CULTO DI VESTA - ESTIA



ESTIA GRECA

LA ESTIA GRECA

Dea greca del focolare domestico, la primogenita di Crono e di Rea, sorella maggiore di Zeus. Il suo culto è antichissimo e il mito è praticamente dimenticato.

Si sa che, corteggiata da Poseidone e da Apollo, la Dea ottenne da Zeus di poter mantenere per sempre la sua verginità, in cambio ottenne grandi onori e il culto in tutte le case degli uomini e nei templi.

Suo attributo è il focolare e il fuoco sacro. Narra ancora il mito che quando Hermes, cioè Mercurio, assurse all'Olimpo, la Dea gli cedette il posto alla mensa degli Dei perchè schiva anche dei banchetti, il che fa pensare a un'antica Dea declassata, una Grande Madre.



VESTA ROMANA

Ovidio - Fasti:
"Per lungo tempo credetti stoltamente che ci fossero statue di Vesta,
ma poi appresi che sotto la curva cupola non ci sono affatto statue.
Un fuoco sempre vivo si cela in quel tempio
e Vesta non ha nessuna effige, come non ne ha neppure il fuoco."

"Io sono Colei che è, e nessun uomo ha mai sollevato il mio velo." cantavano le sacerdotesse della Grande Madre, colei che non poteva essere raffigurata, Per questo Vesta non ebbe mai immagini, era la Dea Primigenia, tanto è vero che i Romani, nell'onorare gli Dei, riservavano al sacrificio a Vesta il primo posto, doveva sempre essere onorata per prima.

I Sabini, che seguivano il calendario lunare delle società matriarcali, e sapevano di divinazione e magia, portarono a Roma il culto di Vesta, già onorata ad Albalonga, la corrispondente romana di Estia, e di Quirino che fu associato a Romolo divenendo Romolo Quirito. Alcuni autori hanno supposto che la trasformazione del nome Estia in Vesta derivasse dall'associazione Venus-Estia, legati poi in Vestia (V-Estia) e poi ancora in Vesta, non improbabile perchè anche Venus-Afrodite fu in tempi molto remoti una Dea Madre, esattamente come Estia.

Nel primo giorno dell'anno, una fiaccola portata dal tempio di Vesta portava il fuoco di ogni casa. L'accesso al tempio era vietato agli uomini, con l'eccezione dei Pontifex Maximus, a cui però era interdetto l'accesso al sancta santorum, dove si conservava il "Palladio troiano", la statua di Pallade caduta dal cielo a Troia e condotta a Roma da Enea.

Nel 394 d.c., in seguito alla proibizione della religione romana, il Palladio venne distrutto dall'ultima delle vestali, la gran sacerdotessa di Vesta. Con la sua distruzione, per non farla profanare dai maschi, cade il vero sacerdozio femminile, portatore degli antichi misteri.

VESTALI

LE VESTALI

Le vestali erano le sacerdotesse di Vesta. A Romolo, primo re di Roma, o al suo successore, Numa Pompilio, è attribuita l'istituzione del culto del fuoco, con la creazione delle vergini sacre a sua custodia.

In realtà nella leggenda della fondazione di Roma, la madre di Romolo e Remo, Rea Silvia, era già una vestale di Albalonga, quindi il culto era preesistente, come narra Tito Livio. Le Vestali furono dunque trasposte a Roma da Numa Pompilio, che era infatti sabino, subito dopo i Flamini, e prima dei Salii e dei Pontefici.

Il loro compito era di mantenere sempre acceso il fuoco sacro alla Dea, e di preparare gli ingredienti per qualsiasi sacrificio pubblico o privato, come la mola salsa, farina tostata mista a sale, con cui si cospargeva la vittima, da cui il termine immolare. Insomma ogni culto veniva da lì.

In principio le vestali erano tre fanciulle vergini, con turni di guardia al fuoco piuttosto pesanti dunque. Infatti in seguito divennero sei e sorteggiate tra 20 bambine tra i 6 e i 10 anni appartenenti a famiglie patrizie.



 NOMI DELLE SACERDOTESSE VESTALI

770 a.c. - REA SILVIA - madre di Romolo e Remo
750 a.c. - TARPEIA - Vestale figlia del comandante della cittadella romana, Spurio Tarpeio, che ai tempi di Romolo fu corrotta con dell'oro dal re sabino, Tito Tazio e permise che armati nemici entrassero nella cittadella fortificata con l'inganno. La ragazza per il desiderio di possedere le armille d'oro che portavano i sabini al braccio sinistro, avrebbe così aperto, la notte seguente, la porta della città ai nemici comandati da Tito Tazio, che le gettarono, oltre alle armille i loro scudi, uccidendola. Lo stesso Tarpeo, il padre di Tarpeia, fu accusato di tradimento e condannato.
754 - 673 a.c. - GEGAMIA (o Gegania)
754 - 673 a.c. - VERANIA (o Berenia o Venenia)
754 - 673 a.c. - CANULEIA (o Ceruleia o Camilla)
715 - 673 a.c. - AMATA
600 a.c. - PINARIA
483 a.c. - OPIMIA  (o Oppia o Popilia o Pompilia o Opilia)
472 a.c. - ORBINIA (o Urbinia)
420 a.c. - POSTUMIA
337 a.c. - MINUCIA (Munitia)
274 a.c. - SEXTILIA
266 a.c. - CAPARRONIA
236 a.c. - Non nota 1
230 a.c. - TUCCIA  (o Tuzia) è stata una vestale romana protagonista di una vicenda narrata da Livio, Valerio Massimo e Dionigi di Alicarnasso. Essendo stata ingiustamente accusata di aver violato il voto di castità (incestum), colpa punita con la morte, la vestale chiese di poter provare la sua innocenza sottoponendosi a una ordalia (giudizio divino mediante una durissima prova) consistente nel tentare di raccogliere l'acqua del Tevere con un setaccio. Tuccia chiese l'aiuto della Dea Vesta e la prova riuscì dimostrando la sua innocenza.
216 a.c. - OPIMIA - FLORONIA
204 a.c. - CLAUDIA QUINTA
178 a.c. - AEMILIA
143 a.c. - CLAUDIA
140 -113 a.c. - LICINIA
114 a.c. - AEMILIA -
113 a.c. - MARCIA
79 a.c. - LICINIA - FABIA
73 a.c. - 58 a.c. - FABIA
69 a.c. - ARRUNZIA - LICINIA - PERPENNIA - POPILIA
69 a.c. - FONTEIA
40 a.c. - 23 d.c. - SCANTIA
40 a.c. - 19 d.c. - OCCIA
10 d.c. - 19 d.c. - DOMITIA POLLIONIS
10 d.c. - 83 d.c. - VARRONILLA sorelle OCULATA
23 d.c. - CORNELIA
25 d.c. - LEPIDA
30 d.c. - AURELIA Q. AURELII FILIA
19 d.c. - 48 d.c. - IUNIA TORQUATA
48 d.c. - VIBIDIA
54 d.c. - RUBRIA
62 d.c. - LAELIA
83 d.c. - AELIA OCULATA
50 d.c. - 91 d.c. - CORNELIA LENTULA
fine I sec. d.c. - LICINIA PRAETEXTATA
fine I sec. d.c. - CALPURNIA PRAETEXTATA
107 d.c. - IULIA CAECILIA
158 d.c. - MANLIA SEVERINA
190 d.c. - TUCCIA CAELIA TORQUATA
200 d.c. - VETTENIA SABINILLA
201 d.c. - 204 d.c. - NUMISIA MAXIMILLA
201 d.c. - AURELIA SUFENIA TORQUATA
213 d.c. - 247 d.c. - FLAVIA PUBLICIA
213 d.c. - CLODIA LAETA
213 d.c. - POMPONIA RUFINA
213 d.c. - AURELIA SEVERA
213 d.c. - CANNUTIA CRESCENTINA
215 d.c. - TERENTIA FLAVOLA
218 d.c. - IULIA AQUILIA SEVERA Eliogabalo, il quale si identificava con il Dio sole, sposò in seconde nozze Aquilia, gran sacerdotessa di Vesta, nel 220, dopo aver divorziato da Giulia Cornelia Paula, in un matrimonio che rappresentava quello delle due divinità. Tale matrimonio non fu ben accettato dalla popolazione romana, in quanto il voto di castità delle vestali era sacro, e la vestale che l'avesse rotto veniva seppellita viva, mentre il suo amante veniva ucciso. Non ebbero eredi e l'imperatore divorziò da Aquilia nel 221 per sposare Annia Faustina, con cui però divorziò, ed Eliogabalo riprese con sé Aquilia, affermando che il loro divorzio non era valido. Non si conosce il destino di Aquilia dopo la morte di Eliogabalo nel 222.
240 d.c. - CAMPIA SEVERINA
240 d.c. - 242 d.c. - FLAVIA MAMILIA
286 d.c. - COELIA CLAUDIANA
250 d.c. - 301 d.c. - TERENTIA RUFILLA
III sec. d.c. - BELLICIA MODESTA
III sec. d.c. - TEIA EUFROSINE RUFFINA
III sec. d.c. - CLOELIA TORQUATA
III sec. d.c. - HOCTAVIA ONORATA
III sec. d.c. - SAUFEIA ALESSANDRA
III sec. d.c. - SOSSIA
III sec. d.c. - AURELIA
III sec. d.c. - CALPURNIA
364 d.c. - CLAUDIA (damnatio memoriae)
380 d.c. - 385 d.c. - COELIA CONCORDIA
386 d.c. - PRIMIGENIA



LA CAPTIO

La consacrazione al culto, officiata dal Pontefice Massimo avveniva tramite il rito della Captio. La captio virginis, ovvero “la cattura della vergine”, era una cerimonia in cui il Pontefice Massimo nominava una nuova Vestale, con rigidi criteri fisici, giuridici e morali nella scelta.

Il Pontefice Massimo prendeva per mano la fanciulla e pronunciava parole rituali, poi esponeva alla ragazza i suoi doveri e i privilegi del nuovo status. A partire da quel momento la Vestale lasciava la patria potestas e andava ad abitare presso l’atrium Vestae.

Rivestita dell’abito sacerdotale bianco, per una sola volta le si tagliavano i capelli, simbolo di sacrificio, che venivano appesi ad un albero, l’antico loto crinito. Da questo rito la chiesa cattolica ha copiato il taglio dei capelli effettuato una sola volta e la castità delle monache.

Il termine captio rimanda alla cattura, al rapimento, forse il modo in cui anticamente venivano strappate alla famiglia. In quanto al taglio dei capelli sembra risalisse a Tarquinio Prisco, che aveva inasprito rigidamente il loro stato, e pertanto temeva una qualche ritorsione magica da parte delle vergini.

La magia delle donne fu sempre legata ai capelli intonsi. Poichè nelle antiche religioni italiche si praticava la prostituzione sacra che in genere finiva a trenta anni, dopodichè erano libere di sposarsi (il sacerdozio ne aumentava la posizione sociale e la richiesta), viene da pensare se non fu proprio la richiesta di verginità quella meno gradita alle sacerdotesse.

Per essere scelta una Vestale doveva avere entrambi i genitori viventi e di condizione libera, doveva essere esente da difetti fisici, ma erano esentate le bambine nella cui famiglia si contassero altri membri con cariche sacerdotali.



IL SERVIZIO

Il servizio aveva una durata di 30 anni: nei primi 10 erano novizie, nei secondi 10 erano addette al culto mentre gli ultimi dieci anni erano dedicati all'istruzione delle novizie. Insomma le addette al fuoco erano sempre pochine, e la libertà un modo di dire. Dopo i trenta anni di servizio potevano abbandonare il servizio e sposarsi.

VOLTO DI VESTALE
La loro vita si svolgeva nell'Atrium Vestae, accanto al tempio di Vesta, ma potevano uscire liberamente e godevano di privilegi e di diritti e onori civili: mantenute a spese dello Stato, affrancate dalla patria potestà al momento di entrare nel Collegio, erano le uniche donne romane che potevano fare testamento, custodi a loro volta, grazie all'inviolabilità del tempio e della loro persona, di testamenti e trattati.

Potevano testimoniare senza giuramento e i magistrati cedevano loro il passo e facevano abbassare i fasci consolari al loro passaggio.

Potevano anche chiedere la grazia per il condannato a morte che avessero incontrato casualmente e venivano sepolte entro il pomerio, perchè anche le loro ceneri erano sacre.

Secondo Antistio Labeone la vestale non poteva ereditare senza testamento ed i suoi beni non potevano essere ereditati senza testamento.

Incorrevano però nella morte in caso di spegnimento del fuoco sacro e relazioni sessuali. Non potendo però venire uccise da mani umane, in quanto sacre, le colpevoli venivano frustate, vestite di abiti funebri e portate in una lettiga chiusa, come un cadavere, al Campus sceleratum, presso la Porta Collina ma ancora dentro le mura.

Là veniva lasciata in una sepoltura con una lampada e una piccola provvista di pane, acqua, latte e olio, il sepolcro veniva chiuso e la sua memoria cancellata. Il complice del reato sessuale veniva fustigato fino alla morte. Livio ci tramanda la condanna della vestale Oppia, nel 482 a.c., accusata di reato sessuale.



LA DECADENZA

L'affermazione del cristianesimo nell'Impero non causò, per i primi secoli, la fine dell'ordine. Al contrario le Vestali, ministre di un culto millenario caro alle donne e alla città, continuarono ad essere amate ed onorate dal popolo romano fino al IV secolo. L'ultima Gran Sacerdotessa fu Celia Concordia (384).

Divenuto il credo niceno religione di stato nel 380 con l'editto di Tessalonica, a partire dal 391 Teodosio I proibì qualunque culto pagano e il sacro fuoco nel tempio di Vesta venne spento, decretando la fine dell'ordine delle Vestali. Finiva miseramente la tolleranza romana per qualsiasi culto, autoctono o straniero. Ferdinand Gregorovius descrive così la scena finale, all'ingresso di Teodosio in Roma:

« I cristiani di Roma trionfavano. La loro tracotanza arrivò al punto, lamenta Zosimo, che Serena, sposa di Stilicone, entrata nel tempio di Rea, prese dal collo della Dea la preziosa collana e se la cinse. Assistendo a questa profanazione, l'ultima vestale versò lacrime disperate e lanciò su Serena e su tutta la sua discendenza una maledizione che non andò perduta. »

VESTALE

ANNALI DI ROMA

"Il loro Sacerdozio dovevano conservarsi vergini ed erano punite quelle che perdevano questo pregio, Plutarco dipinge con vivi colori una tal punizione. Egli dice che la vergine che violata avesse la verginità viene seppellita viva presso la Porta chiamata dov'è dentro della Città un certo rilievo di terra che si stende lungo e si chiama dai Latini con un vocabolo che significa Argine o Terrapieno.

Quivi si forma una stanza sotterranea non grande che ha un apertura al di sopra onde potervi discendere e dentro havvi un letto, una lucerna accesa ed alcune piccole porzioni di cose necessarie per vivere come pane, acqua, un vaso ed uno di oglio. Quella che è condannata ad un tale supplizio posta viene ad una lettiga coperta al di fuori e cinta con di cuoio acciocché non sentasi neppure la voce e la portano a traverso della piazza.

Tutti le danno luogo ritirandosi tacitamente et accompagnano in grandissimo silenzio ingombrati da mestizia Ne havvi spettacolo più orribile e la Città non passa mai altro giorno più tristo di quello. Giunta a quel luogo la sciolgonsi dai ministri i legami il Sacerdote supremo fa preci segrete ed alza le mani agli Dei prima di trar fuori la donna.

La trae fuori poscia coperta e la colloca sulla scala per quale discende già nella piccola stanza indi Egli insieme agli Sacerdoti si rivolge indietro e come sia Ella discesa se ne la scala e si chiude e ricuopre la stanza con portarvi sopra molta terra onde quel sito venga ad eguagliarsi col resto del terrapieno.

L'uomo che si trovava reo di stupro ossia d'incesto in persona di una Vestale veniva fatto morire con battiture. Tanta severità nel punire le Vestali non sembrava molto bene intesa con la libertà che queste avevano sotto pretesto di addolcire il loro Stato imperocchè il timore del castigo anche spaventevole non è sempre il più sicuro rimedio contro le violenze delle passioni.

Le Vestali andavano spesso a mangiar dai parenti e sotto 1'aspetto di riconciliare le famiglie si intromettevano in quasi in tutti gli affari. In somma non avevano nell'esteriore alcun ostacolo che frenasse la loro libertà. Le cose che lasci avutisi come osservammo pel sostentamento della punita Vestale tendevano al fine di non offendere la religione permettendo che di fame perisse una persona con le ceremonie più auguste e più sante consagrata.

Scrupolo era questo veramente bizzarro come osserva Rollin dapoichè non volevasi far perire d'inedia che seppellivasi viva. Con pena assai più mite era punita la Vestale per la cui negligenza estinguevasi il fuoco sacro che custodiva. Questa ricoperta di velo veniva dal sommo Pontefice battuta con verghe con il quale punivansi gli schiavi.

La estinzione di questo fuoco co ritenevasi qual segno di prossima disavventura allo Stato per cui grave rumore mcnavasi per la Città in tali avvenimenti. Due fatti narra Dionigi mirabili in genere dei delitti delle Vestali che però ritiene egli stesso ambedue per favolosi. La Vestale Emilia dic'egli fu creduta colpevole dell estinzione del fuoco sagro ed i Pontefici ne assunsero la inquisizione.

Emilia era innocente ma prove non aveva d'addurre in sua discolpa. Presa allora da sagro entusiasmo alla presenza de Sacerdoti e delle altre Vergini distese sull'altare le mani
- Vesta - così esclamò - custode di Roma, siami propizia se rettamente e santamente con puro e casto corpo le sagre tue ceremonie per quasi treni anni adempii. Se fui rea su me solamente n'espìa il delitto. -

Ciò detto lacerò il lembo della veste di lino che indossava e gettollo sulla fredda cenere. Un prodigioso fuoco arse allora quel lino e bisogno non fu di cercar nuovo fuoco per l'altare della Dea nè della espiazione del fallo supposto.

L'altro fatto che narra Dionigi è il seguente. Una delle Vergini chiamata Tucia venne accusata da un tale che ad essa addebitar non poteva la negligenza di aver fatto estinguere il fuoco sagro. Questo modo di esprimersi di Dionigi dimostra che l'accusa consisteva nella violata castità. Presentava l'accusante alcune false riprove argomenti verisimili e testimonii mendaci.

Costretta essendo Tucia di rispondere alle interrogazioni e a difendersi disse soltanto avrebbe mostrata falsa l'accusa e senz'altro aggiungere ottenuto pontificio permesso si diresse al Tevere seguita da folto popolo avvalorata da una strabocchevole audacia tenente in mano un crivello. Giunta alla sponda del fiume ebbe l'ardire di tentare d'attinger dell'acqua con quel crivello.

L'effetto la corrispose e col crivello pieno d'acqua tornò alla piazza e gittò questa ai piedi Pontefici. Fu poi voce che a tal successo accusatore per lungo tempo rimanesse nè vivo nè morto."

(ANNALI DI ROMA di Luigi Pompili Olivieri)



CASA DELLE VESTALI

O Atrium Vestae, era la sede del collegio sacerdotale delle Vestali presso il Foro Romano, alle spalle della Regia e in un unico complesso con il Tempio di Vesta.
L'Atrium era in origine un'area aperta presso il tempio di Vesta, sede del culto della Dea, circondata da costruzioni. La residenza delle Vestali ne fece parte solo dal II secolo a.c., nell'area tra la Regia, la Domus Publica (residenza del pontefice massimo) e le pendici del Palatino.

In quest'epoca l'edificio era molto più piccolo e col medesimo orientamento della Regia. Sotto i resti sono state rinvenute costruzioni precedenti, collegate alle ricostruzioni della Regia, fino al VI secolo a.c.

Il tempio era già circondato da un recinto unito alla casa con ingresso a est, come nelle ricostruzioni successive.

Nel 12 a.c. Augusto, in qualità di Pontefice Massimo, donò alle Vestali la Domus Publica, residenza del pontefice dove aveva abitato anche Giulio Cesare.

Dopo l'incendio del 64 d.c., il complesso venne ricostruito a un livello più alto con nuova pianta e nuovo orientamento. I resti attualmente visibili appartengono ad una ricostruzione databile, sulla base dei bolli laterizi, principalmente all'epoca di Traiano. L'ala occidentale, con il tempio di Vesta fu restaurata in epoca severiana dopo un incendio nel 191 d.c.

Con l'abolizione dei culti pagani di Teodosio I nel 391 e la sconfitta dei pagani ad Aquileia nel 394, la casa venne abbandonata dalle ultime vestali e fu rioccupata, in parte, dalla corte imperiale prima e da quella papale poi.




LA DESCRIZIONE

A partire dal XV secolo furono rinvenuti basamenti di statue con iscrizioni di dedica alle Vestali datate tra la fine del III sec. e il 377, ora ricollocate nel cortile. L'aspetto attuale del complesso è legato all'ultimo restauro della moglie di Settimio Severo, Giulia Domna, dopo l'incendio del 191. Le stanze, in origine su due piani, circondano un cortile porticato, con delle fontane, poi sostituite da un'aiuola ottagonale.

Dal tempio si accedeva verso est alla casa, passando accanto a un'edicola con due colonne ioniche delle quali resta una sola.

Un'iscrizione testimonia che fu edificata col denaro pubblico per decreto del Senato.

I bolli sui mattoni la collocano all'epoca di Adriano. Dall'ingresso si penetrava nel cortile centrale della Casa, il peristilio.

Una passerella moderna permette di vedere i resti dell'edificio repubblicano sottostante, con pavimento a formelle irregolari di marmo.

Al centro tre bacini, due piccoli quadrati e uno grande rettangolare al centro, coperti in epoca costantiniana da una struttura ottagonale in laterizio, decorazione oggi rimossa.

Sotto il portico erano allineate le statue delle Vestali massime. Basi e statue erano ammassaste evidentemente in attesa di essere trasformate in calce. Le più belle oggi si trovano altrove, mentre quelle presenti sono collocate senza un preciso criterio, poiché se ne ignora la disposizione originale, con accoppiamenti arbitrari tra basi e statue.

Le iscrizioni delle basi risalgono all'ultima fase dell'edificio, dell'epoca severiana, o posteriori:
  • una di Numisia Maximilia, 201 d.C.
  • tre di Terentia Flavola, del 209, 213 e 215
  • una di Campia Severina, del 240
  • una di Flavia Mamilia, 242
  • due di Flavia Publicia, 247 e 257
  • una di Coelia Claudina, 286
  • due di Terenzia Rufia, 300 e 301
  • una di Coelia Concordia, 380
  • Un'altra base del 364 presenta un nome di vestale cancellato, del quale si riconosce solo la prima lettera, "C". Forse la vestale Claudia, ricordata dal poeta cristiano del IV sec. Prudenzio, secondo cui ella aveva abbracciato la fede cristiana e per questo il suo nome sarebbe stato coperto dall'infamia dagli ultimi pagani.
Sul lato orientale un grande ambiente coperto a volta su cui si affacciano due file di tre stanze più piccole, probabilmente le sei stanze delle vestali, mentre la stanza centrale forse un sacello dei Lari.

Al livello inferiore sono state trovate le tracce di un piccolo santuario. Sopra il "tablino" vi sono tracce di una scala che dimostra un piano superiore, forse destinato al personale di servizio.

Il lato sud è il meglio conservato, con numerose stanze su un lungo corridoio: un forno, un mulino con la mola, una cucina. Da qui parte anche la scala per il piano superiore, dove si trovavano le stanze delle sacerdotesse, dotate di bagni riscaldati.

Altre due scale per il primo piano si trovano all'estremità dell'ala sud, vicino a un'aula absidata, forse un santuario. Il lato ovest è occupato da un grande ambiente rettangolare, fronteggiante il "tablino", probabilmente un triclinio. Le stanze sul lato nord sono inidentificabili per la cattiva conservazione.

Dal lato posteriore si può penetrare nell'interno delle fondamenta. Quivi gli scavi recenti hanno portato in luce nel centro un pozzo trapezoidale, al quale si è voluto dare il nome di Favissa (ripostiglio per arredi sacri e votivi fuori d'uso): la situazione di questo pozzo dimostra che il sacro focolare non stava esattamente nel centro della cella.



FESTE DI VESTA
  • Le Vestalia era la festa delle donne che solo in quel periodo 7-15 giugno, avevano accesso al tempio.
  • Vestalia - 7 giugno - festa dei marinai, ma non ammessi al tempio.
  • Vestalia - 8 giugno - festa del Buon Senno, anche uomini ma non ammessi al tempio.
  • Vestalia - 9-10-11-12-13-14-15 giugno - La festa era proibita agli uomini che non avevano mai accesso al tempio.
VESTALI INTORNO AL FUOCO SACRO


TEMPLI


TEMPIO DI VESTA NEL PALATINO

Antichissimo tempio situato all'estremità orientale del Foro Romano a Roma, lungo la via Sacra accanto alla Regia ed alla Casa delle Vestali, col quale costituiva un unico complesso religioso, con il nome di Atrium Vestae.

I resti attualmente visibili appartengono ad una parziale ricostruzione moderna dell'ultima fase dell'edificio, che comprende alcuni elementi originali in marmo completati in travertino. In questa fase il tempio monoptero era costituito da un podio circolare in opera cementizia rivestito da lastre di marmo, del diametro di circa 15 m., che sosteneva la cella rotonda; dal podio sporgevano i piedistalli per le venti colonne corinzie che costituivano la peristasi. L'edificio doveva essere coperto da un tetto conico, con buco centrale per i fumi del fuoco perenne all'interno.


Storia

Tra i più antichi templi di Roma, all'epoca in cui la città era ancora limitata al Palatino e costituita da un'aggregazione di villaggi e quindi prima della realizzazione del Foro. La conservazione del fuoco era di importanza capitale; sia Virgilio che Ovidio riferiscono che all'epoca si otteneva collo sfregamento delle selci. Da qui la necessità di realizzare un tempio finalizzata alla conservazione del fuoco.

Il fuoco sacro ogni primo di marzo, primo giorno dell'anno romano antichissimo (detto anno di Numa) veniva riacceso con particolari cerimonie.

Il significato del tempio era anche quello di rappresentare il focolare domestico più importante, connesso alla vicina casa del re, che rappresentava tutti i focolari dello Stato.

Le prime sacerdotesse incaricate di sorvegliare il fuoco erano le figlie del re. Le Vestali divennero poi l'unico sacerdozio femminile a Roma.

La sua forma circolare venne ricondotta sia dalle fonti antiche (Ovidio, Fasti, 6, 261-262), sia nei primi studi archeologici, alla forma delle originarie capanne della Roma dell'VIII e VII secolo a.c., a causa anche della antichissima istituzione del culto di Vesta nella religione romana.

Il tempio subì incendi del 241 a.c. e del 210 a.c. per cui si ebbe un esteso rimaneggiamento anche della casa delle Vestali. Alla sua ricostruzione appartenevano probabilmente i resti di una profonda fondazione circolare in cementizio con fossa centrale, forse il ricettacolo di oggetti sacri del culto, di cui parla Varrone, il Poenus Vestae, ovvero la fossa per le ceneri del fuoco sacro.

Si ipotizza quindi una ricostruzione dopo il grande incendio del 64 d.c., contemporaneamente allo spostamento e ingrandimento della casa delle Vestali: il tempio venne infatti rappresentato in monete dell'epoca di Nerone e dei successivi imperatori Flavi. Una raffigurazione del tempio su un rilievo dell'epoca traianea attualmente alla Galleria degli Uffizi di Firenze lo mostra di ordine ionico, e col podio a cui si addossano i piedistalli delle colonne.

Gli intercolumni erano chiusi da cancelli di bronzo, come si vede dalle monete e dai rilievi antichi. In molti pezzi dei fusti delle colonne si scorgono ancora i buchi che sostenevano le aste dei cancelli. Gli intercolumni dinnanzi la porta della cella erano chiusi mediante porte di legno, le cui imposte stavano fisse sopra sporgenze di marmo tuttora visibili in alcuni dei fusti.

Il cornicione del tempio era decorato con rilievi rappresentanti strumenti di sacrifizio ed insegne sacerdotali; il cornicione, i lacunari del portico e il fregio interno della cella, erano di un sol pezzo di marmo lungo quasi tre metri.

In tal maniera le colonne del portico e il muro della cella uniti insieme, formavano un appoggio sufficiente per la cupola abbastanza larga.

Generalmente si vuole che la cupola nel mezzo avesse un occhio rotondo: ma le rappresentanze che ci danno le monete, fanno più presto credere che quest'occhio fosse sormontato da una specie di camino di bronzo, forse in forma di un gran fiore, il quale proteggeva l'interno dalle intemperie.

Dopo l'incendio del 191 il tempio venne nuovamente ricostruito sotto il regno di Commodo da Giulia Domna, moglie del futuro imperatore Settimio Severo, nella forma attuale, conservando tuttavia la parte bassa: podio, piedistalli e colonne ancora intatti.

Teodosio I nel 391 abolì i culti pagani, quindi anche il culto di Vesta. Il sacro fuoco venne spento e l'ordine delle Vestali venne sciolto. Il tempio era ancora conservato nel 1549, secondo la testimonianza di Onofrio Panvinio, ma successivamente deve esser caduto in rovina, perchè molti dei suoi pezzi furono trovati in un muro medioevale tra il lacus Juturnae e il tempio dei Castori. fino alla sua riscoperta ad opera degli scavi archeologici ottocenteschi.



Penus Vestae

Nel tempio l'area più sacra, interdetta all'accesso di chiunque tranne che delle Vestali, era il Penus Vestae, un sancta sanctorum chiuso da tappeti, dove erano conservati una serie di oggetti dall'altissimo valore simbolico, risalenti alle fondazioni mitologiche della città. Tra questi il più importante era il Palladio, il simulacro arcaico di Pallade Atena e che Enea aveva portato da Troia. Sembra identificabile con una cavità di forma trapezoidale sul podio, accessibile solo dalla cella; misura 2,40 x 2,40 metri.


TEMPIO COSIDDETTO DI VESTA AL FORO BOARIO

Poco distante dal Tempio di Portuno all'interno del foro Boario sorge un tempio rotondo.

Deve la sua conservazione, come molti altri monumenti romani, al fatto di essere stato trasformato in chiesa, nel medioevo: venne infatti consacrato nel 1132 e dedicato a Santo Stefano delle Carrozze, per poi essere trasformato nel XVII sec. nella chiesa di Santa Maria del Sole.

Si è trovata un'iscrizione che lo attribuisce a Ercole olivario, tuttavia il tempio, come spesso i templi rotondi presso i Romani, faceva sempre riferimento a una divinità femminile o che rappresentasse l'universo, come riferì Plutarco. Facilmente il tempio fu ridedicato.



TEMPIO DI VESTA A TIVOLI

Il Tempio di Vesta si trova nell'acropoli di Tivoli, e risale al sec. I a.c., pressoché contemporaneo a quello romano del Foro boario.

E' un periptero corinzio del diametro di m. 14,25, rivestito di travertino, a pianta circolare con una cella centrale, che ha una porta e due finestre, e un ambulacro anulare largo m. 2,78 con soffitto cassettonato.

L'edificio era costituito da 18 colonne corinzie di cui attualmente ne rimangono solo 10, che poggiano su una base attica e presentano 18 scanalature la cui profondità diminuisce man mano che si avvicina al capitello.

Sulle colonne poggiano capitelli corinzio-italici, al di sopra dei quali sta la trabeazione di travertino, ottimamente decorata a festoni alternati a bucrani. Le pareti della cella, sia esterne che interne, sono composte di tasselli di tufo di forma irregolare da Vitruvio nominato Atticum incertum.

Sull'architrave è inciso il nome di Lucio Gellio, figlio di Lucio, come si deduce dall'iscrizione "(curant) E L. GELLIO L. F.", che effettuò il restauro del tempio.
La più famosa vestale di Tivoli (Tibur) fu Cossinia, che alla sua morte fu sepolta sulle sponde dell'Aniene oltre l'acropoli.



TEMPIO DI VESTA A SAN TEODORO

"Dalla posizione del fonte di Giuturna si stabilisce ancora quella del celebre tempio di Vesta; secondo questa indicazione si ritrova essere il tempio di Vesta collocato dove ora sta la Chiesa di S. Teodoro; e la forma circolare, che tale tempio doveva avere, viene conservata in quella della detta chiesa.

Un frammento della Pianta Capitolina, designato quivi col N. XLIV nel quale vi è tracciato un tempio rotondo Periptero, con altro quadrangolare accanto, ed al di dietro parte di grande fabbricato, si riconosce comunemente per aver rappresentato questo tempio di Vesta con altro che gli stava vicino, e la parte del Palazzo che si trovava corrispondere al di sopra del medesimo tempio.

Innanzi al tempio poi vi stava evidentemente l'antica Regia di Numa che gli serviva di Atrio. Inoltre unito al medesimo tempio vi doveva essere un bosco sacro che si protraeva lungo la via Nuova, 138 la quale dal foro si dirigeva verso il Velabro. Furono ritrovate quindi alcune traccie dei sepolcri delle Vestali vicino alla Chiesa di S. M. Liberatrice, ove vi era probabilmente qualche locale che faceva parte del sacro recinto di Vesta.

Vedi anche: LISTA DELLE DIVINITA' ROMANE


BIBLIO

- Russel T. Scott - Vesta, aedes - Eva Margareta Steinby (a cura di) - Lexicon topographicum urbis Romae - vol. V - Roma - Edizioni Quasar -1999 -
- D. Filippi - La Casa delle Vestali - Roma - Dall’antichità al Medioevo - Archeologia e Storia nel Museo Nazionale Romano Crypta Balbi - Roma - 2001 -
- D. Filippi - L’Atrium Vestae in età tardoantica - Roma - Dall’antichità al Medioevo - Archeologia e Storia nel Museo Nazionale Romano Crypta Balbi - Roma - 2001 -
- Vittorio Dini - Il potere delle antiche madri - Firenze - Pontecorboli - 1995 -
- Carandini - Il fuoco sacro di Roma. Vesta, Romolo, Enea, Roma-Bari, Laterza, 2015 -
- Giacomo Boni - Le recenti esplorazioni nel sacrario di Vesta - Roma - Accademia dei lincei - 1900 -
- Giacomo Boni - Nuova Antologia - Aedes vestae - 1900 -


6 comment:

Anonimo ha detto...

grande!

Valeria

Claudio Hiugluck on 11 maggio 2017 alle ore 18:52 ha detto...

Vorrei far notare che il "fuoco sacro" della foto" Vestali intorno al fuoco sacro" è idento all'ara funebre di Cossina a Tivoli, il che mi fa pensare che quella a Tivoli non sia una ara funebre.

Anonimo ha detto...

chi mi sa dire il motivo di questi fuochi e quanti erano accesi in Roma ???? ringrazio in anticipo le vostre menti laboriose ...

Martin on 14 dicembre 2018 alle ore 12:06 ha detto...

Bellissimo articolo, complimenti e grazie per le molte e utili informazioni

I'm a Sea Witch on 7 giugno 2020 alle ore 11:17 ha detto...

Avete parlato di una Grande Dea declassata, il ché mi fà pensare ad un culto assai più antico di quello tributato alla Dea da Roma, avete per caso fonti che ne parlino? Grazie.

Anonimo ha detto...

grande ........!

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