VILLA DEI DIOSCURI (Pompei)



PRIMO DIOSCURO
La Villa o Domus dei Dioscuri è una delle abitazioni più vaste e meglio decorate della città di Pompei e deve il suo nome ad un affresco collocato all'ingresso, raffigurante i Dioscuri Castore e Polluce, oggi conservato al museo archeologico nazionale di Napoli. La rappresentazione dei Dioscuri, stanti con clamide e cavallo, costituisce un esplicito riferimento all’ordine equestre cui apparteneva, grazie alla sua enorme disponibilità finanziaria, il proprietario della domus, esponente dell’élite municipale.

La Villa dei Dioscuri (VI 9, 6-9) è ubicata nel quartiere residenziale prediletto dall’aristocrazia sannitica grazie alla sua vicinanza al foro. Essa è un insieme di tre abitazioni, unite tra loro durante l'età augustea, che venne sepolta dall'eruzione del 79 del Vesuvio, finchè non venne scoperta e esplorata tra il 1828 ed il 1829.

SECONDO DIOSCURO

La casa è una delle più importanti dell’ultima fase di Pompei, sia per l’estensione e per l’articolazione della superficie (1500 mq ottenuti dall'unione di tre differenti abitazioni), sia per l’eccezionalità delle pitture. E' evidente che solo un personaggio molto ricco potesse permettersi una villa di tali proporzioni e di tale bellezza. Purtroppo non conosciamo il nome di tale proprietario.

Di lui però desumiamo che fosse uomo colto e magari pio, perchè fece raffigurare molti miti e molti personaggi mitici nella sua splendida villa. I due Dioscuri, detti anche ambedue Castori, nonostante uno si chiami Castore e uno Polluce, rappresentati nella villa romana, nell'affresco non sono riconoscibili tra loro, perchè ambedue sono raffigurati come tradizione con i propri cavalli, ambedue sono armati di lancia ed ambedue indossano i tradizionali mantelli.

PERISTILIO
IL MITO DI CASTORE E POLLUCE

L'immagine tradizionale dei due gemelli divini è di due atletici giovani nudi con un mantello rosso porpora sulle spalle, armati di lancia o spada, con due cavalli. Sul capo hanno un cappello a punta e una stella tra i capelli. A volte è presente un'anfora chiusa colma di sementi oppure un serpente.

Nei miti greci alcuni autori fecero nascere i Dioscuri da Zeus e Leda, per altri i due gemelli sarebbero nati da Tindaro, re di Sparta, fratelli di Elena, oggetto della contesa a Troia. Altri ancora affermano che solamente Polluce e la sorella Elena fossero figli di Zeus, e dunque immortali; Castore sarebbe stato dunque figlio di Tindaro e destinato alla morte.

Castore e Polluce fecero parte degli Argonauti, gli eroi che parteciparono con Giasone e Medea alla ricerca del Vello d'oro. Per aver placato una tempesta in quella circostanza, furono considerati protettori dei naviganti.


IL PORTICO CON I MOSAICI IN TERRA

Polluce, celebrato come grande pugile, sconfisse in una gara di pugilato il re dei Bebrici, Amico.
Poco tempo dopo i gemelli fondarono la città a loro dedicata di Dioscuria, in Colchide. I gemelli parteciparono inoltre alla caccia al cinghiale Calidonio, inviato da Artemide a devastare le terre del re Oineo, che l’aveva trascurata in un sacrificio in onore degli Dei.

Inoltre presero parte alla lotta contro l'ateniese Teseo, che aveva rapito la loro sorella Elena nascondendola ad Afidne; per premio Zeus concesse loro l'immortalità. Sul suolo italico presero parte alla Battaglia della Sagra tra le file dei locresi (Locri Epizephiri) in battaglia contro gli abitanti di Crotone.

Nel mito originario però Zeus si invaghì di Leda, moglie di Tindaro, re di Lacedemone, e si unì a lei sotto forma di cigno, ma Leda che non badava a spese nella stessa notte si unì anche a suo marito Tindaro, il re di Sparta. Così partorì due uova da cui uscirono le due coppie di gemelli.

CORTILE CON LARARIO

Da uno nacquero, presso Sparta, i gemelli Polluce ed Elena, dall'altro Castore e Clitennestra. Questi ultimi, tuttavia, erano figli di Tindaro, che si unì a Leda dopo gli amori di questa con Zeus. Dal che si deduce che anche Elena era una Dea o semidea. Infatti Elena significa Luna che era la divinità maggiore di Sparta.

Il fratello di re Tindaro, Afareo, era a sua volta padre di due gemelli: Ida e Linceo. Castore e Polluce rapirono le promesse spose dei cugini e nella lotta che ne seguì, Castore fu ferito a morte. Polluce, volendo seguire il destino del fratello, chiese e ottenne di vivere come Castore un giorno sull'Olimpo e uno nell'Ade. Il Dio Ade accettò perchè la faccenda pareggiava i conti sul tempo di abitazione negli inferi, metà tempo ma con due persone anzichè una.

In un altro mito, riportato da Euripide nell'opera Elena, Zeus concesse, visto il loro profondo legame, ad ambedue di vivere per sempre nel cielo, sotto forma di costellazione.

LE DECORAZIONI

Soccorsero i romani contro i Latini nella battaglia del Lago Regillo (499 a.c.), poi si recarono a Roma abbeverando i cavalli alla fonte di Giuturna per dare la lieta notizia della vittoria. Roma innalzò loro diversi templi.

Questo è uno dei rari esempi a Pompei di una casa con un atrio corinzio, circondato da dodici colonne in tufo coperte di stucco.


PLANIMETRIA 3D DELLA VILLA

DESCRIZIONE

La casa gira tutta intorno all'atrio, lo spazio aperto collocato all'interno di un edificio, che in questo caso funge anche da ingresso, e che è di tipo corinzio, che, in suolo italico, venne diffuso in età repubblicana, con capitelli a volute ed elici che nascono dietro delle foglie d'acanto.

L’atrio corinzio, corrispondente all’ingresso principale, è uno tra i più begli esempi esistenti a Pompei, con decorazione pittorica eseguita dalla stessa preziosa bottega della Casa dei Vettii.

Questo atrio è uno dei quattro unici rinvenuti a Pompei in stile corinzio, con dodici colonne in tufo che sorreggono il tetto. L'uso del tufo è prettamente sannita, perchè i romani usavano il marmo o al limite i pilastri di mattoni cotti, oppure le colonne in mattoni cotti triangolari sovrapposti con lato esterno ricurvo. Questi ultimi sono adoperati nella villa dei Castori.

DECORAZIONI

Sulla destra dell'atrio si apre il peristilio, il portico che cingeva il giardino interno posto al centro della casa, con una vasca per l'acqua e dei pannelli decorativi tutto intorno, effigiati in quarto stile, che raffigurano architetture e nature morte.

L’ampia vasca al centro, dove doveva trovarsi una fontana, mostra ancora i segni dei bombardamenti che colpirono gli scavi nel 1943. In terra si notano dei mosaici a tessere bianche e nere.

Le colonne del peristilio sono per metà lisce e dipinte di rosso, mentre nella parte superiore sono scanalate e dipinte di bianco, non sono di marmo ma di terracotta e la scanalatura è di stucco.. La maggior parte delle pitture murali in stile IV è ancora presente e dipinge tappeti sospesi in ambienti architettonici immaginari, alternati a pannelli di nature morte.

COPPIA DI MENADE E GIOVANE LAUREATO
Infatti, seguendo la moda romana del rosso da noi detto pompeiano, ma che sarebbe più corretto chiamare "rosso Romano". la parte inferiore delle colonne è stata rivestita di malta che è stata poi lisciata e pitturata di rosso.

Lo stile della decorazione rivela che sono state realizzate dallo stesso formidabile artista che ha lavorato anche alla casa dei Vettii, nel Tempio di Iside e nel Macellum. Molti quadri figurati furono staccati all’epoca dello scavo e conservati al Museo Archeologico di Napoli. 

L'affresco della donna che offre l'acqua al viandante è di squisita fattura, si nota lo strano copricapo della donna che ricorda lo stile cinese e la fattura avveniristica che potrebbe essere tranquillamente moderna. Notare come i personaggi sono resi con pochi e semplici tratti, specie il cane.

La casa presenta inoltre un tablino, ambiente posto fra l'atrio e il peristilio, con due stanze che si aprono ai suoi lati: in quella a destra sono stati ritrovati gli affreschi raffiguranti la nascita di Adone (figura di origine semitica, oggetto di un importante culto nelle varie religioni legate ai riti misterici) e Scilla che, figlia sconsiderata, consegna all'invasore Minosse il capello fatato del padre e re Niso.

DONNA OFFRE ACQUA A UN VIANDANTE

Pitture murali con immagini di soggetti mitologici sono state affrescate sui muri delle stanze ai lati del tablino. Molti di loro sono stati staccati e ora si trovano nel Museo Archeologico di Napoli e nel British Museum di Londra.

Due affreschi sono dedicati a due menadi, una con satiro ed una con giovane laureato che non si sa bene chi sia, la menade qua sopra, bellissima e quasi ieratica, impugna una ferula mentre il giovane porta, probabilmente in offerta, una quantità di frutta che sembrerebbero fichi.

Nella stanza di sinistra invece si trovano gli affreschi di Apollo e Dafne trasformata in albero di alloro per sfuggire alle brame del Dio, e Sileno (creatura selvaggia e lasciva dei boschi) con una Ninfa che reca con sè un Bacco infante. 

SATIRO E MENADE IN VOLO
Alle spalle del tablino si apre un portico con colonne doriche, sulla cui parete di fondo è posto il larario, la piccola edicola dove si veneravano i lari familiari e divinità a piacere. Molti di questi affreschi vennero staccati all’epoca dello scavo e conservati al Museo Archeologico di Napoli.

A destra dell’atrio si apre un secondo peristilio, con un grande bacino d’acqua al centro e con le pareti ancora in parte decorate in IV stile. I dipinti più importanti sono ora al Museo Nazionale di Napoli; restano comunque alcune pitture nelle stanze del tablino e la bella decorazione in IV stile del peristilio.

ACHILLE TRAVESTITO DA DONNA
Nella seconda coppia in volo è il satiro a portare la menade seminuda che ha un'aria compiacente. L'ampia veste le svolazza elegantemente intorno al corpo formandole quasi un nembo intorno alla testa.

Nell'affresco di Ulisse che cerca Achille per portarlo con sè in guerra si allude al mito omerico per cui il giovane figlio di Peleo e della Dea Teti, saputo da un oracolo che sarebbe perito in quella battaglia si era nascosto vestendosi da donna.

Per altro si riporta che la madre l'avesse reso immortale bagnandolo in un fiume sacro quando era un bambino, ma tenendolo per un piede questo non era stato immerso per cui era una parte vulnerabile.

E' Ulisse a svelare il sesso del travestito ponendogli accanto giochi da donna e armi, naturalmente Achille scelse le armi e a quel punto venne smascherato e imbarcato nella nave achea per andare a combattere la città di Troia.

Come tristemente fu predetto Achille vi trovò la morte ma al fato non si può sfuggire.

Un superbo Giove in trono adorna una stanza triclinare della villa, munito di scettro e di lancia, con ai suoi piedi da un lato il pianeta terra e dall'altro l'inseparabile aquila. Sullo stesso trono sono del resto effigiate due aquile.

Alle sue spalle, ormai semicancellata, c'è una donna in piedi che sembra tenergli la testa tra le sue mani. E' difficile interpretarne la figura, che potrebbe probabilmente riferirsi a giunone, che in miti molto più antichi, prima di essere sua moglie gli fu madre. In uno specchio c'è la figura di giunone che allatta Giove bambino.

GIOVE
Nella rappresentazione delle scene di tragedia due figure riccamente addobbate e munite di ampi cappelli recano in mano rispettivamente una brocca di bronzo e un bambino in fasce. La donna di destra sembra incedere alzando il braccio destro mentre tiene sul sinistro il bambinetto in fasce.

È una figura di donna matura, se non vecchia, con una maschera ad alto ónkos, che non è quella della giovane pallida dall’aspetto doloroso, dato dal convergere delle sopracciglia inclinate verso il centro della fronte; ma non è neppure quella della vecchia canuta, perché le sue chiome sono nere. 

È invece una maschera caratterizzata dalle sopracciglia ad accento circonflesso che danno un’espressione dura, arrogante. Una maschera, cioè, che non rientra nel catalogo di Polluce, ma ricorre abbastanza frequentemente nelle figurazioni pittoriche della Campania. Dinanzi a lei è un altro personaggio stante, che sembra vivacemente rivolgersi a lei, protendendo la mano sinistra e che tiene nella destra una oinochoe.

SCENE DI TRAGEDIA
Nonostante il dipinto sia poco conservato, si riconosce nella maschera il colore rosso del volto. Trattasi pertanto di una figura maschile, senza barba, ma con alto ónkos. Elementi, tutti, che consentono di riconoscere in essa uno dei messaggeri, in particolare l’anásimos, di cui anche il naso rincagnato sembra abbastanza riconoscibile.

Le due figure stanno recitando un'opera tragica e indossano anche una sorta di tacchi, come usavano spesso gli attori, per avere una maggiore visibilità  nello scenario, e una presenza più imponente. La loro visibilità era così assicurata sia dall'altezza che da grandi maschere e parrucche complicate e vistose. 


ENDIMIONE E SELENE
Un altro affresco propone l'amore tra Endimione e la Dea Selene. Endimione per alcuni è un pastore dell’Anatolia che porta spesso a pascolare il suo gregge nelle valli ai piedi del monte Latmio nella Caria; o un condottiero di origine carica ed eolico di razza, che usava spesso addormentarsi ai piedi di un monte nelle fresche notti d’estate; o un figlio di Zeus e della ninfa Calice da cui ereditò un’incredibile bellezza.

In una serena notte d’estate, mentre Endimione dormiva in un boschetto del monte Latmio, riparato dagl’alberi, un raggio di luce lunare illuminò il suo volto, e la Dea Semele, colpita da tanta bellezza s’innamorò perdutamente e ogni notte scese dal cielo per dormire accanto a lui. Selene poi chiese a Zeus di poter sposare Endimione e di renderlo immortale. Zeus accettò, malignamente consapevole che la dea si era dimenticata di chiedere per il suo promesso anche l’eterna giovinezza.

Ai primi capelli bianchi, Selene addolorata fece un accordo con Ipnos, che accettò di baciare le palpebre di Endimione così da farlo dormire per sempre evitandogli l'invecchiamento. Da allora Selene si recò ogni notte di “luna nuova” sul Latmio, nella grotta di Endimione addormentato, che la rese, per quanto dormiente, madre di ben cinquanta figlie.

In questo affresco, sempre della grandiosa villa, è illustrato il mito di Andromeda e Perseo, dove la fanciulla ha una mano incatenata a una roccia mentre Perseo, fornito di ali ai piedi come Mercurio, brandisce la testa di medusa già sconfitta e la spada con cui uccidere il mostro, peraltro, come i Dioscuri, totalmente nudo ma munito di ampio mantello.

La madre di Andromeda sostenne di essere più bella delle ninfe marine Nereidi, che offesissime chiesero a Poseidone, il Dio del mare, di punirla, Poseidone le accontentò e mandò un mostro terribile a razziare le coste del territorio del re Cefeo, che si rivolse all'Oracolo di Ammone, il quale suggerì per placare il mostro, di sacrificare sua figlia, la vergine Andromeda.

PERSEO E ANDROMEDA
Andromeda venne incatenata a una costa rocciosa in attesa di essere sbranata ma l'eroe Perseo, le chiese la ragione della punizione. Perseo fa appena in tempo a chiedere la mano della principessa, che uccise il mostro e sposò Andromeda. Più tardi Andromeda gli diede sei figli, compreso Perse, progenitore dei Persiani, e Gorgofone, madre di Tindaro e Icario, entrambi re di Sparta.

Quella di Bellerofonte è una triste storia, che i proprietari della villa vollero però effigiata nella lussuosissima dimora. Bellerofonte di Corinto, resosi colpevole dell'involontario omicidio di Bellero re di Corinto giunse ospite presso Preto, re di Tirinto, in grado di purificare le anime. Però la moglie di Preto, lo concupì ma, rifiutata, narrò al marito che il giovane l'avesse violentata.

Tuttavia le leggi greche dell'ospitalità vietavano l'uccisione di un commensale; pertanto il re inviò Bellerofonte da suo suocero Lobate, re di Licia per consegnargli una lettera che richiedeva l'assassinio del giovane. Ma anche Lobate non si sentì di uccidere un ospite, per cui gli richiese di eliminare Chimera, un mostro che sputava fiamme, con testa di leone, corpo di caprone e coda di serpente.

BELLEROFONTE PEGASO E MINERVA
Bellerofonte però avrebbe avuto bisogno di Pegaso, il cavallo alato, per cui dormì presso il tempio di Atena che nel sogno mise una briglia d'oro con cui avrebbe catturato il magico destriero mentre beveva da una fonte.

Così Bellerofonte rubò Pegaso a Zeus, e grazie a Pegaso, riuscì a gettare del piombo nella gola della Chimera, che, fondendosi, la soffocò.

Non contento però Lobate chiese a Bellerofonte di combattere contro i Solimi e le alleate Amazzoni che Pegaso mise facilmente in fuga lanciando loro dei sassi.

Lobate ammirato da tanto valore gli mostrò il messaggio di Preto e Bellerofonte gli raccontò la verità. Il re convinto gli diede in sposa l'altra figlia, Filinoe, e ne fece l'erede al trono.

Però Bellerofonte si montò la testa e tentò raggiungere l'Olimpo, ma gli Dei infastiditi mandarono un tafano a pungere Pegaso che lo disarcionò. Bellerofonte sopravvisse alla grave caduta, ma rimase solo e infermo fino alla morte.

MEDEA
Il mito di Medea, figlia della maga Circe e nipote del Dio Sole, è anch'esso rappresentato nella splendida villa. Ella si innamora di Giasone che arriva nella Colchide con gli Argonauti alla ricerca del Vello d'oro custodito da un drago. Medea per aiutarlo uccide il fratellino Apsirto, spargendone i resti dietro di sé dopo essersi imbarcata sulla insieme a Giasone, ormai suo sposo. Il padre, così, per raccogliere le membra del figlio, non riesce a raggiungerli, e gli Argonauti tornano a Jolco con il Vello d'Oro. 

Lo zio di Giasone, Pelia, rifiuta tuttavia di concedere il trono al nipote, come aveva già promesso in cambio del Vello: Medea allora convince infatti le figlie di Pelia a somministrare al padre un "pharmakón", che dopo averlo fatto a pezzi e bollito il padre, lo avrebbe ringiovanito. Le figlie si lasciano ingannare e provocano così la morte del padre.  Medea e Giasone che si rifugiano a Corinto, dove si sposano.

Nella Medea di Euripide, dieci anni dopo, Creonte, re della città di Corinto, vuole dare la sua giovane figlia Glauce in sposa a Giasone, offrendogli così la successione al trono. Giasone accetta ma Medea manda come dono nuziale un mantello alla giovane sposa, facendola morire fra dolori strazianti. Il padre Creonte, corso in aiuto, tocca anch'egli il mantello, e muore.

Ma la vendetta di Medea giunge fino ad uccidere i figli avuti da Giasone, e fuggita ad Atene, a bordo del carro del Sole trainato da draghi alati, Medea sposa Egeo, dal quale ha un figlio, Medo; Egeo aveva già un figlio, Teseo, che Medea vuole venga ucciso. Ma Egeo riconosce Teseo come suo figlio e Medea è costretta a fuggire di nuovo e torna nella Colchide, dove si riappacifica con il padre Eeta.

PAN ED ERMAFRODITO CHE LO TENTA
L'affresco ha un precedente nel gruppo scultoreo di Satiro ed Ermafrodito proveniente da Oplontis, Torre Annunziata, derivato dalla tradizione ellenistica, in cui il giovane Ermafrodito tenta di difendersi dall’aggressione di un satiro. Solo girando attorno alla scultura lo spettatore potrà scoprire la reale natura della vittima. Ermafrodito veste i panni di una ninfa, con corpo seducente e profilo femmineo.

Ma in questa pittura invece Pan, dopo aver scoperto che Ermafrodito non è una donna fugge rapidamente orripilato dal sesso del giovane che aveva seducenti sembianze femminili. Viene da pensare che forse gli stessi committenti abbiano voluto salvare il mito della virilità di Pan, a meno che non ne esistessero versioni opposte, cosa da non escludere.

Comunque solo nel 2000, dopo secoli di censure e alterne vicende, venne riaperto il Gabinetto Segreto del Museo Archeologico Nazionale di Napoli, rivelando al pubblico duecentocinquanta opere, tra sculture, affreschi, mosaici raffinati, bronzetti, lucerne e un vasto repertorio di oggetti d’uso comune, il tutto a sfondo prettamente erotico.

E' la più grande collezione al mondo di oggetti e immagini dipinte a tema esclusivamente erotico, provenienti proprio dalle antiche città della cinta vesuviana. Furono i reali Borboni a creare queste sale e disposero che “avessero unicamente ingresso le persone di matura età e di conosciuta morale”, al fine di salvaguardare la buona reputazione della casa reale.

Al tempo dei romani si era più liberi di fronte alla sessualità ed evidentemente il tema non dispiacque ai signori della villa che vollero fosse immortalato quel mito, che da un lato ristabiliva la presunta virilità di Pan ma dall'altro l'attraente bellezza dello splendido ermafrodito.


IL GIARDINO DEL POMPEIANUS

IL POMPEIANUM - RICOSTRUZIONE DELLA CASA DEI DIOSCURI

C'è un edificio sulla sponda alta del fiume Meno a Aschaffenburg, non lontano dal palazzo di Johannisburg, che spicca nei suoi dintorni grazie alla sua architettura dall'aspetto mediterraneo e allo stesso tempo piuttosto semplice.

Il Pompejanum è una replica ideale di una villa romana. Si erge sulle sponde alte del Meno a Aschaffenburg ed è una replica di una casa di Pompei, la Casa di Castore e Polluce, ovvero la Casa dei Dioscuri.

Il Pompejanum fu commissionato dal re Ludwig I, costruito tra il 1840 e il 1848 secondo i piani dell'architetto di corte Friedrich von Gärtner. Il Pompejanum non dovrebbe servire come una villa reale, ma come un oggetto di intuizione, che dovrebbe consentire agli amanti dell'arte in Germania, lo studio della cultura antica. L'edificio è la testimonianza dell'entusiasmo dell'antichità del XIX secolo.




Lo schema cromatico esterno dell'edificio, comprese le colonne ioniche, segue la tradizione toscana con un piedistallo "Pompei rosso" e una facciata gialla di mais. I parapetti bianchi sottolineano la struttura dell'edificio. La struttura dipinta della facciata, che trasmette l'impressione di grandi blocchi di pietra, crea una vivida immagine complessiva del muro esterno senza finestre.

I soffitti sono a cassettoni come l'originale e le colonne, in numero di dodici sono rosse e bianche
anch'esse come l'originale.

Attaccato al lato principale è un belvedere simile a un tempio con tetto a due spioventi. Le parti restanti dell'edificio hanno un tetto piano. Il cancello principale dell'edificio si trova nell'ala longitudinale di fronte al castello Johannisburg.

L'ATRIO CON IMPLUVIUM

Ed ecco l'impluvium con la statuina in bronzo del piccolo fauno. Da qui si intravede il giardino interno. Per la magnifica pittura degli interni e dei pavimenti a mosaico, i modelli antichi sono stati copiati o modellati dai pittori Christoph Friedrich Nilson, Joseph Schlotthauer e Joseph Schwarzmann.

La "culina", cioè la cucina, non aveva un vero e proprio camino, ma in realtà un piano di cottura come usava nella Roma antica, con sotto il vano per riporre la legna. Questa cucina è attrezzata di tutto, dalle varie anfore e olle poste nell'angolo ai fornelli, alle padelle alle pentole e pentolini di bronzo, ai vari mestoli, calderone e braciere.

L'IMPLUVIUM

Durante la seconda guerra mondiale, il Pompejanum fu gravemente danneggiato e solo nel 1960 restaurato e completato in più fasi. Dal 1994 qui si possono ammirare opere d'arte originali romane provenienti dalle collezioni di Staatliche Antikensammlung e Glyptothek di Monaco. 

Oltre alle sculture in marmo di epoca romana, piccoli bronzi e vetri contano due rare dee marmoree delle opere più preziose. Ed ecco il triclinio, a tre letti come d'usuale, con il tavolinetto centrale, il pavimento di marmo e le pareti molto decorate. Le stanze della casa sono situate attorno ad un atrio centrale, un cortile interno aperto. 

Oltre alle camere da letto e alla sala da pranzo al piano terra ci sono anche un'imponente sala di ricevimento, la cucina, un bagno e numerose stanze per il personale, che in genere consistevano in schiavi.

Al piano superiore, utensili in stile romano, che possono essere visti in vetrine, danno un'idea della vita di una famiglia romana. Da luglio 2014, la Collezione di antichità dello Stato di Monaco ha emesso un diploma militare romano composto da due lastre di bronzo. Le tavole testimoniano il riconoscimento dei diritti civili romani nel 78 d.c. al soldato Ottavio dal Cohors I Cantabrorum di stanza in Mesia.

IL TRICLINIUM
Al piano superiore erano i salotti e le camere da letto della famiglia che possedeva la villa. Sotto la sala accoglieva i magnifici tripodi, figure e scene mitologiche alle pareti decorate anche a finto marmo e una preziosa fontanella in marmo la cui coppa è sorretta da leoncini alati.

Il Pompejanum fu costruito per ordine di Ludovico I tra il 1840 e il 1850 modellato sulla Casa dei Dioscuri a Pompei, come sua ricostruzione. È stato restaurato in seguito al danno durante la seconda guerra mondiale e aperto al pubblico nel 1994.

Il giardino esterno della villa è ornato di statue e terrazze, da un giardino pensile e da sostruzioni e fontane con mascheroni che gettano acqua dalla bocca riversandola in vaschette di marmo che si riversano poi in una grande vasca rettangolare.



Il Pompejanum è oggi sostenuto dallo Staatliche Antikensammlungen e dalla Gliptoteca Monaco come museo delle succursali.

Le opere d'arte antiche esposte qui in modo permanente provengono per la maggior parte dalle Collezioni statali di antichità e dalla Gliptoteca di Monaco, che intende supervisionare il Pompejanum come museo delle filiali.

Dal 2009 le collezioni di antichità e la gliptoteca hanno anche presentato mostre speciali che cambiano ogni anno.


BIBLIO

- William Gell - Pompeiana. The Topography of Edifices and Ornaments of Pompeii. 2 vols. London, 1817-8 - New ed. 1824 - Further edition by Gell alone incorporating the results of latest excavations - London - 1832 and 1852 -
- Antonio D'Ambrosio - Pompei: gli scavi dal 1748 al 1860 - Milano - Electa - 2002 -
- Filippo Coarelli; Alfredo Foglia; Pio Foglia - Pompei: la vita ritrovata - Fagagna - Magnus Edizioni - 2002 -
- Fabrizio Pesando, Marco Bussagli, Gioia Mori - Pompei: la pittura - Milano - Giunti Editore - 2003-





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