBANO VIII

La villa degli Sforza venne inserita entro una costruzione quadrangolare che nella facciata verso l’attuale  piazza  Barberini era di rappresentanza essendo esposto verso una zona già abitata della città, mentre per i prospetti su via delle Quattro Fontane e sui giardini era stata elaborata una soluzione ad ali aperte, dando all’ insieme una forma ad “H”.

L’intento del pontefice fu quello di ampliare le antiche fabbriche della famiglia Sforza, poste sul colle del Quirinale. Il progetto ingloba il nucleo preesistente,  ceduto dagli eredi di Giulio della Rovere al cardinal Alessandro Sforza di Santa Fiora nel 1581.

Il palazzo, o villa suburbana, era già appartenuto al cardinal Rodolfo Pio da Carpi dal 1549, che l’aveva poi venduto al cardinal Della Rovere e al tempo della famiglia Sforza di Santa Fiora la zona aveva già subito l’urbanizzazione, in seguito alla costruzione dell’acquedotto Felice e della via delle Quattro Fontane ad opera di Sisto V.

L’attuale edificio fu la dimora di rappresentanza di Urbano VIII, il cardinale Maffeo Barberini che lo ricevette in dono dal fratello Francesco dopo due anni dall’ elezione al soglio pontificio nel 1623Gian Lorenzo Bernini subentrò alla direzione dei lavori dopo la morte del Maderno avvenuta nel 1629 e completò il palazzo entro 1633.

Il  progetto di ampliamento venne affidato a Carlo Maderno che incluse nella ristrutturazione del palazzo il nucleo degli Sforza, mantendone le decorazioni interne. Ciò  permise alla famiglia Barberini di abitare il palazzo mentre i lavori erano in corso.

I reperti dell'antica Roma presenti nella collezione Barberini avevano subito varie dispersioni fin dal Settecento, ma, ancora cospicue nel 1934, grazie al fedecommesso, confermato nel passaggio dallo Stato pontificio al Regno d'Italia, aveva conservato anche altre importanti raccolte principesche romane, come quella Doria Pamphili, Torlonia, Borghese, ecc.





IL FIDECOMMESSO

Il fidecommesso è una disposizione testamentaria in cui il testatore istituisce erede o legatario un soggetto determinato con l'obbligo di conservare i beni ricevuti, che alla sua morte andranno automaticamente ad un soggetto diverso indicato dal testatore stesso. 

SCALA DEL BORROMINI
Una variante meno rigida è il fedecommesso de residuo che non impone all'istituito di conservare i beni ricevuti, sicché la successione del sostituito è limitata a quelli non alienati. 

Il 26 aprile di quell'anno un discutibilissimo Regio Decreto aboliva il vincolo in cambio di appena 16 dipinti (su circa 640), consentendo la dispersione delle raccolte Barberini, anche all'estero. 

Si venne incontro così ai cospicui interessi dei proprietari, degli intermediari e del mondo degli acquirenti di opere d'arte di prestigio, a fronte invece di una crescente domanda nata proveniente soprattutto dai ricchissimi Stati Uniti, che andavano creando proprio in quegli anni le proprie grandi collezioni pubbliche e private.

Lasciarono così l'Italia opere di statuaria antica, di Dürer (Cristo dodicenne tra i dottori), Caravaggio (Santa Caterina d'Alessandria e I bari), Guido Reni, Guercino e Poussin (Morte di Germanico, tra i capolavori dell'artista), oltre a un'innumerevole quantità di artisti minori. Ciò sollevò un tale scandalo che si dovettero creare norme di tutela per le altre opere d'arte.

Il palazzo, ancora nelle mani degli eredi Barberini, nel 1949 fu acquistato dallo Stato italiano, ma solo nel 1997 fu firmato un protocollo d'intesa per la liberazione dei locali in vista del Giubileo del 2000, 

Tuttavia si dovette attendere fino al 2006 affinché il palazzo fosse assegnato completamente alla Galleria d'Arte Antica (che fino ad allora poteva esporre solo il 20% delle proprie raccolte per la mancanza di spazi).


RICOSTRUZ. DEL TEMPIO DI QUIRINO

IL TEMPIO DI QUIRINO

Il Tempio di Quirino sorge su un antichissimo sacellum, al quale si sovrappose un primo edificio a metà del III secolo e poi una costruzione più grande, promossa da Giulio Cesare, dopo un incendio scoppiato nel 49 a,c,. Esso giace sotto terra a partire da un metro sotto il livello del giardino, fino a una profondità di quattro metri e sessanta.

Infatti il Tempio, sorto sul colle «Quirinalis» nell’età della fondazione di Roma e ricostruito da Cesare e poi da Augusto, secondo il famoso archeologo e divulgatore di storia romana Filippo Coarelli giacerebbe invece sotto Palazzo Barberini. Da oggi infatti il Prof. comincerà un nuovo ciclo di lezioni al Museo nazionale romano di Palazzo Massimo alle Terme, per illustrare le sue più recenti ricerche sulle scoperte frutto degli scavi degli ultimi vent’anni.

«La localizzazione del Tempio di Quirino sarà uno dei temi cruciali delle nuove lezioni - annuncia Filippo Coarelli - Il complesso monumentale sta proprio sotto Palazzo Barberini e non certo sotto i giardini del Quirinale. È d’accordo con me anche Adriano La Regina e si può dimostrare». 


GIARDINO DI PALAZZO BARBERINI

Le rilevazioni si intrecciano con altre fonti (del tempio parlano Vitruvio, Varrone, Plinio, Livio e Cicerone). Ecco che «portici e muri permettono di ricostruire, al centro dello spazio scoperto, un tempio che sappiamo essere stato circondato da due file di colonne, per cui doveva essere visibile da tutti i lati ».

Una serie di altre linee fornite dal Georadar evidenzia i gradini che scendevano dai portici alla corte dove doveva ergersi su un podio l'aedes Quirini, il santuario di Quirino, il cui accesso principale si apriva su una traversa dell' attuale via del Quirinale che fiancheggia il palazzo Barberini.  

Gli indizi chiave sarebbero emersi dallo studio dei risultati ottenuti da una serie di scavi, alcuni storici (risalenti al 1901), altri più recenti e ancora inediti, che hanno consentito all’archeologo di ricomporre lo straordinario monumento.

«Il tempio va collocato tra via Barberini e via delle Quattro Fontane». Durante i lavori per l’adeguamento dell’ingresso alla galleria d’arte di Palazzo Barberini, vennero riportate alla luce possenti murature e pure alcuni affreschi, identificabili oggi con le sostruzioni del grande podio-platea del tempio che sorgeva sul colle primitivo del Quirinale. E porzioni delle imponenti fondamenta del tempio sarebbero riscontrate anche sul lato di via Barberini.

« Lo scavo del traforo nel 1901 rimise in luce una fetta di gigantesca struttura residenziale identificabile, grazie al ritrovamento dei tubi con epigrafi, a Plauziano suocero dell’imperatore Caracalla ». Nel 293 a.c. il console Lucio Papirio Cursore ordinò la costruzione di un tempio dedicato al Dio Quirino, molto probabilmente sopra un santuario più antico risalente alle popolazioni sabine che in età arcaica occupavano il colle. 

Lo testimonia un rilievo in marmo del II secolo d.c. rinvenuto a piazza Esedra nel 1901 ed oggi conservato nei depositi di Palazzo Massimo, che l’architetto Vitruvio descrive fosse di ordine dorico con doppio colonnato, circondato da un portico.

Romolo, un personaggio storico e non solo mitologico, che al momento della sua uccisione da parte del consiglio regio, insofferenti del fatto che Roma avesse un governo centrale, si trasfigura in Quirino, muore e rinasce nel Dio.  

Quirino non verrà mai dimenticato nel corso dei secoli, un Dio legato alle armi più che alla guerra e presiede all'immagazzinamento dei raccolti.. A rievocarlo sono Cesare e poi Augusto, « i quali nel riaffermare il loro potere sentono il bisogno di riallacciarsi al mito della fondazione e ai suoi emblemi, Romolo e Quirino, risvegliando anche nell' élite il tema dell' uccisione-smembramento del fondatore, un tema ripreso anche da Cicerone  ». 

Una statua di Cesare, anche se ancora in vita, venne eretta nel tempio davanti a quella di Quirino, recando la dicitura "Deo invicto", al Dio che non fu mai vinto. Poco dopo, però, Cesare venne ucciso con 23 coltellate, accusato di aver accumulato un potere immenso e il suo omicidio, annota Carandini, venne interpretato « come un' attualizzazione del mito di morte del fondatore ». 

Ma Augusto, che morì tranquillo nel suo letto, decise di andare ad abitare sul Palatino, proprio accanto alla casa di Romolo, e inoltre restaurò templi di culti romulei come quelli di Giove Feretrio e di Giove Statore e infine completò il Tempio di Quirino. 





LA FAMIGLIA BARBERINI
 
I Barberini (anticamente Tafani sin dall'XI secolo), originari di Barberino Val d'Elsa, frazione di Barberino Tavarnelle, di Firenze in Toscana, furono un'influente famiglia nobiliare italiana, trasferitasi prima a Firenze e poi a Roma.

Un tempo le famiglie aristocratiche romane insegnavano ai figli l'arte della guerra, con una serrata scalata di gradi, per diventare generali e coprirsi di gloria e di ricchezze. Col cristianesimo le stesse famiglie avviarono i figli alla carriera religiosa, con altrettanto serrata scalata di gradi, perchè diventassero cardinali e magari papi onde coprirsi di potere e di ricchezze.

La famiglia ottenne infatti ricchezze e potere grazie al cardinale Maffeo Barberini, che nel 1623 venne eletto papa con il nome di Urbano VIII e che permise alla famiglia di appropriarsi di una grossa fortuna di terre e di centri abitati che amministravano, come usava all'epoca, sottraendo tutto il possibile ai poveri contadini e artigiani. 

I Barberini ottennero anche il titolo di "Principe di Palestrina" nel 1627 e furono mecenati e protettori delle arti, circondandosi di grandi artisti come Gian Lorenzo Bernini, Francesco Borromini, Pietro da Cortona. A loro si deve il maestoso palazzo Barberini e la chiesa di Sant'Ivo alla Sapienza, capolavori dell'arte barocca. 

Con la loro ascesa il loro nome fu mutato in "Barberini" (dal paese d'origine) e sul loro stemma i tafani vennero sostituiti dalle più nobili api. Peccato però che distrussero i più bei monumenti di Roma usandone i marmi, le colonne, le trabeazioni e i bronzi, tanto che di loro si disse "Quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini" («Quello che non fecero i barbari, lo fecero i Barberini»).

Papa Urbano VIII che di religioso aveva poco come quasi tutti gli alti prelati di allora, agevolò la carriera militare del fratello Carlo, creò cardinali due nipoti e nominò Principe di Palestrina un altro nipote, Taddeo Barberini, che fu anche nominato comandante dell'esercito pontificio.



IL PALAZZO BARBERINI

L' edificio fu iniziato da papa Gregorio XIII nel 1574 perché, sorgendo su un colle, luogo più ventilato e salubre del Vaticano e del Laterano, diventasse la residenza estiva dei pontefici.  «Lo conobbi, quel palazzo, come reggia inquietante dei Savoia e poi come amata Casa degli italiani». Secondo alcuni, tra cui Filippo Coarelli, il Tempio sarebbe stato più a nord, oltre la via delle Quattro Fontane, fin sotto Palazzo Barberini. 

Quirino, Dio antichissimo, era venerato lungo le sponde del Tevere prima ancora della fondazione di Roma, a metà dell' VIII secolo a.c., quando il territorio era occupato da diversi insediamenti. Romolo era un re, ha scritto Carandini, che non proveniva dall'aristocrazia, non era un despota, e operava, sulla base di una costituzione, in un circuito di poteri ognuno dei quali controllava l' altro. 

Il palazzo venne edificato dal 1625 al 1633 sul precedente edificio della famiglia Sforza creando una struttura ad atrio a ninfeo, fra il loggiato d'ingresso e il giardino sviluppato sul retro. Autore del progetto è l'anziano Carlo Maderno, coadiuvato da Francesco Borromini. Dopo la morte di Maderno il cantiere passò al Bernini sempre col Borromini, Nel 1639 fu inaugurato il "teatro grande" di Palazzo Barberini.

Il grande salone al primo piano è stato decorato nel periodo 1632-1639 da Pietro da Cortona con il Trionfo della Divina Provvidenza e alcuni affreschi nella cappella. Altre sale sono state decorate, tra gli altri, da Andrea Sacchi e Giovan Francesco Romanelli.

Le raccolte della collezione Barberini si erano arricchite lungo tutto il secolo XVII, dal pontificato di Urbano VIII, ed erano state divise tra l'antiquarium di Villa Barberini a Castel Gandolfo e il "palazzo Barberini alle quattro Fontane".

I reperti dell'antica Roma presenti nella collezione si dispersero fin dal Settecento, regalate in cambio di favori ma soprattutto vendute, tuttavia ancora esistenti e cospicue nel 1934, grazie al fedecommesso (disposizione testamentaria dove si istituisce erede un soggetto con l'obbligo di conservare i beni ricevuti, pena il decadimento testamentario)

Infatti anche nel passaggio dallo Stato pontificio al Regno d'Italia, aveva conservato altre importanti raccolte principesche romane, come quella Doria Pamphili, Torlonia, Borghese, ecc. In quell'anno un discutibilissimo Regio Decreto aboliva il vincolo in cambio di appena 16 dipinti (su circa 640), consentendo la dispersione delle raccolte Barberini, anche all'estero.

Con evidente mala fede si era minimizzata l'importanza della raccolta, per venire incontro ai cospicui interessi privati dei proprietari, degli intermediari e degli acquirenti di opere d'arte di prestigio, in una fase di attenzione ai beni italiani ma a fronte di una crescente domanda dai ricchissimi Stati Uniti, che andavano creando le loro collezioni pubbliche e private.

Lasciarono così l'Italia opere di statuaria antica e di pittura, di Dürer (Cristo dodicenne tra i dottori), Caravaggio (Santa Caterina d'Alessandria e I bari), Guido Reni, Guercino e Poussin (Morte di Germanico, tra i capolavori dell'artista), oltre ad artisti minori, ma validissimi, come le rarissime tavolette del Maestro delle Tavole Barberini, poi identificato in Fra Carnevale.



L'ACQUISTO DA PARTE DELLO STATO

L'unica consolazione dalla vendita della collezione Barberini fu lo scandalo suscitato, tale da creare nuove e severe norme di tutela per i beni italiani. Il palazzo era nel frattempo rimasto nelle mani degli eredi Barberini, e nel 1949 fu acquistato dallo Stato italiano.

L'acquisto del palazzo mirava alla creazione di un museo che ampliasse la sede di palazzo Corsini alla Lungara, anche per l'acquisto di pezzi o intere raccolte dai Torlonia, dai Chigi, dagli Odescalchi, dai Colonna di Sciarra, e dei quadri residui della collezione Barberini, tra cui la celeberrima Fornarina di Raffaello.

Tuttavia i Barberini avevano però già concesso in affitto, dal 1934, una congrua parte del loro palazzo al Circolo Ufficiali delle Forze Armate, con un contratto che scadeva nel 1953. Nonostante i solleciti a reperire una nuova sede per il Circolo, l'affitto fu rinnovato fino al 1965, affinché gli Ufficiali "avessero il tempo di cercarsi un'altra sede".

Ma alla scadenza il Circolo non solo non traslocò, ma senza più pagare il canone di locazione e affittando invece a enti privati dei cui incassi beneficiava il Circolo stesso, si arrivò al 1974 ai ferri corti tra Ministero della Pubblica Istruzione (poi scorporato nel Ministero dei beni culturali) e Ministero della Difesa.

Nel 1997. venne finalmente firmato un accordo per la liberazione del palazzo in vista del Giubileo del 2000, a fronte della palazzina Savorgnan di Brazzà per gli Ufficiali (oltre alla concessione delle sale di rappresentanza del palazzo per 50 giorni all'anno), per il cui restauro e adeguamento lo Stato dovette spendere "alcune decine di milioni di euro".

Solo nel 2006 il palazzo venne assegnato completamente alla Galleria d'Arte Antica che poteva esporre solo il 20% delle proprie raccolte per mancanza di spazi. Oggi si restaurano edificio e giardino, per rendere usufruibile al pubblico l'intero palazzo per una galleria nazionale con opere in ordine cronologico, con possibilità di inserire acquisti e integrazioni.

BORROMINI - SCALA ELLICOIDALE

L'INTERNO

Il progetto del Maderno prevedeva di inglobare il palazzo Sforza con lo schema rinascimentale del blocco quadrangolare con uno spazio centrale cinto da arcate. Successivamente ripiegò invece con una facciata regolare su piazza Barberini e una parte come villa suburbana con grandi giardini. L'ingresso si apre sulla via Quattro Fontane con la cancellata progettata dall'architetto Azzurri nel 1848, con i grandi telamoni scolpiti da Adamo Tadolini.

La facciata ha sette campate che si ripetono su tre piani di arcate sostenute da colonne con i tre stili classici: dorico, ionico e corinzio. Tramite le arcate più basse si accede al piano terra entrando in un ampio atrio ellittico fiancheggiato da due scale in cui centralmente si apre una scala che porta ai giardini, posti ad un livello più alto del piano terra. Il giardino nacque come giardino all'italiana, sui terreni lungo la strada Pia. oggi via XX Settembre, fino all'odierna salita di san Nicola da Tolentino, con giardino segreto, struzzi e cammelli.


Successivamente vi furono introdotti:

- Un'area di alberi ad alto fusto da giardino all'inglese,

- La cosiddetta casina di sughero di fronte alla cordonata di collegamento del giardino con il palazzo.

- Nell'angolo superiore tra via delle Quattro Fontane e strada Pia, vi fu costruito uno sferisterio aperto al pubblico (impianto sportivo per le varie specialità del gioco del pallone), che durò fino al 1881, quando il giardino cominciò occupato dall'urbanistica della capitale.

- Con l'unità d'Italia il giardino Barberini lasciò parte dei giardini lungo la via XX Settembre.

- Il giardino non venne completamente lottizzato come accadde a Villa Ludovisi che venne distrutta e lungo la rampa delle carrozze fu costruita la grande serra (1875).

- Durante il fascismo (1938) gli edifici padronali lungo via delle Quattro Fontane furono sostituiti dal palazzo dei Beni stabili e fu costruita alle spalle della casina di sughero la palazzina Savorgnan di Brazzà (1936, Giovannoni e Piacentini).

- Durante gli scavi di fondazione venne trovato uno splendido mitreo del II secolo.



LA GALLERIA NAZIONALE

Il museo ospita Le Gallerie Nazionali di Arte Antica con una galleria fondata nel 1895 per raccogliere opere di diverse collezioni private e dal Monte di Pietà, un'istituzione articolata in due sedi espositive, una a Palazzo Barberini e l'altra a Palazzo Corsini.

TRIONFO DELLA DIVINA PROVVIDENZA - PIETRO DA CORTONA


LE OPERE DI PALAZZO BARBERINI

- Andrea del Sarto - Sacra Famiglia Barberini, 1528 circa
- Bartolomeo Veneto - Ritratto di gentiluomo
- Pompeo Batoni - Ritratto di Abbondio Rezzonico, Ritratto di Sir Henry Peirse, Agar e l’angelo
- Gian Lorenzo Bernini - Ritratto di Urbano VIII, Busto di Urbano VIII, Busto di Clemente X
- Agnolo Bronzino - Ritratto di Stefano Colonna.
- Canaletto - Il Canal Grande, Piazza San Marco e piazzetta verso Sud, Ponte di Rialto, La piazzetta con la biblioteca di San Marco, Veduta di piazza San Marco con le Procuratie.
- Caravaggio - Giuditta e Oloferne, 1599, Narciso, 1599, San Francesco in meditazione, 1605.
- El Greco - Adorazione dei pastori, Battesimo di Cristo
- Pedro Fernández da Murcia - Visione del beato Amedeo Menez da Sylva, 1513 circa
- Garofalo - La vestale Claudia Quinta traina la nave con la statua di Cibele
- Giulio Romano - Madonna col Bambino (Madonna Herz), 1522-1523

CARAVAGGIO - GIUDITTA E OLOFERNE

- Guercino - Et in Arcadia ego, 1618-1622
- Hans Holbein - Ritratto di Enrico VIII
- Giovanni Lanfranco - Venere suona l'arpa
- Filippo Lippi -  Madonna di Tarquinia, 1437, Annunciazione e due donatori, 1440-1445
- Lorenzo Lotto - Matrimonio mistico di santa Caterina d'Alessandria e santi, 1524
- Quentin Massys - Ritratto di Erasmo da Rotterdam
- Pierre-Étienne Monnot - Modello del monumento funebre di Innocenzo XI Odescalchi, 1697 ca.
- Perugino - San Filippo Benizi
- Piero di Cosimo - Maddalena

ET IN ARCADIA EGO - GUERCINO

- Pietro da Cortona - Angelo custode
- Pittore romano - Madonna advocata e Cristo benedicente
- Nicolas Poussin - Paesaggio con Agar e l'angelo
- Aniello Falcone - L' anacoreta
- Mattia Preti - Allegoria dei cinque sensi, 1641-1646 (insieme al fratello Gregorio), Fuga da Troia, 1630 circa, Banchetto del ricco epulone, 1655 ca.
- Raffaello - La Fornarina, 1518-1519
 - Guido Reni - Maddalena 1630, Ritratto di Beatrice Cenci
- Giovanni Battista Tiepolo - Satiro e amorino
- Tintoretto - Cristo e l'adultera
- Tiziano - Venere e Adone, 1560 circa
- Simon Vouet - La buona ventura
- Gaspar van Witte - La passeggiata di Villa Medici
- Valentin de Boulogne - La cacciata dei mercanti dal tempio



NUOVE ACQUISIZIONI

- Pompeo Batoni - Ritratto di Abbondio Rezzonico, 1766, olio su tela.
- Pierre-Étienne Monnot - Modello del monumento funebre di Innocenzo XI Odescalchi, 1697 ca., legno dipinto e terracotta dorata.
- Giovanni Lanfranco -  Morte di Cleopatra, 1630, olio su tela.
- Simone Cantarini detto il Pesarese - Ritratto del Cardinale Antonio Barberini, 1631, olio su carta applicata su tela.

LE PARTI DELL'EDIFICIO

Dall’ingresso da via delle Quattro Fontane si nota la divisione dei due settori del palazzo, quello nord abitato dalla famiglia e la parte sud abitata dagli ecclesiastici. La rampa che dal porticato conduce ai giardini fu voluta dal Cardinal Francesco Barberini, interessato ai giardini che aveva popolato di piante particolari. Suo fratello Antonio poi, abitando da solo il palazzo, in seguito al trasferimento del fratello cardinale alla Cancelleria, progettò un complesso giardino all’ italiana.

La facciata di Bernini, del tutto innovativa, grazie al lungo porticato raggiunge, attraverso la rampa a gradoni, il giardino segreto posto sul retro. Il salone centrale si eleva per due piani e presenta la volta di Pietro da Cortona affrescata tra il 1632 e il 1639, con l’ apoteosi della famiglia Barberini espressa  nel Trionfo della Divina Provvidenza. 

Tra il 1629 e il 1631, Andrea Sacchi dipinse la volta di un’altra grande sala del piano nobile con la  Allegoria della divina Sapienza, con le teorie astronomiche dell'epoca. Nel XVIII secolo, per tema dell’estinzione della famiglia, si unì in matrimonio Cornelia Costanza, ultima discendente, con Giulio Cesare Colonna e Anna Colonna con Taddeo Barberini per assicurare continuità al cognome Barberini e di unire i beni fedecommissari. 


PARTI DELL'EDIFICIO


LE SPECULAZIONI EDILIZIE

Dopo l’Unità d’ Italia l’area di Palazzo Barberini fu oggetto di speculazioni edilizie che comportarono l’esproprio  di aree private del palazzo. Venne distrutto il teatro per far posto a via Barberini, mentre verso la piazza la facciata venne in parte nascosta da nuovi edifici più bassi, prendendo spazio al cortile della Cavallerizza.

L’ingresso di rappresentanza venne spostato su via delle Quattro Fontane, nei giardini retrostanti vennero insediati i Ministeri del Regno e il giardino superstite venne alterato dalla costruzione della grande serra. 

 

LA COLLEZIONE

Quando il palazzo divenne di proprietà statale era già stato privato delle collezioni d’arte della famiglia Barberini. L’alienazione era inizia già nel Settecento, quando l’ultima discendente Barberini, Cornelia Costanza, sposata a Giulio Cesare Colonna di Sciarra, vendette le prime opere. Le liti dei loro figli divisero le collezioni fra i due rami della famiglia, con un accordo stipulato nel 1811. 

Alla fine dell’ Ottocento, la collezione Barberini, oltre ad essere divisa con gli Sciarra, venne divisa con i Corsini, in seguito al matrimonio delle figlie di Carlo Felice Barberini con due esponenti della famiglia Corsini.  A ciò si aggiunse la fine del ramo primogenito dei Barberini in Maria Barberini Sacchetti. Dopo il 1881 i 3/8 della collezione Barberini passarono nella collezione Corsini di Firenze, ma il patrimonio artistico in possesso dei Barberini era ancora immenso.

La definitiva dispersione delle collezioni si ebbe nel 1934, grazie a una legge che permise  la vendita delle opere fedecommissarie, rinunciando alla tutela della collezione, in cambio di un piccolo nucleo di proprietà. Il Regio Decreto 1934, voluto dai principi Corsini e Barberini, consentiva di dividere le collezioni fedecommissarie in tre parti, delle quali una diventava proprietà dello Stato, una ai principi che avrebbero potuto anche vendere ed esportare, e una restava ai principi sottoposta al vincolo, nucleo poi acquisito dallo Stato nel 1952. 

Si contano circa seicento opere, tra dipinti e arredi, in deposito ad enti esterni. Dal 2006 la Galleria Nazionale d’Arte Antica torna Museo dopo il trasferimento del Circolo Ufficiali alla vicina Palazzina Savorgnan di Brazzà. Ciò ha consentito di recuperare più di 2.700 mq, mentre 700 resteranno disponibili esclusivamente per rappresentanza del Ministero della Difesa.


IL MITREO

SOTTO PALAZZO BARBERINI - IL MITREO ROMANO

Sotto la Palazzina Savorgnan di Brazzà si trova un monumento di epoca imperiale romana, il Mitreo Barberini, uno dei mitrei meglio conservati di Roma, posto tra la facciata posteriore di Palazzo Barberini, in via delle Quattro Fontane, e via San Nicola da Tolentino. Il monumento è sotto la responsabilità della Soprintendenza speciale Archeologica, belle arti e paesaggio di Roma. ​

Il 16 dicembre 1933, il Conte Ascanio Savorgnan di Brazzà, nipote di Pietro Savorgnan di Brazzà, famoso come esploratore in Africa, acquistò dal principe don Urbano Barberini una parte dei giardini posta oltre la grande rampa centrale del Palazzo, onde edificare su questa una palazzina di famiglia.

Durante questi lavori edilizi nel 1936 furono scoperti sul sito i resti di un edificio del II secolo, che a ovest era stata trasformata in mitreo nel II e del III secolo. Questo luogo lasciò colpì tutti per l’importanza e l’eleganza della sua decorazione pittorica. Uno tra i più bei mitrei presenti a Roma.

La conservazione di questo e di altri musei ridiede nel fatto che il mondo cristiano ignorava questi monumenti essendo questi già sotterranei all'epoca degli antichi romani. Così poterono sfuggire alla furia selvaggia che abbattè una città enorme e meravigliosa solo per cancellarne ogni tratto pagano.

L'unico nel suo genere per gli affreschi presenti, è costituito da un piccolo edificio che, riutilizzando precedenti strutture del II secolo d.c. fu dedicato al culto di Mitra, divinità solare di origine iranica già garante dei patti e delle convenzioni, poi dal profilo più dichiaratamente militare e dunque particolarmente diffuso tra le legioni romane soprattutto nel medio e tardo impero.

L'ambiente, rinvenuto nel 1936 e consistente in una sala di m. 11,85 x 6,25 con volta a botte e banchine
laterali cd. praesepia, presenta una complessa ed interessante decorazione ad affresco, con pochi confronti (es. Marino e Capua; a Roma mitreo di S. Prisca). 


MITREO


In alto la volta celeste con i segni zodiacali, intorno dieci quadretti (pinakes) che raccontano la storia e le sacre imprese di Mitra; le personificazioni di Sole e Luna. L attenzione converge sulla scena centrale del taurobolio dove Mitra, affiancato come di consueto da Cautes e Cautopates, uccide ritualmente il toro.

Venne completato nel 16 a.c, per volontà di  Augusto e, spiega Carandini: « Segnali paralleli e lineari lungo i lati lunghi del rettangolo sono interpretabili come i portici sostenuti da un muro perimetrale e da due colonnati, alcune anomalie minute e di forma tonda sembrano rimandare alle colonne». 

Il culto era già tanto diffuso che quando Costantino, volendo realizzare una religione di stato al suo comando, chiese ai suoi consiglieri quale culto convenisse scegliere, questi dovettero ammettere che il culto cristiano e il culto mitriaco piuttosto equivalenti come numero di fedeli, ma che conveniva optare per il culto cristiano essendo quello mitriaco più difficile da comprendere in quanto misterico e non adatto alle donne per il suo seguito militare.

La Villa ed i suoi annessi, alla morte del Conte Savorgnan, prima, e della consorte, poi, venne donata all'ospedale civile di Udine che a sua volta, tentò di vendere la proprietà ad un acquirente privato ma lo Stato, nel 1972, esercitò il diritto di prelazione.

L’ambiente, rinvenuto nel 1936 è una sala di 11,85 x 6,25 metri con volta a botte e banchine laterali con decorazioni ad affresco, in alto la volta celeste con i segni zodiacali, intorno dieci quadretti che raccontano le sacre imprese di Mitra con le personificazioni di Sole e Luna. Nella scena centrale del taurobolio Mitra, affiancato da Cautes e Cautopates, uccide ritualmente il toro. Ai due lati due banconi ove i partecipanti stavano sdraiati per effettuare il pasto sacro.

Sul fondo primeggia una pittura simile a quelle del mitreo di Marino e di Capua. Il riquadro centrale presenta Mitra che uccide il toro, il cui sangue è lambito da un cane e un serpente (simboli della Luna e della Terra), mentre uno scorpione (simbolo di morte) gli punge i testicoli. Ai lati si trovano i due dadofori Cautes e Cautopates, che assistono alla scena recando le fiaccole.

In alto due linee curve indicano la volta celeste, entro le quali sono rappresentati i segni zodiacali e, al centro, il Dio Zurvan Akarana, il Tempo Illimitato, drago alato con testa di leone, stante sul globo, avvolto dalle spire di un serpente che rappresentano le spire del tempo, quindi l'eternità. .




L'EPOPEA DI MITRA

In alto, negli angoli a destra e sinistra, sono raffigurati il Sole e la Luna. Ai fianchi della scena centrale si trovano dieci quadretti di dimensioni variabili su due fasce verticali, che raffigurano la storia sacra di Mitra (a sinistra dall'alto in basso e poi a destra dall'alto in basso):

- Zeus che fulmina i Giganti
- Saturno
- Mitra che nasce dalla roccia
- Mitra che fa scaturire l'acqua da una roccia colpendola con una freccia
- Mitra che trasporta il toro
- Banchetto mistico
- Mitra che sale sulla quadriga del Sole
- Patto di alleanza tra Mitra e il Sole
- Mitra inginocchiato tra due alberi
- Mitra colpisce con una zampa del toro il dio Sole, inginocchiato davanti a lui (scena di iniziazione). 

Alla destra del dipinto c'è una spalletta che imita la roccia e che sorreggeva una voltina ad arco, su cui appare il segno dei pesci dello zodiaco. I mitrei venivano ricavati negli ambienti sotterranei degli edifici, sia per la riservatezza sia per evocare al tempo stesso la mitica grotta dove era nato il Dio Mitra.
Sebbene il mito prevedesse il "Tauribolio" (uccisione del toro sacro), era molto difficile e costoso praticare questo rito che sicuramente non veniva quasi mai praticato ma simboleggiato in qualche modo.

Sulla parete di fondo del santuario fu sistemata un'edicola in muratura, con le storie di Mitra, unico esempio a noi giunto, simile a quelle del mitrei di Marino e Capua. La decorazione si sviluppa tutta intorno ad un grande riquadro centrale raffigurante la scena del sacrificio del toro, dal cui sangue scaturirà la vita animale e vegetale della terra.

I neofìti, tutti maschi, erano accettati con il livello inferiore. I livelli erano 7, corrispondenti a sette gradi:

I primi tre gradi erano i "Senitori"
- I grado "Corvo" (Corax),
- II grado "Ninfa" (Nynphus)
- III grado "Soldato" (Miles).

Gli altri quattro gradi costituivano il gruppo di neofìti, detto dei "Partecipanti":
- IV grado "Leone" (Leo),
- V grado "Persiano" (Perses),
- VI grado "Messaggero del Sole" (Heliodromos)
- VII grado "Padre" (Pater).

Il culto venne introdotto in Italia dai soldati provenienti dalle province orientali, e raggiunse la massima diffusione sotto Commodo (180-192), Diocleziano (284-305) e Massimiano (284- 305). Con l'avvento del Cristianesimo, per tutti i culti pagani inizia un periodo di persecuzioni che si concluderà con la chiusura o la demolizione di tutti i santuari pagani, mitraici e non.


BIBLIO

- Procopius - De Aedificiis - 
- Filippo Coarelli - Guida archeologica di Roma - Arnoldo Mondadori Editore -Verona - 1975 -
- Storia degli scavi di Roma e notizie intorno le collezioni romane di antichità: Dalla elezione di Paolo V alla morte di Innocenzo XII - Quasar - 1994 -
- Dominique Briquel - Romulus jumeau et roi. Realites d'une legende - Les Belles Lettre - Paris - 2018 -
- Nino Burrascano - I misteri di Mithra - Genova - Il Basilisco - 1979 -
- Ruggero Iorio - Mitra. Il mito della forza invincibile - Marsilio - Venezia - 1998 -
- Blunt, Anthony - The Palazzo Barberini - Journal of the Warburg and Courtauld Institutes - 1958 -
- Paolo Carafa - Il tempio di Quirino. Considerazioni sulla topografia arcaica del Quirinale Archeologia classica - 1994 -






 

Copyright 2009 All Rights Reserved RomanoImpero - Info - Privacy e Cookies