BATTAGLIA DEL GIANICOLO (476 a.c.)



SCONTRI TRA ROMANI E VEIENTI

Gli Etruschi, dopo aver sterminato i Fabii edificarono un fortilizio subito fuori le mura di Roma. I due consoli in carica, Aulo Verginio e Spurio Servilio, decisero allora di attaccare il forte sito sul Gianicolo, visto che nessuno poteva entrare o uscire dalla città che rischiava di morire di fame. 


GLI ETRUSCHI

Gli Etruschi dopo aver sterminato i Fabi con un'imboscata nella battaglia del Cremera, marciarono contro le altre forze Romane e stabilirono un fortilizio sul Gianicolo, appena fuori dalle mura cittadine, da dove partivano per razziare la campagna romana seminando morte e terrore sia lì che in città. 

Al momento del disastro dei Fabii, Gaio Orazio e Tito Menenio erano già consoli, e proprio Menenio fu subito inviato a fronteggiare gli Etruschi, molto esaltati dalla vittoria conseguita a Cremera. Ma la spedizione romana fu di nuovo una sconfitta si che i Tirreni riuscirono a occupare il Gianicolo. 

I Veienti avevano così la possibilità di assediare Roma, messa alle strette non solo dalla guerra ma dalla carestia, visto che il territorio intorno all'Urbe era pattugliato dai Veienti, così il console Gaio Orazio venne richiamato dalle terre dei Volsci. 

Presso le mura si era già svolta una prima battaglia presso il tempio della Dea Spes con scarsi risultati e una seconda davanti alla porta Collina dove però i Romani prevalsero anche se di poco. 



AULO VIRGINIO 

Nel 476 a.c.  Tricosto Rutilo Aulo Verginio, della gens Verginia, venne eletto console insieme con Spurio Servilio Prisco. Su Roma incombeva la minaccia degli Etruschi di Veio, che dopo aver sconfitto i Fabi al Cremera, si erano accampati sul Gianicolo, appena fuori dalle mura, razziando i campi e i pascoli dei romani. 

A causa della presenza di Veienti sotto le mura di Roma, in città c'era la carestia, perché non si era potuto coltivare a grano, con le terre continuamente minacciate dal nemico. Da una delle frequenti scaramucce, ne nacque una feroce battaglia, combattuta durante più giorni nella zona compresa tra le mura romane e le pendici del Gianicolo, con alterne vicende, dove lo stesso console Spurio Servilio rischiò di perire, ma alla fine i romani riuscirono a riconquistare il colle e a mettere in rotta i Veienti. 

L'anno successivo, nel 475 a.c., Aulo verginio testimoniò a favore del collega console Spurio Servilio Prisco, accusato dai tribuni della plebe Lucio Cedico e Tito Stazio, di aver mal condotto l'esercito romano nella battaglia del Gianicolo dell'anno prima.



SPURIO SERVILIO 

Spurio Servilio, della gens Servilia, venne eletto console nel 476 a.c. insieme con Aulo Verginio Tricosto Rutilo. Egli combattè a fianco del collega sul Gianicolo contro gli stessi etruschi di Veio, rischiando più volte di morire in battaglia. L'anno successivo, nel 475 a.c., fu accusato dai tribuni della plebe Lucio Cedico e Tito Stazio, di aver mal condotto l'esercito romano nella battaglia dell'anno prima. 

Ma Servilio riuscì a confutare l'accusa dei tribuni, anche grazie alla testimonianza favorevole del collega console Aulo Verginio Tricosto Rutilo. Spurio Servilio partecipò quindi alla vittoriosa battaglia, contro Veienti e Sabini, come legatus del console Publio Valerio Publicola (console 475 a.c.), distinguendosi per il valore in battaglia. 



LA TRAPPOLA PER GLI ETRUSCHI

Poi Aulo Verginio e Spurio Servilio vennero nominati consoli e vollero attaccare i Veienti che però ora evitavano il confronto in campo aperto limitandosi alle scorrerie per rifugiarsi poi sul Gianicolo come campo base. 

Ma i romani gli organizzarono una trappola simile a quella dove erano caduti i Fabi: mentre inseguivano i capi di bestiame utilizzati come esca, caddero in un'imboscata; e siccome erano più numerosi dei Fabi sul Cremera, il loro massacro fu di molto superiore. 

Gli etruschi inferociti traversarono il Tevere in piena notte per assalire il campo del console Servilio ma vennero respinti con ulteriore massacro, riuscendo a mala pena a riparare sul Gianicolo. 
Virginio comandava l'ala destra romana e Servilio la sinistra. I Veienti accettarono subito lo scontro, e si combatté a lungo, finché gli Etruschi non iniziarono a ritirarsi verso le proprie trincee, in alto sul Gianicolo.

Ora, mentre Virginio diede l'ordine ai propri soldati di non incalzare i nemici, quelli dell'ala sinistra iniziarono a inseguire il nemico, sulle pendici del Gianicolo. Ma arrivati in prossimità della cima, i Veienti in ritirata, si voltarono, ed aiutati da quanti erano rimasti nel fortilizio, iniziarono ad incalzare i romani, che quasi subito furono costretti ad abbandonare lo scontro per cercare scampo più in basso.

A quel punto Virginio, inteso quanto stava accadendo, lasciò parte delle proprie forze ad aiutare i fuggitivi romani, e portò l'altra parte alle spalle degli attaccanti Veienti, che così si trovarono impossibilitati a fuggire, quando furono attaccati contemporaneamente dai due schieramenti romani. Alla fine sul campo di battaglia rimasero solo i romani.

«E certo tardando a giugnere le vettovaglie di fuori, e finite in breve le interne, non aveaci altro scampo: ma doveasi necessariamente o rischiare tutte le forze e snidare i nemici dal territorio, o morire tra le mura per le discordie e la fame. Adunque elessero farsi incontro ai nemici, come al meno dei mali. E levatisi di città coll'esercito valicarono circa la mezza notte su picciole barche il fiume, e prima che il giorno fosse luminoso, già teneano il campo presso a nemici. 

Donde cavato nel giorno appresso l'esercito, l'ordinanono per la battaglia. Reggea Verginio l'ala destra, e Servilio la sinistra. I Tirreni vedendoli apparecchiati per combattere, ne esultarono; quasi avessero, se riusciva lor bene quel solo cimento, a sterminare il principato di Roma imperocchè miravano avventurarvisi tutto il fior de' Romani, e speravano con molta vanità, di vincerli facilmente perché aveano vinto Menenio che pugnò contra loro in sito men buono. Data una viva battaglia, uccisero molti Romani; ma perdutisi più ancora dei loro, si ritirarono a poco a poco fra le trincee. 

Verginio che avea l'ala destra non consentì che i Romani gl'incalzassero, ma volle che si contentassero di quanto erasi fin allora ottenuto. Per l'opposto Servilio, comandante dell'altra ala, inseguì ancora per lungo tempo quelli che erano a lui contrapposti. Ma giunto alle falde del Gianicolo, i Tirreni voltarono fronte, e soccorsi da quelli degli alloggiamenti si avventarono contro i capitolini. I Romani sostennero l'urto per breve tempo; poi si ripiegarono, e perseguitati giù dal colle soccombevano sparsi qua è là; quando Verginio vedendo in qual pericolo fosse la milizia del corpo sinistro guidò la sua, tutta ordinata com'era, per la strada obliqua del monte. 

E fattosi alle spalle di quelli che incalzavano i suoi, lasciò parte dell'esercito per traversare i soccorsi che venivano dagli alloggiamenti, e coll'altra marciò sul nemico. Rianimati quelli di Servilio dalla presenza dei compagni, si voltano, fermansi e combattono. Rinchiusi i Tirreni d'ogni intorno, non potendo essi procedere più innanzi per la battaglia di fronte, né fuggire indietro agli alloggiamenti per l'assalto da tergo, vennero così in gran parte uccisi miseramente. Acquistata una vittoria luttuosa, non essendo l'esito della battaglia per ogni parte propizio, i consoli accamparonsi, e rimasero la notte seguente innanzi de' cadaveri». 

(Antichità Romane di Dionigi d'Alicarnasso)

GUERRIERI ETRUSCHI


IL SEGUITO

«I Tirreni che teneano il Gianicolo, non giungendo nessun rinforzo dei loro, deliberarono di abbandonarlo: e, presa di notte la marcia, se ne andarono a Veio, città vicinissima a quelle de' Tirreni. Impadronitisi i Romani del campo, vi depredarono quanto eravi derelitto per non potersi trasportar nella fuga; e prendono molti feriti, abbandonati negli alloggiamenti. 

Alfine non apparendo più nemici ripresero il forte; e rientrarono colle spoglie loro in Roma: ma perciocché riportavano anche i cadaveri dei propri estinti in battaglia, mestissimo ne riuscì lo spettacolo, sia per la moltitudine, che per la virtù perduta di questi. Così tanto, che il popolo non volle né menar festa come per conflitto di esito buono, né per i lutti, com'è per calamità così grandi».

Così terminò la Battaglia del Gianicolo che vide i romani vincitori, ma pure provati dai lutti occorsi per i vari assalti e le varie scaramucce, per cui il popolo romano, seppur sollevato non esultò e non acclamò i vincitori.


BIBLIO

- Dionigi - Antichità romane - Libro IX -
- Tito Livio - Ab Urbe Condita Libri - Libro II -
- Andrea Carandini - Roma il primo giorno - Roma-Bari - Laterza - 2007 -
- Massimo Pallottino - Origini e storia primitiva di Roma - Milano - Bompiani - 2000 -
- Mommsen T. - Storia di Roma antica - Milano - Sansoni - 2001 -
- A. M. Liberati, F. Bourbon - Roma antica: storia di una civiltà che conquistò il mondo - Vercelli - White star - 1996 -


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