VASO DA NOTTE ROMANO



FIG. 1 (by www.virtualrecostruction.com)

I vasi da notte sono stati utilizzati nell'antica Grecia a partire dal VI secolo a.c., non sappiamo se i romani ne importarono l'uso o se lo usarono in modo autoctono come in fondo tutti i paesi antichi. I Romani facevano ovviamente uso del vaso da notte e lo chiamavano "metella", "scaphium" e "lasanum".

Non tutte le case, infatti, erano fornite di servizi igienici, soprattutto quelle che si prendevano in affitto nei caseggiati. Nelle domus ovviamente c'era il bagno con l'acqua corrente ed era collegato con la fogna, nelle insule solo il primo piano godeva di questa prerogativa, negata in genere ai piani più alti dove la pressione bassa non permetteva all'acqua di salire più di tanto.
PITALE ROMANO

LE POSSIBILITA' E LE REGOLE

Le possibilità di svuotamento previste dalla legge contemplavano:

- Vuotare il contenuto dei vasi degli appartamenti in un contenitore urinatorio, di solito collocato nei sottoscala degli edifici. Qui veniva ogni giorno uno schiavo a prelevare sostituendo l'orinatoio con uno pulito, il servizio era gratuito, in quanto l'orina veniva filtrata e usata per la concia delle pelli.

- Orinare nei dolia posti in città in punti cruciali era ovviamente prerogativa maschile e anche qui uno schiavo provvedeva allo svuotamento, in seguito coi "vespasiani" l'orina veniva raccolta in grandi contenitori sotterranei e venduta alle fulloniche per la concia, tanto è vero che Vespasiano insieme ai bagni pubblici inventò la tassa sulla raccolta delle orine.
Rimase proverbiale la sua risposta al figlio Tito che sembrava scandalizzato dal porre una tassa su un prodotto tanto infimo e puzzolente. "Pecunia non olet" cioè l'orina puzza ma il denaro no.
E' Columella a ricordarci che le urine erano inoltre preziose per alcune terapie veterinarie, per migliorare la coltivazione del melograno, e per sbiancare le toghe nei cicli di lavaggio.

BOCCA DELLA VERITA' (FIG. 2)
- I vespasiani erano cessi pubblici per soli uomini, con parecchi posti a sedere dove i contenuti cadevano in una fossa che declinava verso uno scolo anch'esso inclinato dove fluiva acqua corrente continua che da un lato portava via gli escrementi e dall'altro serviva per detergersi bagnando e ribagnando una spugna (portata da casa), infilata  su un bastone; i romani vi sostavano volentieri e ne facevano dei salotti di incontro.

- C’era anche la possibilità vuotare il vaso da notte in una fossa, o in una latrina, ma soprattutto nei tombini, come mostra l'immagine su in alto (fig 1). Roma era ricca di fogne e di tombini, famosissimo quello della Bocca della verità che in realtà è un grosso tombino.  

Inutile dire che in una città così bella i tombini erano in travertino, scavati a mano o a disegno geometrico o a bassorilievo, creando dei veri e propri capolavori, talvolta dedicati anche a divinità fluviali o sotterranee.

IL METELLA

Fortemente proibito invece era gettare dalla finestra l’urina del vaso da notte. Se la ronda notturna scopriva in reato il suo autore pagava una multa molto salata. Ma i contravventori non mancavano. 

Roma era troppo grande per poterla controllare e Giovenale ironizza: 
"Non si può uscire di casa senza aver fatto testamento, perché ti minacciano tutte le finestre che si aprono. Prega e nutri nel tuo cuore il modesto desiderio che si accontentino del loro vaso da notte". 

Fortemente proibito anche urinare addosso ai muri delle case e delle botteghe. Ma non sempre ci si atteneva alle regole. A dimostrarlo è un graffito pompeiano: "Sporcaccione non pisciare sul muro! Spero ti acchiappino e ti facciano la multa!"

BAGNO PUBBLICO DI OSTIA

LO SGOMBERO DEI RIFIUTI

La pulizia delle città fu invece un problema che fu affrontato prima di tutti dai greci, che per primi sentirono il bisogno di un servizio pubblico di pulizia urbana. Nella “Costituzione degli ateniesi” Aristotele fissa i doveri di dieci sorveglianti della città incaricati di verificare il lavoro degli spazzini, per impedire loro di gettare le immondizie vicino alla città.

Questi netturbini erano sicuramente schiavi e si incaricavano di tutte le opere di manutenzione di una città, che al suo apice contava ben 250.000 abitanti. Ma Roma arrivò a contarne circa un milione e mezzo.

PITALE ROMANO
A Roma il problema dei rifiuti esisteva: il Mons Testaceus (Monte Testaccio), un monte artificiale, alto circa trenta metri, con una circonferenza di un chilometro e una superficie di circa 20.000 metri quadrati, formatosi con l'accumularsi dei cocci delle anfore sbarcate nel porto fluviale dell'Emporium e immagazzinate nei vicini horrea. Le anfore scaricate e vuotate del contenuto venivano poi quasi totalmente eliminate e ciò che restava veniva riusato nelle attività commerciali o nell'edilizia.

A Roma quindi mancava un'organizzazione per la raccolta pubblica dei rifiuti la cui pulizia era affidata ai privati che, per non essere multati dagli edili, dovevano provvedere a che le case fossero servite dagli aquarii (portatori d'acqua), come prescritto dai pompieri, e dai zetarii (spazzini), schiavi che costituivano una proprietà indivisa con lo stesso edificio.

A Roma, e nell'Impero Romano, si sviluppò pertanto un sistema particolare di sgombero dei rifiuti. I cosiddetti «addetti al letame», schiavi di stato preposti a tale lavoro, portavano fuori dalla città escrementi e rifiuti che venivano poi trattati dai contadini e trasformati in concime. Inoltre la lex Iulia Municipalis del 45 a.c. fa riferimento all’utilizzo di "carri per l’immondizia".

Si allestirono numerosi bagni pubblici, con sedili prima in legno poi in marmo; attorno al 300 d.c. se ne contavano 144, le cosiddette latrinae publicae. Anche il principale collettore fognario, la cloaca maxima, continuò a venire potenziato nel tempo.

LA PULIZIA DELLA LATRINA DOMESTICA

IN ALBERGO

Nelle camere d’albergo c’era lo "scaphium", cioè il pitale come quello che noi ricordiamo, ce ne informa anche un graffito rinvenuto a Pompei: "lo ammetto oste abbiamo pisciato nel letto, non è cosa elegante. Vuoi sapere perché? Non c’era il vaso da notte". Si trattò evidentemente di un'azione rivendicativa fatta al momento di alzarsi.

A differenza del "metella" un vaso un po' largo dotato di coperchio, e del lasanum, un vaso più stretto, a volte senza base come un'anfora da trasporto, che in realtà di infilava su un supporto che faceva da sedia nel bagno privato dei padroni, lo "scaphium" era un vero e proprio pitale che era senza coperchio e si riponeva in un mobiletto che impediva il diffondersi dei cattivi odori. Insomma un comodino dell'epoca.

Il vaso da notte era in genere d’argilla, ma pure di bronzo o in ferro. Dato il Luxum di certi romani arricchiti c’era anche chi possedeva in pitale in argento o addirittura in oro. Trimalcione, il celeberrimo protagonista del "Satyricon" di Petronio, lo pretendeva anche mentre giocava a palla. Del resto gli schiavi facevano "di tutto" ai loro padroni.



LA DECADENZA

Caduto l’Impero Romano le latrine, private del rifornimento idrico degli acquedotti, caddero in abbandono, si tornò a gettare l’urinale nei pozzi neri, o dalla finestra.

Per avere nuovamente il gabinetto in casa bisognerà attendere il ritorno dell’acqua nelle abitazioni, perchè bagni pubblici e latrine pubbliche erano inverecondi, col cristianesimo bisognava ignorare il corpo o meglio mortificarlo, i piaceri andavano evitati e il Dio del sacrificio supplicato e pregato per evitare il peggio.

Nel Medioevo le condizioni igieniche crollarono miseramente portando alla diffusione di molte malattie, tra cui alcune gravi come il tifo e l’epidemia di peste del 14° secolo. L’uso del "vaso" (di rame o terracotta) prese il sopravvento, mentre le latrine pubbliche scomparvero.



BIBLIO

- Rodolfo Lanciani - I Commentarii di Frontino intorno le acque e gli acquedotti, silloge epigrafica aquaria - Roma - Salviucci - 1880 -
- Sesto Giulio Frontino - R. H. Rodgers (translator) - De Aquaeductu Urbis Romae [On the water management of the city of Rome] - University of Vermont - 2003 -
- P. Fedeli - La natura violata. Ecologia e mondo romano - Palermo - 1990 -
- Jérôme Carcopino - La vita quotidiana a Roma - Editori Laterza -1971 -


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