GUERRA TRA CESARE E POMPEO (49-45 a.c.)



CAESAR VERSUS POMPIEUS

"Così egli operò e creò, come mai nessun altro mortale prima e dopo di lui, e come operatore e creatore Cesare vive ancora, dopo tanti secoli, nel pensiero delle nazioni, il primo e veramente unico imperatore"
(Theodor Mommsen - Storia di Roma antica - Libro V .. XI)

La guerra civile romana del 49 - 45 a.c., o guerra civile tra Cesare e Pompeo, comportò una serie di scontri politici e militari fra Gaio Giulio Cesare (100-44 a.c.) e i suoi sostenitori Populares contro la fazione  del Senato romano, gli Optimates, capeggiata da Gneo Pompeo Magno (106-48 a.c.), Marco Porcio Catone Uticense (96-46 a.c.) e Quinto Cecilio Metello Pio Scipione Nasica (98-46 a.c.). 



IL PRIMO TRIUMVIRATO

Crasso era l'uomo più ricco di Roma, aveva finanziato la campagna elettorale di Cesare per il consolato, avendo molta fiducia in lui, ed era un esponente di spicco della classe dell'ordine equestre. Pompeo, dopo aver brillantemente risolto la guerra in Oriente contro Mitridate e i suoi alleati, era il comandante militare con più successi alle spalle. 

Il rapporto tra Crasso e Pompeo era pessimo ma Cesare seppe riappacificarli, perchè gli servivano ambedue. Così Cesare, Crasso e Pompeo stipularono un'alleanza strategica chiamato dagli storici moderni primo triumvirato; un accordo tra privati che ebbe notevolissime ripercussioni sulla vita politica per quasi dieci anni.

Il patto fece sostenere a Pompeo la candidatura al consolato di Cesare, mentre Crasso la finanziò, in cambio, Cesare avrebbe fatto si che ai veterani di Pompeo venissero distribuite delle terre (Lex Iulia agraria campana), e che il Senato ratificasse i provvedimenti presi da Pompeo in Oriente (Lex Iulia de actis Cn. Pompei confirmandis); al contempo, com'era desiderio di Crasso e dei cavalieri, fu ridotto di un terzo il canone d'appalto delle imposte della provincia d'Asia (Lex Iulia de publicanis). 

A rinsaldare il triumvirato, Pompeo sposò Giulia, la figlia di Cesare.
«Fino a quando i tre uomini rimarranno solidali non ci sarà né legge né fazione né individuo capace di opporsi al loro volere
(Carcopino 1981)



GUERRA IN GALLIA (58-50 a.c.)

Plutarco (Vita di Cesare):
"Pur non avendo combattuto in Gallia nemmeno dieci anni, Cesare conquistò a forza più di ottocento città, assoggettò trecento popoli, si schierò in tempi diversi contro tre milioni di uomini, ne uccise un milione e altrettanti ne fece prigionieri"

Cesare era uomo dalla grande intelligenza, inventiva e prontezza di riflessi, e sapeva di esserlo. Le sue strategie non si somigliavano mai, rendendo al nemico imprevedibili i suoi movimenti. Riusciva a prendere iniziative in tempi velocissimi e a fare cose mai fatte prima, come combattere per nave, o muovere guerra in inverno mentre l'esercito romano si muoveva nella stagione calda. 

Si mosse più volte in pieno inverno per traversare il Mediterraneo, le Alpi innevate, il Canale della Manica, e, contrariamente all'uso, fece marciare i soldati anche di notte a lume di fiaccole. fece combattere i fanti come cavalieri e i cavalieri come fanti, usò le spie, i battitori e i guastatori, come mai era stato fatto prima.

Cesare realizzò così la sottomissione di un territorio immenso, vale a dire le regioni che oggi formano: la Francia (meno la parte meridionale, la Gallia Narbonense, già sotto il dominio romano dal 121 a.c.), il Belgio, il Lussemburgo, parte della Svizzera, Paesi Bassi e Germania, combattendo dal 58 al 50 a.c. come da lui narrato nel De bello Gallico.

Prima di ogni battaglia parlava ai soldati in modo trascinante e nello stesso tempo molto razionale, infatti spiegava loro lo svolgimento della battaglia affinchè fossero preparati alle modifiche. Era così persuasivo da chiedere il loro consenso alle battaglie, anche le più pericolose, per esempio nella guerra civile contro Pompeo, e l'adesione arrivò sempre.

Cesare trovò il tempo di stilare il resoconto delle sue battaglie, giorno per giorno, stilato ogni sera e inviato a Roma attraverso messaggeri affinchè venisse pubblicato e letto nelle piazze dell'Urbe, il che lo rese il primo inviato di guerra, pubblicizzando elegantemente le sue gesta e lasciandoci preziosi documenti dell'epoca.

Scrisse i commentari sulla guerra in Gallia (De bello Gallico), resoconto delle campagne vittoriose in Gallia, e sulla guerra civile del 49 a.c. contro Pompeo e il senato (De bello civili), che spiegavano il suo rifiuto di obbedire al Senato, il tutto scritto in modo semplice e diretto, mai enfatico o celebrativo. Cesare è riconosciuto come uno tra i più grandi maestri di stile della prosa latina.

Sebbene Cesare tenda a presentare la sua invasione come una difesa preventiva di Roma e dei suoi alleati gallici, molti studiosi ritengono che la sua sia stata una guerra imperialista. In effetti lo fu, ma portò a tribù, dove solo i guerrieri contavano, a rispettare i codici del diritto romano senza i quali si era nella barbarie.



CESARE CONTRO POMPEO (49-45 a.c.)

"L’ultimo guerriero in tempo di pace combatte se stesso"
(Giulio Cesare)

Intanto Il senato, timoroso per l'enorme successo di Cesare, aveva deciso di contrapporgli Pompeo, nominandolo "consul sine collega" nel 52 a.c.. Fino ad allora i consoli erano stati due, ma il senato voleva togliere potere a Cesare in quanto a favore della plebe, e negli anni seguenti nominò solo consoli della fazione pompeiana. 

Cesare peraltro voleva il consolato per il 49 a.c. per tornare a Roma senza processi, senza rischiare la vita, visti gli odi e le invidie. Per questo, già nel 50 a.c., aveva richiesto al senato di candidarsi al consolato in absentia, ma se lo vide nuovamente negare, come nel 61 a.c..

Comprese le intenzioni del senato, Cesare non riconobbe la carica del console pompeiano Lucio Emilio Paolo, e fece avanzare ai tribuni della plebe Marco Antonio e Gaio Scribonio Curione che aveva passato dalla sua parte saldandone i debiti. 

Il senato invece ingiunse a entrambi di inviare una legione per la spedizione contro i Parti, mentre elesse consoli per il 49 a.c. Lucio Cornelio e Claudio Marcello, avversari di Cesare. Quest'ultimo dovette così spedire una delle sue legioni, che si radunò con quella di Pompeo nel sud dell'Italia; gli uomini di Cesare, tuttavia, per suo suggerimento, fecero credere a Pompeo che il loro generale fosse odiato dai soldati per il comportamento dispotico e pertanto pronti a passare dalla sua parte. 

Cesare non trascurava nulla e voleva che Pompeo sottovalutasse il suo potere, pensando che le truppe avrebbero tradito Cesare, cosa che non avvenne mai in tante guerre. Cesare ebbe dalla sua come pochi i soldati e il popolo.

CRASSUS

IL CONSOLATO DEL 59 a.c.

Chi lo conobbe, come Cicerone, disse che ebbe ingegno, equilibrio, memoria, cultura, attività, prontezza e diligenza.
«Ecco l'uomo che dobbiamo combattere. Ha tutto, gli manca solo la buona causa»
(Marco Tullio Cicerone su Giulio Cesare prima della guerra civile)

Nel 59 a.c., l'anno del suo consolato, Cesare portò al servizio dell'alleanza la sua popolarità politica e il suo prestigio, portando avanti le riforme concordate con i triumviri. Nonostante la forte opposizione del collega Marco Calpurnio Bibulo, Cesare ottenne la ridistribuzione dell'ager publicus per i veterani di Pompeo, ma anche per dei cittadini meno abbienti. 

Cesare poté così programmare la fondazione di nuove colonie in Italia e per tutelare i provinciali riformò le leggi sui reati di concussione, "lex Iulia de repetundis", fece poi approvare la "lex de publicanis" che ridusse di un terzo le imposte che i cavalieri dovevano pagare allo stato, e fece promulgare una legge che imponeva al senato di stilare le relazioni di ogni seduta (acta senatus). Così Cesare si assicurava l'appoggio della popolazione romana, ponendo le basi del suo successo.

Terminato il consolato, grazie all'appoggio dei triumviri, Cesare ottenne con la "Lex Vatinia"  il proconsolato della Gallia cisalpina e dell'Illirico per cinque anni, con un esercito di tre legioni. Poco dopo il senato gli affidò anche la provincia della Narbonense, il cui proconsole era morto all'improvviso, e una quarta legione.



L'ACCORDO DEL 56 a.c.

Nel 56 a.c. si incontrarono i tre triumviri a Lucca, nella Gallia cisalpina.
«Cesare stipulò un accordo con Crasso e Pompeo sulle seguenti basi: essi si sarebbero candidati al consolato, Cesare li avrebbe appoggiati mandando a votare un gran numero di soldati. Una volta eletti, i due si sarebbero fatti attribuire province ed eserciti ed avrebbero ottenuto per Cesare la conferma di quelle province che già governava (Gallia cisalpina, Narbonense e Illirico) per altri cinque anni
(Plutarco, Pompeo, 51)

Divenuti consoli, nel 55 a.c., Crasso e Pompeo proposero che il governo di Cesare fosse prolungato per altri cinque anni. Crasso ricevette poi la provincia di Siria e la direzione della campagna contro i Parti, mentre Pompeo l'Africa, le due Spagne e quattro legioni, due delle quali cedette a Cesare per la guerra gallica.

POMPEIUS MAGNUS

IL NUOVO PATTO 53 a.c.

Verso la fine del 53 a.c., Crasso era già morto, Cesare si incontrò a Ravenna con Pompeo per un nuovo patto con cui riuscì ad ottenere di arruolare due nuove legioni, per compensare la perdita della legio XIIII, oltre a riceverne una da Pompeo.

Cesare, da quell'uomo geniale che era, si era preparato tutti i suoi piani. Aveva aspirato alla conquista della Gallia per controbilanciare i successi orientali di Pompeo nell'opinione pubblica, si era inoltre procurato una cospicua ricchezza, un esercito preparato e fedele, nonché schiere di clienti e migliaia di schiavi. 

Inoltre era molto amato dalla plebe di Roma a cui aveva concesso non solo leggi favorevoli ma pure benefici di varia natura grazie al bottino di guerra. In più tutti conoscevano le sue gesta che egli aveva stilato ogni giorno e fatto leggere nelle piazze di Roma, divenendo un eroe leggendario. In pratica aveva raggiunto tutti i suoi obiettivi 

Svetonio scrive:
«In Gallia spogliò i templi e i santuari degli dèi, zeppi di doni votivi, e distrusse le città più spesso per predarle che per punirle. In tal modo ebbe oro in abbondanza, e lo mise in vendita in Italia e nelle province... »
(Svetonio, Vite dei Cesari, Cesare, 54.)



POMPEO CONSUL SINE COLLEGA 52 a.c..

Secondo la lex Licinia Pompeia il comando di Cesare, equiparato a quello degli altri due triumviri, Crasso e Pompeo, con scadenza 1º marzo 50 a.c.. doveva essere prolungato di due anni, e cioè al 1 gennaio del 48 a.c..

Cesare voleva prolungare il proconsolato, passando quindi da proconsole a console, senza doversi presentarsi a Roma come privato cittadino. Per far ciò avrebbe dovuto candidarsi al consolato "in absentia", procedura ritenuta illegale.

Quando Cesare capì che la pacificazione della Gallia comportava ancora molto tempo, rinunciò alla seconda candidatura al consolato e chiese che il comando provinciale gli fosse prolungato fino al 31 dicembre del 49 a.c., considerando che a Pompeo era stato prorogato il comando in Spagna fino al 1º gennaio del 45 a.c.

Per tutta risposta il console Claudio Marcello nel giugno del 51 a.c. fece fustigare un cittadino di Novum Comum (Como), un municipio di diritto latino che Cesare aveva elevato a colonia romana; ora un cittadino romano non poteva essere fustigato senza processo ma ciò era stato fatto a provocazione del potere del proconsole delle Gallie.

IULIUS CAESAR

IL SENATO CONTRO CESARE 50 a.c.

50 a.c. - Il senato, costituito in maggioranza da Optimates, era contro Cesare e a favore di Pompeo e il console Claudio Marcello fece inserire nell'ordine del giorno che il proconsolato di Cesare terminasse, e si inviasse un successore designato per il 13 novembre successivo. 

Poi il senato per proteggere la Siria contro i Parti decretò che fossero aggiunte due legioni alla provincia orientale, da prelevarsi dai due proconsoli in Occidente. Pompeo obbedì, mettendo a disposizione del senato le legioni che nel 53 a.c. aveva prestato a Cesare, e questi dovette cedere due delle sue legioni (legio I e XV), che furono subito inviate a Capua.
 
Il 1º dicembre del 50 a.c., Curione, della fazione cesariana, cercò un nuovo compromesso, propose che sia Cesare che Pompeo abbandonassero simultaneamente i loro mandati proconsolari, ma non fu accettato. Cesare allora fece sapere di essere disposto a rinunciare al comando delle sue legioni, conservandone solo due insieme al governo della Gallia cisalpina e dell'Illirico, fino all'inizio del suo secondo consolato (1 gennaio del 48 a.c.); avrebbe poi accettato la proroga del comando di Pompeo in Spagna ma quest'ultimo rifiutò.

49 a.c. - Il primo gennaio del 49 a.c., Cesare fece consegnare una lettera-ultimatum ai consoli proprio nel giorno in cui entravano in carica, Cesare si impegnava a dimettersi dal comando militare a condizione che Pompeo facesse altrettanto. Concludeva che qualora Pompeo avesse mantenuto l'esercito, sarebbe stato ingiusto privarlo del suo, consegnandolo all'odio dei suoi nemici. ma non se ne poté discutere poiché la maggioranza era ostile a Cesare.

Scipione chiese:
«Cesare congedi l'esercito entro un determinato giorno. Se non lo farà sarà la dimostrazione che agisce contro la Res publica.»
(Cesare, De bello civili, I, 2.)

Furono richiamati da ogni parte molti soldati dei vecchi eserciti di Pompeo con la promessa di premi e promozioni, e furono convocate le due legioni consegnate da Cesare al Senato (la I e la XV). Fu così che la città si riempì di commilitoni di Pompeo, di tribuni, centurioni ed evocati a cui si unirono tutti gli amici dei consoli e di Pompeo, oltre a quelli che avevano vecchi rancori nei confronti di Cesare. Se quest'ultimo si recava a Roma era morte certa.

Il suocero di Cesare, insieme al pretore Lucio Roscio Fabato, si offrirono di andare a trattare con il proconsole delle Gallie, chiedendo sei giorni di tempo, ma incontrarono la resistenza del console Lentulo, di Scipione e di Marco Porcio Catone, quest'ultimo, come racconta Cesare nel suo De bello civili era:
«acceso dalla vecchia inimicizia nei confronti di Cesare e dal rancore per un insuccesso elettorale.»
(Cesare, De bello civili, I, 4.)

Cesare aggiunge che Lentulo era spinto a schierarsi dalla parte degli optimates a causa dell'enormità dei suoi debiti e dalla speranza di vedersi assegnato un esercito ed una provincia, Scipione dalle medesime aspirazioni, oltre a temere di essere processato.

«Pompeo aveva deviato le due legioni [cedute da Cesare], dalla loro destinazione in Asia e in Siria, per farne strumento delle sue ambizioni di potenza e dominio
(Cesare, De bello civili, I, 4.)



L'ULTIMATUM

Il 7 gennaio, in seguito ad un ultimatum del Senato che intimava a Cesare di restituire il comando militare, i tribuni Antonio e Cassio Longino fuggirono da Roma insieme a Curione, rifugiandosi presso Cesare a Ravenna.

Allora Pompeo radunò un esercito di ben dieci legioni e il senato propose: di effettuare nuove leve in tutta Italia, di finanziare Pompeo col denaro del pubblico erario e di dichiarare il re Giuba alleato e amico del popolo romano.

Furono quindi distribuite le province a cittadini privati: a Scipione toccò la Siria, a Lucio Domizio Enobarbo la Gallia, senza che i poteri fossero stati ratificati dal popolo, al contrario i consoli lasciarono la città; vennero quindi disposte leve in tutta Italia, si ordinano armi e denaro dai municipi, anche sottraendolo ai templi.



ADLOCUTIO DI CESARE

Cesare allora arringò le truppe dolendosi anzitutto delle offese arrecategli in ogni occasione dai suoi nemici, ma pure dell'ex-genero, Pompeo, sviato dall'invidia nei suoi confronti, quando lui l'aveva da sempre favorito. Si rammaricò che il diritto di veto dei tribuni fosse stato soffocato dalle armi. Esortò infine i soldati, che per nove anni avevano militato sotto il suo comando, a difenderlo dai suoi nemici, ricordandosi delle tante battaglie vittoriose ottenute in Gallia e Germania. Fu così che:

«I soldati della legio XIII - Cesare l'aveva convocata allo scoppio dei disordini, mentre le altre non erano ancora giunte - urlano tutti insieme di voler vendicare le offese subite dal loro generale e dai tribuni della plebe.»
(Cesare, De bello civili, I, 7.)



LA GUERRA CIVILE 49 a.c.

Il triunvirato che aveva legato Cesare a Pompeo e Crasso, era finito: Crasso era morto e Cesare e Pompeo erano nemici. Era la guerra civile. 
Pompeo poteva contare su due legioni presenti a Luceria ed altre tre appena arruolate. In totale nella penisola italica vi erano 10 legioni, più 7 nelle due province spagnole, e altre forze in Sicilia, Africa, Siria, Asia e Macedonia, tutte favorevoli agli optimates e a Pompeo. Cesare poteva invece contare su non più di 40.000 soldati, divisi in 8-9 legioni, quasi la metà degli uomini rispetto all'avversario.



PASSAGGIO DEL RUBICONE 10-11 gennaio 49 a.c.

"Alla testa di cinquemila uomini e trecento cavalli Cesare mosse contro l'universo". 
(Tito Livio - Passaggio del Rubicone)

Svetonio racconta che Cesare vagò per una notte intera prima di recarsi sulle rive del Rubicone, dove era accampata la XIII legione. Arrivato sulle rive di quel fiumiciattolo, all'alba del 12 gennaio del 49 a.c., rivolgendosi agli uomini più vicini a lui sentenziò:
"Siamo ancora in tempo a tornarcene indietro, ma quando avremo superato quel ponticello tutto dovrà essere regolato con la spada".

Appiano riferisce un'altra frase di Cesare prima di varcare il fatidico fiume:
"E' venuto il momento di rimanere per mia disgrazia al di qua del Rubicone, o di passarlo per la disgrazia del mondo."

Cesare partì con la legio XIII alla volta di Rimini (Ariminum) e il 10 gennaio del 49 a.c. passò il Rubicone dando così inizio alla Guerra civile. Giunto a Rimini, incontrò i tribuni della plebe, che si erano rifugiati presso di lui e chiese alle altre legioni di raggiungerlo. Solo Tito Labieno disertò e si schierò con la Repubblica romana. 



ALTRO TENTATIVO DI EVITARE LA GUERRA

«Cesare cercò di patteggiare con gli avversari, offrendo di lasciare la Gallia Transalpina e di congedare otto legioni, a condizione che gli rimanessero, fino a quando non fosse stato eletto console, la Gallia Cisalpina con due legioni, oppure anche solo l'Illyricum con una sola legione. Ma poiché il Senato rimaneva inerte, mentre i suoi avversari si rifiutavano di negoziare con lui qualsiasi cosa riguardasse la Repubblica, passò nella Gallia Citeriore e si fermò a Ravenna, pronto a vendicarsi con le armi, nel caso il Senato avesse preso una qualche grave decisione contro i tribuni della plebe che erano a suo favore.»
(Svetonio, Vita di Cesare, 29-30.)

(INGRANDIBILE)
A Rimini lo raggiunse il cugino, Lucio Cesare, il quale chiese di non considerare come offesa personale il fatto che egli avesse sempre voluto il bene della Res publica, al di sopra delle sue relazioni private, per cui non era sceso in campo, e in effetti non vi scese mai, ma Cesare magnanimamente non gliene serbò rancore.

«A Roma i consoli lasciano la città e i privati cittadini, contro tutti gli esempi della tradizione, hanno i littori in Roma e nel Campidoglio. Si fanno leve in tutta Italia, si ordinano armi, si esige denaro dai municipi e lo si toglie dai templi, insomma si sconvolgono tutte le leggi divine e umane»
(Cesare, De bello civili, I, 6.)

Cesare invia come messi da Pompeo a Capua (23-25 gennaio 49 a.c.) il cugino Lucio Cesare e Roscio,
tentando ancora una volta di evitare la guerra civile, inviando inoltre da Pompeo a Capua.

«Pompeo raggiunga le sue province, entrambi congedino gli eserciti, in Italia tutti depongano le armi, affinché venga allontanata la paura da Roma; al senato e al popolo romano siano concessi liberi comizi e il pieno esercizio di governo. E perché tutto ciò si realizzi più facilmente e in sicurezza, attraverso un solenne giuramento, si avvicini Pompeo o si permetta a Cesare di avvicinarsi, in modo che attraverso una serie di colloqui si possano appianare le divergenze.»
(Cesare, De bello civili, I, 9.)

Cicerone racconta che gli ambasciatori di Cesare incontrarono Pompeo e i consoli il 23 gennaio, mentre la risposta fu formulata a Capua due giorni dopo, il 25 gennaio, con assente Pompeo. Consoli e optimates chiedevano, che Cesare tornasse in Gallia, lasciasse Rimini e congedasse l'esercito. Solo in questo caso Pompeo avrebbe raggiunto la Spagna, ma fino a quando Cesare non avesse obbedito, i consoli e Pompeo avrebbero continuato la leva di nuove legioni.



CESARE AVANZA E POMPEO FUGGE (gennaio - febbraio 49 a.c.)

«Pretendere che [Cesare] tornasse nella sua provincia, mentre [Pompeo] manteneva le sue province e le legioni che non gli appartenevano; imporre che Cesare congedasse l'esercito, e continuare invece per sé gli arruolamenti; promettere che Pompeo si sarebbe recato nella sua provincia, senza però fissare la data della partenza, in modo tale che, se non fosse partito una volta terminato il proconsolato di Cesare, non si poteva accusarlo di non aver mantenuto la promessa.»
(Cesare, De bello civili, I, 11.)

Cesare inviò Marco Antonio con cinque coorti da Rimini (Ariminum) ad Arezzo (Arretium), mentre egli rimase a Rimini con due, organizzandovi un arruolamento. Occupò quindi Pesaro (Pisaurum), Fano (Fanum Fortunae) e Ancona con una coorte per ciascuna città. Poi occupò Gubbio e Osimo (Auximum),

A Roma il console Lentulo fuggì, dopo aver prelevato dall'erario pubblico il denaro da consegnare a Pompeo, come stabilito nel decreto del senato. L'altro console, Marcello, e la maggior parte dei magistrati lo seguirono. Gneo Pompeo era già partito presso le due legioni ricevute da Cesare (legio I e XV).

Intanto Cesare attraversò l'intero Piceno. Tutte le prefetture lo accolsero con grande entusiasmo, rifornendo il suo esercito di tutto il necessario. Anche dalla città di Cingoli (Cingulum), si mostrarono fedeli a Cesare, pronti a fornirgli soldati. Una volta che Cesare fu raggiunto dalla legio XII, si mise in marcia insieme alla XIII alla volta di Ascoli Piceno (Ausculum).

La città era stata occupata in precedenza da dieci coorti di Publio Cornelio Lentulo Spintere, il quale tentò di fuggire ma le sue truppe lo abbandonarono. Raggiunse infine Lucio Vibullio Rufo, mandato da Pompeo per arruolare nuovi soldati e si pose sotto la sua protezione. Vibullio infine riuscì a disporre di trentatré coorti.



CORFINIUM (15-21 febbraio 49 a.c.)

L'esercito di Cesare si era rinforzato di altre ventidue coorti di nuova leva, oltre alla legio VIII e trecento cavalieri inviati dal re del Norico. Dopo essersi fermato un giorno per rifornimento di viveri, marciò su Corfinio (Corfinium). In prossimità della città, si scontrò con cinque coorti che Domizio aveva inviato per tagliare il ponte sul fiume a tre miglia di distanza. Le coorti furono respinte e si ritirarono in città, inseguite dalle legioni di Cesare, che si accamparono presso le mura pronte all'assedio (15 febbraio).

Conquistata la città, Cesare fece condurre a sé tutti i senatori e i loro figli, i tribuni militari e i cavalieri romani a lui ostili: i senatori Lucio Domizio, Publio Lentulo Spintere e Lucio Cecilio Rufo, il questore Sesto Quintilio Varo e Lucio Rubrio, un figlio di Domizio con altri giovani, oltre ad un gran numero di cavalieri romani e decurioni, prelevati da Domizio presso i vicini municipi.

Tutti costoro furono prima protetti dagli oltraggi e dagli insulti dei soldati, poi lasciati andare in libertà. Cesare riconsegnò poi ai decemviri di Corfinio i sei milioni di sesterzi che Domizio aveva prelevato dall'erario. perchè non:
« ...si credesse che fosse più clemente verso la vita che disinteressato verso gli averi dei cittadini, sebbene sapesse che si trattava di denaro pubblico, dato da Pompeo per la paga dell'esercito
(Cesare, De bello civili, I, 23.)

Fa infine prestare giuramento a tutti i soldati di Domizio che vogliono passare al suo servizio e leva il campo, dopo essersi fermato a Corfinio per sette giorni. Si dirige quindi in Puglia passando per le terre dei Marrucini, Frentani e Larinati.



POMPEO FUGGE IN MACEDONIA (marzo 49 a.c.)

Cesare scrive:
«Intanto il pretore Lucio Manlio Torquato preferì fuggire da Alba Fucens con sei coorti, mentre il pretore Publio Rutilio Lupo con tre da Terracina, venne intercettato dalla cavalleria di Cesare, comandata da Vibio Curio. Queste ultime coorti non solo abbandonarono il loro pretore, ma subito si unirono a Curio con le loro insegne. Pompeo, informato dei fatti di Corfinio, si affrettò a partire da Lucera per Canusium e poi verso Brundisium, dove fece concentrare tutte le truppe delle nuove leve. Decise inoltre di armare schiavi e pastori, dando loro cavalli e formando un corpo di circa trecento cavalieri».

Il 9 marzo Cesare giunse a Brindisi con sei legioni, tre di veterani (VIII, XII e XIII) e le altre di nuova leva, completate durante la marcia. Aveva inoltre inviato da Corfinio in Sicilia le coorti di Domizio, per un totale di altre tre legioni. Venne a sapere che entrambi i consoli erano partiti per Durazzo con buona parte dell'esercito, mentre Pompeo si trovava ancora a Brindisi con venti coorti (due legioni). Temendo che Pompeo volesse lasciare l'Italia, stabilì di bloccare le uscite dal porto ed assediare la città.

Pompeo, preoccupato dai movimenti di Cesare, appena la flotta rientrò nel porto iniziò a prepararsi per partire anch'egli alla volta dell'Epiro. Cesare fu costretto così a fermarsi in Italia, sebbene credesse più vantaggioso raccogliere una flotta ed inseguire Pompeo via mare, prima che lo stesso potesse congiungersi con altre forze in Macedonia e Oriente. 

Del resto Pompeo aveva requisito tutte le navi della zona, negandogli un inseguimento immediato. Ora non rimaneva che attendere le navi dalle più lontane coste della Gallia cisalpina, del Piceno e dallo stretto di Messina, cosa lunga e difficoltosa per la stagione.



CONQUISTA DI SARDEGNA E SICILIA  

Cesare si apprestò a partire per la Spagna. Dispose che i duumviri di tutti i municipi iniziassero a requisire navi portandole nel porto di Brindisi; inviò in Sardegna il legato Valerio con una legione, ed in Sicilia Gaio Scribonio Curione con tre legioni, chiedendogli poi di passare con l'esercito in Africa, una volta conquistata l'isola.

In quel periodo Marco Aurelio Cotta governava la Sardegna e Marco Porcio Catone la Sicilia. Non appena gli abitanti di Cagliari, vennero a sapere dell'invio di Valerio, decisero di cacciare Cotta dalla città, costringendolo a fuggire in Africae pure Catone fu costretto a fuggire dalla provincia.



RITORNO A ROMA E PARTENZA PER LA SPAGNA

Cesare rientrato il 1º aprile a Roma dopo anni di assenza, si impossessò dell'erario e riunì il senato
per ricordare i torti ricevuti dai suoi avversari:
«Egli dichiara di non aver mai voluto aspirare ad alcuna carica straordinaria accontentandosi di un diritto accessibile a tutti i cittadini [come aspirare a un nuovo consolato]. Malgrado l'opposizione dei suoi avversari e la violenta resistenza di Catone, che spesso con interminabili discorsi la tirava per le lunghe, i dieci tribuni della plebe avevano proposto che in absentia potesse essere candidato al consolato, mentre era console sine collega lo stesso Pompeo
(Cesare, De bello civili, I, 32.)
 
Ricordò ai senatori di aver proposto egli stesso che, sia lui che Pompeo, congedassero gli eserciti, mettendo così a rischio la propria carica e prestigio. Poi mise in evidenza l'accanimento dei suoi nemici nei suoi confronti, rifiutandosi di attuare ciò che esigevano da Cesare; denunciò inoltre l'offesa arrecata ai tribuni della plebe nel limitare i loro poteri; enumerò infine le condizioni da lui proposte e i colloqui richiesti per trovare una soluzione pacifica ma sempre negati. 

Al termine di questo discorso, Cesare chiese ai senatori di assumersi il governo della repubblica e di amministrarla insieme con lui. Nel caso si fossero tirati indietro, egli non si sarebbe sottratto e l'avrebbe amministrata da solo. Concluse dicendo che si dovevano inviare ambasciatori a Pompeo per trattare.
E sebbene il senato approvasse la proposta di inviare ambasciatori, non si riuscì a trovare chi mandare, per il timore di quanto aveva detto Pompeo in precedenza.

«Infatti Pompeo, poco prima di partire da Roma, aveva dichiarato in senato che avrebbe tenuto nella stessa considerazione quelli che fossero rimasti in città e quelli che avesse trovato nell'accampamento di Cesare
(Cesare, De bello civili, I, 33.)



CESARE IN GALLIA

Cesare partì da Roma e giunse nella Gallia ulteriore. Seppe che Lucio Vibullio Rufo, da lui liberato a Corfinio, era stato inviato da Pompeo in Spagna, mentre Domizio Enobarbo era partito per occupare Marsiglia (Massilia) con sette navi veloci equipaggiate con schiavi, liberti e contadini.

Fu così che i Marsigliesi chiusero le porte a Cesare che «sdegnato da questo comportamento oltraggioso», fece condurre tre legioni nei pressi della città ed iniziò a costruire torri e vinee pronto a cingere d'assedio la città. Contemporaneamente fece allestire ed armare in Arles (Arelate) 12 navi da guerra in 30 giorni, affidandole al comando di Decimo Bruto. Le tre legioni furono pronte ad assediare la città da terra. Contemporaneamente inviò in Spagna tre legioni a occupare i valichi dei Pirenei.

La Spagna era ora governata da tre legati di Pompeo: Lucio Afranio, Marco Petreio e Marco Terenzio Varrone Reatino, con sette legioni. Naturalmente Cesare vinse e consentì ai pompeiani di scegliere se arruolarsi fra le sue file oppure stabilirsi in Spagna come civili o, infine, di essere congedati una volta ritornati al fiume Varo al confine fra la Provenza e l'Italia. Tornando a Roma Cesare espugnò Marsiglia, ora tutto l'Occidente era sotto il suo controllo.


 
RIENTRO A ROMA (dicembre 49 a.c.)

Rientrato a Roma, Cesare resse la dittatura per 11 giorni ai primi di dicembre, con Marco Antonio come suo magister equitum, così da farsi eleggere console per il 48 a.c. assieme a Publio Servilio Vatia Isaurico, e iniziare le riforme che aveva in programma, occupandosi dei problemi di chi era debitore (e dei relativi creditori), della situazione elettorale creata dalla legge di Pompeo (Lex Pompeia de ambitu che istituiva un tribunale speciale per i brogli dal 70 a.c. in poi).



SCONFITTA DI CESARE (agosto 48 a.c.)

Cesare riprese l'inseguimento di Pompeo che si era rifugiato in Macedonia. Salpò da Brindisi nel 48 a.c. col luogotenente Marco Antonio e con sette legioni, anche Cicerone seguì Pompeo, raggiungendolo a Dyrrachium, ma si accorse che ognuno di loro era lì non per salvare la repubblica ma trarre profitto dalla guerra.

Il primo scontro con i pompeiani si ebbe a Durazzo (Durrachium), dove Cesare subì una pericolosa sconfitta, da cui nacque una guerra di posizione con la costruzione di fortificazioni e trincee durante la quale i due contendenti cercarono di circondarsi a vicenda. Qui Cesare perse 1.000 veterani, fu costretto a retrocedere e iniziare una lunga ritirata verso sud, con Pompeo al suo inseguimento.

Intanto Marco Antonio si era unito a Cesare con altri rinforzi. Pompeo decise di braccare Cesare in Tessaglia, in pratica precedendolo perché poteva utilizzare la Via Egnatia mentre Cesare era costretto ad arrampicarsi per antichi sentieri del Pindo.



FARSALO

Il 29 luglio del 48 a.c. Cesare arrivò sulla piana di Farsalo. Due giorni dopo vi giunse Pompeo che aveva ricevuto anche le truppe di Scipione. Si arrivò allo scontro in campo aperto, però, solo il 9 agosto, presso Farsalo: qui le forze di Pompeo, ben più numerose, furono sconfitte, e i pompeiani furono costretti a consegnarsi a Cesare, sperando nella sua clemenza, o a fuggire in Spagna e in Africa. Le perdite di Cesare furono appena 1.200 uomini, mentre 6.000 furono i morti pompeiani e 24.000 quelli fatti prigionieri, poi graziati dal vincitore.

Dopo la grande vittoria di Cesare, Cicerone decise di tornare a Roma, dove ottenne il perdono dello stesso Cesare nel 47 a.c.. Cicerone rivelava nelle sue opere ed in lettere ad amici come Cornelio Nepote, riguardo alla personalità di Cesare:
«Non vedo a chi Cesare debba cedere il passo. Ha un modo di esporre elegante, brillante ed anche, in un certo modo si pronuncia in modo elegante e splendido... Chi gli vorresti anteporre, anche tra gli oratori di professione? Chi è più acuto o ricco nei concetti? Chi più ornato o elegante nell'esposizione?»
(Svetonio, Vite dei Cesari, Cesare, 55.)

DECAPITAZIONE DI POMPEO

MORTE DI POMPEO IN EGITTO agosto - settembre 48 a.c.

Pompeo tentò di raggiungere la provincia di Africa che il re Giuba aveva mantenuto a Pompeo e dove si erano rifugiati molti optimates fra cui Catone. Prima raggiunse Larissa, poi Anfipoli, Mitilene. Antiochia gli chiuse le porte, come pure Rodi.

Infine rifugiò a Pelusio, in Egitto. dove il massimo consigliere del re Tolomeo XIII lo fece uccidere dal generale Achilla. Pompeo morì il 28 settembre, alla vigilia del suo cinquantottesimo compleanno.
Cesare se ne vide presentare pochi giorni dopo la testa imbalsamata. Si narra che Cesare, alla vista della testa imbalsamata di Pompeo, pianse.



IN EGITTO (fino a giugno 47 a.c.)

In Egitto c'era una contesa dinastica tra Tolomeo XIII e la sorella Cleopatra VII. Cesare riconobbe come sovrana Cleopatra, con cui intrattenne una relazione amorosa e generò un figlio, Cesarione. La popolazione di Alessandria d'Egitto si ribellò, e Cesare saltato giù dalla sua nave distrutta, fu costretto a mettersi in salvo a nuoto, tenendo un braccio, in cui reggeva i suoi Commentari, fuori dall'acqua.

«Si gettò in mare, e nuotando per duecento passi si salvò a bordo della nave più vicina, tenendo la mano sinistra alzata per non bagnare alcune carte, e trascinandosi dietro il mantello stretto tra i denti, per non lasciarlo come un trofeo in mano ai nemici.»
(Svetonio, Cesare, 64.)



LA BIBLIOTECA ALESSANDRINA

Per evitare che Achilla (generale alessandrino) si impossessasse delle navi rimaste le fece incendiare, nell'incendio secondo alcuni rimase danneggiata la famosa biblioteca di Alessandria, che conteneva testi unici e di inestimabile valore. 

Dei sedici scrittori che hanno tramandato notizie sull'episodio, dieci, fra cui lo stesso Cesare nella Guerra alessandrina, Cicerone, Strabone, Livio, Lucano, Floro, Svetonio, Appiano ed Ateneo non riportano alcuna notizia relativa all'incendio del Museo, della Biblioteca o di libri.

Tuttavia fin dal tempo di Tolomeo III esistevano ad Alessandria già due biblioteche: la più grande, con 490000 rotoli, all'interno del palazzo reale, era adibita alla consultazione da parte degli studiosi del Museo, mentre la seconda, più piccola e destinata alla pubblica lettura, con 42800 rotoli, si trovava all'esterno della corte, nel tempio di Serapide, il "Serapeum". Il tempio però stava sull'acropoli e non nel porto di Alessandria.

"Con l'editto di Teodosio del 392 i libri greci venivano bruciati a migliaia. Nell'anno in cui Teodosio bandì le religioni pagane i cristiani distrussero il tempio di Serapide che racchiudeva ancora l'unica grande raccolta esistente di opere greche. Si ritiene che siano stati distrutti 300.000 manoscritti. Molte altre opere scritte su pergamena vennero cancellate dai cristiani in modo da poter usare essi stessi la pergamena per i propri scritti. »

(Morris Kline - matematico e storico statunitense)



GUERRA CONTRO FARNACE (giugno - settembre 47 a.c.)

Ristabilita la pace in Oriente, alla fine di settembre del 47 a.c. Cesare tornò a Roma, dove alcune legioni al comando di Marco Antonio si stavano ribellando non avendo ottenuto nè paga nè congedo, ma Cesare non aveva i fondi per pagarli.

Fece allora leva sull'orgoglio dei legionari e sull'attaccamento a lui per convincerli a rimanere al suo servizio. Vergognandosi di chiedere i soldi, i soldati domandarono il congedo. Cesare li chiamò cittadini invece di soldati, sottolineando che stava trattando con dei civili, quindi già congedati. Ma non con l'honesta missio che significava una pensione più ricca. 

Ma li informò che il pagamento sarebbe arrivato quando fosse stato sconfitto l'esercito pompeiano in Africa. E che egli lo avrebbe sconfitto con altri soldati. Gli ammutinati rimasero colpiti da questo maltrattamento; dopo quindici anni di fedeltà mai avrebbero pensato che Cesare avrebbe potuto fare a meno di loro. 

Cesare fu pregato di tenerli con sé e di portarli in Africa. Cesare acconsentì e con essi partì per l'Africa dove giunse il 28 dicembre. Così riprese la guerra contro i pompeiani, che si erano ormai riorganizzati: il re del Ponto Farnace II, a suo tempo alleato di Pompeo, aveva attaccato i possedimenti romani, mentre molti esponenti della nobilitas senatoriale si erano rifugiati, sotto il comando di Catone l'Uticense, in Africa.

Qui i pompeiani avevano radunato un grande esercito, affidato a Tito Labieno e Quinto Cecilio Metello Pio Scipione Nasica, e avevano stretto alleanza con il re di Numidia Giuba I. Dopo alcune scaramucce, Cesare diede battaglia presso Tapso, dove il 6 aprile 46 a.c. li sconfisse. Metello e Giuba morirono in battaglia, Catone si suicidò a Utica. 

Fu uno scontro sanguinoso, durato cinque ore: le legioni cesariane soffrirono molte perdite, mentre l'esercito di Farnace, che contava circa 20.000 uomini, fu annientato completamente. Dopo la vittoria, Cesare si recò a Zela e da lì inviò a Roma il famoso messaggio "Veni, vidi, vici" (Venni, vidi, vinsi). 

Partecipò alla battaglia il giovane pronipote dello stesso Cesare, Ottavio, che, giunto in Spagna dopo un lungo periodo di malattia, diede prova del suo valore, spingendo lo zio ad adottarlo nel testamento.



IL RITORNO A ROMA

"Negli ultimi tempi si era spinto anche più in là: aveva imposto che tutte le discussioni che si svolgevano in quel solenne e aristocratico consenso venissero registrate e pubblicate giorno per giorno. Così nacque il primo giornale. Si chiamò Acta Diuna, e fu gratuito. Perché, invece di venderlo, lo affiggevano ai muri in modo che tutti i cittadini potessero leggerlo e controllare ciò che facevano e dicevano i loro governanti. L’invenzione fu d’immensa portata perché sancì il più democratico di tutti i diritti.
(Indro Montanelli)

Cesare poté tornare a Roma, accolto con entusiasmo dalla popolazione: Cesare perdonò ai pompeiani, annunciò anzi l'annessione delle Gallie e della Numidia e la conferma del protettorato sull'Egitto, assicurando così all'Urbe un migliore rifornimento di generi alimentari (tra cui il grano e l'olio), che allontanava carestie o problemi di approvvigionamento.

In occasione dei trionfi, Cesare offrì agli abitanti di Roma rappresentazioni teatrali, corse, giochi di atletica, lotte tra gladiatori e ricostruzioni di combattimenti terrestri e navali (si trattò delle prime naumachie mai rappresentate a Roma), e organizzò dei banchetti ai quali presero parte oltre duecentomila persone. Donò ad ogni abitante dell'Urbe beneficiò di 100 denari; ogni legionario, invece, ricevette 24 000 sesterzi e un lotto di terra. Cesare, infine, annullò le pigioni che ammontavano, a Roma, a meno di 1000 sesterzi, e quelle che ammontavano, in tutto il resto dell'Italia, a meno di 500.

Tra l'agosto e il settembre del 46 a.c., celebrò quattro trionfi, uno per ciascuna campagna militare che aveva con successo portato a termine: quella di Gallia, quella in Egitto, quella nel Ponto contro Farnace II e quella in Africa. Ma non era finita.



BATTAGLIA DI MUNDA 45 a.c.

Labieno e i due giovani figli di Pompeo, Gneo il Giovane e Sesto, si erano rifugiati in Spagna dove Cesare li raggiunse e li attaccò nella più difficile e sanguinosa di tutte le campagne della lunga guerra civile, dove l'abituale clemenza lasciò il passo a efferate crudeltà da ambo le parti.

La guerra si concluse con la battaglia di Munda, nell'aprile del 45 a.c., dove Cesare affrontò finalmente i suoi avversari sul campo, e li sconfisse irreparabilmente. Si trattò, comunque, della più pericolosa delle battaglie combattute da Cesare, che arrivò persino a disperare della vittoria e a pensare di darsi la morte. I pompeiani scampati dovettero consegnarsi a Cesare, sperando nella sua clemenza, e Cesare fu clemente.



CESARE DITTATORE PERPETUO

"Non dobbiamo aver paura che della paura"
(Giulio Cesare)

Dopo esser stato nominato dictator con carica decennale nel 47 a.c., e detenendo anche il titolo di imperator, fu ripetutamente eletto console nel 46, nel 45 e nel 44 a.c., quando, il 14 febbraio, ottenne anche la carica di dittatore a vita, che sancì definitivamente il suo totale controllo su Roma.

 
BIBLIO

- Plutarco - Vite Parallele -
- Appiano di Alessandria - Storia romana, XIV - Guerre civili, II -
- Cassio Dione Cocceiano - Historia Romana -
- Cicerone - Philippicae,  Catilinam; Pro Marcello, Pro Ligario, Pro Deiotaro per ringraziare Cesare; Epistulae ad Atticum, De provinciis consularibus -
- Marco Anneo Lucano - Pharsalia -
- Gaio Giulio Cesare - Commentarii De bello gallico e De bello civili -
- Pseudo-Cesare - Bellum Africum -
- Pseudo-Cesare - Bellum Alexandrinum -
- Pseudo-Cesare - Bellum Hispaniense -
- Eutropio - Breviarium ab Urbe condita -
- Floro - Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC libri duo -
- Livio - Ab Urbe condita libri -
- Sallustio - Historiae -
- Svetonio - De vita Caesarum libri VIII -
- Velleio Patercolo - Historiae romanae ad M. Vinicium libri duo -
- S. Sheppard & A. Hook - Farsalo, Cesare contro Pompeo - Italia - RBA Italia & Osprey Publishing - 2010 -
- Antonio Spinosa - Cesare il grande giocatore - Milano - Mondadori - 1986 -
- Giuseppe Antonelli - Pompeo - Roma - Camunia - 1992 -
- Giuseppe Antonelli - Crasso, il banchiere di Roma - Roma - Newton - 1995 -
- Lorenzo Gagliardi - Cesare, Pompeo e la lotta per le magistrature - Milano - Giuffrè Ed. - 2011 -
- Theodor Mommsen - Storia di Roma antica - Firenze - Sansoni - 1973 -


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