ERME ROMANE



CONSACRAZIONE DI UN ERMA


"Erme custodi, o in terra solinghi iddii taciturni
vigili meditante anima nella pietra,

voi custodite ancora l'antica memoria
voi siete memori ancora, bella solitudine!

Altri l'oblio già tiene, a quale di voi ella cinse
ilare il collo, tra li acanti floridi?"


L'erma è un pilastrino di sezione quadrangolare, sormontato da una testa scolpita a tutto tondo, che nell'antica Grecia (soprattutto in Attica), raffigurava Ermes (da cui il nome).
Le erme erano collocate lungo le strade, ai crocevia, ai confini delle proprietà e dinnanzi alle porte per invocare la protezione di Ermes, sui confini in genere, quindi a guardia di ladri e di incidenti.
L'altezza era variabile da 1,00 m a 1,50 m e le più antiche conosciute risalgono alla fine dell'età arcaica (ultimo quarto del VI secolo a.c.).

L'erma deriva da una delle prime forme arcaiche di rappresentazione delle divinità, il così detto betile posto a protezione delle vie e delle soglie.
FILA DI BETILI A PRANU MUTTEDU (Sardegna)
I betili ebbero forme varie varie: conica, piramidale, antropomorfa, cilindrica, prismatica, triangolare, ecc. 

Venivano posti in posizione verticale a rappresentare la Grande Madre. Il primo betilo fu addirittura un tumulo sbiancato, poi divenne una pietra eretta.

L'adorazione delle pietre è pertanto il culto della Dea Natura, madre di tutto l'esistente.

Il Tempio di Cibele a Pessinunte, antica città della Frigia, custodiva il famoso betilo di pietra nera di Cibele, il quale fu poi portato solennemente a Roma nel 204 a.c. secondo un responso dei libri sibillini. Un altro famoso betilo si trovava ad Emesa (Siria), e fu trasportato a Roma dall'imperatore Eliogabalo nel 220.

In Italia i betili si trovano soprattutto in Sardegna, sia isolati che in recinti megalitici, detti tombe dei giganti, in genere per delimitare un'area sacra. 
Poi al betilo si sostituì l'immagine, prima della Dea poi di un Dio, divenendo la vera e propria erma che talvolta aveva due teste, a significare l'inizio e la fine di un ciclo, come Giano bifronte o addirittura quattro, come sull'erma dell'Ecate sul Ponte dei Quattro Capi, all'Isola Tiberina di Roma.

IL CULTO DELLE ERME

L'ERMA DI ERMES 

In epoca greca le erme raffiguravano il Dio Ermes che appariva col volto barbuto di un uomo maturo con un fallo eretto sulla colonna. Veniva posto lungo le strade o nei confini di proprietà, con la funzione di invocare la protezione del Dio ai viandanti. 

Per i Greci in Ermes era lo spirito del passaggio e dell'attraversamento:custode quindi di qualsiasi tipo di scambio, trasferimento, violazione, superamento, mutamento, transito, anche da un luogo all'altro.

Sicuramente i più antichi erano in legno e venivano posti a guardia dei confini dei terreni e quindi delle proprietà. La stessa cosa avvenne a Roma, copiando i miti greci. C'è però un aneddoto storico che illustra molto bene quest'usanza.



LO SCANDALO DELLE ERME

Lo scandalo delle erme (o notte delle erme o mutilazione delle erme) avvenne ad Atene in una notte del 415 a.c., nel periodo della Guerra del Peloponneso (431-404 a.c.) e di cui parlano Tucidide, Andocide e Plutarco.

La notte prima della partenza della spedizione ateniese in Sicilia guidata da Alcibiade, vennero mutilate le erme collocate ai crocevia delle strade e nelle piazze di Atene e raffiguranti il fallo e la testa del Dio Hermes. 

Sacrilegio gravissimo e presagio infausto per la spedizione che stava per partire.

I sospetti caddero su Alcibiade, noto per la sua ambiguità sessuale, per l’ostilità nei riguardi della tradizione, e per la sua dissacrazione. Ne nacque un vero e proprio scandalo pubblico, il più grave  nell’Atene del V secolo.

Gli accusatori cominciarono comunque a raccogliere le prove e a istruire il processo: Alcibiade chiese di poter essere processato prima della partenza, ma lo lasciarono salpare con la flotta, per non danneggiare la spedizione.

La spedizione partì per la Sicilia, ma sin dall’inizio l’operazione non parve fausta ed ebbe mille difficoltà. 

Dopo un anno, durante il quale l’esercito ateniese in Sicilia si era limitato a fortificare la propria base a Catania, Alcibiade venne raggiunto dalla trireme di Stato ateniese, per essere scortato  in patria. 

Nel corso della traversata, però, Alcibiade riuscì ad allontanarsi con la sua nave e sbarcare nel Peloponneso, dove chiese ospitalità ai nemici di Atene, gli spartani, che, conoscendone la fama lo accettarono volentieri.

Nonostante la celebrazione del processo (399 a.c.), che vedeva imputato Andocide e Alcibiade (che nel frattempo era stato assassinato, 404 a.c.), poco o niente è emerso circa la verità dei fatti di quella notte se non che dietro l’empia bravata si nascondesse davvero un disegno sovversivo.



L'ERMA DEL DEFUNTO

La trasformazione da erma di Hermes a erma-ritratto deve essere avvenuta dall'assimilazione di Hermes quale psychopompòs, cioè funerario, che andava ad assumere i tratti fisici del defunto.

Questo processo dovette svolgersi nella tarda età ellenistica o nell'epoca romana, come testimoniano le numerosissime erme romane sia in marmo che in bronzo. 

In ambito italico era dopotutto diffuso il cippo funerario sormontato dalla testa del defunto (negli esemplari più antichi individuabile solo dal nome, con sembianze del tutto generiche), e fu forse l'innesto di questa tradizione con l'elegante forma greca a originare le erme-ritratto. 

Il defunto veniva così eternato divenendo custode e nume tutelare della casa e della proprietà dei suoi nipoti e pronipoti.



L'ERMA DI PRIAPO

Spesso le erme presentano un fallo propiziatorio scolpito.

A Roma e a Pompei, e quindi un po' ovunque, l'immagine di Mercurio-Ermes venne sovente sostituita con l'erma di Priapo, un grassoccio e sgraziato tipo provvisto di un fallo enorme, propiziatore della buona fortuna, del sesso, degli amanti, ma pure e soprattutto custode di terreni e giardini da eventuali ladri.

Egli era guardiano minaccioso dei terreni, dei giardini, ma soprattutto delle vigne.

Era infatti una divinità alquanto sgraziata e deforme, caotica rappresentazione della vegetazione selvatica e il suo enorme e caricaturale fallo voleva indicare appunto una rigogliosità smodata, una produttività senza ordine come è pertinente alla natura, ma che ormai gli uomini guardavano e temevano come un loro aspetto interiore incontrollato.

Un lasciarsi andare ai piaceri senza freni inibitori.



LE ERME FEMMINILI

Roma antica ne era piena, venivano poste sui ponti, sulle piazze, sulle vie, sui cancelli delle proprietà private e pubbliche, nei viali, nelle ville, a indicare l'inizio e la fine di un percorso.

Qui scorgiamo l'erma ma non di ermete bensì di Ecate, sul ponte dei Quattro capi, o Ponte Fabricio a Roma, quello che pone in comunicazione la città con l'isola Tiberina.

Splendide le erme, di epoca Augustea, del Museo Palatino a Roma in marmo nero e a forma di canefora (portatrici di cesti) riproducevano degli originali greci. 

La Dea infatti era la natura portatrice di piante e frutta, come Pomona, Opi ecc. che spesso adornavano i giardini.

Come si vede dunque nella Roma antica le erme non riguardavano solo il Dio Mercurio (corrispondente al greco Hermes) ma anche belle immagini femminili, come quella stupenda in bronzo del museo Palatino che si tira vezzosamente un capo della veste che va a fondersi col piedistallo quadrangolare.

In realtà la figura doveva discendere come una pietra fondendosi con la terra, appunto a significare la Madre Terra nella sua solida stabilità per il piedistallo e la sua preziosa ed esuberante donatività dei suoi frutti nel canestro spesso rigonfio di frutti.

Roma era talmente colma di erme che dopo l'abbattimento furioso degli iconoclasti cristiani gli scavi rinascimentali ne riportarono alla luce, sani o spezzati, un'infinità e di tutti i tipi, come ci narra il Lanciani.


Siamo nel 1552, all'epoca di Giulio II:

RODOLFO LANCIANI (sugli studi del Vacca)

- (16 maggio). « scudi 5 a Pietro de Nerito scarp."° sotto campidoglio per prezzo di due termini di marmo -

- A m."" Benedetto Gentilponte per prezzo di quattro termini che ci ha venduti per la vigna ". -

-  (22 maggio:) «A m. Leonardo scultore per costo di 3. termini avuti da lui. (1 giugno).

- « A m. Valente scudi tre di oro per darli a m. Giovanni scultore fior. per conto di una testa di marmo di termine. -

-  (4 trimestre). « A m. Sandro scarpellino scudi 19. a buon conto di alcuni termini, che montano a scudi 49 ». -

- In questi due mesi di maggio e giugno gli architetti ebbero necessità di erme Erculei, « La villa di Giulio III » in Nuova Antologia, torno 26, serie 3, 1 marzo 1890. per collocarle allo incrociamento dei viali di bosso, ovvero in giro attorno ai piazzali, e non si occuparono che di tali sculture iconografiche, ricercandole specialmente tra gli avanzi delle ville tiburtine.

Vedi Kaibel 1128 (Eschine), 1140 (Aristofane), 1159 (Eraclito), 1168 (Isocrate), 1170 (Cameade), 1186 (Milziade), ecc. -

- Deve notarsi a questo proposito che i più antichi descrittori di queste erme le dicono esistere " in hortis cardiualis de Medicis prope villam Julii III pont. max. ". Questo fatto può spiegarsi in due modi: il primo, e più accettabile, è che gli epigrafisti abbiano posta attenzione alle erme solo dopo il primo smembramento della villa avvenuto l'anno stesso della morte del pontefice: l'altro è che questo speciale gruppo delle erme tiburtine sia stato veramente raccolto dal card. Ferdinando, dopo che si era impossessalo di quella parte della villa.

Ma è tempo di tornare ai conti camerali.

-  (10 luglio). Il barcaiuolo Andrea Schiavone conduce al Porto un termine antico che egli aveva caricato alla vigna di monsignor Datario.

- 1553 (24 luglio), «i Ad Antonio Gioii figlio di Mattheo d'Adodio scudi 4. d'oro per prezzo di 2 teste di termini et u.* deonata (Dejanira?) -

- Achille Esta 90, nel libro « Illustrium virorum vultiis » stampato da Antonio Lafreri, e dedicato al card. Perienot de Granvelle il 1" agosto del 1568, publica le imagini delle erme inscritte coi nomi di Milziade, Eraclito, Aristofane, Isocrate. Carneade, più due erme semplici anonime (tav. XXIX, XXXIV) e tre ba.:chiche doppie (tav. XLIII, XLIX, LI, Lll). -

ERMA DI ALESSANDRO MAGNO
- A queste, che rEsta90 descrisse, quando era già incominciato lo smembramento della villa « in hortis Cardinalis de Medicis propre villam Julii III. pont. max. » si dovranno aggiungere l'erma di Esquiline (Kaibel 1128) che il AVaelscapple descrisse « in vinca pont.... Tiburti allatus » ma non quella doppia di Erodoto e Tucidide che appartenne alla collezione Cesi, e che solo il Boissard per errore manifesto pretende aver visto in horto Julii III p. m. -

- Erma d'alabastro orientale bianchissimo col petto di marmo cotognino e variegato, lodato da Boissardo -
CAPRANICA ANGELO (1572, 5 agosto) « scudi venti al S. Angielo Capranica per pretio de una Minerva senza testa, et una testa di termine frusta » .

- Scavi nella villa Magarozzi sul Celio: Vi sono duo Termini con le lor lunghe basi, e col membro virile: uno è di Greco, perchè vi ha queste due lettere A • f • l'altro è Latino. -

- 1553 In Villa Mattei sul Celio:  « Quattro termini di marmo nella facciata della fontana.
Doi altri termini di marmo alla porta del detto Giardinetto.
Doi Terminj di marmo nell'entrare della detta loggia della fortuna coperti con pelle di leone.
Doi termini di marmo a capo il viale principale incontro alla fontana grande.
Doi termini incontro alla porta principale del Giardino con li suoi piedi di trevertino.
Doi termini nell'entrare del giardinetto segreto del palazzo.
 Qnattro termini nelli pilastri sotto la loggia fatta a musaico.
Un termine di trevertino con tre teste di marmo sopra attaccate insiemi di mezzo rellievo con un ornamento di marmo sopra dette teste a capo del viale delle ragnaie.
Una statua a modo di termine dentro alla fontana del fiume alta palmi otto.
Doi termini con il colore di marmo in capo del viale delli colsi.
Tredici termini di peperino alla piazza del palazzo con le base di trevertino sotto    »

Essendo stato Alcibiade un tipo un po' irruento qualcuno ha giocato un po' sulla sua erma, si può anche capire, Alcibiade a causa delle accuse degli ateniesi, non sappiamo se vere o false, venne alla fine assassinato dagli Spartani.



LE ERME E I GIARDINI

Nei giardini romani, come ben si vide a Pompei, tra le aiuole e lungo i vialetti, distribuite in una composizione elegante e sacrale insieme, venivano collocate le "ermette", ossia  dei pilastrini sormontati da teste scolpite raffiguranti divinità, semidei o personaggi molto apprezzati, alternate ai pinakes, quadretti di marmo con scene mitologiche.

Pertanto le erme non ornavano solo i templi o le strade ma entrarono, in genere in proporzioni ridotte, nei giardini delle domus e delle ville. Ma per capirne bene il carattere pensiamo per un attimo se noi moderni collocassimo statue o immagini sacre nei nostri giardini, se li costellassimo di Cristi, madonne, santi e angeli. Diventerebbe un incubo, o almeno un monastero.

Nel mondo dei romani il sacro non faceva paura e non era triste e cupo. Non si commetteva sacrilegio ponendosi in casa immagini sacre, nè questo limitava il gioco o il divertimento. Gli Dei pagani non volevano l'essere umano triste e sottomesso, eternamente orante e penitente. Per cui il paganesimo dava gioia, ed entrava a far parte della natura, insieme al sesso e al divertimento. 

Un mondo difficile da concepire oggi.


BIBLIO

- Renato Del Ponte - Dei e miti italici. Archetipi e forme della sacralità romano-italica - ECIG - Genova - 1985 -
- Plutarco - Alcibiade - 1 -
- Giacomo Devoto - Gli antichi Italici - Firenze - Vallecchi - 1952 -
- Mary Beard, John Henderson - Classical Art: From Greece to Rome - Oxford University Press - 2001 -
- Filippo Coarelli - Storia dell'arte romana. Le origini di Roma - Milano - ed. Jaca Book -
- Rachel M. Kousser - Hellenistic and Roman Ideal Sculpture - Cambridge University Press - 2008 -


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