CAMPAGNA DI LERIDA (49 a.c.)




La campagna di Lerida (lat. Llerda, nome che prese nel 250 a.c.) fu una campagna militare, combattuta tra giugno e agosto del 49 a.c., tra le legioni di Giulio Cesare e l'armata spagnola di Pompeo, guidata nel 55 a.c. dai suoi legati Lucio Afranio (console 60 a.c.) e Marco Petreio, anch'egli amministratore in Spagna, mentre il governatore ufficiale, Pompeo, rimase a Roma.

Il senato, intimorito dai successi in Gallia di Cesare, aveva deciso di favorire Pompeo, nominandolo "consul sine collega" nel 52 a.c., e negli anni seguenti aveva manovrato in modo che i consoli fossero sempre della fazione pompeiana mentre Cesare voleva il consolato per il 49 a.c. per la sua inviolabilità, chiedendo, nel 50 a.c., dalla Gallia Cisalpina al senato di candidarsi al consolato "in absentia", ma se la vide nuovamente negare, come già nel 61 a.c..

Cesare riuscì a far eleggere come tribuni della plebe i fidati Marco Antonio e Gaio Scribonio Curione, i quali proposero che sia Cesare che Pompeo sciogliessero le loro legioni entro la fine dell'anno, ma il senato ingiunse a entrambi i generali di inviare una legione per la spedizione contro i Parti, mentre elesse consoli per il 49 a.c. Lucio Cornelio Lentulo Crure e Gaio Claudio Marcello, accaniti avversari di Cesare.

Cesare allora fece chiedere da Antonio e Curione al senato di poter restare proconsole, conservando solo due legioni e candidandosi in absentia al consolato. Sebbene Cicerone fosse favorevole, il senato, spinto da Catone, rifiutò la proposta, ordinando che sciogliesse le sue legioni entro il 50 a.c. e tornasse a Roma da privato cittadino per evitare di divenire hostis publicus cioè nemico pubblico.

POMPEO MAGNO

L'ULTIMATUM

Il primo gennaio del 49 a.c., Cesare fece consegnare dal tribuno della plebe Curione una lettera-ultimatum ai consoli Lucio Cornelio Lentulo Crure e Gaio Claudio Marcello nel giorno in cui entravano in carica. La lettera venne a fatica letta in Senato, ma non se ne consentì la discussione e il violento intervento del console Lucio Lentulo mise a tacere le richieste dei due senatori a favore di Cesare.

Il 7 gennaio, all'ultimatum del Senato che intimava a Cesare di restituire il comando militare, i tribuni della plebe a lui favorevoli, Antonio e Cassio Longino, fuggirono da Roma, rifugiandosi presso Cesare a Ravenna.

Pompeo radunò il senato fuori Roma e lo informò delle proprie forze militari: un esercito di ben dieci legioni. Il senato riunito propose allora di effettuare nuove leve in tutta Italia. Furono quindi distribuite le province a cittadini privati: a Scipione la Siria, a Lucio Domizio Enobarbo la Gallia. Tutto ciò senza che i poteri fossero stati ratificati dal popolo.

Cesare arringò le truppe (adlocutio), dolendosi delle offese dei suoi nemici, e che Pompeo, fosse stato sviato dall'invidia nei suoi confronti, lui che l'aveva da sempre favorito. Si rammaricò che il diritto di veto dei tribuni fosse stato soffocato dalle armi ed esortò i soldati, che per nove anni avevano militato sotto il suo comando, a difenderlo dai suoi nemici, ricordandosi delle tante battaglie vittoriose ottenute in Gallia e Germania. Fu così che:

«I soldati della legio XIII - Cesare l'aveva convocata allo scoppio dei disordini, mentre le altre non erano ancora giunte - urlano tutti insieme di voler vendicare le offese subite dal loro generale e dai tribuni della plebe.» (Cesare, De bello civili, I)



IL RUBICONE

Così Cesare partì con la sola legio XIII alla volta di Ariminum e nella notte dell'11 gennaio del 49 a.c., con la famosa frase "Alea iacta est", passò il Rubicone a confine dell'Italia romana, dando così inizio alla Guerra civile.

La sua avanzata fu talmente rapida da scatenare il panico a Roma, tanto che il console Lentulo fuggì dopo aver prelevato dall'erario il denaro da consegnare a Pompeo, secondo quanto stabilito dal senato e la maggior parte dei magistrati lo seguirono.

Numerose città si arresero o aprirono le porte a Cesare e le truppe di Domizio Enobarbo andarono ad ingrossare il suo esercito la cui marcia proseguì fino a Brindisi in Apulia, dove Pompeo riuscì a fuggire con la flotta in Epiro.



ENTRATA A ROMA

Sebbene Cesare volesse inseguire Pompeo via mare, quegli aveva requisito tutte le navi della zona, per cui rientrò il 1º aprile a Roma dopo anni di assenza, si impossessò dell'erario e decise di marciare contro la Spagna assegnata a Pompeo.

Cesare riunì il senato, per ricordare i torti ricevuti dai suoi avversari, le condizioni proposte e i colloqui richiesti per una soluzione pacifica sempre negati e l'offesa ai tribuni della plebe nel limitare i loro poteri; infine chiese ai senatori di assumersi insieme a lui il governo della repubblica o in caso contrario l'avrebbe amministrata da solo. Concluse dicendo che si dovevano inviare ambasciatori a Pompeo, ma sebbene il senato approvasse la proposta, non si riuscì a trovare chi mandare perchè questi li avrebbe considerati nemici.

Cesare partì allora da Roma, giungendo nella Gallia ulteriore dove venne a sapere che Lucio Vibullio Rufo, da lui liberato a Corfinio, era stato inviato da Pompeo in Spagna, mentre Domizio Enobarbo era partito per occupare Marsiglia (Massilia) con sette navi.

Così i Marsigliesi chiusero le porte a Cesare, chiamando in aiuto gli Albici, popolazione montanara a nord-est della città, poi trasportarono in città più frumento possibile, organizzando anche le fabbriche d'armi, pronti ad essere assediati. 

Cesare fece condurre tre legioni nei pressi della città ed iniziò a costruire torri e vinee per assediare la città. Fece allestire ad Arles (Arelate) 12 navi da guerra al comando di Decimo Bruto mentre le legioni furono lasciate al suo legatus Gaio Trebonio, per assediare la città da terra. Fatto ciò Cesare partì per la Spagna.



LA BATTAGLIA

I Pompeiani

In Spagna erano presenti tre legati di Pompeo: 
- Lucio Afranio (che occupava con tre legioni la provincia della Hispania Citerior), 
- Marco Petreio (che occupava con due legioni la Hispania Ulterior, dal passo di Castulo fino al fiume Anas) 
- Marco Terenzio Varrone che occupava con due legioni il territorio dei Vettoni, dall'Anas alla Lusitania.

Petreio, che aveva arruolato truppe di cavalleria e truppe ausiliarie in tutta la Lusitania, si mosse per raggiungere Afranio, partendo dalla Lusitania attraverso il paese dei Vettoni, Varrone rimase a difendere la Hispania Ulterior con le sue legioni. Poco prima Petreio aveva provveduto ad arruolare nuove leve di cavalleria.
 
Petreio si unì rapidamente ad Afranio, che aveva arruolato la cavalleria nella Celtiberia, riunendosi con le loro cinque legioni nei pressi di Ilerda, a cui si aggiungevano 30 coorti fra quelle della Spagna citeriore, munite di scutum e quelle della Spagna ulteriore armate di caetra, oltre a 5.000 cavalieri provenienti dalla due province.


I Cesariani

- Cesare narra che inviò in Spagna il legato Gaio Fabio con le tre legioni (legio VII, IX e XI) dislocate nei pressi di Narbona (Narbo Martius), per occupare i valichi dei Pirenei, tenuti da presidi di Lucio Afranio. 
- Chiamò poi altre tre legioni (legio VI, X e XIV), che erano acquartierate in accampamenti più lontani, nella Gallia Comata a Matisco.
- A queste 6 legioni andava aggiunto un nutrito gruppo di truppe ausiliarie, con 6.000 fanti e 3.000 cavalieri che avevano prestato servizio sotto di lui nelle guerre precedenti; 
- altrettante accorsero dalla Gallia Comata, da poco pacificata, scelte tra gli uomini più nobili e valorosi di ogni gente; 
- in più altri 2.000 uomini proveniente dalla Gallia Aquitania e dalle tribù montane confinanti con la Gallia.

Cesare: « ...si fece prestare denaro dai suoi tribuni militari e dai centurioni, distribuendolo all'esercito. Ottenne così di raggiungere due obbiettivi: col debito [che aveva], vincolò a sé i centurioni [e i tribuni], con la donazione ottenne il favore dei soldati.»
(Cesare, De bello civili, I, 39.)



LE PROVVIGIONI (20 giugno - 2 agosto)

Fabio, secondo gli ordini, cacciò i presidi nemici da tutti i valichi e si diresse contro l'esercito di Afranio, cercando la benevolenza delle popolazioni vicine con una serie di messaggeri. Poi fece costruire sul fiume Sicoris due ponti a quattro miglia l'uno dall'altro attraverso cui raccoglieva i foraggiamenti ormai terminati. Anche i due legati dell'esercito pompeiano cercavano viveri, tanto che spesso si scontravano le rispettive cavallerie.

Cesare: «Un giorno le due legioni di Fabio erano uscite come accedeva solitamente per scortare i foraggiatori ed avevano passato il fiume attraverso il ponte più vicino: erano seguite dai loro bagagli e da tutta la cavalleria. Improvvisamente il ponte crollò a causa del forte vento e della piena del fiume, tanto che buona parte della cavalleria rimase sulla sponda opposta.»
(Cesare, De bello civili, I)

Quando Petreio e Afranio si accorsero che il ponte di Fabio era crollato fecero passare passare al di là del fiume quattro legioni e tutta la cavalleria, attraverso il suo ponte in pietra che si trovava nei pressi della città di Ilerda, pronto a dar battaglia.

Allora Lucio Munazio Planco, al comando delle due legioni di Fabio, occupò un'altura lì vicina, schierando le sue truppe su due fronti opposti. Venuto a battaglia con un numero di forze inferiore, riuscì a sostenere gli attacchi delle legioni da una parte e della cavalleria dall'altra. 

Poco dopo vennero in soccorso altre due legioni di Gaio Fabio attraverso il ponte più lontano: «Al loro arrivo la battaglia si interrompe e ciascuna delle parti riconduce le proprie legioni nell'accampamento.» (Cesare, De bello civili, I)
I due legati pompeiani annunciarono a Roma la resa di Cesare, cosa che fece passare Cicerone dalla parte dei pompeiani.



IL RITORNO DI CESARE (22 giugno)

Due giorni dopo giunse al campo di Fabio Cesare con 900 cavalieri, che aveva con sé come scorta personale. Il ponte fu ricostruito entro la notte successiva e Cesare lasciò a guardia del ponte e del campo 6 coorti con tutti i bagagli. Poi mosse con tutto il resto delle truppe schierate su tre linee (triplex acies) in direzione di Ilerda. Giunto nei pressi dell'accampamento di Afranio si fermò per la battaglia in un luogo pianeggiante.

(INGRNDIBILE)
Afranio pose la sua armata, a metà del colle, presso il proprio accampamento ma non attaccò e Cesare si accampò a circa quattrocento passi dalla base del colle, poi non fece edificare la palizzata che i nemici avrebbero scorto ma solo un fossato di 4,5 metri circa, coperto dalla prima e la seconda fila in armi. Al termine della giornata Cesare portò parte delle legioni nel fossato, rimanendovi in armi per tutta la notte successiva.

Il giorno seguente Cesare affidò a ciascuna legione un lato dell'accampamento da fortificare, facendo scavare delle fosse pari a quella scavata il giorno precedente; le altre legioni, equipaggiate alla leggera, furono invece schierate in armi di fronte al nemico.

Infine i legati di Pompeo ricondussero i soldati nell'accampamento e il terzo giorno Cesare riuscì a fortificare l'intero campo con una palizzata e si fece raggiungere dalle altre coorti, che aveva lasciato nell'accampamento di Fabio, insieme ai bagagli.



BATTAGLIA DI ILERDA (26 giugno)

Fra la città di Ilerda e il colle, dove si erano accampati Petreio e Afranio, vi era una pianura con al centro un'altura che Cesare voleva conquistare e fortificare, chiudendo al nemico la via alla città, al ponte di pietra e agli approvvigionamenti che avevano lasciato in città. Così fece uscire tre legioni e le schierò, inviando una delle legioni ad occupare l'altura.

Le coorti di Afranio accortisi della cosa arrivarono per primi al colle e l'occuparono. Cesare:
«(I nemici) inizialmente avanzavano con grande impeto, guadagnando la posizione con audacia, avevano poca cura nel mantenere le loro file e combattevano in ordine sparso. Se erano attaccati, non ritenevano fosse un disonore ritirarsi e abbandonare la posizione, abituati ormai a questo tipo di combattimento con i Lusitani e gli altri barbari, in quanto spesso accade che un soldato subisca l'influenza degli usi e costumi di quei paesi dove a lungo ha soggiornato
(Cesare, De bello civili, I)

La tattica disorientò i cesariani che non riuscirono a tenere la posizione e si ritirarono sul colle vicino. Allora Cesare inviò in aiuto la legio IX, che costrinse il nemico a ritirarsi verso Llerda fermandosi sotto le sue mura, ma i soldati si spinsero oltre gli ordini impartiti, in una posizione sfavorevole ai piedi del colle, per cui i soldati di Afranio iniziarono ad incalzarli dall'alto.

Cesare comprese che il terreno era «sfavorevole non solo per essere tanto stretto, ma anche perché i nostri si erano fermati proprio ai piedi del colle». Intanto il numero dei soldati di Afranio aumentava e dall'accampamento erano inviate continuamente nuove coorti di rinforzo fino alla città, per rimpiazzare con truppe fresche quelle stanche, e anche Cesare fu costretto a fare lo stesso.

Dopo cinque ore di combattimenti i cesariani si lanciarono in un assalto disperato con le spade sguainate verso il colle contro le coorti nemiche, respingendole fin sotto le mura e in parte dentro la città, i cesariani poterono ritirarsi, grazie anche all'appoggio della cavalleria che, da due lati si interpose fra i due eserciti.

«Dei nostri caddero circa settanta al primo scontro, tra cui anche Quinto Fulginio, centurione del primo manipolo degli astati della legio XIV, giunto dai gradi inferiori per il suo straordinario valore. Ne rimasero feriti più di seicento. Tra i soldati di Afranio furono uccisi Tito Cecilio, centurione primipilo, oltre ad altri quattro centurioni, e più di duecento soldati
(Cesare, De bello civili, I)

Comunque i Pmpeiani fortificarono l'altura e vi posero una guarnigione.
«Alla fine di quella giornata di combattimenti entrambe le parti credevano di aver vinto lo scontro:
gli afraniani perché avevano resistito tanto a lungo nel corpo a corpo, oltre ad aver sostenuto l'urto dei nostri e mantenuto la loro posizione sull'altura costringendo i nostri a ritirarsi nel primo assalto;
i nostri, perché, considerando che si erano trovati su un terreno sfavorevole e in numero inferiore, avevano resistito per cinque ore, avevano obbligato il nemico a ripiegare da una posizione più elevata, cacciandolo nella città

(Cesare, De bello civili, I)



CROLLANO I PONTI

Un violento temporale portò una piena del fiume che distrusse entrambi i ponti per cui l'esercito di Cesare. si trovò bloccato tra i due fiumi e pertanto non potevano approvvigionarsi. Inoltre i Lusitani e i soldati della Spagna citeriore attaccavano quelli che si allontanavano in cerca di foraggio. Per gli indigeni era facile passare il fiume, in quanto usavano andare in guerra forniti di otri.

Al contrario l'esercito di Afranio disponeva di cibo in abbondanza e di continui rifornimenti, così quando ad Afranio giunse la notizia che una grande quantità di approvvigionamenti, destinati a Cesare, si trovava ferma sulla riva opposta del fiume, decise di attaccare. Si trattava di una carovana costituita da arcieri della Gallia Aquitania, e cavalieri galli con molti carri e bagagli, circa seimila uomini di ogni classe sociale con schiavi e figli, ma in grande disordine e i pompeiani ebbero la meglio.

«In pochi giorni si era verificato un rovesciamento della fortuna, tanto che i [cesariani] erano oppressi dalla mancanza di generi di ogni necessità, mentre gli [afraniani] ne avevano in abbondanza e pensavano di avere ormai la vittoria a portata di mano
(Cesare, De bello civili, I)

Cesare allora richiese aiuto di bestiame a quelle città con le quali aveva stretto un'alleanza, inviò portatori alle popolazioni più lontane e fece di tutto per sopperire a tali disagi. Intanto Afranio e Petreio fecero giungere a Roma queste notizie in modo esagerato, tanto da far credere che la fine della guerra fosse ormai prossima.

GIULIO CESARE

 
IL GENIO DI CESARE

Cesare, che aveva anche imparato in poco tempo a progettare le navi ne fece costruire dai suoi soldati alcune con chiglia e ossatura in legno leggero, e il resto dello scafo di vimini, rivestito di cuoio. Le fece poi trasportare di notte su dei carri uniti insieme, per un tragitto di oltre 30 km lontane dal suo accampamento, fece passare dei soldati sull'altra riva, dove andò ad occupare un vicino colle fortificandolo, prima che gli afraniani se ne accorgessero.

Vi trasferì quindi una legione sull'altra riva e iniziò la costruzione di un ponte da entrambe le parti, sempre progettato da lui, portandolo a termine in due giorni. Così condusse al campo base il convoglio in totale sicurezza, oltre a tutti coloro che in precedenza si erano recati alla ricerca di frumento, e riattivò gli approvvigionamenti.

Quindi ordinò alla sua cavalleria di assalire all'improvviso i foraggiatori nemici, che a loro insaputa erano sparsi ovunque e raccoglievano rifornimenti senza timore e il bottino raccolto fu notevole e senza perdite. Giunse poi a Cesare la vittoria del suo legatus Decimo Bruto, nelle acque davanti a Massalia, e ora che il ponte venne terminato erano soldati di Afranio in difficoltà, spesso incalzati dalla cavalleria cesariana.

Intanto gli abitanti di Osca e di Calagurris inviarono a Cesare vettovagliamenti e promisero alleanza come anche gli abitanti di Tarraco, gli Iacetani, gli Ausetani e gli Illurgavonenses. Anche una coorte illurgavonense passò dalla sua parte, disertando il turno di guardia, mentre molte popolazioni lontane cominciarono ad abbandonare Afranio, passando dalla parte di Cesare.



ABBANDONO DI AFRANIO E PETREIO

Cesare non solo aveva costruito un nuovo ponte, ma, trovato un luogo adatto sul fiume Sicoris, aveva fatto scavare fossati per deviarne il corso e formare un guado. La cosa sconvolse talmente i due legati pompeiani da indurli ad abbandonare di propria iniziativa il campo per unirsi alla seconda armata pompeiana in Spagna Ulteriore, comandata da Marco Terenzio Varrone, temendo di essere tagliati fuori dai rifornimenti di viveri e foraggio.

Afranio e Petreio ordinarono di raccogliere ad Octogesa (Mequinenza), a 30 km dal loro accampamento, un numero notevole di navi, costruirono un ponte di barche e vi trasportarono sull'altra riva due legioni, fortificandone il campo. Poi vi lasciarono due coorti a guardia e passarono con il resto delle truppe il fiume Sicoris, poco dopo la mezzanotte, raggiungendo le altre due legioni sulla riva opposta.

Appresa la notizia dalle sue spie Cesare non aveva ultimato il guado sul Sicoris per cui inviò la cavalleria per ritardare le truppe nemiche che si dirigevano verso l'Ebro. Cesare ordinò allora ai suoi di avanzare e passare il guado, sebbene le opere di scavo non fossero completate. Posta a guardia dell'accampamento una sola legione, con le altre cinque si apprestò a passare il Sicoris. Il passaggio del fiume fu senza perdite.



LA RESA SENZA CONDIZIONI  

Sull'altra sponda schierò l'esercito e lo fece avanzare velocemente su tre linee poi fece costruire l'accampamento vicino a quello nemico, ma l'esercito pompeiano si ritirò nuovamente verso Lerida nelle cui vicinanze si accampò, ma venne nuovamente assediato da Cesare e le cinque legioni nemiche il 2 agosto del 49 a.c. presso Lerida, si arresero senza combattere.

Petreio chiese di essere ucciso, tanta era la vergogna della sconfitta, ma Cesare decise di risparmiarli e così entrambi i legati si diressero in Grecia per unirsi alle forze pompeiane. Dopo la resa della più grande armata pompeiana in Spagna Ulteriore, Cesare mosse le sue legioni contro Varro, che al comando delle sue legioni si trovava nella Spagna Ulteriore.


BIBLIO

- Svetonio - Vite dei Cesari -  Cesare - I -
- Appiano di Alessandria, Le guerre civili, II -
- Cesare - Commentarii de bello Gallico -
- Cesare - Commentarii de bello civili -
- Pseudo-Cesare - Bellum Hispaniense -
- Cicerone - Epistulae ad Atticum -
- Dione Cassio - Storia romana -
- Floro - Epitoma de Tito Livio bellorum omnium annorum DCC libri duo -
- Livio - Periochae ab Urbe condita -
- Plutarco - Vite parallele - Cesare -
- Velleio Patercolo - Historiae romanae ad M. Vinicium libri duo -
- Si Sheppard & Adam Hook - Farsalo, Cesare contro Pompeo - Italia - RBA Italia & Osprey Publishing - 2010 -


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