CALZATURE ROMANE






LE CALZATURE GRECHE

Furono le antesignane di quelle romane. Le calzature principali furono i "pedῖlon", una primitiva forma di sandali, con un plantare di cuoio, ritagliato sulla forma del piede, con una serie di fasce che arrivavano sino al collo del piede. Tale calzatura si evolse nei "sandάlia", più resistenti, e colorati per le donne. Seguirono le "krhpίς", scarpe aperte maschili, da cui derivarono gli "ἐndromίς", la cui allacciatura giungeva sino al ginocchio, tipiche della tenuta militare.

Le "ἐmbάdeς", probabilmente di provenienza babilonese o tracia, furono fra i primi modelli di scarpe chiuse, sia maschili che femminili, prodotte in numerose varianti, basse o alte e in vari colori. La scarpa femminile da cerimonia era il "diάbaqron", con applicazioni in metalli preziosi e non. Le costosissime "baucides" erano invece le calzature delle etere, molto rialzate per cui aumentavano l'altezza. C'erano poi i "coturni", gli altissimi stivaletti indossati dagli attori  tragici.

I principali centri di produzione di calzature si trovavano in Sicilia, nel Mar Nero, la Cirenaica e l'Asia minore, in cui i calzolai si occupavano tanto della conciatura delle pelli quanto della fabbricazione delle scarpe. La colorazione, avveniva con le stesse tecniche utilizzate per i tessuti, attraverso l'applicazione di cortecce vegetali, pigmenti di origini minerale o metallica e terra rossa.


CALZATURE ROMANE

LE CALZATURE ETRUSCHE

Ma i romani copiarono molto l'eleganza dei raffinati etruschi. Un modello di calzature tratto da un cippo proveniente da Chiusi e conservato al British Museum di Londra (490 - 470 a.c.) richiama molto le "Perones" romane anche se quelle avevano sul dorso del piede un'apertura allacciabile con stringhe di cuoio.

Un paio di sandali facenti parte di una statua rinvenuta nella tomba di Iside a Vulci (ca 570 -560 a.c.) portano ancora traccia dei pigmenti rossi con i quali erano colorati.

Venivano usati anche sandali come quelli indossati dai danzatori della tomba del triclinio o a quelli portati dal suonatore di flauto della tomba dei leopardi entrambe a Tarquinia.

Le tombe arcaiche di Bisenzio hanno restituito sandali in forma di zoccolo ligneo snodato con rinforzi di bronzo. I calzari potevano essere di cuoio e di stoffa ricamata.

La forma tipica in uso nel VI secolo è quella allungata in alto dietro il polpaccio e con punta rialzata davanti,  simili a quelle ittite, cioè i così detti "calcei repandi" di origine greco-orientale, dei quali alcune caratteristiche sopravvivono ancora nelle "ciocie" dei montanari dell'Italia centrale. 
Anche più tardi, accanto ai sandali bassi, sono in uso gli alti stivaletti: queste diverse fogge passano, quasi senza mutamenti, al costume romano.

CALZATURE ROMANE



LE CALZATURE ROMANE



LA CONCIA DEL CUOIO

I romani estraevano l'alunite a Tolfa e Allumiere, nel Lazio, producendolo con essa l'allume, un solfato d'alluminio che si trova in natura. L'allume era fondamentale nell'industria tessile come fissatore per colori, per le stampe su pergamena, per la concia delle pelli, la produzione del vetro e, come emostatico, per curare le ferite. Con l'allume insomma fecero di tutto tranne l'alluminio.

I romani conciavano le pelli  esponendole al fumo dei fuochi, specialmente di quelli alimentati con foglie o legno fresco, era la "concia alle aldeidi", una classe di composti chimici di cui il fumo è ricco e alcuni dei quali ancora oggi vengono utilizzati.

C'era poi la "concia al vegetale" con tannini in quanto a contatto con acqua e con rami o foglie, la pelle si colorava di marrone e durava molto di più. Le foglie ed il legno, infatti, contengono tannini vegetali che venivano estratti dai vegetali ed assorbiti dalla pelle producendo la concia. Ancora oggi i tannini vegetali, sotto forma di estratti, vengono normalmente utilizzati per produrre alcuni tipi di cuoio, in particolare il cuoio da suola.

Infine conciavano con l'allume, con materie grasse e con prodotti vegetali contenenti tannino, dapprima con l'orina, poi con il sommacco (Rhus coriaria), le noci di galla, la corteccia di quercia, quella di pino e le scorze di melograno importate dall'Africa. Le pelli potevano anche essere conservate per lunghi periodi con il metodo della salatura appreso dai Galli e dai Germani. C'era poi l'uso della calce per ottenerne la depilazione.

I Romani non indossavano indumenti ai piedi, tranne che al nord dove faceva più freddo, ma non erano veri calzini bensì fasce di lana, nell'Urbe invece si girava a piedi nudi dentro le calzature, anche in inverno. Quest'ultime erano chiuse come stivaletti o aperte come sandali, fatte con tante strisce di cuoio e talvolta chiodate come si usava un tempo per i soldati o i contadini europei, per non consumare la suola.



LE CORPORAZIONI

CALZATURE ORIGINALI ROMANE
Plutarco narra che già nel periodo regio gli addetti alle lavorazioni di cuoio e pelli erano organizzati in una corporazione che, come altre, fu regolamentata dai re Numa Pompilio e Servio Tullio.

Queste corporazioni, precorritrici delle "arti" medioevali, agirono durante tutto il periodo repubblicano e ricevettero nuove regole da Giulio Cesare (100 - 44 a.c.) che si occupava assolutamente di tutto, tanto che, nel foro di Ostia c'è un mosaico che illustra le attività dei "Coriarii" ossia degli artigiani che si occupavano dell'artigianato di cuoio e pelli.

La pelle aveva già nel periodo regio una fiorente lavorazione tanto da formare una corporazione, quella dei Coriarii, specializzati nella concia delle pelli con varie sostanze, come l’allume, l'orina, varie materie grasse e sostanze vegetali. I romani facevano ricorso al calzolaio civile (Sutor), a quello militare (Caligarius) o al fabbricante di sandali (Solearius o Baxearius), artigiani specializzati e mercanti sempre presenti nel Foro. I loro laboratori sono istallati in un quartiere il cui ingresso è vegliato da una statua di Apollo, calzato di sandali, da cui il nome del famoso Apollo Sandalarius.



LA LAVORAZIONE

Le scarpe romane potevano essere lucidate con cera d’api e colorate con zafferano per il giallo, sali ferrosi o tannini per il nero, guado per l’azzurro e porpora o oricello per il rosso (tipico delle calzature più lussuose).

Le tomaie erano cucite con lino e unite alle suole con strisce di cuoio, tendini o budello ritorto.
La suola era oggetto di una attenzione e un lavoro particolare. I chiodi venivano disposti in modo che potessero lasciare impronte perfettamente leggibili e riconoscibili. Ogni reggimento possedeva pertanto una sua particolare disposizione di chiodi. Di certo un disertore aveva poco scampo, ma un commilitone amico non era difficile da ritrovare.

Ma pure le cortigiane romane lasciavano impronte particolari che indicavano chiaramente: “Seguimi!”  Inoltre delle spesse suole di sughero permettevano a queste signore ed anche alle altre di apparire più alte.



LA MODA

I sandali in epoca imperiale divennero raffinati e sfarzosi, ornandosi di fili e fibbie di bronzo, di rame, d'oro e d'argento, di piume colorate, di ciondoli, di catenine, di conchiglie e madreperle, di incrostazioni di pietre fini o semi preziose. Giulio Cesare portava in pubblico dei sandali con la tomaia in oro, si pensa guarnita o rivestita, altrimenti sarebbe stata piuttosto scomoda. Ma pure la suola poteva rivestirsi in oro, fu con i sandali con la suola d’oro, secondo la moda imperiale, che Nerone colpì, si dice, il ventre di Poppea incinta, uccidendola.

CALZATURE ORIGINALI ROMANE
Già nel 215 a.c. la Lex Oppia cercava di limitare la ricchezza degli abiti femminili. In seguito lo stesso Giulio Cesare e poi altri imperatori, intervennero contro l'eccessivo sfarzo delle vesti di uomini e donne stabilendone anche il prezzo massimo consentito, ma non ottennero granchè.

Il grande Orazio ridicolizzò gli uomini che si facevano il bordo d'oro alla veste, ma tutto inutile: la moda piaceva ed era un grande business.

Di Eliogabalo si narra che non portasse per due volte di seguito lo stesso paio di scarpe, ma proibì alle matrone di portare sandali ornati di ricami o di pietre preziose, forse perchè voleva indossarle solo lui, visto che vestiva in modo stravagante, mentre Gaio Cesare, che portava solitamente le “Caligulae”, viene soprannominato dai suoi soldati “Caligola”.

Solo gli uomini potevano usare il colore rosso per le calzature, ma Marco Aurelio, l’imperatore saggio,  nelle leggi suntuarie vietò agli uomini l’uso di scarpe colorate come uso poco virile.  La concia delle pelli si realizzava grazie all’utilizzazione dell’allume, una tecnica difficile e quindi costosa per ottenere del cuoio chiaro, di fatto le scarpe bianche erano riservate all’imperatore.



LE CALZATURE
  • Le prime calzature dei romani furono le Solae, usate da uomini e donne, da "solea", sorta di scarpa aperta, o sandalo, da cui l’italiano Suola, sandali fissati al collo del piede con una cinghia, primitivi calzari costituiti da suole di cuoio allacciate alla gamba da corregge e che in seguito divennero calzature da casa come i socci, delle pedule di feltro. Le soleae, o sandalia, si usavano solo dentro le case, sarebbe stato sconveniente uscirci.                                                    Ma era anche sconveniente andare in visita o nei banchetti con le scarpe con cui si era usciti, per cui gli schiavi portavano appresso per i padroni i sandali di scorta. I romani, come i giapponesi, appena entrati in casa si toglievano le scarpe e indossavano una sorta di pantofole, perchè era considerato poco igienico portare in casa ciò che era stato calpestato in strada.
  • All’interno delle case uomini e donne portano normalmente il Soccuscalzatura leggera e bassa simile alla pantofola di origine greca, che veniva indossata appena entrati in casa, cioè nell'atrio. I socci erano le calzature da casa senza lacci, come pantofole, con suola di cuoio o di sughero. Naturalmente gli ospiti se li portavano da casa loro. Il soccus è la calzatura usata anche dagli attori comici. 
  • Il Coturno invece era usato normalmente dagli attori tragici: calzatura con allacciatura alla caviglia o al polpaccio e suola molto spessa così da rendere più elevata la statura e più imponente la persona.
  • Successivamente i romani indossarono le “Calcidae”, o Calcei, usati da uomini e donne, con suole senza tacco di uno spessore di circa 5 mm, con tomaie in pelle morbida che ricoprivano tutto il piede. Dai lati di ogni suola partivano due larghe strisce che si incrociavano e venivano annodate sul dorso del piede mentre altre strisce più sottili potevano partire dal tallone, si avvolgevano sulla caviglia per circa 15 cm. e vi venivano annodate lasciandone pendere le estremità a volte decorate da fibbie d'avorio a mezzaluna.                                                           I Calcei portati dai senatori (Calcei senatorii) erano di colore nero, quelli delle più alte cariche civili erano rossi ed esistevano anche i Calcei ripandi (o Calcei uncinati) dalla punta rialzata probabilmente di derivazione etrusca. Nella stele funeraria del calzolaio Caio Giulio Elio risalente al I secolo a.c., esposta a Roma nel museo Montemartini, sono scolpiti un esemplare di calceo ed uno di caliga.
    In pratica i Calcei erano morbidi mocassini, anche a stivaletto, alto fino a mezza gamba e stretto con dei lacci. I calcei erano molto amati dai ricchi romani, sicuramente le calzature più care e confortevoli, ma dentro casa ogni calzatura usata all'esterno veniva tolta, si tratti di padroni o di ospiti, per una questione di igiene. In questo erano più scrupolosi di noi, che consentiamo agli amici di portare dall'esterno all'interno ciò che le suole hanno raccolto.
  • Oppure i romani maschi, specie i militari, indossarono le “Caligae o “Caligulae”, calzatura militare con suola ferrata, che dette poi il soprannome all’Imperatore Caligola ed erano le scarpe completamente chiuse. I militari, fino al grado di centurione, i contadini e chiunque dovesse percorrere lunghi tratti su terreni accidentati portavano le Caligae, scarpe dalla pesante suola senza tacco chiodata con bullette (clavi caligares) tanto che nelle sue satire Giovenale commiserava chi avesse posto il piede sotto la suola di un soldato.                                            La tomaia era simile a quella dei Perones, ma senza apertura affibbiabile, come quella di uno stivaletto moderno. Sul bordo superiore, per aiutarsi a calzarle, erano praticate, davanti e dietro, due fessure a mezzaluna e, poiché era fatta di cuoio molto spesso e quindi rigido, la punta era aperta onde evitare di ferire le dita con lo sfregamento.                                                             Per assicurare meglio queste scarpe al piede e per irrobustirle ulteriormente, la tomaia era attraversata da una serie di corregge ed era dotata di rinforzi, alleggeriti da fessure, nel tallone. I lati della suola erano collegati da una striscia di pelle che passava sopra il dorso del piede; altre due strisce più strette univano la tomaia con la suola verso la punta ed erano tenute distanziate da una striscia trasversale posta all'altezza dell' apertura sulla punta stessa.
      
  • Il Campagus, che poco si differenziava dalla “Caliga”, era la calzatura ordinaria dell’Imperatore.
  • Gli etruschi diffusero anche una specie di babbuccia orientale in pelle morbida, che le donne romane fecero tingere in diversi colori, con applicazioni in seta, in bronzo, argento ed anche in oro.
  • Le donne spesso portavano una specie di ciabatta infradito, simile alla krepis greca, di cuoio, oppure di palma e pure colorate.
  • All’epoca del tardo impero le matrone adottarono dei sandali dorati o degli stivaletti al polpaccio, in cuoio allacciato.
  • Oppure portavano, sia donne che uomini, le Crepidulae, antica calzatura greca o romana, con suola molto alta, allacciata al collo del piede mediante strisce di cuoio (corregge), erano adottate dalle classi agiate con strisce che coprivano interamente il piede fino alla caviglia e che a seconda della ricchezza e dell’elevazione del rango potevano essere più o meno decorate, fino addirittura ad avere le suole in oro o argento.                                                          Portavano anche calzari simili a scarpe basse, ma senza tacco. Sempre nel museo di Montemartini si può ammirare il gigantesco piede di una statua della "Fortuma huiusce diei" alta 8 m scolpita  nel 101 a.c. da Skopas, scultore greco attivo a Roma, calzata con un sandalo "infradito", probabilmente un modello di Krepis e ciò ci fa supporre che anche le matrone romane indossassero calzature simili.
  • In occasione di cerimonie i patrizi, ma per soli uomini, indossavano i Mullei, ovvero Calcei di colore rosso dalla suola molto spessa in modo da innalzare la statura di chi li calzava come testimoniano Plinio e Svetonio. Una statua di Settimio Severo (146 - 211 d.c.) proveniente da Alessandria ed esposta al British Museum di Londra mostra un paio di Mullei caratterizzati dalle strisce di pelle che, dai lati della suola, si incrociavano sul dorso del piede per poi avvolgersi intorno alla caviglia ed esservi annodate. 
  • Sia i Calcei che i Mullei erano scarpe costose, complicate, difficili da indossare e scomode, per cui, nella vita di tutti i giorni, si portavano sandali con le suole fissate ai piedi con svariati sistemi basati su cinghie di pelle.  
  • Dopo la conquista della Gallia nell’Impero Romano andarono molto di moda le scarpe “Gallicae”, i sandali dei Galli, per gli uomini, con la suola di legno, allacciati sul davanti. 
  • Un altro tipo di sandali erano le Urinae, in pelle bovina schiarita, per sole donne.  
  • I popolani ed i contadini, uomini e donne, indossavano altri tipi di calzature; i più usati erano i Perones, scarpe dalla suola senza tacco con una tomaia in pelle alta alla caviglia allacciata sul dorso del piede con fibbie o stringhe e che potevano essere indossate sul piede nudo o interponendo una specie di calza in feltro. Praticamente semplicissime calzature fatte con un taglio di cuoio grasso fermato attorno al piede che potevano essere portate a piede nudo o con una specie di calzino di feltro.
  • Schiavi e proletari, uomini e donne, portavano zoccoli di legno, le Sculponea, di pelle e pelo di pecora non colorata.
  • I campagnoli potevano avere anche gli Adonei, ancora più semplici e poveri, suole rettangolari con lunghe cinghie di cuoio che le assicuravano ai polpacci protetti da pezze di lana o di feltro. 
  • Apuleio, nelle sue Metamorfosi (VII, 27), afferma che i sacerdoti della Dea siriana Atargatis indossavano calzature di colore giallo.
  • Nell'editto di Diocleziano del 301 d.c., un calmiere che elencava i prezzi massimi di vendita di tutti i generi di consumo, sono menzionati almeno 20 tipi di calzature come: Calcei patricii, Calcei  senatorii, Caligae equestres, Caligae muliebres, Campagi, Urinae. I campagi dovevano essere i perones.
  • All'epoca del tardo impero (V - VI sec.) le matrone romane portavano zoccoli dorati o stivaletti di cuoio che scricchiolavano ad ogni passo, cosa che scandalizza molto San Gerolamo, come osano le donne farsi notare? Ma già c'era stata la proibizione per vari colori e fronzoli, finchè la nuova religione non uniformò i costumi alla severità e all'assenza di stile. 
Che differenza con il gusto pagano, dove le donne romane ponevano catenine alle caviglie in oro e argento e attaccavano a volte ai lacci di cuoio delle scarpe colorate dei sonaglini in argento di modo che, al loro passaggio si univa questo dolce tintinnio che faceva voltare il capo agli uomini. Che male c'era?

Oggi si può capire perchè l'Italia sia il paese delle belle calzature, così come si può capire perchè l'italia sia il paese del buon cibo, il merito va agli antichi romani che eccellevano nel vestirsi avendo preso il meglio dalle varie culture, e il meglio dalle varie cucine dell'epoca. La vanità non è peccato, è fantasia e gioia di vivere.


BIBLIO

- Andrew Drummond - The World of the Romans - New York: Oxford University Press. -1993 -
- La vita quotidiana a Roma - Universale Laterza - Bari - 1971 -
- Rodolfo Lanciani - L'antica Roma (Ancient Rome in the Lights of Recent Discoveries, Boston; New York, Houghton, Mifflin and Co., 1888) - Roma - Newton & Compton - 2005 -
- Raissa Calza - I ritratti - Roma - Istituto Poligrafico dello Stato - 1978 -
- Alfonso De Franciscis - Ritratti romani del Museo Nazionale di Napoli Napoli, 1939 in «Memorie della Reale Accademia di archeologia, lettere ed arti». Società Reale di Napoli - N. 6 - 1939 -


3 comment:

Keir on 7 agosto 2017 alle ore 23:01 ha detto...

Great work to create a tremendous resource.

Sunrise45 on 5 ottobre 2019 alle ore 09:51 ha detto...

would like to be able to read in English. My ancestors apparently go back to Roman days (Moors) who were fine leather craftsman who made shoes for Roman gentry.

Sunrise45 on 5 ottobre 2019 alle ore 09:54 ha detto...

silly me did not see the different flags for translation!

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