DOMUS AUREA



COMPLESSO DELLA DOMUS AUREA - RICOSTRUZIONE DI www.katatexilux.com

La Domus Aurea, la "Casa Dorata", fu costruita dall'imperatore Nerone dopo il grande incendio che devastò Roma nel 64. Aveva già fatto costruire la Domus Transitoria, per collegare le tenute imperiali del Palatino con gli Horti Maecenatis sull'Esquilino, che però bruciò interamente. Ne sono stati rinvenuti dei resti sotto la Domus Flavia sul Palatino.

Per la nuova reggia si avvalse degli architetti Celere e Severo, che la edificarono in soli quattro anni, e del celebre pittore Fabullo. Quando Nerone inaugurò la casa disse che finalmente cominciava ad abitare "in una casa degna di un uomo".

Fonte )
Per poco tempo però l'imperatore godette della Domus, perchè fu condannato a morte ed i suoi successori distrussero le sue opere, è una mania della Damnatio Memoria, come cade in dittatore si distrugge tutto, anche le opere d'arte, e si fa tutt'oggi.

Il palazzo fu parzialmente demolito e ricoperto di macerie per fare da fondamenta alle terme progettate dall’architetto Apollodoro di Damasco che Tito e Traiano vi fecero erigere sopra. Anche il Tempio di Venere e Roma risiedono nel terreno occupato dalla Domus.

In quarant'anni, la Domus Aurea fu completamente sepolta sotto nuove costruzioni, ma questo salvò le "grottesche", perchè la sabbia funzionò come le ceneri vulcaniche di Pompei, proteggendoli dal loro eterno nemico, l'umidità.



L'ESTERNO

Il complesso della Domus comprendeva vigneti, ville con campi, pascoli e boschi con animali selvatici e domestici, un lago artificiale, viali alberati, statue, balconate, scalinate, ringhiere di bronzo, vasche e piscine.

Si estese sul Palatino, sulla Velia, dove era il vestibolo, più tardi occupato dal Tempio di Venere e Roma, sulle pendici dell'Esquilino (Colle Oppio) fino all'attuale chiesa di S. Pietro in Vincoli, seguiva via delle Sette Sale e, seguendo le Mura Serviane, arrivava fino al Celio, dove era il Tempio di Claudio, trasformato in ninfeo, per poi raggiungere nuovamente il Palatino.

Aveva un'estensione di 2,5 kmq., circa 80 ettari, con giardini e padiglioni per feste o di soggiorno per gli ospiti. Al centro dei giardini c'era il laghetto su cui sorse più tardi il Colosseo.

"Nerone tenne le feste migliori di tutti i tempi," spiegò l'archeologo Wallace-Hadrill ad un giornalista alla riapertura della Domus Aurea nel 1999, dopo anni di chiusura per restauri.

"Trecento anni dopo la sua morte, durante gli spettacoli pubblici, venivano ancora distribuiti gettoni con la sua effige: un "souvenir" del più grande showman di tutti i tempi."



IL COLOSSO

Nerone commissionò una colossale statua in marmo di circa 37 metri, l110 piedi per Plinio il Vecchio e 120 per Svetonio, opera dello scultore Zenodoro, raffigurante sé stesso in veste di Helios, il Colossus Neronis, che pose nell'atrio del palazzo, in cima alla Via sacra.

Il colosso fu successivamente riadattato colle teste dei successivi imperatori, finchè Adriano lo spostò, impiegando ben 24 elefanti nell'impresa, per far posto al tempio di Venere e Roma, per cui l'Anfiteatro Flavio prese il nome di Colosseo nel Medio Evo.

Il Colosso era ancora integro nel V secolo d.C., ma sembra che Papa Gregorio Magno, geloso di questo simbolo pagano, che poteva essere visto da qualsiasi punto della città, lo fece demolire.

Attualmente è ancora visibile il basamento di tufo sul quale era collocata la statua. Erroneamente viene talvolta attrbuita al Colosso la gigantesca testa e mano bronzee di Costantino.

La statua di Nerone era di marmo, e Nerone, fissato con la cultura greca, portò sempre la barba, al contrario di Costantino che era sempre sbarbato, secondo la tradizione romana.



I RESTI

Quello che resta della vasta dimora dell'imperatore Nerone è un immenso padiglione di circa 300 m di lunghezza per 50 di larghezza, una serie di enormi stanze, oggi quasi completamente buie e prive delle preziose decorazioni in marmo.

L'incendio del 64 d.c, che devastò la città colpì anche le costruzioni imperiali, così si diede inizio alla costruzione di una nuova residenza che verrà ricordata nella leggenda grazie ai racconti di antichi scrittori come per esempio Svetonio.

Secondo gli studi recenti l'edificio superstite venne probabilmente costruito in due tempi successivi e i lavori vennero completati dall'imperatore Ottone e forse anche da Tito.

La Domus si distribuiva, alternando giardini ed edifici, lungo le pendici del Colle Oppio, occupando l'area dello stagno e risalendo il versante orientale del Palatino.

Causa del definitivo abbandono fu la costruzione delle terme di Traiano, avvenuta dopo l'incendio del 104 d.c. che contribuì a rendere inagibile la parte della Domus Aurea ancora abitata.

Secondo la prassi edilizia dei romani, dopo aver asportato tutto ciò che poteva essere riutilizzato, gli ambienti della dimora neroniana vennero inglobati nelle murature delle fondazioni delle terme e interrati, limitando così al minimo i costi di demolizione.

VEDUTA GENERALE (INGRANDIBILE)
La parte oggi conservata al di sotto delle terme sul colle Oppio, quel che ancora possiamo visitare oggi, era una villa per feste, con 300 stanze, senza camere da letto o cucine o latrine.

Le camere rivestite di marmo avevano nicchie ed esedre, con piscine sui vari piani, e fontane nei corridoi.

Il padiglione si erge sul Colle Oppio, con la "sala ottagona" orientata sulla posizione del sole al momento dell'equinozio dell'autunno del 64.

Il settore occidentale ha un grande cortile porticato su tre lati mentre quello settentrionale era un criptoportico a sostegno del retrostante terrapieno. Sul lato meridionale del cortile si aprivano gli ambienti più vasti, con al centro una doppia sala e due alcove sui lati, forse i cubiculi, ossia le stanze da letto, della coppia imperiale.

A fianco delle alcove altre stanze, di cui almeno due dovevano essere ornate di statue, per la presenza di basi in mattoni nelle absidi. Questo settore privato, si apriva su un portico affacciato sulla valle sottostante.



L'INTERNO

La Domus fu edificata, similmente al Colosseo, con enormi pareti di mattoni, rivestite a foglia d'oro e a marmi preziosi, con soffitti stuccati e incrostati di pietre dure, gemme e conchiglie.

Ne resta solo l'edificazione del colle Oppio, con circa 150 ambienti, articolati attorno alla sala a pianta ottagonale, fulcro di tutto il complesso, esteso per una lunghezza di circa 400 m. Gli ambienti, sempre in opera laterizia, sono per la maggior parte coperti da volte a botte alte 10-11 m.

Ha due settori: uno occidentale, con un cortile-giardino rettangolare, circondato da un portico di stile ionico, lungo cui si aprono le sale private della residenza. Qui troviamo alcuni degli ambienti più famosi: la Sala della volta delle civette, riprodotta nei disegni e nelle incisioni del Settecento; il Ninfeo di Ulisse e Polifemo, per il mosaico al centro della volta, riprodotto da altri ninfei di ville imperiali, a Baia, a Castel Gandolfo e a Tivoli.

(Importanti saggi realizzati dalla Soprintendenza di monumenti nella Domus Aurea (1956-65) hanno consentito di chiarire alcuni aspetti della sua planimetria: particolarmente interessante la scoperta di un grande ninfeo, che chiudeva il lato est del peristilio.

La volta conserva in parte la decorazione originale in pomici, con al centro un mosaico ottagonale, nel quale è rappresentata la scena di Ulisse che offre una coppa di vino a Polifemo).

Più articolato il settore orientale, centrato sulla sala a pianta ottagonale e sui due grandi cortili poligonali ai suoi lati. Alcuni l'hanno ritenuta la sala a pianta circolare che ruotava continuamente come la terra, ricordata da Svetonio, ma l'ultima scoperta ne dimostra l'inesattezza.


Vi si trovano la Sala della volta dorata, a stucchi policromi; la Sala di Achille a Sciro, per il dipinto sulla volta, dove Achille viene nascosto da Teti sull’isola di Sciro, tra le figlie del re Licomede, per sfuggire alla guerra di Troia; la Sala di Ettore e Andromaca, con l’addio di Ettore alla moglie e al figlio Astianatte.

La mancanza di porte, di latrine, di ambienti di servizio e dei sistemi di riscaldamento lo fanno supporre solo di svago per l’imperatore e i suoi ospiti.

Gli architetti Celere e Severo, con supervisione di Nerone, disegnarono due delle sale da pranzo principali prospicienti al cortile ottagonale, sormontato da una cupola in cementizio con un gigantesco abbaino centrale da cui filtrava abbondante la luce del giorno. La cupola, impostata su di un ottagono di base, è a spicchi ottagonali, assumendo poi una forma circolare. Era la sala del triclino romano.

Alla pianta ottagonale si riconducono pure degli spazi laterali che fungevano da passaggi e da contrafforti per la cupola; a questi spazi si accedeva tramite grandi portali aperti nel laterizio.

Le sale da pranzo avevano soffitti coperti da lastre di avorio mobili e forate in modo da permettere la caduta di fiori e di profumi.

 I bagni erano forniti di acqua marina e solforosa. racconta che gli architetti Celere e Severo avessero creato anche un ingegnoso meccanismo, mosso da schiavi, che faceva ruotare il soffitto della cupola come i cieli dell'astronomia antica, mentre veniva spruzzato profumo e petali di rosa cadevano sui partecipanti al banchetto, petali in tali quantità che procurarono un malore ad un ospite.

 Così la descrive Svetonio nella "Vita dei Cesari", ed è stata da sempre ritenuta una leggenda, ma non è più un racconto, è una realtà, e c'è una notizia freschissima:

LA SALA RUOTANTE

LA SALA RUOTANTE

(ANSA) - ROMA 29 settembre 2009 -
Domus Aurea: Una sala che ruotava, imitando il movimento della terra. E' l'ultima magia archeologica della Domus Aurea restituita dagli scavi sul Palatino. La sala potrebbe essere la 'coenatio rotunda' descritta da Svetonio nella 'Vita dei Cesari'.

La scoperta e' stata annunciata oggi dalla Soprintendenza speciale per i Beni archeologici di Roma. Finora, da molti studiosi quello stesso sito era stato identificato nella Sala Ottagonale, sul Colle Oppio. Ora sul Palatino e' emersa un'altra verita' archeologica.


La Repubblica di Roma (29 settembre 2009)
E con questa scoperta l'imperatore sembra aver tirato, a distanza di quasi duemila anni, la sua ultima beffa agli studiosi, i quali finora avevano identificato la sala da pranzo chiamata 'coenatio rotunda' nella sala ottagonale sul Colle Oppio e non sul Palatino, 'snobbando' erroneamente il racconto degli antichi.

A mettere in evidenza questa meraviglia del passato, senza eguali nell'architettura romana, è tutta la struttura rinvenuta: una sorta di torre eretta a picco sulla Valle del Colosseo, che all'epoca era occupata da un lago artificiale, consentendo una panoramica a 360 gradi dal Campidoglio all'Aventino, dal Celio al Colle della Velia. La struttura è databile dopo l'incendio del 64 d.c. e prima della damnatio memoriae di Nerone, cominciata con i Flavi, che spazzarono via tutto.


Della rotonda dell'intera struttura, che potrebbe estendersi su circa 60 metri di lunghezza, finora è visibile un tratto del muro perimetrale dello spessore di 2 m e 10, che disegna un cerchio di 16 m. Pilone e muri perimetrali dell'intera struttura sono collegati da due serie sovrapposte di archi a raggiera, che coprono rispettivamente il primo piano, ancora in corso di scavo, e un secondo livello.

Sono visibili attualmente sette archi: quattro del livello superiore, di cui uno solo integro, e tre di quello inferiore. Al piano superiore si aprono una porta e una finestra. La particolarità di questo livello è data dalla presenza di incassi circolari, riempiti di una sostanza scura non identificata che sarà analizzata.

E' questo il particolare che, insieme alla forma circolare del fabbricato e alla sorprendente potenza del pilone centrale, lascia ipotizzare la presenza dell'ennesima stravaganza dell'eccentrico imperatore romano: una stanza rotonda dal pavimento di legno appoggiata ad una ruota dal diametro di 12 metri e con un pilastro di quattro metri, che ruotava su sè stessa giorno e notte attraverso cuscinetti a sfera e con il pavimento poggiato sull'acqua.

Un congegno geniale al servizio della follia di un imperatore che, sentendosi un Dio al centro del pianeta, era convinto di poter ricreare 'il mondo in una stanza'.

LA SALA DELLA VOLTA DORATA - RICOSTRUZIONE A CURA DI www.katatexilux.com

LA DECORAZIONE

La fama degli stucchi e delle pitture della Domus Aurea resta legata al nome di Fabullo, l’artista ricordato da Plinio il Vecchio per il suo stile severo e la mania di dipingere in toga anche sulle impalcature di cantiere.

Sempre secondo Plinio che seguì i lavori della reggia, Fabullo si recava solo per poche ore al giorno alla Domus, per lavorare solo quando la luce era adatta. Faceva così anche Leonardo da Vinci, che però nella pittura era lentissimo.

Fabullo è l'unico pittore identificabile dell'antichità, per il tratto leggero, elegante e veloce, infatti la tecnica dell'affresco richiede un tocco veloce e sicuro, e, con i suoi collaboratori ricoprì di pitture un'area vastissima.

Anche a Pompei si trova un po' quello stile efficace e veloce, con pochi tratti che delineano una figura, caratteristica che rimarrà poi negli acquarelli napoletani.

Ciò che resta di decorazioni dipinte, stucchi e frammenti di mosaico, sono sufficienti a comprendere la bellezza e la ricchezza originarie della Domus.

Le pitture sono del quarto stile pompeiano, con decorazioni parietali a finte architetture, su vari piani, con cornici, volute, figure e animali fantastici su sfondi bianchi o monocolori.

L'effetto è così leggiadro e fantasioso che mentre i grandi artisti sttupirono e copiarono, alle menti più chiuse parve invace eccessivo, si che il termine grottesco passò poi a significare il ridicolo.

Gli affreschi ricoprono intere pareti di corridoi ed ambienti di passaggio, mentre le sale principali sono rivestite in pregiati marmi di importazione, soprattutto africani.

L'uso abbondante della foglia d’oro conferma lo sfarzo che le fonti riferiscono, anche su l’uso di gemme e pietre dure. I soggetti preferiti sono quelli omerici della saga troiana, forse per il gusto ellenico di Nerone.

Gli affreschi, che ricoprono intere pareti di corridoi, sale e ambienti di passaggio, nelle sale principali lasaciano il posto a pregiati rivestimenti in marmi di importazione, il tutto ascrivibile al quarto stile pompeiano, con esili e finte architetture, sovrapposte su più registri, popolate da figure e animali fantastici.

LA SALA DELLA VOLTA ROSSA - RICOSTRUZIONE A CURA DI www.katatexilux.com

IL RITROVAMENTO

Nel XV secolo un giovane romano cadde in una fessura sul versante del colle Oppio e si ritrovò in una strana grotta, piena di figure dipinte. Ben presto la notizia si diffuse e gli artisti dell'epoca si affrettarono a rimirare l'opera.

Tra questi Pinturicchio, Raffaello, Michelangelo s'infilarono sotto terra scendendo lungo palanche, e rimirarono stupiti la bellezza dell'antica Roma, si dice che Raffaello confessasse si aver capito solo allora cosa fosse l'arte romana, e deve essere vero, perchè la riprodusse largamente nei palazzi nobili e cardinalizi romani, nelle logge vaticane.

 Per merito loro e di altri artisti che, come Marco Palmezzano, lavoravano a Roma in quegli anni, si diffusero anche nel resto d'Italia le "grottesche", cisì chiamate per l'ambiente che richiamava le grotte.

Molti artisti dell'epoca e pure successivi firmarono quelle mura in segno di ammirazione, come Raffaello, Pinturicchio, Domenico Ghirlandaio, Giulio Romano, Giovanni da Udine, Martin van Heemskerck, Filippino Lippi, poi Giacomo Casanova e il Marchese de Sade.

Tale stile raffinato, di architetture prospettiche ed eleganti, di scene mitologiche ed animali fantastici, che svettano su triclini, volute e nastri in una dimensione da favola, ispirarono le decorazioni rinascimentali dei Palazzi Vaticani, di Castel Sant’Angelo, di Palazzo Madama.

A volte le decorazioni erano del tutto copiate, a volte elaborate, come in tutte le opere dei fratelli Zuccari, di Amico Aspertini, del Sodoma ecc.

Non tutti gli artisti le apprezzarono perchè troppo estrose e fantastiche, come il Vasari e Vitruvio, ma le grottesche si diffusero comunque e dovunque a grande richiesta di nobili principi e papi in tutta Italia.

Forse da lì, o almeno anche da lì, trasse ispirazione la cupola del Pantheon, per l'utilizzo del cementizio, elaborata dai romani fin dal II secolo a.c.. Un'altra innovazione fu che Nerone pose i mosaici, fino ad allora solo sui pavimenti, sui soffitti a volta. Questa tecnica fu largamente imitata, soprattutto nelle chiese cristiane a Roma, Ravenna, Costantinopoli e in Sicilia.

Quando furono scoperte le pitture erano ancora vive e brillanti, ma presto iniziarono i problemi della conservazione delle pitture e degli stucchi, che sbiadirono velocemente a causa dell’umidità e finirono per essere dimenticati. Solo dopo i ritrovamenti degli affreschi di Pompei gli studiosi si interessarono di nuovo alle grottesche e nel 1772 furono ripresi gli scavi nella Domus Aurea.

RICOSTRUZIONE

GLI SCAVI

XVI secolo: nel 1506, scavando una vigna del colle Oppio, si rinvenne il gruppo del Laocoonte, che era posta con le statue bronzee dei Galati vinti, più tardi trasferite nel Tempio della Pace di Vespasiano, ad ornamento della domus di Tito. Tali statue sono un saggio delle bellezze che Nerone pose nella Domus Aurea.

1550, 6 gennaio. R. IV. IN TELLVRE
Tommaso Cosciari loca a Lucrezio Corvini parte delle rovine della Domus aurea, nel sito dell'Orto delle Mendicanti.

XVIII secolo: Pietro Sante Bartoli liberò dalla terra alcune stanze della Domus e pubblicò una serie di disegni tratti dalle decorazioni pittoriche. Verso la metà del '700 papa Clemente XIII ordinò i primi scavi regolari nella Domus Aurea. Nel 1774 l’antiquario romano Mirri fece sgombrare dalla terra sedici stanze, pubblicando un album di sessanta incisioni sui disegni delle decorazioni.

XIX secolo: nela prima metà dell'800 vennero effettuati gli scavi dall’architetto Antonio De Romanis, che liberò dalla terra una cinquantina di stanze, pubblicando una planimetria e una relazione.

XX secolo: Antonio Munoz, direttore della Regia Soprintendenza ai Monumenti del Lazio e Abruzzi fa realizzare negli anni 30 il Parco del Colle Oppio, in cui i ruderi delle Terme di Traiano vengono ambientati nei giardini, trascurando completamente le strutture sottostanti.

Gli scavi nella Domus Aurea ripresero nel 1939, sotto la direzione della Soprintendenza ai Monumenti del Lazio, e successivamente negli anni 1954-1957. Nel 1969 la Soprintendenza Archeologica di Roma esplorò il piano superiore e impermeabilizzò le volte.


Agli inizi degli anni Ottanta, la Domus Aurea venne chiusa al pubblico per la sicurezza delle strutture murarie, il degrado delle pitture e degli stucchi, e i pericoli delle acque piovane. Il grandioso complesso viene riaperto completamente al pubblico, ma nel 2001 crolla una parte del soffitto a causa delle forti piogge.

La riapertura di una parte del complesso, chiuso subito dopo il crollo, era prevista per il gennaio 2007, ma il monumento restava a rischio, per il traffico, le radici degli alberi del giardino sovrastante e un campo di calcio che impedisce lo scavo. Oggi la Domus Aurea è di nuovo visitabile.

Le tre ultime immagini rappresentano alcune ricostruzioni in computer grafica della Domus Aurea che bene possono rendere l'idea di come doveva essere questa magnifica costruzione.

Da connettere forse con la Domus Aurea è un edificio di età neroniana, costituito da un portico con grande fontana e da alcuni ampi ambienti, scoperto nel corso di lavori di restauro sotto la chiesa di S. Pietro in Vincoli, sul Fagutal (1956-58). Al di sotto sono apparsi resti di case repubblicane del IV - III sec. a.c., ricostruite nel II sec.. A questa seconda fase appartengono alcuni notevoli pavimenti in mosaico policromo.


RODOLFO LANCIANI

COMMISSARIATO DI RAFFAELE. 1515, 27 agosto.

Raffaello di Urbino è nominato commissario delle antichità con breve apostolico, per impedire soprattutto la distruzione dei marmi epigrafici. L'opera del divino artista fu bensì efficace dal punto di vista teorico: nell'atto pratico riuscì a poco o nulla. 

Le devastazioni continuarono sotto il commissariato di Raffaello, a dispetto del breve di nomina e delle buone intenzioni del commissario. Raffaello e Giovanni da Udine hanno certamente visitato e studiato le grottesche della Casa Aurea e delle cripte sepolcrali, essi hanno tolto schizzi e profili dei marmi di scavo, quando se ne presentava loro spontanea l'occasione: ma soltanto perchè nei marmi architettonici trovavano modelli per gli scorniciamenti delle loro fabbriche, nei marmi figurati il motivo di composizioni pittoriche, e nelle grottesche un nuovo tipo di elegante decorazione.
 
(Rodolfo Lanciani)

LA CENATIO DI NERONE


ANDREA CARANDINI

SALONI DA PRANZO DELLA DOMUS AUREA  


Quando si tratta della domus Aurea, si pensa generalmente, per inerzia più che per forza di studi, a una unica dimora: quella ben conservata sull’Oppius perché finita seppellita sotto le terme di Traiano, le cui “grottesche” hanno fatto sognare generazioni di artisti: una Pompei prima della sua scoperta proprio nel centro del potere, straordinariamente ben conservata e quindi evidente. Eppure la verità non ha rapporto con gli stati della con­­­­­servazione.

Infatti la domus Octaviani sul Cermalus è stata scambiata per la domus Augusti, dimenticando che la casa di Augusto è quella edificata al di sopra della casa di Ottaviano, quest’ultima ben conservata per essere stata seppellita, mentre quella di Augusto, esposta a intemperie e spogli per oltre 1600 anni, è stata gravemente danneggiata, per cui non appare evidente. È grave quando gli archeologi si inchinano soltanto davanti a ciò che più appare, perché dovrebbero essere invece i chiarificatori di ciò che meno appare, più oscuro per l’ingiuria del tempo.

Si dimentica poi che, come la domus Augusti si articolava in due case poste ai fianchi dell’aedes Apollinis una privata e l’altra pubblica, e come la domus Augustiana era composta di due case affiancate, una privata e l’altra pubblica, così anche la domus Aurea poteva articolarsi in due residenze, all’interno di un unico grande parco: una a carattere pubblico sulla Velia, in grande parte distrutta, ma con fondazioni sotto l’Amphitheatrum, e una a carattere privato sull’Oppius, che invece spicca.

Ancora più difficile è ragionare sulla sala più famosa della intera domus Aurea, la Cenatio Praecipua Rotunda di Svetonio (Vita di Nerone, 31) e ciò a causa della mancanza di una sufficiente scrupolosità nell’interpretare Svetonio, la fonte principale. A quale delle due residenze attribuire proprio quella cenatio? Essa viene generalmente identificata o con la sala principale della residenza dell’Oppio, che però è ottagonale e non tonda, o con la turris recentemente scoperta sul Palatino, che è rotonda, ma poteva sostenere un padiglione alquanto piccolo, per non dire ch’essa non rientra nell’ambito della domus Aurea.

Sappiamo che lo spazio occupato da questo complesso era ritenuto “transitorio”, perché era quello che avrebbe consentito di congiungere due parti della proprietà imperiale separate: ­­­­­le domus sul Palatium e gli horti Maecenatis sulle Esquiliae. Quindi, se doveva trovarsi nel parco transitorio, la sala non poteva stare sul Palatium, dove di fatto si trova la turris. L’unico resto clamoroso sopravvissuto della residenza sulla Velia della domus Aurea è il basamento del suo vestibulum, nel quale Vespasiano ha poi eretto il colossus di Sol e sul quale poi Adriano, spostato il colossus con elefanti, ha edificato i templi congiunti di Roma e di Venere.

Ma il vestibulum di questa residenza sulla Velia, appena ammesso, è stato poi subito negato, almeno in quanto ingresso a una domus che si apriva su di una strada, questo infatti era un vestibulum, dal momento ch’esso portava a un nulla che si interponeva tra il vestibulum e lo stagnum, invece che una domus lunga e stretta, analoga a quella sull’Oppio. È come se una cosa non visibile, perché distrutta da Vespasiano, fosse inesistente e come se una unica domus non potesse contenere due residenze, come negli esempi sopra citati.

Gli archeologi hanno spesso paura di immaginare quanto dovrebbero essere più allenati a ricostruire, e cioè ciò che oggi non è dato più vedere, ma di cui restano indizi monumentali e letterari. Infatti Svetonio tratta non della residenza secondaria e privata dell’Oppio, ma di quella principale e pubblica della Velia, a cui pertanto doveva appartenere la sala da pranzo principale e rotonda, unica nell’intero complesso, in quanto dimora di Sol/Nero edificata sulla domus avita dei Domitii Ahenobarbi.

Per Marziale (Gli spettacoli, 2) “dove il raggiante colosso (del Sole) vede le costellazioni da vicino..., splendevano gli atri odiosi di un re crudele (Nerone)”. Ma questi invidiosa atria svaniscono se la domus proprio qui viene negata! Svetonio (Vita di Nerone, 31) descrive uno spatium diviso in partes e lo fa in due momenti. In un primo momento descrive il contesto generale: il vestibulum destinato al colossus, la porticus triplex lunga complessivamente un miglio, lo stagnum circondato da aedificia in forma di città e campi, vigneti e pascoli, selve e animali domestici: il parco.

Solo in un secondo momento egli si focalizza sul fulcro del sistema, cioè sugli atria (di Marziale), descrivendo così finalmente cosa vi era “nelle parti restanti” di questo complesso residenziale, poste tra vestibulum e stagnum ed evidentemente le più importanti, se erano rivestite d’oro, gemme e madreperla. Altro che nulla! Qui erano infatti le cenationes o sale da banchetto dai soffitti eburnei e mobili per riversare fiori e profumi sugli invitati, la cenatio praecipua rotunda fatta ruotare perpetuamente come l’universo – perfetta dimora per Sol – e infine il balneum dotato di acqua normale e solfurea.

Così finalmente riappaiono, dopo che li avevamo quasi perduti, le “parti restanti”, gli invidiosa atria di Marziale. Così il vestibulum riacquista la sua funzione inevitabile di accesso da una strada che immette in una casa e perde quell’imbarazzante portare ad un nulla, da tutti previsto salvo che da noi. Il fronte della residenza della Velia si affacciava sul lato occidentale dello stagnum. Doveva apparire come una scenografica villa affacciata sul mare nel quale si rispecchiava.

E, come nelle villae si entrava tramite un peristylium (Varrone, Lingua Latina, 6.7: “in città gli atri sono vicini alle porte di ingresso mentre in campagna si trovano subito i peristili”), così sulla Velia un vestibulum in forma di gigantesco peristylium introduceva a una villa marittima scenografica sul genere di quelle di Baia, ma tutto ciò nel bel mezzo dell’Urbs.

Cenationes varie e cenatio praecipua rotunda probabilmente protrudevano dalla facciata della residenza lunga e stretta, movimentandola, come ben si osserva nelle ville marittime raffigurate negli affreschi dell’epoca.

(Andrea Carandini)


LA SALA OTTAGONALE - RICOSTRUZIONE A CURA DI www.katatexilux.com

LA CENATIO ROTUNDA

Nell'angolo sinistro di Vigna Barberini c'è un cantiere di scavo, ma che fa parte del percorso di visita e che potrebbe essere una delle realizzazioni più affascinanti del mondo romano: la "sala da pranzo" girevole, la "paecipua coenatio rotunda", la "peculiare" sala di cui parla Svetonio, che girava notte e giorno ad imitazione del movimento della Terra, e che Nerone aveva fatto costruire per sbalordire gli ospiti di questa parte della Domus Aurea sulle pendici del Palatino.

RICOSTRUZIONE
"In una struttura complessa di cui si ignorano le dimensioni, a pianta centrale, gli archeologi hanno svelato un ambiente di forma circolare con muri perimetrali (spessi m 2,10) e del diametro di 16 m. 

Al centro di questo spazio è un impressionante, "possente", pilone circolare, del diametro di 4 m, e si presume di oltre 10 m di altezza, formato da mattoni sagomati. 

Dal pilone dipartono, come le braccia di un gigante che devono sostenere un peso immane, e si collegano ai muri perimetrali, "due serie sovrapposte di archi a raggiera" che coprono un primo piano ed un secondo livello. 

Sono attualmente visibili 7 archi: 4 del livello superiore, di cui uno solo integro, e 3 di quello inferiore. La mancanza di decorazione, di materiali di pregio, fa pensare che questi siano ambienti di servizio.

Sul piano degli archi, che sono a 1,5 - 2 m dalla superficie, sono state trovate finora tre cavità semicircolari, "scodelle" di poco più di 20 cm di diametro. 


L'ipotesi è che siano alloggiamenti di meccanismi che facevano scorrere un pavimento di legno, quello della "sala da pranzo" girevole. In quelle cavità è stato trovato anche materiale di "strana consistenza" che ora è in esame, di origine minerale, ma non solo (grassi, pece?) che poteva servire a lubrificare quei meccanismi e facilitare lo scivolamento.

Un altro aspetto rafforza l'ipotesi della "sala da pranzo" neroniana. Da qui si godeva un panorama incredibile che non era il Colosseo (costruito dopo dai Flavi), ma il laghetto che occupava il fondo della valle e che faceva parte della "Domus Aurea", e le pendici sovrastanti del colle Oppio sulle quali era l'altro nucleo della "Domus" (la quale "occupava" il centro di Roma e nuove zone per oltre 100 ettari).

Gli archeologi sono arrivati a questa eccezionale scoperta per caso, cioè per mettere in sicurezza quella parte della terrazza "in pericolo a causa del dissesto idrogeologico" che coinvolge le potenti sostruzioni in laterizio realizzate per ottenere la grandiosa spianata.

C'era anche una parte manuale nel movimento della "sala da pranzo"? Nulla può essere azzardato a questo punto dei ritrovamenti, premette Françoise Villedieu del Cnrs (il Consiglio nazionale delle ricerche francese), coordinatrice dell'équipe che conduce lo scavo. Certamente si tratta di una struttura unica nell'architettura antica, romana o greca. "Super unica" rincara il professor Fausto Zevi.

L'epoca della struttura è certamente neroniana, dopo l'incendio del luglio 64, perché non sono state trovate tracce di questo disastro. Ebbe una vita, una frequentazione, brevissima, dal 65 al giugno del 68, l'anno del suicidio dell'imperatore aiutato da un servo.

Quali sono state le reazioni degli altri archeologi? "Come al solito - osserva Françoise Villedieu - si sono divisi fra favorevoli al ritrovamento e contrari. Ma i contrari non ci aiutano con qualche alternativa". Vale la pena ricordare che finora molti (tutti?) gli archeologi ricercavano la "sala da pranzo" girevole sul colle Oppio, nell'altra porzione della "Domus Aurea", nella sala ottagonale.

Per saperne di più bisogna allargare lo scavo e di fronte all'eccezionalità degli "indizi" Roberto Cecchi, commissario delegato per gli interventi urgenti nelle aree archeologiche di Roma e Ostia Antica, ha stanziato altri fondi. 


Si vuole rimettere in luce l'intera architettura per verificare se si tratti veramente della "sala" girevole. Come "effetto collaterale" ci sarà l'alleggerimento della spinta della terra in quell'angolo della terrazza della "Vigna".

Lo scavo è stato già esteso di 9 m verso la valle del Foro. Dice Françoise Villedieu: finora è stata messa alla luce la struttura del giardino severiano sconvolto in epoca rinascimentale per la ricerca dei materiali. 

Al centro della piccola area è un blocco irregolare di marmo, superstite del complesso monumentale severiano, quello che rimane del lavoro di marmorari e scalpellini che dovevano completare i palazzi delle grandi famiglie romane e preparare il materiale per le famigerate "caldare" usate per sciogliere i marmi di Roma antica e farne calce".

Approfondimento: Coenatio di Nerone



BIBLIO

- Elisabetta Segala & Ida Sciortino - Domus Aurea - Milano - Electa Mondadori - 2005 -
- Larry F. Ball - The Domus Aurea and the Roman architectural revolution - Cambridge - Cambridge University Press - 2003 -
- Valentina Costa - La Domus Aurea di Nerone "una casa risplendente dell'oro" - Genova - Brigati - 2005 -
- Svetonio - Vite dei dodici Cesari - "Nerone" - 31 -- Philipp Vandenberg - Nerone - Milano - Rusconi - 1984 -
- Eugen Cizek - La Roma di Nerone - Milano - Ed.Garzanti - 1986 -






2 comment:

Unknown on 26 febbraio 2019 alle ore 19:20 ha detto...

Semplicemente straordinario

Anonimo ha detto...

Sto usando questo per una ricerca di storia dell'arte e posso dire e stata veramente utile

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