PONTE ROMANO DI PIETRALUNGA (Sicilia)



IL PONTE DI PIETRALUNGA

Per la Strada statale 121, oltrepassata la cittadina di Paternò, prima della stazione ferroviaria di "Schettino" si svolta a sinistra; dopo due chilometri, ancora a destra sino alle pendici di Monte Castellaccio, qui si incontra il fiume e, percorrendo l'argine destro, si trovano i resti del Ponte romano di "Pietralunga", di cui resta un pilone e parte delle arcate che sostenevano la carreggiata.

Il ponte romano di Pietralunga è un resto archeologico sito in contrada Pietralunga nel comune di Paternò, in provincia di Catania nelle vicinanze del fiume Simeto. Il ponte, a due arcate, serviva la strada che connetteva l'antica città di Katane ai centri interni di Centuripe, Agira, Assoro ed Enna, pertanto faceva parte di quel sistema viario attraverso il quale transitavano verso le coste orientali i carichi di frumento diretti poi alla capitale dell'impero.

Del ponte si conservano pochi ruderi tra cui un'arcata completa parte di alcune strutture oggi parzialmente visibili perchè ricoperte in gran parte dalla vegetazione. L'ampiezza della strada misura 4,15 metri e rappresenta la misura standard che consentiva il transito di due carri nelle due corsie opposte.

Il ponte, detto volgarmente "coscia del ponte" in quanto mutilo, è costruito interamente in pietra lavica e a tutt'oggi i suoi resti sono utilizzati come canali d'irrigazione per le campagne circostanti e la sua costruzione risalirebbe al 164 a.c., un secolo dopo la conquista della Sicilia da parte dei Romani avvenuta al termine della I Guerra Punica (264 - 241 a.c.) vinta contro i Cartaginesi.


Intorno al 164  il curatore delle cose pubbliche (curator res publicae) di Catina (Catania) Giulio Paterno (Soraci, La Sicilia in età imperiale, Minerva Editrice) inviò una lettera a Lucio Vero e Marco Aurelio (coimperatori 161-180) con la quale espresse la necessità di finanziare alcune opere pubbliche catanesi, tra cui sicuramente il ponte.

Gli scavi del 1990 hanno riportato alla luce solo un tratto con un archetto frangiflutti a tutto sesto e resti della più grande arcata. Trattasi di un'opera di alta ingegneria, databile, per la tecnica costruttiva all'età augustea. naturalmente  l'interno del ponte ripone la sua stabilità sul suo riempimento a scacco, con pietre, malta, ciottoli e così via.

Non si hanno precise informazioni sul periodo della sua distruzione e le cause. Probabilmente il ponte andò in rovina a causa dei continui vortici d'acqua del fiume che ne compromisero nel corso del tempo la stabilità.

Antichi studiosi come Ignazio Paternò Castello, principe di Biscari, esimio archeologo che descrisse le sue scoperte archeologiche in un volume intitolato "Viaggio per tutte le antichità della Sicilia", pubblicato a Napoli nel 1781, citò il suddetto ponte già da allora. 

Ma anche don Gaetano Savasta nel suo libro “ Memorie storiche della città di Paternò” del 1905 accennò al ponte romano. Ciononostante il monumento restò ignorato e per secoli l’arcata romana è stata praticamente seppellita dalla rena del fiume e dal silenzio.


BIBLIO

- M. G. Branciforti - Pietralunga (Assessorato regionale ai beni culturali e pubblica istruzione) - Palermo - 1996 -
- G. Savasta - Memorie storiche della città di Paternò - Catania - Galati - 1905 -
- Vittorio Galliazzo - I ponti romani - Catalogo generale - Vol. 2 - Treviso - Edizioni Canova - 1994 -
- Colin O'Connor - Roman Bridges - Cambridge University Press - 1993 -
- Degli avanzi delle antichità - Bonaventura Overbeke - a cura di Paolo Rolli - Tommaso Edlin - Londra - 1739 -

 


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