IL CIRCO ROMANO





IL CIRCO GRECO

L'usanza di gareggiare con i carri è antichissima, come testimoniano le decorazioni dei vasi di epoca micenea, e il primo riferimento scritto fu di Omero nell'Iliade, quando ai funerali di Patroclo si svolse una gara di carri che doveva giungere fino al ceppo di un albero. girarvi attorno e ritorno. La gara fu vinta da Diomede che ricevette in premio una schiava ed un calderone di bronzo, dunque gara con vincitore e premio.

Per tradizione fu una corsa dei carri a determinare la nascita dei Giochi olimpici, perchè il re Enomao sfidò i pretendenti alla mano di sua figlia Ippodamia ad una corsa con i carri, nella quale fu sconfitto da Pelope che, per celebrare la propria vittoria, inventò i Giochi.

AURIGA GRECO
Nei Giochi olimpici si svolgevano corse di carri trainati da quattro o da due cavalli, il tutto preceduto da una processione che entrava nell'Ippodromo, mentre un araldo annunciava i nomi degli aurighi e dei proprietari delle squadre. L'ippodromo di Olimpia poteva far gareggiare fino a 60 carri contemporaneamente e poteva ospitare fino a 10.000 spettatori in piedi. Consisteva in dodici giri dell'ippodromo, alle cui estremità si dovevano affrontare due curve piuttosto strette dove facilmente i carri spinti a forte velocità potevano ribaltare.

In Grecia le corse con i carri si tenevano in occasione dei "Giochi Panellenici", tra cui le Olimpiadi, e vi partecipavano molti aurighi, talvolta improvviati che gareggiavano per il possessore dei cavalli. Il pubblico si raccoglieva solo in queste occasioni, per cui non esistevano strutture permanenti per gli spettatori. A Roma invece gli agoni equestri erano un grande spettacolo con una vera organizzazione, con strutture permanenti e monumentali.

La presenza costante di corse di carri nei giochi panellenici farebbe propendere per l'origine greca; la prima vera competizione con carri è attestata ad Olimpia e risale al 680 a.c., durante la XXV Olimpiade, come narra Pausania, quando una pista fu approntata con due mete e confini che la contenevano.

Si usavano i cancelletti di partenza che venivano abbassati per dare inizio alla gara. Venivano poi alzati altri meccanismi chiamati l'aquila e il delfino per dichiarare la corsa iniziata e poi venivano man mano abbassati per indicare il numero di giri rimasti da percorrere. Si trattava probabilmente di sculture di bronzo che rappresentavano i due animali sistemate nei pressi della linea di partenza.

Le donne non potevano vincere la corsa dei carri, perchè non potevano partecipare e neppure di assistere ai giochi. Eppure la principessa spartana Cinisca, figlia di Agesilao II vinse ben due gare sfidando i maschi. Il fatto è che un tempo le donne greche gareggiavano negli ippodromi coi maschi, come è testimoniato da numerose epigrafi mortuarie dove i mariti citano orgogliosi le vittorie delle mogli.



Il mito di Atalanta

Atalanta era figlia del re dell'Arcadia, che però desiderava un maschio e così la abbandonò a morire sul monte Pelio, ma Artemide inviò un'orsa, che la allattò finchè non venne allevata da alcuni cacciatori che la indottrinarono sull'arte venatoria. Infatti più tardi Atamanta uccise con l'arco due centauri che volevano violentarla, poi partecipò alla cattura del cinghiale calidonio che riuscì a ferire per prima. Meleagro, in segno di onore, le fece dono della pelle della preda.

Divenne così famosa  che il padre la riconobbe ma voleva che si sposasse. Atamanta, a cui perchè un oracolo aveva predetto che una volta sposata avrebbe perduto le sue abilità, promise di sposarsi solo con chi l'avesse battuta in una gara di corsa, in caso contrario il pretendente sarebbe stato ucciso.
Ippomene, innamorato di lei, per cimentarsi chiese aiuto ad Afrodite che gli donò tre mele d'oro del Giardino delle Esperidi. Ippomene lasciò che cadessero una a una durante la corsa e Atalanta non resistette a raccoglierle perdendo la gara.

L'arco era l'antico strumento di guerra femminile perchè non doveva confrontarsi con la forza dei maschi. A cominciare da Diana e a finire con le Amazzoni, tutte usavano l'arco. Dunque Atalanta sa cacciare e sa correre, è un'atleta, non dimentichiamo che le spartane correvano nude e imparavano a combattere. Le donne dunque gareggiavano anticamente anche con i maschi quando non era in ballo la forza, come nell'arco e nella corsa, o nella guida dei carri.

Restò infatti una gara per sole donne proprio ad Olimpia indetti in onore di Hera, e per questo furono chiamati Giochi Erei. Narra Pausania che ogni quattro anni sedici donne tessevano un peplo per Hera ed organizzavano i Giochi, cioè una gara di corsa fra ragazze, dove le più giovani correvano per prime, poi le meno giovani ed infine le più anziane.

Portavano i capelli sciolti, il chitone sopra il ginocchio, il seno destro scoperto; correvano nello stadio, ma la lunghezza delle corse venne ridotta di circa 1/6. Le vincitrici venivano premiate con corone di ulivo ed una parte della vacca sacrificata ad Hera, ed era consentito loro avere statue con la propria immagine, dopo avervi posto il nome. In queste gare le donne potevano partecipare ed assistere come spettatrici, mentre erano bandite dalle gare maschili nè potevano assistervi.



IL CIRCO ETRUSCO
 
L'ANFITEATRO DI SUTRI (Italia)
Molto probabilmente i Romani praticarono le gare ispirandosi alle corse dei carri dagli Etruschi, che forse si erano a loro volta ispirati ai Greci. Le abitudini romane furono comunque influenzate dai Greci in modo diretto, soprattutto dopo che, nel 146 a.c., conquistarono la Grecia continentale.

Comunque nelle pitture parietali etrusche compaiono diverse volte i carri in gara per il festeggiamento nei funerali del de defunto. Per ciò che riguarda i costumi, le donne etrusche
assistevano alle corse dei carri, ma pure alle gare ginniche e al pugilato, cosa che scandalizzava molto i romani.



IL CIRCO ROMANO

Secondo Tertulliano il termine circus deriverebbe dal nome della maga Circe, che l'avrebbe ideato per celebrarvi i giochi in onore del padre defunto, il Sole. Varrone  invece, l'attribuisce alla forma circolare della struttura, in realtà molto ellittica.
Secondo una leggenda Romolo si servì dello stratagemma di organizzare una corsa di carri poco dopo la fondazione di Roma per distrarre i Sabini. Mentre i Sabini, patiti delle corse come i romani, si stavano godendo lo spettacolo Romolo ed i suoi rapirono le donne sabine, nel famoso Ratto delle sabine.

CIRCO DI TARRAGONA (Spagna)
Il che dimostra che fin dall'inizio anche Roma seguì appassionatamente lo spettacolo delle corse equestri, ma dimostra pure che le sabine assistevano alle gare altrimenti sarebbero state lasciate a casa, e forse copiando questa usanza, oppure quella etrusca, le romane, bandite all'inizio da qualsiasi spettacolo, potettero da sempre  assistere agli spettacoli dei circhi. Nella Roma imperiale, per volontà di Augusto, gli spettacoli in genere vennero concessi anche alle donne.

I circhi erano edifici molto imponenti e fastosi. Il leggendario circo di Costantinopoli era ornato con capolavori presi spogliando tutto il mondo conosciuto: come l'enorme obelisco trasportato da Karnak, in Egitto, ancora oggi visibile a Istanbul, o la colonna con i serpenti di bronzo dorato presa dal tempio di Apollo di Delfi o il gruppo dei cavalli sopra la tribuna imperiale, forse di epoca diomizianea, ora a Venezia, dove ornano la facciata della Basilica di San Marco.

Ma i circhi più celebri sono quelli di Roma, tra i quali il maggiore è il Circo Massimo e quello successivo di Costantinopoli, edificato quando ormai gli edifici stavano perdendo la loro funzione originaria, e quindi utilizzato anche come luogo di raduno per l'acclamazione dell'Imperatore, per le assemblee popolari, opure dove si verificavano tumulti e sommosse, o per feste e celebrazioni varie, o per le condanne a morte.



LE ORIGINI

Sulle origini del circo vi sono due ipotesi: la prima, secondo Tito Livio, data la nascita del circo in Roma  durante il regno di Tarquinio Prisco. In effetti pitture murali del VI sec. a.c., rinvenute in due tombe della necropoli di Tarquinia che rappresentano gare su bighe con la presenza del pubblico; apparterrebbero allo stesso periodo in cui, a Roma, i re etruschi, in particolare Tarquinio Prisco e Tarquinio il Superbo, provvidero alla sistemazione della valle Murcia, dove si installerà il Circo Massimo.

CIRCO DI CAESAREA (Palestina)
La seconda ipotesi, secondo Tacito, ne attribuisce la provenienza dalle colonie greche della Magna Grecia e della Sicilia, e in effetti le corse coi carri si trovano anche nella mitologia greca, come la sfida tra Pelope ed Enomao ad Olimpia, ed in Omero la corsa con bighe in memoria di Patroclo.

I Ludi ebbero inizialmente forte connotazione religiosa, come i munera e le rappresentazioni teatrali.
L’origine delle gare con carri in Roma risalirebbe alle antiche feste religiose degli Equirria, dedicate a Marte e dei Consualia, dedicati al dio Conso, protettore dei raccolti immagazzinati, venerato intorno ad un altare sotterraneo al Circo Massimo, e dell’Equus October, durante le quali si svolgevano competizioni di carri, in luoghi destinati, come ad esempio il Trigarium nel Campo Marzio o la valle Murcia, futura sede del Circo Massimo, tra il Palatino e l'Aventino.



LA LOCAZIONE

Di solito gli anfiteatri erano posti fuori le mura o in periferia, per facilitare l'accesso e il deflusso degli spettatori e carri (es. con bestie e materiali scenografici) che provenivano da altri luoghi. Invece i circhi avevano una posizione tipica affiancata al palazzo imperiale, in modo che l'Imperatore e la sua corte potessero recarvisi direttamente, senza uscire per strada.

Non erano moltissime le città che avevano un circo, perché la sua costruzione, l'area necessaria in piena città e soprattutto il mantenimento delle scuderie erano molto costosi. Tuttavia sono famosi i circhi di Alessandria, di Milano, di Aquileia, di Antiochia e di altre grandi città, soprattutto in oriente.



LE SPESE

Lo Stato sosteneva le spese per l'allestimento dei ludi, attraverso particolari cariche, quasi esclusivamente finalizzate a questo scopo: nell'età repubblicana se ne occuparono gli edili; in età imperiale era l'imperatore in persona che nominava i curatores ludorum. Non mancarono, tuttavia, numerosi privati che organizzarono spettacoli attingendo al patrimonio personale, per fare carriera politica o per la pura fama.

CIRCO DI PLOWDIV (Bulgaria)
Con il tempo il pubblico divenne sempre più esigente e per ottenere il tanto sospirato consenso alcuni magistrati si sobbarcarono di spese immense per l'allestimento di giochi, talvolta dilapidando il proprio patrimonio: Marco Aurelio giunse a richiedere, con un senatoconsulto, l’imposizione di limiti a queste spese; al contrario Costantino arrivò al punto di costringere con la forza alcuni candidati a ricoprire la carica di pretore, che comportava, per l'appunto l'allestimento di ludi, munera o spettacoli teatrali.

Con il periodo imperiale, è l'imperatore ad assumersi in parte o tutto l'onere finanziario dell'organizzazione degli spettacoli, utile per farsi propaganda. Alcuni imperatori ordinarono, come riporta Plinio,  che  la pista venisse ricoperta con materiali preziosi, come il minio, la malachite o la mica. Quasi tutti si adoperarono per arricchire la spina o per ampliare la capienza del Circo Massimo. Alcuni tennero per un determinato cavallo o per una factio, tanto che si arrivò al punto di riconoscere i sostenitori dell'imperatore dal colore della factio per cui tifavano; durante il tardo impero le factiones assunsero così le caratteristiche di un partito politico. Naturalmente la presenza dell'imperatore ai ludi era fondamentale, era un'occasione imperdibile per rendersi direttamente conto dell'umore dell'elettorato.



LE CORSE

A Roma non si svolgevano corse di cavalli montati. I cavalli correvano da soli oppure, secondo l'usanza greca, i cavalli venivano aggiogati a un carro a due ruote guidato da un auriga. La biga era un carro trainato da due cavalli; la quadriga da quattro.

Lo svolgimento della corsa era molto simile a quello delle corse greche e la differenza principale era che in ogni giornata potevano tenersi dozzine di corse, e le manifestazioni si protraevano talvolta per centinaia di giorni consecutivamente.

Una gara però si svolgeva sulla distanza di soli 7 giri (e in epoca più tarda di 5, per poter svolgere un maggior numero di corse nello stesso giorno) invece dei 12 di cui si componeva la corsa-tipo greca. L'organizzazione romana era inoltre molto più interessata agli aspetti economici: i corridori erano professionisti e tra il pubblico era diffuso un enorme giro di scommesse.

Quattro squadre rivali, che rappresentavano i quattro elementi naturali ed erano perciò vestite di verde, rosso, blu e bianco, guidavano ciascuna quattro cavalli, che a loro volta simboleggiavano le stagioni. Ogni gara si componeva di sette giri e ogni giorno si disputavano ventiquattro gare.

I carri in gara potevano essere trainati da quattro cavalli (quadrigae) o da due cavalli (bigae), ma le corse tra quelli a quattro cavalli erano più importanti; in alcuni rari casi, quando un auriga voleva dimostrare la propria abilità, poteva impiegare fino a dieci cavalli. Gli aurighi romani, diversamente da quelli greci, indossavano un caschetto ed altre protezioni per il corpo e si legavano le redini attorno alla vita, mentre i greci le reggevano in mano. A causa di quest'ultima usanza, i romani non potevano lasciare le redini in caso di incidente, così spesso finivano per essere trascinati dai cavalli attorno alla pista finché non rimanevano uccisi o riuscivano a liberarsi: per questo motivo portavano con sé un coltello per riuscire ad uscire da simili situazioni.

CIRCO DI TIRO
La corsa romana era molto simile a quella greca con la differenza che in ogni giornata potevano tenersi dozzine di corse, e le manifestazioni si protraevano per molti giorni consecutivamente. 
I romani erano molto interessati al business: i corridori erano professionisti e tra il pubblico c'era un enorme giro di scommesse. I carri in gara potevano essere trainati da quattro o da due cavalli, ma le corse tra quelli a quattro cavalli erano più importanti.

Gli aurighi romani, diversamente da quelli greci, indossavano un caschetto ed altre protezioni per il corpo e si legavano le redini attorno alla vita, mentre i greci le reggevano in mano. Così in caso di incidente non potevano lasciare le redini ma dovevano reciderle con un coltello che portavano nell'equipaggiamento. Il legarsi le redini facilitava la guida perchè non perdevano mai il comando dei cavalli ed era sufficiente tirare un pochino le redini per ottenere lo scopo. Naturalmente era più rischioso dell'uso greco, ma essendo pure molto più redditizio, i fantini correvano il rischio. Come per i gladiatori chi vinceva si arricchiva e diventava un eroe.



LA PISTA

La pista era un rettangolo molto allungato: uno dei due lati corti era arrotondato, mentre lungo l'altro si allineavano i box dai quali partivano i carri. Su tutto il resto del perimetro erano costruite le gradinate per il pubblico. L'edificio che ospitava i carceres era spesso monumentale, costituito da due torri, unite da una facciata scenica, e dai vari locali di servizio. Un esempio la torre del circo romano di Milano, a lungo creduta di origine medievale, divenuta il campanile di San Maurizio al Monastero Maggiore alto 16,60 m.

Il percorso di gara aveva il fondo in sabbia ed era costituito da due rettilinei paralleli, separati da una balaustra, la spina, che correva nel mezzo, e raccordati da due strette curve a 180 gradi. All'interno di ciascuna curva, all'estremità della spina, vi era una colonna, chiamata meta, intorno alla quale i corridori dovevano girare. La distanza tra le due mete era tipicamente di circa 200 m, ma nei circhi più grandi poteva essere maggiore.

La corsa si svolgeva di solito su sette giri di pista con percorso in senso antiorario. Sulla "spina" vi era una fila di segni, i più frequenti le uova di pietra o i delfini. A ciascun giro veniva abbassata la posizione a uno di questi segni, di modo che gli spettatori potevano così tenere il conto dei giri.



I CARCERES

Per le partenze i Romani si servivano di una serie di barriere, le carceres, posizionate a scalare, con una gradinata poco elevata dal suolo e un'arena per lo spettacolo piuttosto oblunga il cui piano rettangolare era suddiviso da un muro basso e lungo, la spina, cioè una barriera mediana di separazione.

Le carceres erano sistemate in uno dei vertici del percorso e i carri si disponevano dietro a queste barriere fissate con un sistema a scatto. Quando i carri erano pronti, l'imperatore (o l'organizzatore delle corse se non si svolgevano a Roma) lasciava cadere un panno detto mappa dando il via alla corsa. Le barriere allora si aprivano tutte insieme consentendo una partenza alla pari per tutti i partecipanti.



LA GARA

La gara si svolgeva su sette giri di pista e vi partecipava uno o più equipaggi per ognuna delle quattro fazioni: la rossa (russata), la bianca (albata), la verde (prasina) e l'azzurra (veneta), dal colore della tunica indossata dall'auriga. Una competizione durava pressappoco una decina di minuti per cui in una  giornata di ludi, era possibile assistere ad almeno una ventina di gare.

La vittoria andava all'auriga che tagliava per primo il traguardo, avendo superato tutte le difficoltà della gara, ad esempio i frequenti rovesciamenti dei carri (naufragia), frequentemente rappresentati sui mosaici e nei rilievi.
All’arrivo, spesso, i giudici non avevano problemi nel decretare il vincitore: molti equipaggi, infatti, perdevano terreno, subivano naufragia o venivano eliminati durante la corsa, tanto che generalmente il carro vincitore poteva tagliare il traguardo da solo.



L’AURIGA

Eroe amato e corteggiato come un gladiatore, perchè come lui rischiava la vita, non solo per i pericoli della gara stessa, ma anche per l’invidia tra le factiones. In Roma gli aurighi erano tra i professionisti meglio pagati: oltre allo stipendio della factio, in caso di vittoria nel Circo Massimo potevano guadagnare sino a 60.000 sesterzi. Nelle province il premio era  inferiore, ma sempre interessante, inoltre la vittoria in un circo di provincia poteva aprire le porte per le competizioni a Roma.
I meno esperti gareggiavano guidando bighe, mentre le quadrighe, che guadagnavano più plauso, erano destinate ai veterani e ai campioni.

Dei pochi che potevano ritirarsi dopo una lunga e gloriosa carriera, sappiamo di Gaio Apuleio Diocle, auriga spagnolo vissuto durante il regno di Traiano, che in 24 anni di carriera gareggiò in 4257 competizioni e ne vinse 1462 accumulando un tesoro.
Ogni auriga vestiva una tunica del colore della squadra, sopra cui portava una corazza in cuoio, con molti lacci per legarsi al carro, e infine un piccolo elmo, anch’esso generalmente in cuoio.
I nomi degli aurighi giunti sino a noi sono Calimorfus, Filoromus, Incitatus a Limenius, Marcianus, Paulus, Victor, forse nomi veri ma anche soprannomi alludenti ad abilità, destrezza, coraggio e vittoria.

Collaboravano alla gara:
- lo sparsor, incaricato di bagnare copiosamente i cavalli per rinfrescarli durante la corsa;
- il propulsor, a volte a piedi a volte a cavallo, ha il compito di incitare l’auriga e i cavalli;
- lo iubilator, colui che acclama il vincitore;
- l’editor muneris, che dirige la gara e ne controlla la regolarità, generalmente raffigurato nel tribunale, mentre agita la mappa per decretare la fine della corsa e il vincitore.



IL CAVALLO

Era il vero protagonista della corsa, cui venivano dedicati riquadri in mosaico, con il nome sopra, oltre ai quantitativi di orzo a vere e proprie “pensioni” di vecchiaia per i cavalli che raggiungevano le 100 vittorie: un campione centenarius poteva aspirare, infatti, ad una tranquilla vecchiaia.

In particolare veniva esaltato il Funalis sinistro, ovvero il cavallo esterno al tiro, a sinistra, il primo a dover affrontare la curva, potremmo quasi indicarlo come il responsabile dei naufragia.

Le razze preferite avevano colore scuro, corpo snello e gambe sottili caratteristiche della razza berbera, elegante e veloce, in gara contro la razza ispanica e lusitana, di grande possanza fisica.
Il cavallo dotato veniva allevato con particolare cura, perché poteva valere moltissimo al momento della vendita, quando si valutava ogni piccolo particolare della struttura fisica dell’animale e soprattutto la dentatura, sintomo di gioventù e di buona alimentazione.



LA VITTORIA

Naturalmente vinceva il carro che arrivava primo. La vincita non corrispondeva solo nella proclamazione e nella gloria che ne derivava, ma anche in un premio tangibile: i migliori aurighi diventavano famosi ma guadagnavano anche grandi somme, come i moderni campioni dello sport.

II vincitore riceveva una palma, una corona e un cospicuo premio in denaro, che arricchiva il già elevato salario d'ingaggio elargito dalla factio. Ci sono testimonianze di aurighi che guadagnarono delle fortune correndo per diversi anni, al servizio di una sola fazione o cambiando fazione. Oltre all'auriga poteva raggiungere il successo anche il cavallo, talvolta osannato e celebrato con un'immagine in mosaico, che ne riporta il nome. Non si tifava, tuttavia, per un auriga o per un cavallo, bensì per la factio, come ricorda con rincrescimento Plinio il giovane.

Approfondimenti: CORSE DELLE BIGHE



LE CERIMONIE

I circhi venivano usati anche come scenario per le cerimonie imperiali, di solito in occasione delle celebrazioni che seguivano alle vittorie militari o all'ascesa al trono. Nel circo di Costantinopoli avvenivano la cerimonia di acclamazione dell'Imperatore, gli atti solenni e le trattative dell'Imperatore con la folla. Per esempio nel 512 Anastasio dalla tribuna si tolse il diadema, si disse disposto ad abdicare se gli veniva indicato un successore.

La folla lo riconfermò. Altro episodio la rivolta della Nika, che nacque dalle fazioni del circo, che chiedevano all'unisono la rimozione di alcuni funzionari, e alla fine -nella sua repressione- costò la vita a 30.000 persone.

Vi si celebravano anche i trionfi (come quello di Belisario) e tutte le cerimonie ufficiali pubbliche. Le classiche quattro fazioni alba (bianca), prasina (verde), russata (rossa), veneta (azzurra) divennero una sorta di partiti politici. Le fazioni del circo a Costantinopoli videro la prevalenza di due "colori" (il verde e l'azzurro) e assunsero (oltre che connotazioni politiche) perfino quella di partigianerie religiose: la fazione dei verdi parteggiava per il Monofisismo. Gli azzurri era il "partito" dei grandi proprietari terrieri e dell'antica nobiltà, parteggiavano per i verdi soprattutto i mercanti e la burocrazia statale.

Vi erano circhi a Roma, Salonicco (Grecia), Sirmium (Serbia) e Costantinopoli (Turchia), dove il circo veniva ancora chiamato ippodromo. Sulla via Appia, nei pressi della Tomba di Cecilia Metella, sorgeva il Circo di Massenzio, sulla cui spina vi era un obelisco di imitazione egiziana. Circhi romani sussistono in Italia e fuori: a Pozzuoli, ad Aquileia, ad Oranges, ad Arles, a Cartagine. L'ultimo circo romano di grandiose proporzioni fu eretto in Costantinopoli, dove costituisce oggi, con i suoi restanti obelischi, una delle piazze cittadine.
Approfondimenti: I TRIONFI



I GLADIATORI

Gladiatore, da gladius, spada, era un combattente professionista negli spettacoli degli anfiteatri e dei circhi dell'antica Roma. La pratica di combattimenti mortali fra uomini armati ebbe origine in Etruria, nell'Italia centrale, come rituale durante i funerali di guerrieri morti. Ebbero origine nel III secolo a.c. come cerimonie religiose che accompagnavano i funerali, in seguito dedicati al dio Saturno. 

La prima esibizione a Roma ebbe luogo nello 264 a.c. durante una cerimonia funebre. Spettacoli su vasta scala vennero promossi da Giulio Cesare, che in un'occasione fece esibire 300 coppie di combattenti; la più grandiosa competizione gladiatoria fu offerta da Traiano (107 d.c.) con 5000 coppie e la più curiosa fu quella di Domiziano (90 d.c.) tra donne e nani.

Reclutati fra schiavi, criminali e soprattutto prigionieri di guerra, i gladiatori erano allenati in scuole chiamate ludi, con una disciplina e un addestramento rigorosissimi. Un gladiatore passato alla storia fu Spartaco, capo di un'insurrezione di schiavi contro Roma che tra il 73 e il 71 a.c. imperversò in tutta l'Italia meridionale. Un gladiatore di successo era cantato dai poeti, viziato dalle dame dell'aristocrazia e a volte sollevato dall'obbligo di combattere ancora. Talora scendevano nell'arena uomini liberi e cittadini, talvolta anche patrizi, per conseguire la fama ma soprattutto la ricchezza.
 I giochi gladiatori (chiamati MUNERA poichè costituivano in origine una sorta di "tributo" versato agli antenati defunti) gradualmente persero la loro connessione esclusiva con i funerali di cittadini individuali e divennero una parte importante degli spettacoli pubblici finanziati dai politici e dagli imperatori. La popolarità di questi giochi è testimoniata dall' abbondanza di dipinti murari e mosaici che ritraggono i gladiatori
Approfondimenti: I GLADIATORI



LE VENATIONES

Nel circo si svolgevano anche altri giochi, quali spettacoli di saltimbanchi, partite di caccia e combattimenti tra gladiatori, tra animali o tra uomini e fiere. Nel 55 a.c. il generale romano Pompeo Magno offrì cinque giorni di giochi del circo durante i quali furono uccisi 500 leoni e 20 elefanti.



LA FINE

Il successo dei ludi circenses, come di altri spettacoli, terminò con l’affermarsi del cristianesimo, che negava ai propri fedeli sia la partecipazione diretta sia l’assistere come pubblico ad una gara del circo, in quanto legata alla cultura pagana. L'imperatore Costantino vietò i combattimenti di gladiatori nel 325 d.c., ma essi continuarono fino al 500. Poi ogni forma di spettacolo venne bandita dal cristianesimo.

Nel IV e nel V secolo d.c., sotto la crescente influenza della Chiesa, i giochi che tradizionalmente si svolgevano nei circhi e negli anfiteatri vennero proibiti. A partire dal VII secolo d.c., ormai completamente in disuso, molti circhi furono smantellati e depredati delle loro splendide strutture nonchè demoliti direttamente.

"E’ per fermare l’infezione mortale dei corpi che gli dei ordinavano che si istituissero per loro giochi scenici; ed è per prevenire l’infezione mortale delle anime che il pontefice massimo vietava che si costruisse un teatro."
(S. Agostino)




Memoria del dott. GIUSEPPE MARCHETTI LONGHI
Ludi e Circhi nell'antica Roma. 

"Gli stadii moderni danno una idea, per quanto incompleta, degli antichi circhi, di cui in Roma non ve n'è che uno, che ce ne possa fornire un esempio, ma solo nelle sue linee fondamentali, perchè del tutto secondario per importanza e per dimensioni agli altri, che sono completamente spariti.
Tale il Circo di Massenzio, presso il sepolcro di Cecilia Metella, dei cui scarsi ruderi superstiti mi valgo a dare una idea di questo genere di edificii, idea, che si completa con la conoscenza che da ciascuno si ha dello stadio moderno.

Identica la forma ellittica ; i lati lunghi ed il ricurvo occupati del pari da gradinate divise in ripiani (moeniana), interrotte in settori da numerosi accessi agli ambulacri esteriori, e sollevate dall'arena da un primo ripiano detto podium. Il lato curvo era però interrotto da un grande arco di accesso dall'esterno, più ο meno decorato, la porta triumphalis, che, nel circo di Massenzio, ancora si vede, mentre un altro arco, la porta libitinaria, aprivasi lungo uno dei lati lunghi per farvi passare gli aurighi od i cavalli, morti ο feriti durante la corsa.

Il lato breve, di chiusura, opposto al ricurvo ed alla porta triumphalis, era occupato dai carceres, dodici ambienti, che si aprivano per grandi porte sull'arena e da cui si slanciavano i carri alla corsa al segnale del presidente dei giuochi. I carceres erano disposti su di una linea obliqua e ricurva in modo, che fosse uguale la distanza, che separava ciascun carcere dal punto ove aveva inizio la corsa. Gli estremi dei lati lunghi, nel loro punto di congiunzione con i carceres, erano occupati da due edifici a guisa di torri, detti « oppida », con altri ingressi secondari all'arena.

Finalmente questa era divisa, in senso longitudinale, da un rialzo detto spina, terminato agli estremi da due costruzioni semicircolari a camera dette: prima meta, la più vicina ai carceres, e secunda meta, quella più vicina alla porta triumphalis e recanti ciascuna una ο più colonne sormontate da emblemi a forma di uova in onore dei Dioscuri, Castore e Polluce, protettori dei giuochi equestri. Su la spina, in tutta la sua lunghezza, si alternavano edicole, statue, tempietti, obelischi ed are sacre a divinità varie, specialmente a Nettuno, protettore dei cavalli.

L'imperatore assisteva da una tribuna (pulvinar), situata a metà circa di uno dei lati lunghi, mentre, secondo che ci è mostrato nel noto bassorilievo di Foligno, rappresentante il Circo Massimo, sembra che il magistrato, che presiedeva i giuochi, in antico sempre il console, poi gli edili curuli ο i plebei, desse il segnale con il gettar della mappa da una speciale tribuna sovrapposta ai carceres. Per esigenze di servizio, la spina era tagliata in vari punti in modo che gl'inservienti del circo potessero rapidamente portarsi da una all'altra parte dell'arena, e provvedere alla rimozione degli ostacoli ed al rinfrescare dell'arena mediante l'acqua di un canale (euripus), che scorreva intorno, intorno all'arena medesima.

Non starò qui a descrivere tutte le fasi della corsa : il segnale, il primo slancio, il settemplice giro intorno alle mete, costituente il così detto « missus », gli urti, i cozzi, lo sfacelo delle bighe contro le mete e il tragico travolgimento del misero caduto sotto le zampe dei cavalli lanciati a fuga irrefrenata e intanto l'ansia degli spettatori, le urla d'incitamento ο le imprecazioni ai caduti, specialmente da parte dei scommettitori, infine il delirio dei partigiani della fazione vincitrice: la bianca ο la rossa, la turchina ο la verde.

Il moderno interesse per le corse non ha nulla che vedere con la frenesia degli antichi, cresciuta fino a morbosa pazzia, man mano che, con il prolungarsi e con il moltiplicarsi, per occasioni non più rispondenti agli antichi austeri principii, perdettero quel carattere religioso, che li contradistinse in principio. L'emblema delle fazioni era dato dal colore della tunica degli aurighi romani, i quali, a differenza dei Greci, che andavano nudi, indossavano un leggero costume: una corta tunica allacciata intorno al busto da una specie di corazza di corregiuole di cuoio, in capo un berretto a cappuccio, egualmente di cuoio, alla cintura un coltello per tagliare le redini in caso di pericolo.

I carri da corsa avevano la forma della ben nota biga marmorea del musco Vaticano, e vi erano attaccati due ο quattro cavalli, talora anche sette di fronte. Naturalmente, in ogni caso, solo due cavalli erano aggiogati, gli altri, non aggiogati, erano quelli la cui abilità, specialmente se di sinistra, che rasentavano le mete, attirava la generale attenzione e per i quali si facevano le maggiori scommesse dipendendo da essi la vittoria.

La lunghezza del missus di sette giri, secondo i calcoli dello Jordan, nel Circo Massimo, lungo 600 metri, ammontava a circa quattro chilometri. Chiudo queste brevi notizie, che ho ritenuto opportuno premettere al mio studio, notando che gli edifici circensi, esteriormente aperti a guisa di portici, così come ora vediamo l'Anfiteatro Flavio, erano anche centri di vita commerciale, di vita religiosa ed artistica, e, talora, come vedremo, specialmente per il circo Flaminio, anche di vita politica.

Sono noti i versi con i quali Catullo si duole con l'amico di averlo invano ricercato sul Campidoglio, nel Foro, nel Campo Marzio ο nel Circo, le tappe, dirò così quotidiane, del Romano nell'esplicazione della sua attività religiosa, civile, militare e mondana.

Notte e giorno negli ambulacri dei circhi, ο dei teatri, si agitava continuamente una vita varia e lussuosa: vi erano osterie, banchi di merci di ogni genere, indovini, giocolieri, buffoni, etère eleganti e procaci, anche uomini politici e avventurieri, intriganti di ogni specie, che, nell'ambiente particolarmente propizio, durante l'impero e la decadenza, a Roma ο a Bisanzio, trovavano terreno adatto ad amalgamare con i loro interessi personali e le loro ambizioni, la passione sfrenata del popolo, sì da servirsi delle miserabili contese del Circo in nome di un auriga, ο di un cavallo favorito, per provocare le zuffe, nelle quali la vita di migliaia di cittadini veniva sacrificata e persino messa in pericolo la sicurezza del trono imperiale.

Così avvenne sotto Giustiniano, a Bisanzio, nel 532, nella celebre rivolta di Nica, nella quale trentamila persone soccombettero e l'impero fu salvo, solo per l'energia di una donna straordinaria : l'Imperatrice Teodora. Venendo a trattare del circo Flaminio interessa sopratutto sapere il motivo e l'occasione della sua fondazione, che lo resero opportuno, ο necessario, in aggiunta a quello già esistente, il Massimo, in epoca in cui le leggi erano molto restie a edificare sedi stabili di spettacoli giudicati, e non a torto, nocivi alla severità dei costumi.

Tali motivo e occasione, che, come vedremo, non poterono essere se non religiosi, almeno in apparenza, è necessario porli in rapporto con le condizioni locali della contrada in cui sorse il monumento, onde vedere quanto queste influirono su quelli e poi su tutta la funzione del monumento, che, da esse principalmente, più assai che da tutto il suo uso abituale e apparente, acquistò grande importanza nella vita politica, religiosa, commerciale, edilizia ed artistica dell'Urbe."

IL CIRCO MASSIMO

CIRCO MASSIMO

Il più famoso fu il Circo Massimo a Roma, fatto costruire da Giulio Cesare nel I secolo a.c su una struttura preesistente del VII sec. a.c. Si trovava nella valle tra il Palatino e l'Aventino, ed è ricordato come sede di giochi sin dagli inizi della storia di Roma perchè in questa valle sarebbe avvenuto il  ratto delle Sabine, in occasione dei giochi indetti da Romolo in onore del dio Consus. La sua vicinanza all'approdo del Tevere dove da sempre si svolgevano gli scambi commerciali, fecero sì che qui si svolgessero attività di mercato e di scambi con altre popolazioni, con le connesse attività rituali (si pensi all'Ara massima di Ercole) e di socializzazione, come giochi e gare.

Le prime installazioni in legno, probabilmente in gran parte mobili, risalirebbero all'epoca di Tarquinio Prisco, nella prima metà del VI sec. a.c. La costruzione di primi impianti stabili risalirebbe al 329 a.c., quando furono edificati i primi carceres. Le prime strutture in muratura, soprattutto legate alle attrezzature per le gare, si ebbero da Gaio Giulio Cesare con i primi sedili in muratura e la forma definitiva all'edificio, a partire dal 46 a.c.

Realizzato nella depressione naturale tra il colle Aventino e il Palatino, sfruttando la pendenza del declivio come luogo per il pubblico, accoglieva unicamente le competizioni con i carri; agli allenamenti era destinato probabilmente un altro sito, il Trìgarium, localizzato nel Campo Marzio: una pista erbosa, quadrangolare con un'estremità semicircolare (sud-est), che verosimilmente era già funzionante durante il periodo etrusco, come dimostrerebbe il nome stesso. Presso il Trìgarium, inoltre, si stabilirono le scuderie e l'amministrazione di due factiones, la Prasina (verde) e la Veneta (blu).

Secondo la tradizione, il primo circo su cui si sovrappose quello di Cesare, fu fatto costruire dai Tarquini quindi in epoca monarchica. Venne restaurato dopo un incendio e probabilmente completato da Augusto, che per decorare la spina vi aggiunse, come riporta una moneta di Caracalla, un obelisco dell'epoca di Ramses II portato dall'Egitto, l'obelisco flaminio, quello che oggi sta a piazza del Popolo. In età augustea il circo Massimo era lungo oltre 600 m e largo 100, con una spina centrale di 340 m. Era circondato da portici e botteghe, e secondo alcune fonti avrebbe potuto accogliere circa 150.000 spettatori.

Dopo il famoso incendio del 64 a.c., Nerone ricostruì e ampliò il Circo Massimo. Diversi restauri avvennero sotto gli imperatori Tiberio e Nerone e un arco venne eretto da Tito nell'81 al centro del lato corto curvilineo, un passaggio monumentale nelle strutture del circo.

Dopo un grave incendio sotto Domiziano, la ricostruzione, probabilmente già iniziata sotto questo imperatore, venne completata da Traiano nel 103:a quest'epoca risalgono la maggior parte dei resti giunti fino a noi. Sono ricordati ancora restauri sotto Antonino Pio, Caracalla e Costantino I. Il circo rimase in efficienza fino alle ultime gare organizzate da Totila nel 549.

Le dimensioni del circo erano intanto cresciute: lungo 621 m e largo 118, con il potere di ospitare circa 250.000 spettatori. La facciata aveva tre ordini con quello inferiore, di altezza doppia, ad arcate. La cavea poggiava su strutture in muratura, che ospitavano i passaggi e le scale per raggiungere i settori dei sedili, ambienti di servizio interni e botteghe aperte verso l'esterno. L'arena era in origine circondata da un euripo (canale) largo quasi 3 m, più tardi eliminato per aggiungere altri posti a sedere. Sul lato sud si trova attualmente una torretta che però è medioevale.

Nell'arena, si svolgevano le corse dei carri, con dodici quadrighe che compivano sette giri intorno alla spina centrale tra le due mete. La spina era riccamente decorata da statue, edicole e tempietti e vi si trovavano sette uova e sette delfini da cui sgorgava l'acqua, utilizzati per contare i giri della corsa.
Vi si svolgevano, inoltre, le naumachiae (battaglie navali): l'arena del Circo Massimo veniva inondata con le acque del Tevere e venivano simulati combattimenti navali (navalia proelia) durante i quali due opposte squadre si affrontavano rievocando grandi battaglie avvenute per mare.
I dodici carceres, la struttura di partenza che si trovava sul lato corto rettilineo verso il Tevere, disposti obliquamente per permettere l'allineamento alla partenza, erano dotati di un meccanismo che ne permetteva l'apertura simultanea.

I primi accorgimenti adottati dopo la definizione del luogo, in cui sarebbe sorto il Circo Massimo, furono la determinazione dei sedili riservati a senatori e cavalieri, detti fori e la conseguente costruzione di gradinate lignee per il pubblico, come ricorda Tito Livio.

Nel IV secolo a.c. vennero predisposti, sul lato breve di nord - ovest, degli steccati di legno dipinto, prima forma dei futuri carceres, che fungevano da gabbie di partenza per i carri (329 a.c.); sul volgere tra il IV e il III secolo a.c. fu data una prima sistemazione alla spina, la stretta striscia di terra intorno alla quale dovevano correre i carri.

Bisogna attendere il II secolo a.c. per delle nuove modifiche al complesso, che contemplano la costruzione del fornix o arco trionfale sul lato opposto ai carceres (196 a.c.), voluto da L. Stertinio; la ricostruzione in muratura dei carceres, il posizionamento delle metae (i cippi all'estremità della spina) e delle uova che indicavano ai concorrenti il numero dei giri percorsi.
La vera monumentalizzazione del Circo Massimo iniziò, tuttavia, con gli interventi di Cesare a partire dal 46 a.c., che comportarono un ampliamento dello spazio. Il complesso assunse la forma di uno stadium, differenziandosi da questo solo per la presenza dei carceres sul lato corto. I successivi interventi proposti da Agrippa, nel 33 a.c., previdero la collocazione di sette delfini di bronzo con la stessa funzione delle uova: le uova sarebbero situate in relazione alla corsia di andata (itus), abbassate all’inizio di ogni nuovo giro ne segnalavano l’avvio; i delfini sarebbero collocati in relazione alla corsia di ritorno (reditus), abbassati al termine di ogni giro indicavano il numero di giri già conclusi.

A seguire Augusto pose sulla spina l'obelisco di Ramsete II e fece costruire sul lato lungo verso il Palatino il pulvinar, il palco imperiale. La traduzione greca, offerta dallo stesso Augusto, di pulvinar con il termine υάος, tempio, indica tutta la sacralità che era riconosciuta alla zona, riservata, dunque, agli Dei che presiedevano ed assistevano allo spettacolo, la presenza dell’imperatore era assimilabile ad una vera e propria teofania. Inoltre il Prìnceps richiese la costruzione di una porta triumphalis, sul lato corto opposto ai carceres, che solennizzava l'ingresso al circo.

La capienza della cavea, in questo momento, era notevole: 150.000 spettatori circa; tuttavia il punto debole del Circo Massimo furono, per parecchi decenni, le gradinate in legno, che si incendiavano con estrema facilità. Tre incendi, nel 36, nel 64 e durante il regno di Domiziano, resero necessari interventi di ristrutturazione, che diedero, infine, al circo la forma nota attraverso i pochi resti e le fonti letterarie ed iconografiche: i carceres in marmo, le metae in bronzo dorato (durante il regno di Caligola prima e di Claudio poi), l'ampliamento della cavea a 250.000 spettatori, con Nerone, ed infine gli interventi di epoca traianea.

Dalla pianta marmorea della Forma Urbis, di età severiana, e da altre fonti iconografiche (mosaici di Luni e di Piazza Armerina, rilievo di Foligno) si può riconoscere la sostituzione, voluta da Tito, dell'antico fornix con un arco a tre fornici, nuovo ingresso trionfale, in onore della vittoria giudaica, preceduto da un’ampia gradinata che copriva il dislivello tra l’esterno e la pista.

Nell’età di Traiano, dunque, il Circo Massimo è completo e si presenta come l’elaborazione conclusa del circo romano. L’edificio contempla, dunque, ampie gradinate, che poggiano su sostruzioni, secondo lo schema comune a tutti gli edifici da spettacolo, e una sottocavea interamente percorribile, per garantire un facile accesso a tutti i maeniana, attraverso rampe e scale.

Come si nota sulle monete di epoca traianea e costantiniana, la facciata monumentale a tre piani era composta da un porticato, con pilastri e due piani a parete piena, intervallati da lesene e probabilmente finestre. Il secondo piano in parete piena non corrisponde alle soluzioni utilizzate per teatri ed anfiteatri, che prevedevano ampi porticati: ciò si spiega con la necessità di nascondere le scale di accesso alla summa cavea in ligneis.

La costruzione traianea pare essenzialmente in laterizio, ed ingloba le parti in tufo, travertino e opus reticulatum, che risalirebbero alla fase repubblicana. Nell’emiciclo un ambulacro e tre ambienti, con volte a botte, permettevano l’accesso ordinato alle gradinate.
Sul lato opposto i carceres, in muratura, seguivano il cerchio ad ampio raggio delle prime strutture lignee ed erano sovrastati dalla loggia, in cui sedeva l’editor muneris: mancano tuttavia studi approfonditi sulla zona. Il muro del podio, che separava gli spettatori dalla pista, si presenta decisamente alto: la soluzione fu certamente dettata dalla necessità di proteggere il pubblico durante le occasionali venationes che si tenevano nel Circo. La pista, sistemata per garantire il drenaggio e ricoperta di un sottilissimo strato di sabbia, appare decisamente più stretta dell’originale di epoca repubblicana, in seguito ai numerosi interventi di ampliamento della cavea.
Il Circo Massimo nella sua forma compiuta è modello indiscusso di ogni altro circo presente nell’Impero: ne è testimonianza a questo proposito la sua presenza, quasi costante, su tutte le raffigurazioni relative ai Ludi circenses.
Approfondimenti: CIRCO MASSIMO


DOMENICA 20 FEBBRAIO 2011
I ruderi del circo romano senza neanche un cartello
Giuseppe Tesorio
Corriere della Sera – Milano 11/2/2011

In via Circo, in un giardinetto tra i civici 9 e 11, dormono alcuni resti archeologici, i «due sassi». Senza un cartello ovviamente. Ma come, quel che resta del muro di curva del grandioso circo fatto costruire dall'imperatore Massimiano, tra il III e il IV secolo d.C., sul letto del torrente Nirone, è cosa da poco? Occupava un'area compresa tra corso Magenta e le vie del Torchio, Brisa, Cappuccio, Circo, Luini e Morigi. Della costruzione originaria si sono conservate parti delle fondamenta delle gradinate (in alcune cantine di via Brisa) e questi ruderi in via Circo. L'imperatore raggiungeva la tribuna all'interno del circo, attraverso un passaggio privato, senza uscire dal suo palazzo. Sul lato minore a nord del circo, nell'attuale corso Magenta, si trovavano i «carceres», collocati ai lati della porta monumentale d'ingresso, dove si posizionavano bighe e cavalli in attesa del segnale di partenza (erano disposti a semicerchio per evitare che i carri più esterni si trovassero svantaggiati). C'era pure un avamposto fortificato, con tanto di torre, ben conservata, utilizzata in seguito come campanile del Monastero Maggiore, in via Luini. Sul lato opposto, in via Circo appunto, la linea del traguardo e la tribuna dei giudici. Oggi, briciole di muro e «zero cartelli».
Pubblicato da Francesco Scanagatta a 14:51


ARCHEOLOGIA: I RESTI DI UN CIRCO ROMANO SCOPERTI IN INGHILTERRA
STRAORDINARIO RITROVAMENTO NELLA CONTEA DELL'ESSEX
Roma, 15 lug. - (Adnkronos) - Scoperto in Inghilterra un circo romano. Dopo anni di ricerche è questo lo straordinario risultato cui è giunta un’equipe di archeologi nella contea dell’Essex. Le ultime campagne di scavo non lasciano dubbi: anche Camulodunum (oggi Colchester) colonia romana in Britannia fondata nel I secolo d.C. ebbe il suo circo. “È qualcosa di davvero straordinario”, spiega il direttore degli scavi Rob Masefield in un’intervista alla rivista ‘’Archeologia Viva’, che annuncia l’importante scoperta.
“I resti sono quelli delle grandi strutture dei circhi, con la grande cavea che guarda verso l’ampia arena, nel nostro caso lunga trecentocinquanta metri e larga sessanta, in linea con i canoni tradizionali”, sottolinea Masefield. In origine il circo di Camolodunum (eretto tra I e II secolo d.C.) era impreziosito da decorazioni architettoniche di un certo rilievo, con colonne monumentali rivestite di marmi policromi di cui sono stati rinvenuti alcuni frammenti. Alcune tavolette di argilla, raffiguranti corse con le quadrighe hanno un significato davvero particolare: quasi certamente furono pensate come souvenir da vendere in occasione degli spettacoli che si svolgevano nel circo.

Come si vede all'estero i resti romani sono spesso più apprezzati e curati che non in Italia.


BIBLIO

- John Humphrey - Roman Circuses: Arenas for Chariot Racing - (I circhi romani: arene per la corsa dei carri) - Berkeley - University of California Press - 1986 -
- Adriano La Regina - Circhi e ippodromi. Le corse dei cavalli nel mondo antico - Roma - Cosmopoli - 2007 -
- Carlo Fea - Descrizione Dei Circhi, Particolarmente Di Quello Di Caracalla E Dei Giuochi In Essi Celebrati: opera postuma del consigliere Gio. Lodovico Bianconi ordinata e pubblicata con note e Versione Francese dall'Avvocato Carlo Fea - 1789 -
- J.H. Humphrey - Roman Circuses - Londra - 1986 -



3 comment:

Unknown on 2 giugno 2016 alle ore 11:02 ha detto...

vorrei citare questo articolo in una tesi universitaria, sono disponibili le fonti da cui è tratto?

Unknown on 25 gennaio 2019 alle ore 20:02 ha detto...

Bellissimo...ma perchè non si può copiare e incollare?

Moraru Angelica-Larisa on 17 febbraio 2019 alle ore 18:58 ha detto...

Siccome sono rumena,volevo copiare e poi traddure..mi dispiace perche e troppo interesante..

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