FORTE DI UMM AL-DABADIB (Limes Africae)




Situata lungo l'antica via carovaniera conosciuta oggi come Darb Ain Amur, il forte tardo romano di Umm al-Dabadib potrebbe aver avuto origine come approvvigionamento di acqua per i carovanieri dell'epoca. Il sito fu probabilmente abitato in epoca tardo tolemaica, come testimoniano ceramiche e corredi funerari rinvenuti nel più vasto e ricco cimitero. 

Nel III secolo d.c. si rivela un discreto insediamento a Nord, accanto a un'antica fonte d'acqua con la presenza di un piccolo tempio. Evidentemente la fonte, venerata come una divinità aveva dato luogo al tempio dove accorrevano i fedeli per l'acqua e per i miracoli di guarigione, il che ha prodotto un commercio e un piccolo centro che si è man mano ingrandito. 

Esso venne costruito all'inizio del IV secolo d.c. alla periferia dell'oasi di Kharga, nel deserto occidentale egiziano, progettato e costruito secondo il Cubito riformato egiziano, l'ultima attestazione dell'uso del cubito egiziano in architettura. 

Umm al-Dabadib è un vasto e isolato insediamento alla periferia dell'oasi di Kharga, nel deserto occidentale dell'Egitto. La sua posizione remota e l'ambiente desertico arido hanno permesso sia agli abitati che al sistema agricolo di sopravvivere in ottime condizioni fino ad oggi. 

L’insediamento consiste di un forte centrale alto 12 metri, circondato da una massa solida di abitazioni su più livelli, servite da corridoi coperti e non da strade a cielo aperto, il che permetteva di proteggersi dal sole e dalla sabbia. Il sistema agricolo consiste di 5 acquedotti sotterranei, ognuno di 2 o 3 km, e di due più brevi, che portavano acqua a due grandi coltivazioni; il tracciato della centuriazione romana e i resti dei campi sono ancora visibili sulla superficie del deserto. 

Di qui passava il limes (confine) meridionale dell’impero romano. Ma Roma era distante quasi 2000 miglia. Collegamenti e rifornimenti richiedevano tempi lunghi e innegabili difficoltà logistiche. Così i legionari romani e le loro famiglie organizzarono gli insediamenti per garantirsi una certa autonomia logistica.



LE INDAGINI 

La sua prima menzione risale all'inizio del XX secolo, quando gli esploratori britannici John Ball e Hugh Beadnell lavorarono nell'oasi di Kharga per il Geological Survey of Egypt. Dopo oltre 90 anni, Corinna Rossi avviò una prima indagine generale; ha poi co-fondato e co-diretto il North Kharga Oasis Survey (NKOS) con Salima Ikram dal 2001 al 2007.

NKOS ha eseguito le prime indagini scientifiche di tutti i siti archeologici della parte settentrionale dell'Oasi di Kharga, C. Rossi si è poi concentrato su Umm al-Dabadib e nel 2016 ha avviato il progetto Living In a Fringe Environment (LIFE ), sponsorizzato da un Consolidator Grant del Consiglio europeo della ricerca. LIFE è organizzato in due gruppi, l'Unità Archeologica/Architettonica, con sede presso il Politecnico di Milano (Ente ospitante), e l'Unità Ambientale, con sede presso l'Università di Napoli Federico II (Ente partner). 



IL SITO ARCHEOLOGICO 

Kharga è una delle più grandi oasi del deserto occidentale egiziano, situata in una grande depressione a 700 km a sud del Cairo e 250 a ovest di Luxor e contiene, più a ovest, l'Oasi di Dakhla, due importanti stazioni lungo le rotte carovaniere del deserto che permettevano di entrare e/o uscire dal vasto bacino della Valle del Nilo. 

Non a caso i Romani vi installarono un forte legionario e diversi insediamenti, come d'altronde in ogni grande oasi lungo queste rotte, che usufruivano di una vasta rete di acquedotti sotterranei e coltivazioni che consentivano animali, nutrimento e benessere alle comunità locali. 

Anche se si conosceva la presenza di antiche coltivazioni legate agli acquedotti, se ne hanno poche notizie, poichè i loro resti sono visibili per pochi minuti solo all'alba e al tramonto, quando la luce colpisce ad angolo piatto. Ma la nuova risoluzione delle immagini pubblicate da Google Earth dal 2010 ha permesso di vedere tutte le coltivazioni dall'alto in modo chiaro, sia per estensione che per disposizione regolare. 



LE IRRIGAZIONI

Le coltivazioni erano servite da sette acquedotti sotterranei paralleli, del tipo detto qanat. I qanat sono costituiti da una serie di cunicoli verticali simili a pozzi, collegati da un canale sotterraneo in lieve pendenza, consentendo di trasportare l'acqua in superficie senza pompaggio, anche a grande distanza in zona dal clima caldo e secco senza perdere una grande quantità di acqua a causa dell'evaporazione. 

A Umm al-Dabadib questi tunnel raggiungono una lunghezza di oltre 3 km, con accesso e ventilazione garantito da pozzi verticali, la cui profondità cresceva costantemente e raggiungeva oltre i 40 m. 
L'acqua, una volta raggiunta la zona da coltivare, veniva trasportata il più lontano possibile da una rete di resti di malta o terracotta, che sfruttavano le naturali ondulazioni del terreno per mantenere una pendenza minima. 

Così i campi più lontani, delineati da bordi rialzati e cumuli di pietre agli angoli e con materiale ceramico databile, erano situati oltre 2,5 km dalla foce degli acquedotti. Viene da chiedersi come mai a tutt'oggi l'Africa sia arida anche nella parte settentrionale, quando gli antichi abitanti ci portavano l'acqua con questi metodi ingegnosi, per non parlare dei Romani che vi costruirono dighe e cisterne a volontà.

 

IL VILLAGGIO

All'inizio del IV secolo d.c. il sito presentava case ben costruite disposte a griglia attorno a un forte centrale, il tutto edificato nel deserto intorno a Hibis, la capitale dell'oasi, lungo le vie carovaniere che vi convergevano. Gli edifici centrali avevano un aspetto molto difensivo e per questo vengono chiamati “forti”; tuttavia potevano contenere abitazioni sia militari che civili. 

All'inizio del IV secolo d.c. il complesso di Umm al-Dabadib vide l'edificazione di un insediamento fortificato, e cioè un compatto agglomerato di case disposto intorno al Forte centrale, posto a sud dell'insediamento più antico, insieme all'ampliamento del Tempio, con l'aggiunta di una grande aula magna, e l'impianto di due vaste coltivazioni alimentate da una rete di sette acquedotti sotterranei che attingevano l'acqua sotto la scarpata settentrionale. 

L’insediamento consiste di un forte centrale alto 12 metri, circondato da una massa solida di abitazioni su più livelli, servite da corridoi coperti e non da strade a cielo aperto, il che permetteva di proteggersi sia dal sole che dalla sabbia. Il sistema agricolo consiste di 5 acquedotti sotterranei, ognuno di 2 o 3 km, e di due più brevi, che portavano acqua a due grandi coltivazioni; il tracciato della centuriazione romana e i resti dei campi sono ancora visibili sulla superficie del deserto. Sia il Forte che l'intero Insediamento Fortificato sono rivolti a sud per dare l'impressione di un luogo robusto e ben difeso. I pochi, piccoli ingressi all'insediamento si trovano infatti verso il 'retro', quasi nascosti alla vista. Il che fa pensare che fin dai tempi più antichi si temessero incursioni di nomadi tesi a razziare da cui occorresse difendersi. D'altronde le popolazioni sedentarie sono state sempre minacciate dalle popolazioni nomadi in ogni parte del mondo. La cinta muraria esterna presentava una leggera pendenza per ragioni di stabilità e aveva poche aperture lungo i tre lati orientale, meridionale e occidentale, sia per difesa da assalitori sia per difesa dal caldo torrido. Infatti la facciata nord presentava file di finestrelle, per la brezza più fresca del nord. 

La parete esterna (e forse anche la struttura interna) era suddivisa in sezioni da giunti verticali, probabilmente destinati ad assorbire il ritiro naturale delle pareti in laterizio. All'interno, l'edificio era costituito da un anello di ambienti distribuiti intorno a un cortile centrale, ora riempito dalle macerie dei livelli superiori. 

Tutti gli ambienti, ad eccezione forse di alcuni al livello più alto, erano coperti da volte a botte parabolica, che partivano da un'altezza di circa 1 m dal livello del pavimento, e formavano volte con archi a tutto sesto. 

Corridoi e portoni erano coperti da minuscole volte costituite da tre mattoni crudi, quello centrale appiattito e sostenuto da due disposti in diagonale, che davano alla volta risultante una forma leggermente trapezoidale. Alcuni ambienti erano dotati di piccole finestre, poste in alto sulla parete appena sotto l'apice della volta. 

I livelli superiori erano serviti da una scala che correva attorno ad un pilastro centrale, posto nella torre sud-orientale, vicino all'unico ingresso dell'edificio. Alle stanze del piano terra si accedeva probabilmente direttamente dal cortile, mentre è possibile che dei passaggi a cielo aperto servissero le stanze dei livelli superiori. Sembra che le cucine stessero sul tetto a cielo aperto, per non scaldare gli ambienti sottostanti.



L'ARCHITETTURA DEL FORTE 

La costruzione del Forte di Umm al-Dabadib (e di altri analoghi insediamenti nella parte settentrionale di Kharga) è databile tra la fine del III e l'inizio del IV secolo d.c.: compatibili pertanto non solo con l'uso del cubito egiziano (riformato) di circa 52 cm, ma anche con quello del piede egiziano di 4 palme (riformato), corrispondente a 35 cm.

I mattoni di fango impiegati nella costruzione di tutti questi siti sembrano essere stati basati sul piede tolemaico/egiziano, lungo 33-34 cm (poco meno di 1 piede di 35 cm), e largo16-17 cm. La maggior parte dei muri che delimitano i locali del piano terra del Forte sono pieni e intonacati. 

L'architettura in mattoni di fango è meno regolare dell'architettura in pietra e l'aggiunta di intonaco leviga le superfici e gli allineamenti, nonché i bordi e gli angoli. La strategia edilizia e le risorse per realizzarla dovevano essere romane, ma il fatto che l'unità di misura egiziana non fosse romana, ma egiziana, dovette dipendere dall'impiego di maestranze locali.
 
I forti e gli insediamenti a nord di Kharga sono stati costruiti con vari accorgimenti architettonici:
- le porte degli edifici principali sono tutte identiche;
- in alcuni di essi compaiono giunti verticali che dividono le pareti in settori;
- spigoli vivi si alternano a contrafforti rotondi;
- in alcuni forti vi sono stretti passaggi ricavati nello spessore delle mura esterne;
- tutte le stanze sono coperte dallo stesso tipo di volta parabolica.

Nell’antico Egitto e nel medio oriente, già nel secondo millennio a.c., erano frequenti costruzioni coperte con volte paraboliche (più alte delle volte a tutto sesto ma senza angolo acuto), generalmente in mattoni di argilla cruda.

Negli insediamenti fortificati del IV secolo d.c. nel nord di Kharga, tombe, corredi funerari, resti umani, ceramiche, e le scarse fonti scritte, indicano una comunità egiziana con un commercio attivo lungo le rotte carovaniere che traversavano l'oasi.
 
Ma la presenza dell'esercito romano è attestata da un ostracon (frammento di vaso con iscrizione) di Ain al-Lebekha che menziona un'annona militare innalzata in loco, e da due papiri: uno cita l'Ala Prima Abasgorum e l'altro una coorte capitanata da un certo Diphilos con i nomi di molti soldati tipici dell'Egitto del IV secolo d.c..

L'ala di stanza a Kharga era originariamente composta da Abasgi, una popolazione di stanza sulla costa del Mar Nero; se, come sembrano suggerire i decenni che dividono questo papiro dalla Notitia Dignitatum, questa ala rimase stazionata nell'oasi per lungo tempo, è probabile che si fondesse con la popolazione locale e raccogliesse localmente nuovi soldati egiziani.

Se ne deduce che gli insediamenti fortificati tardo romani del nord di Kharga furono concepiti e sponsorizzati dai romani, furono costruiti e abitati da egiziani e sorvegliati da guarnigioni dell'esercito romano composte principalmente da soldati egiziani. Ma l'identità dei loro "architetti", cioè di coloro che li hanno progettati, rimane per il momento non chiara. 


BIBLIO

- Rossi, C. - Controlling the borders of the empire: the distribution of Late-Roman ‘forts’ in the Kharga oasis - R. Bagnall, P. Davoli, and C. Hope (eds.) - Dakhla Oasis Project Monograph - Oxford, Oxbow - 2013 -
- Rossi, C., A. Migliozzi, F. Fassi, A. Mandelli, G.B. Chirico, C. Achille, S. Mazzoleni - Archeologia, scienza e tecnologia: lo studio del sito tardo-Romano di Umm al-Dabadib - Napoli - Artstudiopaparo - 2015 -- Beadnell, H. J. L. - An Egyptian Oasis: An Account of the Oasis of Kharga in the Libyan Desert, with Special Reference to its History - Physical Geography and Water-supply - Murray - London - 1909 -
- Bahariya I - Le fort romain de Qaret el-Toub I - Fouilles de l’Institut français d’archéologie orientale - Colin, F. (ed.) - Cairo - 2012 -
- Rossi C. - Umm el-Dabadib, Roman Settlement in the Kharga Oasis: Description of the Visible Remains, with a Note on ‘Ayn Amur. - Mitteilungen des Deutschen Archaologischen Instituts Abteilung Kairo - 2000 -



0 comment:

Posta un commento

 

Copyright 2009 All Rights Reserved RomanoImpero - Info - Privacy e Cookies