CULTO DI SENECTUS



DIO SENECTUS

GERAS 

Nella mitologia greca, Geras (in greco Ghḕrās) era il Dio della vecchiaia. I Romani presero molte divinità dalla Grecia, anche perchè avevano una vera ossessione sugli Dei, non un evento, una capacità, un aspetto, un passaggio, un mutamento poteva essere privo di un Dio che assisteva e facilitava.

Secondo Esiodo, Geras era figlio di Notctis. Igino aggiunge che suo padre era Erebo. Venne spesso rappresentato sui vasi che lo mostrano con Eracle, ma purtroppo il mito che li riguardava è andato perduto. Era raffigurato come un vecchietto piccolo e raggrinzito e il suo equivalente nella mitologia romana era Senectus, mentre il suo opposto era Ebe, la Dea della giovinezza.

Il bello è però che nonostante questa ipertrofia di Dei, i Romani non erano bacchettoni nè fanatici, non si prostravano e non si inginocchiavano, non davano alle divinità più di quanto dovuto e il dovuto era per lo più compito dei sacerdoti pagati dallo stato, che si occupava per suo conto della Pax Deorum con misure religiose eccezionali, cioè con rituali eccezionali quando riteneva ce ne fosse bisogno.

Comunque sia in Grecia che a Roma l'anzianità era considerata una virtù poiché essa dotava l'uomo di maggior klèos (fama) e aretḕ (eccellenza e coraggio). Naturalmente se l'uomo era colto, saggio e obbediente alle leggi, possibilmente anche nobile.

Terenzio, nel II secolo a.c. nella sua commedia Phormio, a Demifone che gli chiede come mai si è trattenuto tanto tempo a Lesbo, il vecchio Cremete risponde: “Mi ha trattenuto una malattia” e aggiunge “Mi chiedi quale malattia? La vecchiaia stessa è una malattia”. (senectus ipsa est morbus)



LA VECCHIAIA NEL MONDO GRECO

Già nel VII-VI secolo, con Saffo, la lirica greca sente la vecchiaia come una malattia incurabile. Essa comporta inaridimento della pelle, imbiancamento dei capelli, dolori articolari e debolezza delle gambe, problemi di vista e di udito, problemi di memoria e di decadimento cerebrale con depressione e desiderio di morte.

Il tema della caducità della vita umana, della giovinezza fuggevole è trattato da Mimnermo di Colofone (VII-VI sec. a.c.):

ERCOLE E SENECTUS
E noi – come le foglie che produce la primavera ricca di germogli,
quando ai raggi del Sole crescono tutt’a un tratto,
simili a quelle, in un cubito di tempo, dei fiori della gioventù
godiamo, senza che dagli Dei ci giunga la nozione del male
né del bene: le Chere ci stanno ormai addosso, nere,
e l’una regge il termine della penosa vecchiaia,
l’altra quello della morte; per un istante appena vive il frutto
della gioventù, per quanto si spande sulla Terra il Sole.
Ma se il termine di questa breve stagione viene oltrepassato,
allora, essere morti è meglio della vita:
nel cuore si addensano in massa le sofferenze: a volte il patrimonio
si erode e la miseria ha effetti dolorosi;
altre volte, poi, si sente la mancanza di figli, ed è il rimpianto
più triste per chi va sotterra, nella casa di Ade;
altre ancora, invece, si ha una malattia che strazia il cuore: 
non vi è un solo uomo cui Zeus non dia una gran massa di sofferenze.

Mimnermo propone una valutazione dell’esistenza lontana sia da quella tipica dell’uomo dell’epoca sia dalla mentalità del cittadino-soldato, protagonista dei carmi di Callino e di Tirteo. Il guerriero omerico era pronto a sacrificare la vita in nome di un ricordo imperituro, l’oplita spartano invece per la libertà e la salvezza della propria città. 

Così Mimnermo, scomparsi i grandi ideali individuali o collettivi, riconosce alla vita solo le gioie della effimera giovinezza, ma purtroppo soggette alla legge del tempo, contro il quale l’uomo nulla può. Pertanto passata l'effimera giovinezza resta solo il rimpianto,

Diomede nel VI canto dell’𝐼𝑙𝑖𝑎𝑑𝑒 descrive l’incessante succedersi delle stirpi umane, prova ulteriore della brevità della vita:

"Tal e quale la stirpe delle foglie è quella degli uomini.
Le foglie il vento ne sparge molte a terra, ma la selva
rigogliosa altre ne gemina, e torna il tempo della primavera;
così pure le generazioni degli uomini: una sboccia, l’altra sfiorisce."



SENECTUS

La sorte ultima è quindi appannaggio delle «Chere» (destini di «nera morte» - Iliade), stanno già alle spalle, quando ancora sono insospettabili. La fiorente giovinezza, ha due uscite: la vecchiaia e la morte. Tutta questa fosca visione della morte dove la vecchiaia è solo tristezza e dolore, trova un sollievo nella cura si sè, occupandosi del proprio fisico, assistiti dal benevolo Dio Senectus che sovente ispira saggi propositi.

Il romano va presto in palestra, in genere inizia a 12 anni, del resto gli Spartani iniziavano a sei anni, e passa molto del suo tempo ad allenarsi non solo per irrobustirsi ma per affrontare poi la guerra. Se ci si allena tutta la vita si invecchia molto bene. 

Plinio il Giovane (I-II sec. d.c.) elogia lo stile di vita del del settantasettenne Spurinna che fa ogni giorno, una passeggiata di tre miglia e una di un miglio (circa 6 km in tutto) intervallate da riposo; poi prende un bagno, un'altra breve passeggiata al sole e un po' di gioco alla palla. Fa anche ginnastica mentale: legge, conversa con gli amici, scrive, si occupa di attualità e di letteratura. Segue un regime alimentare «fine e semplice».

Seneca,  dopo il ritiro dall’attività pubblica, quando era vicino ai 70 anni, parla della cura di sè per la giovane moglie Paolina. All’epoca il suicidio in età avanzata era una pratica accettata, quando le condizioni di salute rendessero la vita non più degna di essere vissuta, ma Seneca la giudica una debolezza.

Chi non apprezza la propria moglie, un amico, tanto da indugiare un poco più a lungo nella vita, chi persisterà nell’idea di voler morire, è un uomo debole. Qualora l’interesse dei propri cari lo esiga, è  dovere dell’animo, e non solo se si vuole morire, ma se già ci si è avviati sulla strada della morte bisogna interrompere il processo e adeguarsi al desiderio dei familiari. 

È indice di grande levatura d’animo tornare alla vita per amore degli altri, come fecero uomini insigni, un segno di estrema sensibilità d’animo anche avere riguardi per la propria vecchiezza (il cui più grande vantaggio consiste in una più tranquilla cura di sé e nel fare un uso più coraggioso della vita), se ti rendi conto che questo atteggiamento è gradito, utile e desiderabile per qualcuno dei tuoi. 

Inoltre tale comportamento reca una non trascurabile gioia e una ricompensa: che cosa c’è di più soave dell’essere così caro a tua moglie da renderti proprio per questo più caro a te stesso? La vecchiaia, per Seneca, se ben accudita, è positiva, comportando saggezza e esperienza che può essere utile alla famiglia e alla società con i suoi consigli e con la sua autorevolezza.

Nel De Senectute (44 a.c.) di Cicerone  che ha da poco passato i 60 anni, inizio formale della senectus, si riferisce al vecchio Catone il censore, che fino all’epoca di 84 anni, visse in salute, attività e onore.
Bisogna lottare contro l’età senile quasi come contro una malattia; bisogna avere cura della salute, praticare esercizi, mangiare e bere quel tanto che basta per ristorare le forze. 

E bisogna badare più ancora alla mente e all’animo, a cui, se non vi aggiungi dell’olio, come si fa per una lampada, si spengono con l’età senile; il corpo se lo affatichi negli esercizi si appesantisce, ma l’animo con l’esercizio diventa leggero. 

ERCULES E GERIA

IL CULTO DI SENECTUS

Cosi il Dio Senectus veniva invocato per ispirare il giusto comportamento per invecchiare in salute e con onore, per il comportamento e la comprensione di se stessi e per avere l'animo sereno onde affrontare il decadimento fisico con coraggio e solerzia. 

Che si sappia non esisteva un culto ufficiale per il Dio ma diversi culti locali nei pagus ma soprattutto nelle case dove vivevano persone anziane che da soli officiavano il suo culto, offrendo vino aromatizzato con erba odorose e dolcificato col miele, ma non allungato con l'acqua. Comunque il culto, seppure non seguito ufficialmente, era particolarmente seguito privatamente, soprattutto nelle campagne.

Una coppa di vino veniva versata sull'altare che in genere veniva posto sotto la tettoia del giardino, o una qualsiasi tettoia all'aperto, bagnando la statuina e l'altare. Un'altra coppa veniva bevuta dall'officiante in sette sorsi durante i quali nelle sette pause venivano ripetute delle preghiera rivolte alla divinità



BIBLIO

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1 comment:

Anonimo ha detto...

Mi sorprende questa vostra irriverenza nei confronti dei Romani, stavolta. Fortuna che il contenuto è giusto.

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