LEGIO MARTIA





La Legio Martia, cioè Legione del Dio Marte,  era un'unità militare romana di epoca tardo repubblicana, che fu formata da Gaio Giulio Cesare nel 48-49 a.c., come narra Appiano nella sua "Guerra Civile". Essa venne arruolata tra i cittadini Italici per combattere contro Gneo Pompeo Magno, prese parte alla successiva battaglia di Farsalo, in seguito alla quale ottenne l'appellativo onorifico di Martia, cioè degna di Marte Dio della guerra.
Combattè ancora per Cesare nella Battaglia di Tapso, quindi passò a Marco Antonio prima e ad Ottaviano poi.

Altre fonti storiche associano la legio Martia ad una delle varie legioni provenienti dalla zona Italica della Martia antica, l'odierna Marsica dalla quale prese il nome, e gli onori gli vennero attribuiti in seguito alle vittorie riportate nei vari campi di battaglia, dalla Gallia all'Africa.

Quando il Senato romano con Catone negò la cittadinanza romana ai Marsi e agli altri popoli italici, dopo molti anni di alleanze militari, le legioni formate da Marsi ed altri popoli italici si schierarono contro Roma (91 a.c.), sotto il comando di Quinto Poppedio Silone, costringendo i Romani a promulgare la Lex Iulia de civitate nel 90 a.c. e poi la Lex Plautia Papiriane ll'89 a.c. con le quali si concedeva il diritto di cittadinanza romana a tutti gli italici a sud del Po.

« Nec sine marsis nec contra marsos triumphari posse »
« Non si può vincere né senza i Marsi né contro di essi »
(Appiano di Alessandria)

La legio in questione era composta da circa 22.000 uomini, suddivisi in otto legioni. Erano i legionari che avevano seguito Cesare nella lunga campagna di Gallia, che lui aveva saputo guidare, sostenere, difendere con tale intelligenza e rispetto che gli uomini si sarebbero battuti per lui fino alla morte. I veterani delle Gallie era quanto di meglio si potesse desiderare in battaglia, coraggiosi, fedeli, allenati ed efficaci nonchè veloci e solerti esecutori, mai ribelli.

Nel 44 a.c. era ad Apollonia in vista della campagna di Cesare contro i Parti. Dopo l'assassinio di quest'ultimo alle idi di marzo, fu assegnata prima a Marco Antonio e poco dopo disertò e passò dalla parte di Ottaviano e con lo stesso, combatté nella guerra di Modena, scontrandosi con altre legioni cesariane fedeli ad Antonio nella sanguinosa e accanita battaglia di Forum Gallorum; la legione si batté con grande ostinazione e valore ma uscì decimata dalla battaglia.



LA BATTAGLIA DI FARSALO

Cesare infatti, prima di salpare dall'Italia per l'Epiro, doveva avere un esercito composto dalle quattro legioni consolari del 48 a.c., cioè le legio I, II, III e IV, la nuova legio XXVII, e quelle provenienti dalla Spagna e dalla Gallia cisalpina, dalla VI Gemella alla XIV legione, inclusa la futura V Alaudae e la VII. Non tutte riuscirono a salpare da Brindisi e a raggiungere il loro comandante a Dyrrhachium, ma la futura Martia si ricongiunse con Cesare.
Altre forze furono invece inviate, per un numero di 12.000 armati (pari a circa tre legioni a ranghi completi), dallo stesso Cesare, prima dello scontro decisivo di Farsalo, in Macedonia e Grecia per assicurare il vettovagliamento delle truppe, come narrano Cassio Dione, Velleio e Appiano.

CESARE
Cesare così schierò le sue legioni:
  • la legione X all'ala destra sotto il comando di Publio Cornelio Silla, 
  • le legioni VIII e IX all'ala sinistra sotto il comando di Marco Antonio; 
  • al centro erano schierate le restanti cinque legioni, tra cui la legio XI e la legio XII, agli ordini di Gneo Domizio Calvino, 
per un totale di ottanta coorti, per un totale di 22.000 fanti e 1.000 cavalieri.
Le forze in campo messe da Pompeo erano più del doppio superiori alle sue, e constavano di 45.000 fanti, 2.000 beneficiari veterani e 7.000 cavalieri.

La gran parte del successo delle armate dipese però dalla straordinaria capacità di Cesare di gestire con genialità, sangue freddo e determinazione tutte le situazioni che gli si presentavano, dimostrandosi un grande stratega, e un trascinatore di uomini che lo apprezzavano ed amavano come pochissimi generali
furono così amati.

Cesare usò come al solito l'ingegno, il comandante della cavalleria di Pompeo era  Tito Labieno, che aveva combattuto con lui in Gallia prima di passare al nemico. Labieno usava di solito attaccare sul lato debole dell'avversario, per poi convergere verso il centro contro il grosso dell'esercito nemico.

Cesare non seguì lo schema classico di porre il grosso delle truppe in mezzo e due ali, spesso di cavalleria, invece staccò dal lato destro sei coorti di soldati, i più esperti, e li posizionò come riserva. Separando le coorti dall'ala, oltre ad avere una unità mobile pronta ad accorrere nel momento del bisogno, il generale mostrò un finto lato debole, prevedendo che la cavalleria pompeiana vi si sarebbe lanciata contro.

Dopo aver messo in ritirata il nemico, la riserva di Cesare, composta da 6 coorti, scaglio i giavellotti contro i volti dei nemici, sistema inedito, cercando di colpirne gli occhi che gli elmi lasciavano scoperti. Cesare intuiva che i cavalieri di Pompeo, giovani e non avvezzi alla guerra, avrebbero temuto di essere sfregiati orribilmente in volto, e questo li spinse alla fuga.

Con la ritirata di Labieno e la perdita di due fronti su tre, Pompeo considerò perduta la battaglia e si ritirò insieme a tutto lo stato maggiore. In questo modo salvò la sua vita e quella di tutti i suoi ufficiali, ma perse quella di 15 000 soldati, mentre le perdite di Cesare ammontarono in tutto ad appena duecento uomini.

Da Svetonio apprendiamo il commento di Cesare alla vista dei tanti caduti dopo la sanguinosa battaglia combattuta a Farsalo:
L’hanno voluto! Dopo tutte le mie imprese sarei stato condannato se non avessi cercato aiuto nelle armi”. Svetonio attinge da Asinio Pollione, testimone oculare della scena e del commento.

BATTAGLIA DI TAPSO


BATTAGLIA DI TAPSO

Dopo la morte di Pompeo i suoi luogotenenti si radunarono nelle province d'Africa per combattere Cesare. I loro capi erano ora Marco Porcio Catone Uticense, Marco Petreio (che già aveva sconfitto Catilina) e Quinto Cecilio Metello Pio Scipione Nasica, un senatore e comandante romano, avendo come alleato il re Giuba I di Numidia. Sappiamo da Appiano (De Bellibus civilibus) che Cesare inseguì i suoi avversari in Africa ed approdò a Hadrumetum (odierna Sousse, in Tunisia) il 28 dicembre 47 a.c.

Come ci narra Appiano, la fazione pompeiana riunì velocemente un esercito poderoso di 40.000 uomini (circa 10 legioni romane), 20 elefanti, una potente arma di cavalleria, condotta dall'ex braccio destro di Cesare, il valente Tito Labieno, oltre alle forze alleate del re di Numidia e una sessantina di elefanti.. Nelle scaramucce iniziali due legioni nemiche disertarono in favore di Cesare. All'inizio di aprile, Cesare arrivò a Tapso ed assediò la città.

L'esercito di Metello Scipione circondò Tapso tentando di entrarvi da nord. Ma temendo l'arrivo di Cesare pose ai lati la cavalleria con gli elefanti. Cesare come suo solito si era posto al comando del lato destro e la cavalleria e gli arcieri ai fianchi.

CESARE
Gli arcieri di Cesare attaccarono gli elefanti senza effetto, mentre poi il lato sinistro degli elefanti attaccò il centro dei Cesariani, dove era posta la V legione.

Questa legione sostenne l'attacco con tale coraggio che da allora in poi un elefante divenne il suo simbolo, ma molti ne morirono si che Cesare fece suonare enormi trombe con tanta violenza da spaventare e far retrocedere gli elefanti, che calpestarono la cavalleria.

Quindi la cavalleria di Cesare distrusse il campo fortificato e costrinse il nemico alla ritirata. Le truppe alleate di Giuba abbandonarono le posizioni tornando verso le proprie terre e quando Scipione rimase con solo una parte degli elefanti le truppe romane ebbero la meglio. Scipione scappò a sua volta, via mare, lasciando l'esercito nelle mani di Afranio.

Circa 10.000 soldati avversari, tra cui lo stesso Metello Scipione, volevano arrendersi a Cesare, ma vennero invece fatti uccidere. Comportamento strano per Cesare, di solito generoso coi vinti. Alcune fonti sostengono che Cesare avrebbe avuto un attacco epilettico e che non fosse in sé. Ma per altri la spiegazione risiederebbe nella particolare crudeltà mostrata dai soldati di Metello contro quelli di Cesare.

Dopo la battaglia, Cesare conquistò Tapso, e continuò fino ad Utica, dove si trovava Catone che alla notizia della sconfitta si suicidò. Cesare ne fu sconvolto e secondo Plutarco avrebbe detto: «O Catone, ti porto invidia di tua morte, perché mi togliesti l'onore di salvarti la vita». La battaglia di Tapso si svolse il 6 aprile 46 a.c.nei pressi di Thapsus (Tunisia).

Cesare catturò i 60 elefanti e provò a domarli per farli combattere nel suo esercito, ma erano ben addestrati e non ubbidirono per cui li fece liberare.

Sulla base, infine, di quanto ci racconta Valerio Massimo, sembra che quando fu in Africa con Cesare a Tapso, il numerale di questa legione potrebbe essere stato il XXV, oppure il XXVII, XXVIII, XXIX o XXX.

RE DEI PARTI

BATTAGLIA DI MUTINA

"Legio Martia, cum hostem populi Romani M. Antonium iudicavisset, comes esse eius amentiae noluit." La legione Martia, giudicando il nemico del popolo romano Marco Antonio, non volle essere complice della sua follia.

Nel 44 a.c. ritroviamo la Legio Martia ad Apollonia in vista della campagna di Cesare contro i Parti.
Dopo l'assassinio del dictator alle idi di marzo, la legio venne concessa a Marco Antonio, ma questa fedelissima a Cesare e alla gens Julia, poco dopo disertò e passò dalla parte di Ottaviano. Una legione altamente valorosa e patriottica, che quando riconobbe in Marco Antonio un nemico del popolo romano cessò di seguirlo, prima ancora che lo stesso senato di Roma lo dichiarasse tale, per la sua grande fedeltà anzitutto a Roma. Eppoi la legione si stabilì ad Alba Fucens, città fedele a Cesare per combattere coi suoi cittadini e tenere salva la città.

Questi li guidò nella battaglia di Mutina (43 a.c.), e Cicerone, ci riferisce che restò ferma in questa città fino al 42 a.c., quando, come narra Appiano, venne intercettata dalla flotta repubblicana nell'Adriatico tra Brindisi ed Apollonia, e qui venne distrutta.

Secondo i dati dello storico Valerio Massimo, la legione, quando fu in Africa con Cesare a Tapso, era diventata la XXV legione. oppure la XXVII, XXVIII,  XXIX o XXX.



LEGIO MARTIA I

Quando la regina Boudicca si ribellò nel 60 dc., la XIV legione si comportò valorosamente guadagnandosi il titolo onorifico Martia Victrix ('vittoriosa, benedetta da Marte'), il che potrebbe ricollegarla alla Martia suddetta.

VENERE RAURICA
Il ritrovamento di una Venere è avvenuto presso le mura del castrum della citta romana di Augusta Raurica, fondata in età augustea sulle rive del fiume Reno, lungo la frontiera settentrionale dell'Impero Romano.

Dopo l'iniziale periodo di prosperità dovuto alla felice posizione geografica, dove la città giunse ad ospitare 15000 abitanti, subì pesanti attacchi da parte dei barbari Alemanni, sino ad essere completamente abbandonata verso la fine del III sec. d.c.

Per proteggere il confine renano allora l'imperatore Diocleziano pose a guardia di questa regione la Legio I Martia, con quartier generale nel Castrum Rauracense nei pressi della città vecchia e del ponte che attraversava il fiume Reno.

Si ha poi notizia di una Legio Martia I del tardo impero, anch'essa evidentemente dedicata al Dio della guerra Marte. un'incisione e una iscrizione ora perdute.  Si parla di una fortezza in provincia di Valeria nell'Ungheria occidentale nell'anno 371. E' probabile che questa legione sia identica alla Martenses menzionata come parte del campo dell'esercito illirico intorno al 400 d.c, ed è anche probabile che la legione sia stata fondata da Diocleziano.


BIBLIO

- Joanne Berry, Nigel Pollard - The Complete Roman Legions - ed. Thames Hudson - 2012 -
- H. M. D. Parker - The Roman Legions - New York - 1993 -
- Emilio Gabba - Appianus: la storia romana - Libri 13-17 - Le guerre civili - (con D. Magnino) - Torino - UTET - 2001 -
- Appiano di Alessandria - Historia Romana -. Guerre civili - libro III.
- Cassius Dio Cocceianus - Historia Romana - Libro XXXXVI -
- Giulio Cesare - Le guerre in Gallia, a cura di Carlo Carena - Mondadori Editore - 1991 -


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